UCRAINA
(XXXIV, p. 594; App. II, II, p. 1052; III, II, p. 1004; v. urss, XXXIV, p. 816; App. I, p. 1098; II, II, p. 1065; III, II, p. 1043; IV, III, p. 754)
Già repubblica federata nell'ambito dell'URSS, costituisce dal 24 agosto 1991 una repubblica indipendente aderente alla Comunità degli Stati Indipendenti, alla cui fondazione ha preso parte il 21 dicembre 1991, unitamente ad altre dieci repubbliche dell'ex URSS. Comprende la Crimea, che fino al 1954 faceva parte della Federazione Russa, e che dal 12 febbraio 1991 è una repubblica autonoma. Amministrativamente l'U. è suddivisa in 24 province, una regione autonoma (Crimea) e un'area metropolitana (Kiev). Su una superficie di 603.700 km2, l'U. contava nel 1994 una popolazione stimata in 52.135.000 abitanti (86,3 ab./km2). La capitale è Kiev (2.616.000 ab. nel 1990). Al censimento del 1989 gli Ucraini rappresentavano il 72,7% della popolazione totale.
L'elemento ucraino predomina largamente nelle regioni occidentali del paese, specialmente in Galizia (90%) e in Volinia (96,5%), mentre le regioni orientali, limitrofe alla Russia, e le regioni costiere (Crimea, Odessa) presentano una composizione etnica più variegata. I Russi (11,3 milioni) sono maggioritari nella repubblica autonoma di Crimea (dove solo il 13% della popolazione è ucrainofona), nonché nel bacino minerario del Donetz (Donbass) e nella provincia di Lugansk. Le minoranze etniche includono 324.000 Moldavi, 219.000 Polacchi, 163.000 Ungheresi, 134.000 Rumeni e 46.000 Tatari.
Tradizionalmente considerata come il granaio già dell'Impero russo, l'U., dotata di grandi estensioni di fertili ''terre nere'', possiede un'agricoltura ricca e diversificata. Nel 1992 l'agricoltura e l'allevamento formavano il 22,5% del valore del prodotto materiale netto della repubblica, autosufficiente in quasi tutti i comparti della produzione agricola. Principali raccolti: grano (21,8 milioni di t nel 1993), barbabietola da zucchero (33,7), patate (21) e colture orticole varie.
Nel 1991 è stato varato un programma di trasferimento nelle mani della proprietà privata delle aziende agricole socializzate. Le difficoltà di attuazione della riforma e il dissesto economico generale che ha contrassegnato l'avvio della fase d'indipendenza si sono ripercossi pesantemente sul settore agricolo, i cui livelli di produttività hanno subito un vistoso ridimensionamento nel corso della prima metà degli anni Novanta.
Le attività estrattive e industriali, tradizionali capisaldi dell'economia ucraina, hanno fornito il 50,7% del valore del prodotto materiale netto nel 1992. L'industria pesante (siderurgia, metallurgia, chimica) e meccanica (costruzione di locomotive e di materiale ferroviario, trattori, autoveicoli e macchinari in genere) attinge ancora ai ricchi giacimenti locali di minerali di ferro (60 milioni di t di metallo contenuto nel 1990) e ai depositi di carbone (Kuzbass: 155 milioni di t estratte nel 1990). Autosufficiente per quanto riguarda il carbon fossile, l'U. deve far fronte alle necessità delle sue industrie pesanti con sostanziali importazioni di altre fonti di energia (in particolare con l'importazione di petrolio e di gas naturale). L'U. dispone di cinque centrali elettronucleari, e nel 1993 il 33,3% dell'energia prodotta era di origine nucleare; ma dopo il grave incidente accaduto nella centrale di Černobyl nel 1986, la validità di programmi energetici nucleari è stata rimessa in discussione. L'industria degli armamenti, tradizionalmente molto importante, è in via di riconversione verso produzioni non militari.
