TUBERCOLOSI (XXXIV, p. 433; App. II, 11, p. 1026)
Biochimica del bacillo tubercolare. - Gli studî sulla composizione chimica dei micobatterî, in particolare del Myc. tuberculosis, sono proseguiti in questi ultimi anni con interessanti risultati, che investono anche alcuni settori della patologia della tubercolosi.
Di particolare importanza è stata la identificazione del cosiddetto "cord factor", al quale sono state riconosciute eminenti proprietà tossiche. I ceppi virulenti possiedono tutti questa sostanza, il cui nome deriva da una caratteristica disposizione a corde, rilevabile all'osservazione microscopica, che, se pur non è esclusiva, è prevalente nei ceppi virulenti. Con opportuni artifici sono state ottenute cellule vive di bacilli, prive del fattore cordale: esse risultano svirulentate, non possiedono più proprietà né leucotossiche né antileucotattiche, mentre il fattore cordale di per sé è tossico e capace di conferire le proprietà su menzionate a gemmi che naturalmente ne sono privi. Chimicamente il fattore cordale è trealosio-6-6′-dimicolato e gli acidi micolici, come si sa, sono gli unici costituenti dei micobatterî che, isolati allo stato puro, possiedono proprietà alcool-acido-resistenti. Molti risultati sperimentali fanno oramai configurare la virulenza come carattere biologico specifico di un determinato ceppo, tanto che per i micobatterî sono stati elaborati tests di virulenza in vitro, quali: il test di Dubos-Middlebrook al rosso neutro e quello di Desbordes al blu Nilo, che possono interpretarsi come probabile conseguenza di una reazione dei coloranti con le endoproteine, verosimilmente glico- o lipo-proteine; la prova al blu di metilene secondo Bloch, che è in relazione con l'attività glucoso-deidrogenasica; il test alla niacina, che può mettersi in rapporto con l'intensità delle attività DPNasica e TPNasica ed i tests di Wilson-Kalish-Fish all'indofenolo e di Hirsch e Cattaneo al 2,3,5-trifeniltetrazolio, che vanno considerati alla stregua di espressioni del potenziale di ossido-riduzione cellulare. Questi ultimi due però, più che come prove di virulenza vere e proprie, servono piuttosto per distinguere i ceppi con eterotrofismo saprofitario da quelli con eterotrofismo parassitario.
Alle ricerche sulla chimica dei micobatterî sono state applicate con buoni risultati anche le metodiche analitiche più recenti: l'elettroforesi e la cromatografia. Per via elettroforetica sono state separate varie frazioni proteiche sia dai corpi bacillari sia dalle tubercoline. A seconda della solubilità e della velocità di migrazione sono state distinte 4 frazioni: A, costituita da una proteina solubile a migrazione lenta; B, da una proteina solubile a migrazione rapida; C, da una proteina insolubile a migrazione rapida ed infine una glicoproteina contenente una frazione solubile, lenta, ricca di carboidrati.
Le ricerche cromatografiche hanno messo in evidenza l'esistenza nei micobatterî degli aminoacidi fondamentali comuni a tutte le cellule viventi: negli idrolizzati proteici di questi bacilli ne sono stati identificati oltre 20. È stata anche confermata la presenza dell'acido α-ε-diaminopimelico, un aminoacido poco comune, che è stato ritrovato nei micobatterî, nei bacilli della difterite, in una mutante di E. coli, in alcune alghe. Sono stati studiati anche gli aminoacidi delle tubercoline, senza però poter trarre dei rapporti tra tenore in aminoacidi e attività tubercolinica, anche se qualcne autore ha prospettato l'ipotesi di una certa correlazione con il contenuto in triptofano.
Un altro aspetto delle ricerche biochimiche in campo micobatterico riguarda gli studî sulle proprietà metaboliche dei micobatterî analizzate tramite i processi enzimatici. È stata accertata l'esistenza nei micobatterî del ciclo di Krebs, almeno nelle sue linee fondamentali. Sono state evidenziate le attività enzimatiche preposte al metabolismo degli adenosin- e inosin-fosfati; tra l'altro queste ricerche hanno messo in evidenza che i ceppi umani e bovini virulenti presentano una attività As-deaminasica meno intensa dei ceppi non virulenti e dei micobatterî saprofiti.
