Vedi Tunisia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La Tunisia è un paese del Maghreb, ovvero la fascia costiera dell’Africa settentrionale che dal Marocco va fino alla Libia. Dal punto di vista geopolitico la Tunisia si differenza da altri attori dell’area – come Algeria e Libia – perché non è ricca di risorse naturali; questa caratteristica la accomuna al Marocco e rende il paese più dipendente dai rapporti con i partner della sponda nord del Mediterraneo. La sua strategica collocazione geografica, sulla sponda sud del Canale di Sicilia e nel mezzo delle rotte mediterranee, rende d’altra parte la Tunisia un attore importante per tutti i paesi dell’Europa meridionale. Le relazioni con l’Unione Europea (Eu), con cui la Tunisia ha firmato un accordo di associazione già nel 1998, rappresentano una delle priorità di politica estera. In particolare, il paese ha i più stretti legami con la Francia, che è stata per decenni potenza coloniale in Tunisia (fino al conseguimento dell’indipendenza nel 1956), e con l’Italia, per motivi di vicinanza geografica e relazioni storiche. Nell’area maghrebina e, più in generale, mediorientale, la Tunisia mantiene buone relazioni con tutti i vicini e con tutti i paesi arabi, nonostante non manchino alcune tensioni con l’Algeria, dovute a motivi di carattere geostrategico e politico.
Paese storicamente di secondo piano dal punto di vista politico e diplomatico, tanto per via della posizione marginale rispetto al cuore del Medio Oriente quanto per le sue ridotte dimensioni, tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011 la Tunisia è divenuta il modello per i movimenti di protesta popolari che hanno coinvolto gran parte dei paesi dell’area: è stata il primo paese testimone di un cambio di regime, dando il via a quel fenomeno che sarebbe stato conosciuto come ‘Primavere arabe’.
La Tunisia, che con Habib Bourghiba e Ben Ali era una repubblica presidenziale il cui presidente, eletto direttamente, godeva di ampi poteri, ha intrapreso con la ‘rivoluzione dei gelsomini’ di inizio 2011 un processo di riforme istituzionali profonde, ancora in corso. Il 23 ottobre 2011 sono state indette le elezioni per l’assemblea costituente incaricata di redigere la nuova carta fondamentale della nazione. Dai seggi è uscito vincitore il partito Ennahda, di ispirazione islamista moderata e guidato da Rachid Ghannouchi, storico leader dell’opposizione islamista al regime laico di Ben Ali e Bourghiba, rimasto per decenni in esilio a Londra e tornato in patria solo nel 2011 dopo la fine della dittatura. Nonostante la formazione di un governo di transizione guidato dallo stesso Ennahda, insieme a Ettakatol (partito social democratico guidato dal medico Mustafa Ben Jaafar) e il Congresso per la repubblica (partito progressista laico guidato dall’attivista per i diritti umani e attuale presidente della Repubblica Moncef Marzouki), l’esecutivo ha affrontato diverse crisi politiche durante il processo di democratizzazione. Il panorama politico risulta piuttosto complesso a seguito della liberalizzazione e le tensioni riaffiorate tra posizioni islamiche e secolari si sono progressivamente acuite, producendo uno stallo istituzionale. Quest’ultimo si è riflesso soprattutto sull’approvazione del testo finale della nuova Costituzione, i cui negoziati sono andati avanti a fatica fino al gennaio del 2014, ma che ha prodotto una legislazione innovativa per il mondo arabo, soprattutto sul tema della parità di genere. Nel 2014 sono attese le prime elezioni politiche del dopo Ben Ali.
La Tunisia, con i suoi 10 milioni di abitanti, è il paese meno popoloso di tutta l’area maghrebina, dopo la Libia. A differenza di quest’ultima, però, la Tunisia è etnicamente molto omogenea e presenta scarse divisioni dal punto di vista tribale e religioso, elemento che ne rafforza la coesione interna. Circa il 98% della popolazione, è araba, mentre la minoranza berbera e quella ebrea rappresentano ciascuna l’1%. La composizione etnica si riflette a livello religioso: il 98% della popolazione professa la religione musulmana sunnita, mentre vi sono minoranze cristiane e di religione ebraica.
In particolare la presenza della comunità ebraica è importante soprattutto dal punto di vista storico: gli ebrei tunisini, oggi circa 1500, vivono soprattutto sull’isola di Gerba, dove sorge una delle sinagoghe, al Ghriba, e una delle comunità ebraiche più antiche del mondo. La libertà di culto è stata garantita dalla Costituzione tunisina, anche perché quella precedente ricalcava in parte quelle europee ed era una delle più laiche e secolari di tutto il mondo arabo, pur prevedendo l’islam come religione ufficiale.
