UBERTI
. - Qualunque sia stato il principio della famiglia Uberti (non sono attendibili né l'origine romana né quella teutonica) è certo che nel sec. XII gli U. erano i più potenti cittadini di Firenze: tanto da aspirare al primato e al governo, in opposizione alla oligarchia, la quale, capitanata dai Giandonati, reggeva la città attraverso la magistratura consolare. La lotta scoppiò nel 1177, quando, firmato a Venezia l'accordo tra Federico I e Alessandro III, l'imperatore scese in Toscana per ricondurla a più stretta obbedienza e soprattutto per ridurre le velleità di Firenze. Fu allora che, sperando nella riuscita del disegno del Barbarossa, gli U. alzarono la bandiera imperiale, e presero a combattere una lunga guerriglia che divise la città in due opposti partiti. Logoratesi così vanamente le forze dei combattenti, mentre l'autorità imperiale andava di nuovo scadendo, gli U. rinunziavano al disegno di tirannia, e, suggellata una consorteria con i Giandonati, vennero con essi a patti per una larga partecipazione alle principali magistrature del comune. Nel 1215, avendo concorso alla strage del Buondelmonti, si schierarono dalla parte ghibellina, e nel 1258 tentarono di dare la città a Manfredi. Assaliti dalla furia popolare, alcuni furono uccisi nella mischia, e altri giustiziati; i superstiti, cacciati in esilio, trovarono rifugio in Siena. Ritornarono, poi, dopo Montaperti: dove rifulse il valore militare di Farinata e il suo amor di patria: ché levandosi contro la proposta di radere al suolo Firenze, salvò la sua città dalla rovina (cfr. Dante, Inf., X). Caduto Manfredi a Benevento, le case degli U. furono messe a ferro e a fuoco dai guelfi, tripudianti all'annunzio che Carlo d'Angiò aveva fatto decollare Pietro Asino, fratello di Farinata, caduto prigioniero nella battaglia; crollate le ultime speranze dei ghibellini con l'estremo tentativo di Corradino, gli U. furono banditi di nuovo, e così rigorosamente da non essere mai più riammessi. Dapprima li ospitò ancora una volta Siena; ma, conclusa nel 1270 la pace tra questa città e Firenze, dovettero partire anche di là, non senza lasciare per via altre vittime: Neracozzo e Azzolino furono impiccati, per ordine di re Carlo, per San Michele di maggio; Conticino, che per essere giovinetto, fu sul momento risparmiato, fu portato nelle prigioni di Capua, ove trovò più tardi ugualmente la morte. Si posero al servizio dei nemici di Firenze, ora presso i Pistoiesi, ora presso i Pisani, ora con Arrigo VII, che nominò Lapo, figlio di Farinata, suo vicario in Mantova. Oltre all'andare pellegrinando si fermarono ancora in qualche città, e originarono così in più parti d' Italia nuovi rami del vecchio ceppo: uno a Mantova, alla cui diocesi diedero due vescovi; uno a Venezia, che fu aggregato alla nobiltà cittadina; altri due a Cremona e a Verona, all'ultimo dei quali appartennero due pittori di qualche nome del sec. XVII, Paolo Farinata e il figlio di lui Orazio. Gli U. vantarono alcuni rimatori, tra cui il ricordato Pietro Asino, e il poeta Fazio (v.) di Lapo di Farinata. Si possono ricordare anche i parentadi con le grandi famiglie dei Cavalcanti e dei Donati; essendo una figlia di Farinata, Bice, andata sposa al poeta Guido, e avendo un figlio impalmato una sorella del fiero Corso Donati.
Bibl.: Archivio di stato di Firenze, Raccolta di carte genealogiche; P. Santini, Studi sull'antica costituz. del Comune di Firenze, Firenze 1901.