Anche il settore secondario è stato colpito, nei primi anni Novanta, da una grave crisi strutturale, che si è tradotta in un forte declino della produzione. Altro sintomo della crisi è il deficit cronico della bilancia commerciale. Nel 1990 il commercio con le altre repubbliche dell'ex URSS rappresentava circa l'80% del totale del commercio estero dell'Ucraina. Dopo il 1991 l'U. ha cercato d'intensificare le relazioni con partners commerciali non tradizionali, ma resta fortemente condizionata dalla dipendenza dalla Repubblica russa, soprattutto nel campo delle forniture energetiche.
Bibl.: D. Vydrin, Les Russes en Ukraine lors du référendum sur l'indépendence, in Hérodote, 64 (gennaio-marzo 1992); J. S. Koropeckyj, The Ukrainian economy: achievements, problems, challenges, Cambridge 1993.
Storia. - Nel corso del complesso processo che ha portato alla dissoluzione dell'URSS, l'U. è nata come stato indipendente nel momento in cui il suo presidente L. Kravciuk sottoscriveva a Minsk l'8 dicembre 1991, insieme al presidente russo B. El'zin e a quello bielorusso S. Šuškevič, una dichiarazione con la quale si prendeva atto che "l'Unione sovietica quale soggetto di diritto internazionale e quale realtà geopolitica" aveva cessato di esistere. Di fatto il Parlamento ucraino aveva proclamato già il 16 luglio 1990 con 355 ''sì'' e 4 ''no'' la piena sovranità della Repubblica, e l'U. si era staccata dall'URSS con una serie di atti unilaterali culminati con la dichiarazione d'indipendenza del 24 agosto 1991 (sancita poi col referendum popolare del 21 dicembre dello stesso anno, col quale oltre il 90% degli elettori si pronunciò per la separazione). Sin dal primo momento l'U. − anche perché raggruppa territori molto diversi tra loro per tradizioni storiche (si pensi alla Galizia orientale, alla Bucovina orientale e alle aree subcarpatiche che furono annesse all'URSS nel 1939-44 e che nel passato avevano fatto parte ora della Polonia, ora dell'Austria e della Romania) o per composizione etnica (i Russi sono per es. in maggioranza nelle aree nordorientali del paese e nella Crimea) − si è trovata ad affrontare complessi problemi d'identità.
Il conflitto con Mosca, prima e più ancora che attorno a questioni di natura etnica, si era aperto nel 1989 quando gli uniati (appartenenti alla Chiesa di rito greco-cattolico sorta a metà del 15° secolo) incominciarono a manifestare apertamente soprattutto nella Galizia contro la politica d'integrazione forzata nella Chiesa ortodossa russa, sostenuta di fatto sino a quel momento dallo stato sovietico (Stalin nel 1946 aveva dichiarato illegale la Chiesa greco-cattolica ucraina, e solo nell'ottobre 1990, con Gorbačëv, il Soviet supremo sovietico aveva approvato la legge sulle libertà religiose accogliendo così anche le proteste provenienti dall'Ucraina). Nello stesso 1989, nella situazione nuova apertasi con la perestrojka, era nato il Rukh, movimento popolare per le riforme che, insieme ad altre formazioni politiche non comuniste, ottenne significativi risultati già alle elezioni del 4 marzo 1990, anche se la maggioranza dei seggi (239 su 450) venne conquistata dagli ex comunisti che, dopo lo scioglimento del partito deciso da Kravciuk il 24 agosto 1991, avevano dato vita al Partito socialista ucraino. Kravciuk, stretto da una parte dalla pressione sia degli ex comunisti (che chiedevano tempi lunghi per le riforme economiche e per la privatizzazione, e una politica d'intesa con Mosca) sia delle forze che − come il Partito repubblicano di Crimea − esprimevano gli interessi delle minoranze russe, e dall'altra dal Rukh e dalle altre formazioni nazionalistiche (che chiedevano per contro l'avvio di una riforma economica incisiva per giungere al più presto a un'economia di mercato e alla completa indipendenza dalla Russia), puntò sull'assunzione di poteri presidenziali sempre più vasti. Tuttavia già nell'ottobre 1992 V. Fokin, presidente del Consiglio dei ministri dal 17 ottobre 1990 e dunque rappresentante del vecchio gruppo dirigente, venne sostituito con L. Kuchma in un governo che era formato in gran parte da ''uomini nuovi''.