Il tasso di crescita della popolazione è il più basso dell’area, riflesso di un tasso di fecondità minore rispetto agli altri paesi. La Tunisia, del resto, ha anche una delle popolazioni più urbanizzate ed è interessata, sia in misura diretta sia indiretta, dal fenomeno dell’emigrazione: migliaia di persone partono per raggiungere l’Europa, di solito attraverso l’Italia, come effetto delle difficili condizioni socioeconomiche.
La Tunisia vanta livelli di istruzione elevati e un sistema educativo – anche a livello universitario – tra i più efficienti della regione. Il tasso di alfabetizzazione è superiore a quello di molti altri paesi maghrebini e mediorientali, specie per quanto riguarda le fasce giovanili, e sono molti i tunisini che studiano in università estere. La spesa per l’istruzione della Tunisia, d’altra parte, è tra le più alte di tutta la regione e una delle più alte al mondo in termini relativi.
A fronte di questo quadro relativamente buono rispetto agli standard regionali, nella Tunisia di Ben Ali si registravano livelli di censura e repressione dei diritti politici e civili tra i più alti di tutta la regione. Tali mancanze e restrizioni, insieme a motivazioni di carattere socio-economico, hanno portato alle proteste del gennaio 2011 che hanno provocato la destituzione di Ben Ali. Durante il lungo periodo di transizione, che perdura, si sono registrati notevoli passi in avanti dal punto di vista delle libertà fondamentali, nonostante continuino a persistere alcuni limiti alla libertà d’espressione e rimanga un alto tasso di corruzione della classe politica. Sebbene i dubbi circa le eventuali discriminazioni – basate sul sesso o sulla religione – che la vittoria elettorale di un partito islamico avrebbe potuto provocare siano stati in parte fugati, persistono punti critici per i diritti politici e civili. Vi sono stati casi di artisti arrestati per reati di opinione e, più in generale, il paese risente delle contraddizioni tipiche di una realtà in via di democratizzazione.
L’economia tunisina è caratterizzata dalla scarsa disponibilità di risorse naturali. Il paese produce gran parte dell’energia consumata, ma le risorse da esportare sono esigue. Tale condizione ha fatto sì che, rispetto ad altri attori regionali, il sistema economico tunisino divenisse più dipendente dai rapporti con i paesi europei. Questi ultimi rivestono un’importanza vitale per la Tunisia, viste le relazioni commerciali, gli investimenti e i flussi turistici che contribuiscono a mantenere l’economia nazionale in condizioni relativamente buone. Dopo la Libia di Gheddafi, la Tunisia è stata, in termini di pil pro capite, il paese più ricco di tutta la fascia maghrebina.
Il settore terziario contribuisce a quasi il 62% del pil totale tunisino ed è quindi il settore dominante;
l’agricoltura pesa per l’8% e l’industria per il restante 30%. Le industrie principali sono quelle tessili e delle calzature; di rilievo anche la produzione di macchinari. Nei servizi emerge invece il turismo, che può contare sulle bellezze naturali del paese (in particolar modo la costa) e su un notevole patrimonio archeologico, e che contribuisce da solo a circa il 20% del pil. L’economia registrava durante l’era di Ben Ali una crescita sostenuta, con un tasso medio pari a circa il 5%, nonostante la crisi internazionale del 2008-09. Potenzialmente il paese è ancora in grado di svilupparsi; tuttavia, non è riuscito ad attirare ingenti investimenti diretti esteri, specie in relazione agli altri attori dell’area. Inoltre, durante il 2013, la crescita è scesa per la prima volta sotto il 3%, anche come effetto della crisi politica.
L’alto tasso di disoccupazione (circa il 17%), che nella fascia giovanile assume dimensioni più preoccupanti, rappresenta uno dei maggiori problemi strutturali. A questi si aggiunge la grande disparità economica e infrastrutturale tra le zone costiere, specialmente quelle collocate a nord, attorno alla capitale Tunisi, e le zone interne e meridionali il cui sviluppo è stato nettamente trascurato dalla dittatura di Ben Ali e che sono state l’origine delle rivolte del 2011.
I rapporti commerciali più importanti della Tunisia sono quelli con l’Unione Europea. Francia, Italia e Germania sono i primi tre partner commerciali, sia dal punto di vista delle esportazioni sia delle importazioni. La bilancia commerciale è in negativo, anche a causa delle importazioni di idrocarburi, che pesano per il 15% dell’import totale. Una fetta consistente delle entrate tunisine – pari al 5% del pil – è rappresentata dalle rimesse provenienti dall’estero.
Un problema che interessa Tunisi, soprattutto nella prospettiva futura, è la scarsità di risorse idriche; in Tunisia la siccità e la carenza di acqua assumono dimensioni ancora più critiche della media regionale.