Né si può chiudere una sia pur breve rassegna sulla biochimica dei bacilli tubercolari senza un accenno alle modificazioni biochimiche determinate dal contatto con gli antibiotici e chemioterapici antitubercolari. Sotto l'influenza di queste sostanze le popolazioni batteriche presentano caratteri nuovi: compaiono cellule resistenti, cioè cellule che non risentono più dell'azione tossica dell'antibatterico. Sono cellule caratterizzate da nuove proprietà biometaboliche e si differenziano dalle omologhe sensibili per una variazione del corredo enzimatico. Si può in proposito ricordare il deficit in catalasi ed in perossidasi osservato nei bacilli isoniazido-resistenti, che tra l'altro risultano meno virulenti, e l'assenza di AMPasi nei bacilli strepto-resistenti, anche se questi fatti non possono rendere conto in pieno del fenomeno della resistenza.
Epidemiologia. - L'epidemiologia della t. ha presentato profonde e favorevoli modificazioni dopo l'introduzione in terapia antitubercolare dei nuovi farmaci chemio-antibiotici. L'indice di mortalità che in Italia era nel 1946 dell'82,2 per 100.000 abitanti è sceso nel 1949, con l'uso della streptomicina e dell'acido paraminosalicilico, al 49,1. Successivamente l'uso in terapia dell'isoniazide ha fatto scendere rapidamente la mortalità, dal 42 per 100.000 abitanti nel 1951, al 25,6 nel 1952 ed al 21,1 nel 1957.
È opinione generale che lo stesso decremento non si sia verificato nell'indice di morbosità. Purtroppo i dati statistici in proposito non sono esatti perché basati sui ricoveri ospedalieri, mentre sfugge quella notevole aliquota dei malati che si curano a domicilio.
Dallo studio pilota di G. Daddi e coll. eseguito in Lombardia si deduce che l'indice di morbosità ha subìto nel decennio 1947-1956 una lieve flessione passando per 1000 abitanti, dall'1,5 all'1,2. Più specificatamente mentre nel 1952 con l'introduzione dell'isoniazide si è avuta una flessione dall'1,40‰ all'1,3‰, nel 1954 l'aliquota è scesa all'1,2‰: da questa epoca in poi l'indice di morbosità è rimasto invariato. Un altro aspetto interessante è che la morbosità maschile (1,6‰) è nettamente superiore a quella femminile (1‰); inoltre mentre il numero dei casi iniziali fra i maschi è quasi stazionario (1,7‰ nel 1947; 1,5‰ nel 1956), quello delle donne è notevolmente diminuito (rispettivamente 1,30‰; 0,80‰).
Similmente anche l'indice turbercolinico, cioè il numero dei soggetti che reagisce positivamente alle prove tubercoliniche, ha subìto in questi ultimi tempi delle modificazioni interessanti; da un lato la diminuzione delle percentuali di positività (26% nell'età dai 14 ai 16 anni in uno studio eseguito da G. Spina, M. Lucchesi e coll. nelle scuole di Roma nel 1959) e dall'altro uno spostammto del maggior numero di positività verso l'età adulta. Questo, secondo G. L'Eltore, indicherebbe che la malattia tubercolare non si trova più in Italia nella fase di malattia epidemica ma in quella endemica. È comunque certo che, se la malattia tubercolare non ha più in Italia l'incidenza grave di un tempo, rimane pur sempre una malattia d'interesse sociale, che va combattuta con tutti i mezzi.
Un problema che oggi sempre più si pone allo studio è quello dei malati cronici. Le moderne terapie, diminuendo la mortalitài hanno portato ad un aumento di questi malati che, pur non avendo raggiunto la guarigione, vivono a lungo ed in buone condizioni generali, ma ancora con lesioni aperte e quindi contagianti. Inoltre questi soggetti sono sovente eliminatori di micobatteri tubercolari resistenti ai chemioantibiotici, coi quali possono infettare nuovi individui. In un recente studio G. Spina e coll., M. Lucchesi e coll. hanno notato che circa il 46% dei pazienti che entrano in sanatorio con espettorato Koch positivo presentano dei micobatterî resistenti ai chemioantibiotici. Questo fatto va molto attentamente seguito non soltanto per le difficoltà che incontra la cura di simill soggetti, ma anche perché quelli da essi contagiati potrebbero non risentire l'effetto terapeutico delle attuali terapie chemioantibiotiche.