Mentre si acuivano i contrasti con la Russia sulle questioni della divisione della flotta ex sovietica del Mar Nero, della Crimea (esplicitamente rivendicata dal Parlamento russo), nonché del controllo e poi del trasferimento delle armi strategiche ex sovietiche dislocate nel paese, la situazione economico-sociale si aggravò in modo drammatico a partire dal 1992, con l'inflazione giunta al 40% mensile, la caduta del PIL del 14%, l'indice della disoccupazione al di là del 10%. Nello stesso tempo la politica di riforme avviata dal governo incontrava ostacoli sempre più forti. Le resistenze vennero, oltre che dal Parlamento e dallo stesso presidente Kravciuk, anche da vaste aree del paese (particolarmente significativi gli scioperi dei minatori del Donbass del giugno 1993).
Kuchma fu perciò costretto nel settembre 1993 ad abbandonare il campo. A sostituirlo, nello stesso momento in cui venivano indette le elezioni politiche e quelle presidenziali rispettivamente per il marzo e il giugno 1994, venne chiamato J. Zviahilski, sino ad allora vice primo ministro; ma il mutamento di uomini e il blocco della politica delle riforme, specie per quel che riguardava le privatizzazioni, non permisero di porre fine né alla crisi economica né a quella politico-istituzionale. E questo anche se, allo scopo di rendere meno pesante la situazione economica oltre che per rafforzare le proprie posizioni, Kravciuk continuò a puntare, dopo la firma avvenuta il 16 giugno 1993 di un primo accordo con El'zin, sul raggiungimento di un'intesa, in cambio di consistenti aiuti, da una parte con la Russia sulle questioni della Crimea e della flotta del Mar Nero, e dall'altra con la Russia e con gli Stati Uniti sulla questione della ratifica e dell'applicazione dei trattati start-1 e start-2.
Le lunghe e complesse trattative bilaterali con la Russia per la divisione della flotta e l'utilizzazione della base navale di Sebastopoli, seppure permisero di attenuare la tensione fra i due paesi, non portarono però lungo il 1993-94 a risultati concreti. Nel corso delle trattative per le armi strategiche, il 19 novembre 1993 l'U. sottoscrisse invece con la Russia e con gli Stati Uniti un accordo preliminare per lo smantellamento delle armi nucleari ex sovietiche presenti nel suo territorio, che doveva portare al documento d'intesa tripartita firmato a Mosca il 14 gennaio 1994 da Clinton, El'zin e Kravciuk, e poi nel novembre 1994 all'adesione dell'U. al trattato di non proliferazione. Gli aiuti e gli accordi economici raggiunti nello stesso periodo con vari paesi −così come il sostegno deciso dal Fondo monetario internazionale e dal vertice di Napoli dei paesi industriali (G. 7) del luglio 1994 − si rivelarono però del tutto insoddisfacenti per l'Ucraina.