Sebbene la Tunisia fosse giudicata uno dei paesi più stabili della regione, la caduta del regime a seguito delle rivolte di inizio 2011 ha dimostrato come le dinamiche politiche interne e la mancanza di libertà civili avessero contribuito a creare un potenziale di instabilità difficile da controllare.
Dal punto di vista interno, le sfide e le maggiori minacce alla stabilità e sicurezza derivano dagli sviluppi della fase post-Ben Ali, dal momento che ancora non si è definito un nuovo modello istituzionale e che l’attuale quadro politico è reso incerto dal proliferare delle rivendicazioni da parte di tutte le forze rimaste ai margini durante gli anni del regime. Di particolare rilevanza è il fenomeno del salafismo politico, emerso nei tre anni di transizione, che ha causato numerosi problemi al governo provvisorio. I contrasti sono degenerati spesso anche in scontri aperti con i movimenti laici e le forze di sicurezza, che hanno causato molti feriti e alcune vittime. Durante il 2013, però, ad assumere ancora più rilevanza è emerso il terrorismo di stampo jihadista. La Tunisia, come gli altri paesi della fascia maghrebina, è un territorio potenzialmente fertile per la proliferazione di gruppi legati al terrorismo islamico e, in particolar modo, ad al-Qaida nel Maghreb Islamico (Aqim). Il terrorismo è tornato a provocare vittime e attentati in Tunisia, soprattutto contro obiettivi militari nell’area montuosa dello Jebel Chaambi, al confine con l’Algeria. Sono comparsi anche attentatori suicidi, come avvenuto a fine ottobre 2013 nella località turistica di Sousse. Sebbene in quest’ultimo caso l’attacco abbia provocato solo la morte dell’attentatore, è preoccupante il ricorso a questa forma di terrorismo diretto anche contro obiettivi civili e nei centri urbani.
Nei mesi successivi alle rivolte del 2011, inoltre, si è aggravato il problema delle migrazioni verso le coste italiane. Le coste tunisine sono diventate il punto di partenza di profughi provenienti da molte parti dell’Africa, soprattutto dal Corno d’Africa e dalla vicina Libia (a causa del conflitto civile scoppiato in quel paese). A gestire il traffico (anche di merci), le organizzazioni criminali di entrambe le sponde del Mediterraneo. Ciò ha indotto Italia e Tunisia a mettere in atto un programma coordinato per gestire l’emergenza. La tragica estate del 2013 ne ha messo in evidenza tutti i limiti.
A inizio 2014, pur con le tante difficoltà che sta incontrando, la Tunisia rimane l’unico paese tra quelli coinvolti dalle ‘Primavere arabe’ ad aver avviato un processo di transizione democratica. L’Egitto, altro grande protagonista delle rivolte, dopo la caduta di Mubarak ha sperimentato una prima fase di apertura culminata con la vittoria elettorale della Fratellanza musulmana, ma è successivamente sprofondato nel caos a seguito della deposizione di Mursi nell’estate 2013. La Libia è sempre più spaccata a livello sociale e politico e fatica a raggiungere una qualche stabilità. Lo Yemen appare costantemente a rischio frammentazione, mentre la Siria vive la più grave guerra civile attualmente in atto nell’intero panorama internazionale. La Tunisia, invece, ha fatto registrare passi in avanti, nonostante alcuni momenti di stallo politico. Da un lato, come fattore stabilizzatore, c’è stato l’atteggiamento moderato del partito islamico Ennahda che, a differenza della Fratellanza egiziana, ha governato in coalizione con due forze politiche secolari e di sinistra. Dall’altro, la società civile tunisina si è mostrata più matura per affrontare il periodo di transizione, nonostante siano emerse nuove e, in parte, inedite tensioni tra posizioni islamiche e secolari. Il clima politico è diventato progressivamente più teso a seguito della violenza affiorata nel corso del 2013, con l’assassinio di due membri dell’opposizione, Chokri Belaid e Mohammed Brahmi. A questi due omicidi va aggiunta l’ondata di attacchi terroristici che hanno colpito le forze di sicurezza, soprattutto nelle aree al confine con l’Algeria e in altre zone più interne. Il governo tunisino, pur criticato dalle opposizioni per non aver saputo garantire la sicurezza del paese, ha accusato delle violenze i movimenti salafiti e, a fine 2013, ha accettato un compromesso per la formazione di un nuovo governo di transizione, che traghettasse il paese alle elezioni politiche del 2014. Le elezioni potrebbero segnare la vera svolta del processo di democratizzazione, a patto che vengano risanate tutte le fratture interne. Un passo di fondamentale importanza è stata l’approvazione della Costituzione, ratificata nel gennaio 2014, dopo un lungo processo di tre anni.