Profilassi. - La profilassi della t. e di quella polmonare in particolare si basa, come per il passato, su due cardini fondamentali: profilassi aspecifica e specifica. Con la prima s'inendono tutti quei provvedimenti complessi che servono a migliorare la resistenza organica verso la malattia in genere ed in particolare verso la t., e riguardano il problema dell'igiene della vita, igiene della casa, alimentazione qualitativamente e quantitativamente sufficiente, controllo periodico degli individui per la ricerca del malato nella comunità onde evitare il propagarsi dell'infezione, compito oggi affidato all'indagine schermografica di massa.
La profilassi specifica, è stata condotta già da più di un trentennio fino ai giorni nostri mediante la vaccinazione antitubercolare. Essa però può essere applicata solo ai soggetti tubercolino-negativi, cioè a quegli individui che non reagiscono ad una inoculazione intradermica di tubercolina (la vaccinazione indiscriminata come si fa nell'America del Sud, specie nel Brasile secondo i concetti di A. De Assis, non è accettata dall'intero mondo scientifico). Si tratta di soggetti che non hanno ancora avuto il contatto con il bacillo di Koch, che non hanno ancora avuta quella che viene definita t. primaria, che si sviluppa per lo più nell'età scolare e che, salvo casi rari, tende a guarire spontaneamente. I soggetti che hanno superato la t. primaria divengono tubercolino-positivi. Una parte di questi individui, dopo un periodo più o meno lungo di anni, può andare incontro alla t. post-primaria con tutte le conseguenze tanto temute. Fino ad oggi non era possibile attuare alcun mezzo "specifico" per prevenire questo secondo episodio della malattia tubercolare, che è il più dannoso per l'individuo e per la società in quanto comporta le forme più gravi, ed è quello veramente pericoloso per il contagio e la diffusione della malattia.
L'avvento in terapia nel 1952 dell'idrazide dell'acido isonicotinico (isoniazide), il suo notevole potere antibatterico nei confronti del bacillo di Koch, il suo vasto impiego nella terapia di tutte le forme di t. e di quella polmonare in particolare, l'assenza di tossicità, la facilità di somministrazione che è per via orale, il basso costo commerciale, hanno fatto prospettare (fine 1955) la possibilità di un suo impiego a scopo profilattico antitubercolare nell'uomo.
Di questo metodo si è reso fautore e divulgatore in Italia e all'estero A. Omodei-Zorini, che già al XIII Congresso italiano di tisiologia, tenutosi nel settembre 1956, impostò il nuovo metodo su basi scientificosperimentali e pratiche indicando, quale campo specifico di azione, i soggetti tubercolino-positivi, specie se da viraggio recente, particolarmente esposti al contagio. Il metodo in questi ultimi anni, ha trovato largo favore nel mondo intero ed ha avuto il riconoscimento ufficiale della tisiologia internazionale in varî congressi nazionali ed internazionali (Relazione al XV Congresso internazionale della tubercolosi ad Istambul nel 1959 ed al XV Congresso italiano di tisiologia nel 1960). Omodei-Zorini consiglia la dose quotidiana di isoniazide di 10 mg/kg senza superare i 400 mg giornalieri di medicamento, in due cicli all'anno di tre mesi di cura, alternati a tre di riposo, per un periodo di due anni. In soggetti particolarmente esposti al contagio il primo ciclo potrà avere anche la durata di 6-8-12 mesi. Nei bambini al disotto dei tre anni la dose pro kg più consigliabile è di 15 mg. Le principali indicazioni del metodo sono, secondo Omodei-Zorini, le seguenti:1) soggetti tubercolino-positivi al disotto dei 5 anni di età, anche se viventi in ambiente sano; 2) soggetti tubercolino-positivi età compresa fra i 5 e i 20 anni, solo se viventi in ambiente fortemente contagiante; 4) la chemioprofilassi può trovare inoltre applicazione nei tubercolino-positivi affetti da silicosi, negli ex pleuritici, negli ex tubercolotici quale prevenzione delle recidive.
Secondo qualche autore (Canetti) la chemioprofilassi potrebbe essere associata alla vaccinazione antitubercolare nei soggetti tubercolino-negativi usando uno speciale vaccino BCG isoniazido-resistente. Secondo Omodei-Zorini e la sua scuola (G. Spina e M. Lucchesi) questa associazione potrebbe trovare utile applicazione in soggetti tubercolino-negativi esposti a grave contagio familiare, se rimasti ancora cutinegativi dopo il primo ciclo di chemioprofilassi.