Particolarmente grave divenne la situazione nelle aree industriali, in seguito all'impossibilità in cui il paese si venne a trovare di garantire l'approvvigionamento di materie prime e le fonti di energia necessarie dopo la decisione presa dalla Russia di esigere per il petrolio e per il gas prezzi sempre più vicini a quelli del mercato internazionale. Alla fine del 1993 − mentre l'inflazione andava al di là del 4000%, il debito con la Russia raggiungeva i 2,1 miliardi di dollari e la produzione industriale risultava inferiore del 40% rispetto a quella del 1990 − vennero decisi pesanti aumenti dei prezzi (dal 150 al 500%) e una serie di altre misure: cambio fisso ''politico'' della moneta, il karbovanetz, che aveva sostituito il rublo; riduzione generalizzata della giornata lavorativa nell'industria; tagli del 30% nel consumo dell'energia elettrica per il riscaldamento e l'illuminazione; sospensione della decisione di chiudere, come ci si era impegnati a fare, dopo la disastrosa esplosione del 26 aprile 1986, la centrale nucleare di Černobyl. Nonostante le misure prese per andare incontro ai bisogni dei ceti più deboli (con l'imposizione alle aziende alimentari di consegnare agli ammassi statali il 40% della produzione così da garantire il minimo vitale alla popolazione), i provvedimenti governativi determinarono reazioni negative fra la popolazione.
Il clima divenne ancora più pesante con l'acuirsi della crisi conseguente alla situazione sviluppatasi nella Crimea, che era stata ''ceduta'' da Chrusčëv all'U. nel 1954. Tale decisione era stata dichiarata ''incostituzionale'' dal Parlamento russo nel maggio 1992, dopo che, nell'aprile, il Parlamento della Crimea si era espresso per l'indipendenza. Infine, il 30 gennaio 1994 alla testa della Repubblica autonoma venne eletto J. Meškov, principale esponente della maggioranza russa. Ciò provocò un aggravamento del conflitto fra il potere centrale e quello repubblicano, che chiedeva la doppia cittadinanza (ucraina e russa) per gli abitanti della penisola, il ritiro delle truppe ucraine e l'assunzione da parte della Russia del completo controllo sulla flotta del Mar Nero. Per protesta l'U., sfidando anche le reazioni della Russia (che nel marzo 1994 aveva dal canto suo interrotto i rifornimenti di gas naturale all'U.), decise di ridurre le forniture di elettricità alla Crimea.
In un clima arroventato si giunse così in U. alle elezioni presidenziali e parlamentari. Le prime si conclusero (10 luglio 1994) con la sconfitta di Kravciuk e la vittoria, col 52,59% dei voti, di Kuchma sulla base di un programma di netta riaffermazione del ''principio indiscutibile'' della sovranità e dell'integrità territoriale del paese, di ripresa non traumatica della politica delle riforme economiche, di riavvicinamento alla Russia (non però a detrimento delle relazioni con l'Occidente) e di ricerca di nuovi accordi con gli Stati Uniti (ove lo stesso presidente si recò in visita ufficiale alla fine di novembre 1994). Le elezioni politiche, che si svolsero in più turni a partire dal marzo 1994 ma che neppure nel novembre permisero di eleggere tutti i 450 membri del Parlamento, portarono a un relativo successo della sinistra (Partito comunista, Partito socialista e Partito contadino) e a un forte ridimensionamento dei partiti del centro e del Rukh. A. Morosov, presidente del Partito socialista, venne eletto alla testa del Parlamento mentre primo ministro era già stato eletto, il 15 giugno 1994, V. Massol, appartenente in passato alla nomenklatura brežneviana. Nella situazione nuova che si era creata con la sconfitta di Kravciuk, in Crimea Meškov si spinse dal canto suo sino a sciogliere il 10 settembre 1994 l'Assemblea parlamentare, ad assumere i pieni poteri e a indire un referendum per una nuova Costituzione per l'aprile 1995. Kiev rispose alla sfida, da una parte avviando fruttuose trattative con Mosca (che portarono a importanti accordi riguardanti lo status di Sebastopoli e la divisione della flotta) e dall'altra destituendo nel marzo 1995 Meškov e sospendendo con la Costituzione ogni spazio di autonomia della penisola.
