Turchia
Turchìa. – Il primo decennio del 21° sec. si apre in T. con le elezioni politiche del 3 novembre 2002, con cui si profila quello che sarebbe stato il nuovo volto politico del Paese. L’AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi), il Partito della giustizia e dello sviluppo fondato il 14 agosto 2001 da un gruppo di deputati di tendenze progressiste del partito di ispirazione islamica Fazilet Partisi (Partito della virtù), già Refah Partisi (Partito del benessere) – entrambi sciolti per incostituzionalità rispettivamente nel 1998 e nel 2001 – e presentatosi per la prima volta, vince le elezioni con il 34,43% dei voti diventando il primo partito del Paese e ottenendo una schiacciante maggioranza in Parlamento. La carica di primo ministro viene affidata ad Abullah Gül, che si dimette dopo quattro mesi, quando il maggior esponente dell'AKP Recep Tayyip Erdoğan, condannato nel 1997 a dieci mesi di carcere e interdetto dall’assunzione di cariche istituzionali per incitamento all’odio religioso, grazie ad alcuni emendamenti alla Costituzione e a un’elezione suppletiva (marzo 2003), viene eletto deputato e diventa primo ministro, nominando Gül ministro degli Esteri. L’AKP si distanzia subito dalle tradizionali formazioni dell’islamismo politico mediorientale e pur non negando l’importanza del riferimento musulmano nel suo programma, si presenta come una forza democratico-conservatrice, determinata a garantire il laicismo dello Stato e a promuovere un processo di democratizzazione della società. L’immagine positiva del partito di Erdoğan e del suo governo è alimentata anche da una congiuntura economica favorevole e dall’attuazione di molte riforme del sistema politico e normativo sollecitate delle istituzioni europee. La posizione politica dell’AKP continua a consolidarsi a livello nazionale con le elezioni legislative anticipate del 2007, in cui conquista il 46,58% dei voti che consente l'elezione di Gül a presidente della Repubblica, e del 2011, quando i consensi salgono al 49,83%, e anche a livello locale, con le elezioni del 2004 e del 2009, nelle quali però si registra un calo soprattutto nelle aree a maggioranza curda. Anche in occasione dei due referendum costituzionali – quello del 21 ottobre 2007, proponente modifiche al sistema elettorale, e quello del 12 settembre 2010, che presentava 26 emendamenti alla Costituzione volti principalmente a ridimensionare il ruolo dei militari – la posizione dell’AKP risulta vincente.
Politica estera. – In ambito internazionale, distanziandosi dalla tradizionale agenda turca che ha da sempre avuto lo sguardo fisso sull’occidente, l’AKP ha virato la propria politica estera verso nuove direttrici seguendo un quadro teorico definito profondità strategica (Stratejik Derinlik) delineato nel 2001 dal ministro degli Esteri Ahmet Davutoğlu, in carica dal 2009. Sulla base di una vicinanza geografica, politica e culturale, tale politica, ribattezzata da molti neo-ottomanismo, ha inteso privilegiare i rapporti con i paesi delle aree limitrofe (Medioriente, Balcani, Nordafrica e Caucaso), soprattutto con quelli che un tempo erano parte dell’Impero ottomano. Se da un lato la T. ha cercato di ancorarsi più fermamente ai suoi vicini promuovendo il dialogo politico nella regione spesso con ruolo di mediatore, al tempo stesso ha fatto leva su una rivalutazione della propria posizione geostrategica e, nel clima del dopo 11 settembre 2001, sul proprio islamismo moderato, proponendosi come potenza con una proiezione globale. Nonostante gli incoraggianti inizi di questa strategia, molte questioni rimangono irrisolte mentre si prospettano nuove tensioni. Sebbene nel clima più disteso delle relazioni greco-turche, Cipro è ancora un punto di frizione: il fallimentare referendum del 2004 sulla riunificazione dell’isola e la successiva entrata della Repubblica di Cipro nell’Unione Europea ha condotto la questione cipriota a un’impasse. Inoltre, a partire dal 2011, la scoperta di giacimenti gasiferi nel Mediterraneo orientale ha provocato un riaccendersi delle tensioni tra T., Cipro e Israele. Stagnanti restano i rapporti con l’Armenia, malgrado un disgelo iniziato nel 2008 e continuato con i Protocolli di Zurigo del 2009, che prevedevano la riapertura del confine e la normalizzazione dei rapporti tra i due paesi, ma che non sono stati ratificati anche per il riavvicinamento della T. all’Azerbaigian sulla disputa dell’enclave armena