La chemioprofilassi ha trovato ancora utile e vasta applicazione (T. Rosati e L. Badiali) in campo veterinario per la prevenzione e l'eradicazione della tubercolosi nelle stalle infette.
Terapia. - L'avvento dei chemioantibiotici ha portato delle profonde modificazioni nella cura e nell'andamento della t. polmonare, e, come abbiamo visto, nell'epidemiologia. Oggi possediamo la terapia specifica della t., cioè ad azione diretta verso l'agente eziologico della malattia. Purtroppo l'euforia provocata da questa importante scoperta ha portato sovente a trascurare, specie da parte dei pazienti, quelle norme igienico-sanitarie collaterali che sono indispensabili, ancora oggi, al raggiungimento della guarigione. In modo particolare mantiene un ruolo fondamentale nella terapia il riposo dell'organismo malato. Almeno all'inizio della cura il riposo a letto inteso nel modo più ampio, è indispensabile: nei paesi - anglosassoni esso viene consigliato e osservato per almeno 6 mesi, specie prima di decidere un intervento operatorio, poíché facilita il compito della terapia antibatterica di arrestare la tendenza evolutiva nei processi morbosi, rendendo migliore la sopportabilità dell'intervento, il decorso post-operatorio e riducendo il numero degli insuccessi. Similmente la terapia climatica, oggi ingiustamente trascurata, mantiene le indicazioni soprattutto per perfezionare i miglioramenti o gli esiti della terapia antibatterica, per troncare stati febbrili residui, per migliorare le condizioni generali dei pazienti.
La terapia antibatterica specifica si serve oggi, oltre che della streptomicina (v. App. II, 11, p. 922 e in questa App.), di numerosi farmaci ant i tubercolari.
L'idrazide dell'acido isonicotinico o isoniazide (IAIN): è il più potente farmaco antitubercolare, entrato con enorme successo nella chemioterapia della tubercolosi nel 1952 in seguito ai lavori clinici di H. G. Fox e all'esperimento di Selikoff e Robitsek in America. Questo medicamento ha in sé quanto di meglio si possa desiderare: tossicità quasi nulla alto potere terapeutico, facile somministrazione orale, basso costo. La posologia media quotidiana si aggira sugli 8-10 mg/kg peso nell'adulto, 5-20 mg/kg nel bambino. Può essere somministrato a lungo senza inconvenienti: è opportuno nelle lunghe terapie il controllo della funzionalità epatica. La lunga esperienza clinica ha confermato l'efficacia terapeutica nelle forme di t. miliare sia circoscritte sia diffuse acute e subacute. Nelle miliari croniche l'azione è meno brillante, ma è efficace nel bloccare l'evolutività del processo e nell'evitare le complicanze extrapolmonari così frequenti in queste forme. Anche nelle forme essudative, specie se recenti, l'effetto terapeutico è ottimo, anche se non così efficace come per le forme precedenti. Nella t. cavitaria specie se cronica, i risultati ottenuti sono meno buoni, anche ricorrendo alle terapie associate, di cui parleremo tra breve, tuttavia risulta molto utile nel cronicizzare e stabilizzare il processo morboso e come preparazione ad interventi chirurgici.
Per la sua facile penetrabilità nei tessuti trova particolare indicazione nella t. primaria morbigena. Anche la prognosi della meningite tubercolare, che già nella streptomicina ha trovato un medicamento di alta efficacia, è ulteriormente migliorata con l'uso dell'isoniazide. L'elevata diffusibilità del medicamento fa sì che essa penetri in concentrazioni terapeutiche nel liquor anche con la sola cura generale. La sua introduzione nello speco vertebrale, attraverso la puntura lombare, risulta atossica per il sistema nervoso e di alta efficacia terapeutica. Oggi pertanto, anche grazie al più recente uso dei cortisonici, la meningite turbercolare guarisce senza esiti in una percentuale elevatissima di casi (più del 90%). Un cenno particolare merita l'efficacia dell'isoniazide nella tubercolosi laringotracheobronchiale che è ritenuta superiore a quella della streptomicina.
Fra gli altri farmaci antitubercolari ricorderemo l'acido paraaminosalicilico (PAS) sintetizzato e studiato per primo da J. Lehman nel 1946 ancor oggi molto usato, alla dose di 12-15 gr al giorno nell'adulto sia per bocca sia per perfusione venosa, specialmente nelle terapie associate.