Bibl.: R. Portal, Russes et Ukrainiens, Parigi 1970; H. Carrère d'Encausse, La gloire des nations ou la fin de l'Empire soviétique, ivi 1991; C. Urjewicz, Ukraine: les rendez-vous manqués, in M. Korinman, L'Allemagne vue d'ailleurs, ivi 1992; Eastern Europe and the Commonwealth of Indipendent States, Londra 1992-93; H. Bogdan, Histoire des peuples de l'ex Urss. Du IXe siècle à nos jours, Parigi 1993; After the Soviet Union. From Empire to nations, a cura di T.J. Colton e R. Legvold, Londra 1993; B. Dunlop, The rise of Russia and the fall of the Soviet Empire, Princeton 1993; Keesing's record of world events, New York 1993-94; M. Mura, Nuovi Stati europei provenienti dall'ex Urss, in Post comunismo terra incognita, a cura di F. Argentieri, Roma 1994.
Letteratura. - Il trentennio 1960-90 è uno dei periodi più creativi e fecondi della letteratura ucraina, e segna una rottura definitiva con i moduli del realismo socialista imposti dal regime sovietico. Imboccato con determinazione e consapevolezza un cammino autonomo finalmente libero da soffocanti pastoie ideologiche, la letteratura affronta senza riserve un'ampia gamma di tematiche nuove, che esprime tra l'altro in forme decisamente moderne, quali è dato riscontrare in contesti culturali più fortunati. La svolta si attua all'insegna dei cosiddetti šistdesjatnyky ("generazione degli anni Sessanta"). Non si tratta di una mera rivoluzione generazionale, ma dell'insorgere di una nuova consapevolezza, che è insieme politica, culturale e sociale. Il periodo è cruciale, contrassegnato da un'ulteriore, pesante offensiva del regime sovietico nei confronti di qualsivoglia espressione autonoma di cultura (il ''disgelo'' del governo di Crušcëv, in realtà, è quanto mai illusorio), che si traduce in una vera e propria russificazione pianificata dell'Ucraina. La rivolta di questo gruppo di intellettuali acquista dunque subito una precisa valenza politica, premessa di quell'indipendenza che il paese si conquisterà comunque solo nel 1991.
Figure di spicco sono i poeti L. Kostenko (n. 1930), I. Drač (n. 1936), V. Symonenko (1935-1963), M. Vinhranovs'kyj (n. 1936); ma i nuovi fermenti percorrono i più svariati settori, dalla pittura al cinema, dalla musica alla storia all'archeologia. Poesia e critica letteraria − I. Dzjuba (n. 1931), Je. Sverstjuk (n. 1928), I. Svitlyčnyj (1929-1993) − costituiscono indubbiamente la punta di diamante del movimento, le cui istanze fondamentali sono chiare: affermazione dell'identità culturale nazionale, sottolineatura di precisi valori etici su cui costruire una società civile degna di questo nome, rinnovata attenzione all'io, riaffermazione del ''codice europeo'' di questa cultura tradizionalmente aperta all'Occidente, e sperimentalismo espressivo.
Il saggio di Dzjuba Internacionalizm čy rusyfikacija ("Internazionalismo o russificazione", 1968) assume in questo senso un ruolo essenziale, non solo per la cultura specificamente ucraina, ma per l'impianto culturale di tutta l'area dell'ex impero sovietico. Nella sua disamina Dzjuba analizza i meccanismi della distorsione culturale imposta da un sistema forzosamente omologante. E in tal direzione l'impero non tardò a colpire: i rappresentanti più in vista di questa generazione furono subito oggetto di una spietata repressione (Dzjuba, Sverstjuk e Svitlyčnyj passarono anni nei gulag, alla Kostenko non fu più concesso di pubblicare, ecc.). L'Occidente conobbe molte delle loro opere prima che queste avessero potuto circolare in patria.
