Tunisia
Sottoposta all'amministrazione francese dal 1883, la T., dopo contrasti molto aspri, raggiunse l'indipendenza nel 1956. Successivamente, nonostante le difficoltà con la Francia, ha sempre mantenuto una politica di apertura verso l'Europa, sviluppando buoni rapporti anche con i Paesi del blocco comunista. Il cinema ha qui avuto, a differenza di altri Paesi del Maghreb, radici profonde e ha potuto sviluppare originali percorsi d'autore.
La nascita del cinema in T. risale agli anni Venti del Novecento e si lega al nome di Albert Shammama Shikly, che già nel 1897 aveva organizzato a Tunisi le prime proiezioni pubbliche, realizzate dagli operatori dei fratelli Lumière. Come regista, Shammama Shikly diresse nel 1922 il primo cortometraggio tunisino, al-Zahara, in cui alla storia di una ragazza francese naufragata e salvata da un aviatore si intrecciano scene di vita dei beduini, e nel 1924 il primo lungometraggio, ῾Ainu al-ġazal, noto con il titolo La fille de Carthage, tragica storia d'amore tra due giovani separati dalle convenzioni sociali. Al primo periodo sonoro del cinema tunisino appartengono i lungometraggi di finzione Terqui (1935) di Abdelaziz Hassine e Maǧnūn al-Qayrawān (1939, Il pazzo di Kairuan) di M.J. Creusi con il contributo di Georges Derocles. Nel 1946 nacquero gli studi cinematografici Afrique (fondati da Derocles con lo scopo di produrre documentari e cinegiornali), il Centro del cinema tunisino e i primi cineclub. Fu un momento di grande fermento, che portò alla costituzione di altri importanti organismi: la Fédération tunisienne des ciné-clubs (FTCC) nel 1950; la Cinémathèque tunisienne nel 1954; la Société anonyme tunisienne de production et d'expansion cinématographique (SATPEC) nel 1957; la Fédération tunisienne du cinéma amateur (FTCA) nel 1958. Quest'ultima fu creata da Tahar Cheriaa, personalità di enorme valore per la crescita della cinematografia tunisina e ideatore, nel 1966, delle Journées cinématographiques de Carthage. Nel 1971, infine, nacque l'Association des cinéastes tunisiens (ACT).
Nel 1966 venne realizzato il primo lungometraggio completamente tunisino, al-Faǧr (L'alba) di Omar Khlifi, i cui protagonisti sono tre giovani che combattono e muoiono per la patria durante la guerra di liberazione. Un altro titolo di grande rilievo è H̠alīfa al-aǧrās῾ (1969, Khalifa il calvo) di Hamouda Ben Halima, descrizione delle vicende di un orfano in un quartiere della vecchia Tunisi nei primi anni del 20° secolo. Più interessati a sviluppare un discorso sociale e politico sono Wa ġadan... (1972, E domani...) di Brahim Babal, odissea di tre contadini costretti a lasciare le loro terre aride e a cercare lavoro in città; Risāla min Saǧnān, noto con il titolo Sejnane, 1974) di Abdellatif Ben Ammar, film fortemente realista nel narrare la presa di coscienza di un giovane durante la Resistenza; al-Sufarā᾽ (1975, Gli ambasciatori) di Nāsir Ktari, duro ritratto corale dei lavoratori immigrati di un quartiere parigino; Šams al-ḍibā῾a (1977, Il sole delle iene) di Rida Behi, tipico film di denuncia che analizza le conseguenze nefaste della costruzione di un complesso turistico in un villaggio di pescatori; Fatma 75 di Selma Baccar, documentario realizzato nel 1975, ma per motivi di censura uscito nel 1978, su tre generazioni di donne in altrettanti periodi della storia della Tunisia. A partire dal 1975, di fondamentale rilievo è stata la presenza del Nouveau théâtre di Tunisi, collettivo d'avanguardia che ha saputo diffondere i risultati della propria ricerca teatrale anche a livello cinematografico: il film collettivo al-῾Urs (1978, Le nozze) e ῾Arab (1988, Arabi) di Fadhel Jaibi e Fadhel Jaziri.
Negli anni Ottanta il cinema tunisino ha conosciuto un periodo d'oro grazie a cineasti che con sguardo innovativo hanno affrontato scottanti questioni sociali. La memoria e l'esilio, la convivenza multietnica come fonte di arricchimento e di scontro sono gli argomenti sui quali si fonda l'opera di Mahmoud Ben Mahmoud fin dal suo lungometraggio d'esordio ῾Ubūr (1982; La traversata). Nejia Ben Mabrouk ha descritto nel film noto con il titolo La trace (realizzato nel 1982 ma, per motivi di censura e di di-stribuzione, uscito in T. solo nel 1988) il percorso esistenziale di una ragazza e la sua ribellione alle gerarchie sociali. Già membro della Fédération tunisienne du cinéma amateur, per la quale girò i primi lavori, Taïeb Louhichi si è confrontato sia con la tradizione, intesa come conservazione di una cultura ancestrale (Ẓhil al-arḍ, 1982, L'ombra della terra) e come patrimonio di leggende (la storia di un amore che porta alla follia in Maǧnūn Layla, 1989, Layla mia ragione), sia con l'urbanizzazione contemporanea (῾Urs al-qamar, 1998, Nozze di luna). Critico e storico del cinema, Ferid Boughedir ha realizzato documentari sulla storia del cinema africano (Caméras d'Afrique, 1983) e arabo (al-Kāmīra ῾Arabīyya, noto anche come Caméras arabes, 1986) e opere di finzione inscritte nella commedia sociale (Halfawīn ‒ ῾Usfūr al saṭḥ, 1990, noto anche come Halfaouine ‒ L'enfant des terrasses; Sayf fī Ḥalq al-Wādī, 1995, Un'estate a La Goulette). Il sesso, la repressione politica, la condizione femminile sono al centro dei film di Nouri Bouzid, da Rīḥ al-sadd, noto come L'homme de cendre, 1986) ad ῾Arā᾽is al-Ṭīn᾽ noto con il titolo di Poupées d'argile, 2002). Un posto a parte occupa Nacer Khemir, regista, scrittore, cantastorie che in al-Hā᾽imūn fī al-Ṣaḥrā᾽ noto anche con il titolo Les baliseurs du désert (1984) e Ṭawq al-ḥamāma al-mafqūd (1990, La collana perduta della colomba) si è avventurato nei territori della favola, del mistero e della seduzione risalenti a Le mille e una notte.
Altri registi significativi sono: Moufida Tlatli, montatrice della maggior parte dei capolavori della nouvelle vague tunisina e araba degli anni Settanta e Ottanta, e cineasta che ha privilegiato la descrizione di complesse figure femminili in Ṣamt al-quṣūr (1994; I silenzi del palazzo) e La saison des hommes (2000); Mohamed Zran, autore del realistico e patinato Essaïda (1996), ambientato nell'omonimo quartiere periferico di Tunisi; Mohamed Ben Smaïl, attore e regista, nella cui opera prima Ġadwa naḥrek... (1998, Domani, brucio...) percorre, nel segno dell'erranza narrativa ed estetica, la deriva esistenziale di un uomo rientrato in T. da Parigi; Raja Amari, che con Satin rouge (2002) ha delineato il ritratto di una donna alla riscoperta della propria sensualità.
Il cinema dei paesi arabi, a cura di A. Aprà, A. Di Martino, E. Rashid, Venezia 1993, pp. 189-203, 301-10; G. Gariazzo, Breve storia del cinema africano, Torino 2001, pp. 27-40.