Ormai scarsamente usati per la loro tossicità sono il Tiosemicarbazone (TB1) isolato da G. Domagk, la viomicina, isolata da A.C. Finlay nel 1949, e la Pirazinamide sintetizzata da S. Kushner e coll. nel 1952.
La cicloserina è un antibiotico di sintesi isolato da D.A. Harris e coll., molto interessante per la sua notevole azione terapeutica, sia nelle forme recenti, sia nelle forme croniche in fase di riattivazione: si somministra per via orale alla dose d-1 grammo al dì, anche per lunghissimo tempo. Spesso l'effetto terapeutico si verifica dopo tre-quattro mesi di terapia. È tossica per il sistema nervoso per cui è bene evitarne l'uso nei soggetti tarati. Il suo impiego si va sempre più diffondendo, specialmente in Europa occidentale, nella terapia associata.
Recentemente sono stati sperimentati altri due farmaci: la tioamide dell'acido alfa-etil-isonicotinico (tioamide), chemioterapico isolato in Francia da D. Liebermann, N. Rist e F. Grumbach, che è attivo anche contro i micobatterî tubercolari isoniazido-resistenti e che dimostra un ottimo effetto terapeutico alla dose di 1 grammo al giorno per via orale: dà con facilità disturbi gastrici, che talora obbligano alla sospensione della terapia; la kanamicina, antibiotico isolato da H. Umezawa, che è ancora in studio per potere esprimere un giudizio sicuro e che viene somministrata alla dose di 1 grammo quattro volte la settimana, dà con frequenza disturbi uditivi. Sembra, peraltro, dai primi esperimenti clinici, che la sua efficacia sia modesta.
Terapia chemioantibiotica associata: tutti i farmaci antitubercolari su descritti, dopo un certo periodo di cura, provocano l'insorgenza del fenomeno della resistenza batterica, per cui i germi, così modificati, non risentono più l'azione del farmaco e quindi l'effetto terapeutico si esaurisce. Per ovviare a questo inconveniente o quanto meno per ritardare la insorgenza della resistenza essi non vengono mai usati isolatamente, ma si ricorre alla terapia associata, cioè si somministrano allo stesso soggetto varî chemioantibiotici nello stesso tempo, sempre al dosaggio terapeutico ottimale per ogni singolo medicamento. Nel corso delle "Giornate Laennec" tenutesi a Parigi nel maggio 1959 si è giunti alla conclusione che con un trattamento associato ben condotto, l'insorgenza della resistenza è evenienza rara e la guarigione si può ottenere nell'80% dei casi. Per contro, quando compare la resistenza all'isoniazide, o, peggio, a più chemioantibiotici, i risultati della chemioterapia sono gravemente compromessi. Purtroppo oggi a causa di terapie condotte irrazionalmente prima del ricovero, si osserva, tra i malati con espettorato Koch positivo all'ingresso, l'11% circa di casi resistenti ai chemioantibiotici per i quali la terapia medica antibatterica risulta compromessa, potendo avere successo solo nel 13% dei casi. La piò frequente associazione in uso, specie nella cosiddetta "terapia d'attacco", è quella di streptomicina e isoniazide, cui si aggiunge da parte di molti anche il PAS. Quando invece sia insorta la resistenza alla streptomicina o all'isoniazide, si sostituisce l'antibiotico che non è più idoneo con la cicloserina, o il PAS o la tioamide. Pertanto è necessario, nel corso della cura, eseguire frequentemente l'antibiogramma sui micobatterî tubercolari isolati dall'espettorato onde scoprire l'eventuale resistenza e modificare la terapia. L'effetto terapeutico risulta in tale modo molto più efficace, più rapido e duraturo. Se dopo 4-6 mesi di cura chemioantibiotica l'ammalato non risulta in avanzata fase di guarigione, o rimane stazionario o tende a peggiorare, si dovrà ricorrere, quando possibile, ad altre cure.
Terapia ormonica. Il cortisone e i suoi derivati (v. cortisone, in questa App.), i quali se usati da soli possono provocare un aggravamento della malattia tubercolare, in associazione ai chemioantibiotici possono in casi particolari dare brillanti risultati. Tali prodotti trovano l'indicazione fondamentale nella pleurite essudativa e nelle atelettasie lobari o nelle reazioni perifocali che spesso si accompagnano alla tubercolosi primaria del bambino (le quali, se non curate a tempo, predispongono a gravi alterazioni bronchiali), nelle miliari diffuse acute e croniche, nella meningite tubercolare.