Dagli anni Settanta in poi le figure di maggior rilievo seguono ciascuna la propria strada. Per un verso, la tensione ideale che alimentava quei precursori non era più sostenibile; d'altro canto, il loro sforzo lascia comunque frutti notevoli. Kostenko, con la sua nuova lettura della storia in chiave etica, propone una sofisticata cifra metaforica tradotta in una versificazione di grande innovazione, sostenuta da una tensione emotiva altissima (Nad berehamy vičnoji riky, "Sulle rive del fiume eterno", 1977; il romanzo in versi Marusja Čuraj, 1979, 19822, 19903; Sad netanučych skul'ptur, "Il giardino delle statue che non si sciolgono", 1987; il poema drammatico Snih u Florenciji, "Neve a Firenze", trad. it., Intarsi, 1994, vincitore del premio Petrarca). Drač propone liriche e poemi di scintillante simbologia, ricchi di audaci soluzioni tecniche (Protuberanci sercja, "Protuberanze del cuore", 1965; Balady budniv, "Ballate della quotidianità", 1967; Sonjačnyj Feniks, "Fenice solare", 1978; Lyst do kalyny, "Una lettera al viburno", 1990). Vinhranovs'kyj esplora il quotidiano in trasfigurazioni surrealistiche che si cristallizzano in intuizioni estatiche (Atomni preljudy, "Preludi atomici", 1962; Na sribnim berezi, "Sulla riva argentea", 1978; Hubamy teplymy i okom zolotym, "Con le labbra calde e con l'occhio dorato", 1984). V. Stus (1938-1985), morto in un gulag, figura simbolica del periodo, solo da poco è tornato alla ribalta. Poeta di sensibilità drammatica, esprime in stile esoterico stati onirici che lasciano trasparire una cupa e amara realtà di fondo (Zymovi dereva, "Alberi d'inverno", 1970; Veselyj cvyntar, "Allegro cimitero", 1976; Sviča v svičadi, "Candela nello specchio", 1977; Palimpsesty, "Palinsesti", 1986). Ma la pressione del sistema è ancora forte, e alcuni autori d'indubbio talento, come D. Pavlyčko (n. 1929) e B. Olijnyk (n. 1935), non sanno resistere alle sue lusinghe.
La figura di maggior rilievo della ''vecchia guardia'' è M. Bažan (1904-1983), dal linguaggio più monumentale (Nični rozdumy staroho majstra, "I pensieri notturni del vecchio maestro", 1974), che svolge un'intensa attività di traduttore e di critico letterario, e fonda la nuova Ukrajins'ka Encyklopedija; negli anni Sessanta è vice di Ungaretti nella presidenza della Comunità degli scrittori europei. Prassi censoria costante del regime è quella di consegnare all'oblio le opere che risultano non gradite.
Così accade alle opere migliori dello stesso Bažan, come i poemi Nič Hofmana ("Notte di Hoffmann", 1929), Slipci ("I ciechi", 1931), alle brillanti raccolte poetiche di P. Tyčyna (1891-1967) Sonjačni klarnety ("Clarinetti solari", 1918), Zamist' sonetiv i oktav ("Invece di sonetti e di ottave", 1920), Pluh ("Aratro", 1920), Viter z Ukrajiny ("Vento dall'Ucraina", 1924): saranno tutte rigorosamente cancellate dalla storia della letteratura fino agli anni Novanta. Destino simile ha avuto il noto poeta e studioso M. Ryls'kyi (1895-1964).
Una nuova generazione di poeti sale alla ribalta negli anni Settanta: M. Vorob'jov (n. 1941; Ožyna obriju, "Le more dell'orizzonte", 1988; Verchovnyj holos, "Voce da lassù", 1991), I. Kalynec' (n. 1939; Koronuvannja opudala, "Incoronazione dello spaventapasseri", 1972), M. Osadčyj (n. 1936; Quos Ego, 1979), V. Holoborod'ko (n. 1946; Zelen den', "Giorno verde", 1988; Ikar na metelykovych krylach, "Icaro su ali di farfalla", 1990), I. Žylenko (n. 1941; Koncert dlja skrypky, došču i cvirkuna, "Concerto per violino, pioggia e grillo", 1979; Ostannij vulyčnyj šarmanščyk, "L'ultimo suonatore d'organetto", 1985). Dietro la cifra ermetica e l'immaginismo surrealistico, il reale, per quanto trasfigurato, traspare in queste opere in tutta la sua carica critica. Molti scrittori vengono espulsi dalle università, quasi tutti pubblicano i loro libri all'estero.