in territorio azero del Nagorno-Karabakh. Dopo un progressivo miglioramento delle relazioni con Siria e Iran, da sempre molto difficili, la situazione è di nuovo deteriorata. La repressione della rivolta siriana ha portato la T. a schierarsi contro il regime di Bashshār al-Asad e vari incidenti si sono verificati lungo il confine tra i due stati. La ritrovata intesa con l’Iran, ricercata soprattutto in vista di alleanze economico-energetiche, si è incrinata a causa dei collidenti interessi dei due paesi nell’area mediorientale. L’assenso dato da Ankara nel 2011 per ospitare un sistema radar di difesa antimissile della NATO, con funzione essenzialmente anti-iraniana, ha ulteriormente compromesso i rapporti con l’Iran, rinsaldando però l’alleanza con gli Stati Uniti, ormai vacillante dal 2003 dopo il rifiuto della T. di permettere alle truppe statunitensi di usare il proprio territorio come base per entrare in Iraq. È in crisi anche la salda partnership politico-militare con Israele: le relazioni già tese per la posizione di condanna presa da Erdoğan in occasione delle azioni militari israeliane durante la guerra di Gaza del 2008-09 e del Forum di Davos nel 2009, si sono ulteriormente inasprite dopo l’uccisione di nove civili turchi nel maggio del 2010 a seguito dell’attacco della marina israeliana alla nave Mavi Marmara, che portava aiuti umanitari agli abitanti di Gaza.
Il processo di adesione all’Unione Europea. – Dopo il formale riconoscimento come paese candidato deciso dal Consiglio europeo di Helsinki nel 1999, la T. si è impegnata ad attuare diverse riforme per adeguare il proprio sistema ai parametri europei, soprattutto in materia dei diritti e delle libertà della persona. Il 3 ottobre 2005 sono così ufficialmente iniziati i negoziati per l’adesione, il cui andamento è stato però lento e incerto. Solo 13 dei 35 capitoli negoziali sono stati finora aperti, e di essi uno solo provvisoriamente chiuso. L’irrisolta questione cipriota e l’effettiva attuazione della tutela dei diritti umani rimangono, almeno ufficialmente, tra i maggiori ostacoli, e se da un lato nel maggio del 2012 l’UE ha varato un pacchetto di riforme per ridare dinamismo ai negoziati, l’aperta ostilità all’ingresso della T. di alcuni paesi quali Austria, Germania e Francia (soprattutto durante la presidenza di N. Sarkozy), le sempre nuove richieste dell’UE, la crescita esponenziale dell’economia turca a fronte della crisi dell’eurozona, hanno fatto registrare nel Paese una certa disaffezione al progetto europeo.
Il problema delle minoranze. – La questione curda e il pluridecennale conflitto armato tuttora in corso nel Sud-Est del Paese rimangono i nodi più difficili da sciogliere. Dopo lo storico discorso con il quale Erdoğan riconosceva una questione curda pronunciato nel 2005 nella ‘capitale curda’ Diyarbakır, ci sono stati altri promettenti segnali di distensione, quali l’inaugurazione nel 2009 di TRT6, primo canale televisivo statale interamente in lingua curda, e l’inizio di consultazioni tra governo ed esponenti curdi per trovare una soluzione politica della questione, risoltisi però in un nulla di fatto. Mentre il governo oscilla tra tentativi di apertura e repressione, e i curdi tra volontà di integrazione, tregue e lotta armata, la guerra nel Sud-Est del Paese si è recentemente riacutizzata, con il suo corollario di uccisioni, violenze e arresti. Il dibattito sullo spinoso problema delle minoranze in relazione all’identità turca, da più parti ancora percepita come omogenea e inattaccabile, si è riacceso dopo le uccisioni del sacerdote Andrea Santoro a Trabzon nel 2006, dei tre missionari cristiani a Malatya e del giornalista armeno Hrant Dink a Istanbul nel 2007. Questo delitto, in particolare, ha riportato alla ribalta anche il problema del riconoscimento da parte della T. del genocidio armeno, che malgrado le forti pressioni internazionali incontra ancora forti resistenze, e quello della libertà di espressione che, nonostante le recenti riforme, resta di grande attualità, considerato l’ancora elevato numero di detenzioni e processi contro intellettuali e giornalisti tra cui il premio Nobel per la letteratura 2006 Orhan Pamuk. La necessità di elaborare forme di coesione che non marginalizzino o ignorino la pluralità delle varie componenti interne del Paese costituisce a tutt’oggi il principale banco di prova del processo di democratizzazione avviato in T. negli ultimi anni.