Pneumotorace artificiale di Forlanini: ha ancora oggi la sua indicazione negli insuccessi della terapia antibatterica, quando la lesione sia relativamente recente, specialmente se l'estensione delle alterazioni anatomiche sia tale da controindicare un intervento chirurgico di exeresi polmonare o quando questo risulti sproporzionato alla scarsa entità della lesione. Spetta al tisiologo giudicare il momento più opportuno per l'applicazione della collassoterapia medica.
Terapia chirurgica: ha trovato un grande impiego nella cura della t. polmonare ed ha ricevuto un notevole impulso in seguito alla terapia antibatterica, che ha permesso degli interventi prima inattuabili non tanto tecnicamente, quanto per la gravità e facilità delle complicazioni.
Per quanto riguarda la collassoterapia (App. II,1, p. 643) c'è da rilevare che la toracoplastica totale è ormai abbandonata, mentre la preferenza va oggi alle toracoplastiche parziali. specie a quella di J. Semb, per via posteriore, e a quella apico-ascellare di E. Morelli e N. Di Paola.
Si sono andate anche circoscrivendo le indicazioni cliniche del pneumotorace extrapleurico e della aspirazione endocavitaria di Monaldi. Questa, però, rappresenta uno dei momenti fondamentali della cosiddetta loboretrazione metodica proposta da A. Omodei-Zorini e Bottari, e chirurgicamente realizzata da N. Di Paola: essa consiste nell'aspirazione endocavitaria, introduzione nella cavità di chemioantibiotici e toracoplastica. È indicata quando si tratta di grosse cavità del lobo superiore immerse in tessuto polmonare in parte fibroso ed inespansibile, specialmente se non è possibile, per altri motivi, una exeresi lobare.
Un intervento che viene applicato nella cura degli empiemi cronici tubercolari è la decorticazione pleuro polmonare. Consiste nella asportazione di tutta la sacca empiematica scollando la pleura parietale e viscerale, liberando il polmone dalla cotenna pleurica che lo incarcera e rendendo così possibile la espansione polmonare e successiva adesione dell'organo alla parete toracica. Si tratta di un intervento di una certa gravità ma che oggi, grazie alla terapia antibatterica, è coronato nella grandissima maggioranza dei casi da un successo completo.
Molto diffusi sono oggi gli interventi di exeresi polmonare, che consistono nella asportazione di un lobo o di tutto il polmone sede della malattia. Presuppone l'integrità del polmone che residua all'intervento. È pertanto indicato nella caverna isolata dei varî lobi, nel polmone tisico distrutto quando sia assolutamente integro quello controlaterale, nei tubercolomi, nelle cavità insufflate sotto pneumotorace e comunque negli insuccessi di questi, nei residui cavitari dopo toracoplastica, nei casi di tubercolosi associata a bronchiectasie, ecc. si tratta di operazione che se bene studiata nella indicazione caso per caso, se l'ammalato è bene preparato e controllato prima dell'intervento con alcune indispensabili ricerche di laboratorio e di fisiopatologia respiratoria, importa uu pericolo assai limitato e fornisce risultati definitivi in altissima percentuale dei casi.
Tutta la terapia chirurgica ed anche, il pneumotorace terapeutico vengono fatti oggi precedere da un congruo periodo di pretrattamento con chemioantibiotici e di riposo assoluto. La durata di questo trattamento medico preoperatorio deve essere stabilita caso per caso dal medico, in rapporto al tipo ed alla sede della lesione anatomica, tenendo presente che specialmente quando si ha intenzione di ricorrere alla collassoterapia, sia medica sia chirurgica le lesioni non devono essere troppo croniche ed il trattamento antibatterico preoperatorio dovrà essere relativamente breve. Per interventi di exeresi lobare o totale il trattamento sarà più prolungato, onde spegnere, quando possibile, ogni attività del processo morboso. In tale modo si eviteranno le complicanze post-operatorie e le recidive. La possibilità di guarigione della tubercolosi polmonare trattata con resezione supera il 90% nelle indicazioni elettive; nelle indicazioni al limite queste percentuali scendono intorno al 70%. Ciò dà una idea delle necessità di uno studio preciso del paziente e di intervenire al momento opportuno, evitando così la cronicizzazione della malattia.
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