Anche la narrativa ha un posto di rilievo in questo periodo. H. Tjutjunnyk (1931-1980), la figura di maggior spicco negli anni Sessanta, ricostruisce la vita contadina del tempo (Bat'kivs'ki porohy, "Soglie paterne", 1972; Korinnja, "Radici", 1976) con piglio sicuro e senza cedimenti romantici. Un posto particolare merita il romanzo Sobor ("La cattedrale", 1968) di O. Hončar: sostanzialmente allineato, con questa sua opera l'autore va ''contro corrente'', sollevando la questione della distruzione dei valori in una società totalitaria. Anche in questo caso scatta puntualmente la censura, e l'opera incriminata finisce nell'ostracismo più completo.
Verso gli anni Settanta nasce una scuola di ''realismo magico'' sui generis (chymernyj roman), che ricorre all'ironia per cogliere i lati più sapidi dell'umana commedia.
Ricordiamo in particolare V. Zemljak (1923-1977), per i suoi romanzi Lebedyna zhraja ("Stormo di cigni", 1971) e Zeleni mlyny ("I mulini verdi", 1976) e i racconti Čarivnyj kin' ("Cavallo miracoloso", 1978); Je. Hucalo (1937-1995), per i racconti Jabluka z osinnjoho sadu ("Mele dal giardino autunnale", 1964), Serpen', spalach ljubovi ("Agosto, vampata d'amore", 1970), Ščo my znajemo pro ljubov ("Quello che noi sappiamo dell'amore", 1979), e il romanzo Pozyčenyj čolovik ("Il marito preso in prestito", 1981); e V. Drozd (n. 1939), per le raccolte narrative Maslyny ("Olive", 1969), Kryk ptacha v sutinkach ("Grido d'uccello al crepuscolo", 1972), e i romanzi Katastrofa ("Catastrofe", 1969), Samotnij vovk ("Lupo solitario", 1983), Spektakl' ("Spettacolo", 1985), e soprattutto per l'epopea Lystja zemli ("Le foglie della terra", 1990-94). Una delle preoccupazioni più vive di questa generazione di scrittori è il recupero della storia. Da qui, appunto, il filone narrativo storico rappresentato da P. Zahrebel'nyj (n. 1924; i romanzi Smert' u Kyjevi, "Morte a Kiev", 1973; Roksolana, 1980; Ja, Bohdan..., "Io, Bohdan...", 1982; Levyne serce, "Cuore di leone", 1978) e R. Ivanyčuk (n. 1929; i romanzi Mal'vy, "Malve", 1968; Čerlene vyno, "Vino rosso", 1977; Vodà z kamenju, "Acqua dalla pietra", 1982; Manuskrypt z vulyci Rus'koji, "Manoscritto dalla via Rus'ka", 1979). Una delle figure maggiori della prosa ucraina di oggi è V. Ševčuk (n. 1939), scrittore dallo stile misurato ma ricchissimo di sfumature (Večir svjatoji oseni, "Sera del santo autunno", 1969; Dolyna džerel, "Prato delle sorgenti", 1981; Na poli smyrennomu, "Sul campo umile", 1983; Try lystky za viknom, "Tre foglie dietro la finestra", 1986; Kaminna luna, "Eco di pietra", 1987). Merito di Ševčuk è anche quello di aver recuperato l'antica poesia rinascimentale e barocca ucraina, di averla tradotta in lingua ucraina moderna e pubblicata in numerose antologie. Ricordiamo anche altri prosatori, in particolare per le loro opere sulla catastrofe di Černobyl: Ju. Ščerbak (n. 1934; Svitli tanci mynuloho, "Balli luminosi del passato", 1983; Fresky i fotohrafiji, "Affreschi e fotografie"; i romanzi Bar'jer nesumisnosti, "La barriera dell'incompatibilità", 1971; il saggio Černobyl, 1987) e V. Javorivs'kyj (n. 1942; Lancjuhova reakcija, "Reazione a catena", 1978; Marija z polynom v kinci stolittja, "Maria con l'assenzio alla fine di un secolo", 1988).
Gli anni Ottanta vedono un filone colto e sofisticato di giovani letterati (Ju. Andruchovyč, I. Rymaruk, O. Zabužko, I. Malkovyč, V. Herasym'juk, V. Neborak) che si contrappone a una vena underground segnata da un nichilismo senza illusioni (O. Lyšeha, V. Cybul'ko, Je. Paškovs'kyj). Caratteristiche comuni di questa nuova produzione, riscontrabili sia in prosa che in poesia, sono un'ironia dissacrante e una ricerca stilistica a tutto campo.
In margine ai rinnovati sforzi di una letteratura che si muove ormai libera dalle strettoie ideologiche e dalle ottusità censorie, val forse la pena di sottolineare alcune costanti significative di un processo peraltro ancora in faticoso corso. È ripresa con rinnovata energia l'attività di traduzione, che vanta in U. una tradizione gloriosa. L'apertura culturale verso l'Occidente trova dunque nuova linfa. Basta citare alcuni nomi come H. Kočur, M. Lukaš (traduttore anche del Decamerone), B. Ten (ha tra l'altro tradotto la Divina Commedia), M. Bažan, V. Mysyk, O. Senjuk, Je. Popovyč, A. Sodomora, M. Moskalenko, e altri. Inoltre, dopo il crollo dell'URSS, si assiste a un attivo recupero della letteratura degli anni Venti ''sepolta'' dal regime: escono così dal forzoso oblio grandi nomi di prosatori e di drammaturghi (V. Vynnyčenko, M. Chvyljovyj, V. Pidmohyl'nyj, M. Kuliš), di poeti (Je. Malanjuk, M. Zerov, P. Fylypovyč, O. Burghardt [Ju. Klen], Je. Plužnyk, M. Draj-Chmara, V. Svidzyns'kyj, B.I. Antonyč), di storici (M. Hruševs'kyj, D. Čyževs'kyj, A. Kryms'kyj, O. Jefymenko, D. Dorošenko, I. Ohijenko, D. Javornyc'kyj).
Anche la letteratura della diaspora ucraina (in prevalenza americana, canadese, tedesca) trova ora spazio nel corpus della letteratura del paese. Scrittori quali I. Bahrjanyj (1907-1963), V. Barka (n. 1908), E. Andijevs'ka (n. 1931), B. Rubčak (n. 1935), O. Zujevs'kyj (n. 1920), B. Bojčuk (n. 1927) fanno finalmente a buon diritto parte organica del continente culturale ucraino.
Bibl.: I. Košelivec', Sučasna literatura v URSR, Monaco 1964; Co-ordinates: an anthology of modern Ukrainian poetry, New York 1969; Istorija ukrajins'koji literatury, 2 voll., Kiev 1988; O. Pachlovska, La poesia ucraina oggi: esistenza come resistenza, in Si scrive (Cremona), 1993, pp. 71-157; Ju. Lech, Una iconografia del alma: poesia ucraniana del siglo XX, Litoral 1993; Ukrajins'ke slovo: Chrestomatija ukrajins'koji literatury ta literaturnoji krytyky XX st., 3 voll., Kiev 1994; B. Osadčuk, Problemi della letteratura ucraina contemporanea, in Europa Orientalis, 2 (1994), pp. 285-300; Istorija ukrajins'koji literatury xxst., 3 voll., New York 1994-95.