Vedi Uganda dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
L’Uganda si trova al centro di una delle aree più instabili di tutta l’Africa. Il paese confina con alcuni degli stati che, ormai da decenni, attraversano – o hanno attraversato – situazioni di violentissimo conflitto civile come il Sudan, la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda. Per ciò che concerne quest’ultimo paese, l’Uganda è stata direttamente coinvolta nelle vicende ruandesi degli anni Novanta: il capo dell’intelligence militare dell’esercito ugandese, Paul Kagame – di etnia tutsi e rifugiato in Uganda nel 1960 – è stato il leader militare e politico del Rwandese Patriotic Front, che nel 1994 è partito dall’Uganda per fermare il genocidio in corso e ha poi assunto il governo del Ruanda.
Nel 1998, l’Uganda ha inoltre invaso la Repubblica Democratica del Congo attraverso un’operazione militare lanciata di concerto con il Ruanda. Sebbene l’obiettivo iniziale fosse quello di arginare le incursioni delle milizie hutu rifugiatesi nella Repubblica del Congo dopo il genocidio, lo scontro assunse ben presto dei connotati più ampi, legati alla possibilità di indebolire e controllare il grande vicino regionale. La Seconda guerra del Congo ha ben presto rovinato le relazioni tra Uganda e Ruanda, che si sono reciprocamente accusate di dare rifugio a dissidenti e destabilizzatori fino al 2006, anno in cui è ripreso un rapporto privilegiato tra Kampala e Kigali.
Sempre a livello regionale, le relazioni con il Sudan sono sempre state complicate dal reciproco appoggio che Uganda e Sudan hanno dato ai movimenti ribelli. Il processo di proclamazione dell’indipendenza del Sud Sudan ha comunque portato a un certo miglioramento dei rapporti con l’Uganda, sebbene il movimento Lord’s Resistance Army (Lra) guidato da Joseph Kony costituisca ancora il maggiore fattore di tensione tra i due paesi. Risultano, invece, molto più stabili e consolidate le relazioni con la Tanzania e il Kenya: nel gennaio del 2005 è entrato in vigore, all’interno dell’East African Community (Eac), l’accordo che stabilisce la creazione di un’unione doganale che coinvolge i tre paesi, dando vita nel 2010 al mercato comune dell’Eac.
A livello internazionale, negli anni Novanta l’Uganda di Yoweri Museveni è stata indicata dal governo di Bill Clinton come l’esempio di un paese guidato da una nuova leadership di presidenti, animatori del cosiddetto ‘Rinascimento africano’, più pragmatici e con cui interessere relazioni più strette. Il paese, nonostante le difficoltà che ci sono state sul tema della governance democratica con una buona parte dei donatori internazionali, resta un alleato chiave degli Usa in una regione di grande complessità e rilevanza strategica.
L’instabilità, tuttavia, non è stata solo un problema proveniente dall’esterno: per un lungo periodo dopo l’indipendenza l’Uganda ha sofferto di tensioni interne e di violenti rovesciamenti del potere, terminati con il colpo di stato militare di Yoweri Museveni nel 1986, che però non ha garantito la totale fine delle ostilità. Dalla metà degli anni Ottanta, il nord è sconvolto dalle sanguinose incursioni del Lord’s Resistance Army.
Le forme istituzionali e la qualità della democrazia ugandese risentono profondamente della storia del paese. Fino al 2006, infatti, Museveni ha vietato la formazione di partiti politici di opposizione, sostenendo che la competizione tra partiti avrebbe favorito il dilagare delle tensioni etniche. Nel frattempo, le vicende dell’Uganda post-indipendenza sono state una sequela di conflitti tra il governo e gli interessi contrapposti del nord e del sud del paese, intervallati da interventi militari.
Nel 2006, a causa soprattutto della pressione dei donatori internazionali, è stata approvata una nuova legge elettorale, che prevedeva la possibilità di formare partiti di opposizione. Nonostante l’introduzione di questa nuova legge e nonostante le accuse di corruzione mosse contro il partito di Museveni, il National Resistance Movement (Nrm), alle elezioni presidenziali e parlamentari del febbraio 2011, fu proprio il Nrm a risultare vincitore con il 68% dei voti, confermando ampiamente la sua forza politica.
Sebbene dal punto di vista costituzionale siano garantite tutte le libertà politiche, di associazione e di espressione, vi è però la percezione che il paese sia avviato verso una situazione di autoritarismo di fatto, o quantomeno che il Nrm abbia ormai una posizione dominante nel mercato della competizione elettorale ugandese e sia effettivamente difficile porsi come forza di opposizione credibile. Museveni, che è al potere da 25 anni e non ha cresciuto un successore, rischia di avere concentrato eccessivamente su di sé i destini politici dell’Uganda, creando così un grande elemento di fragilità.
A questo si aggiungono le accuse che giungono da più parti relativamente alla poca determinazione del potere giudiziario nel perseguire casi di corruzione legati alla politica. Nel 2011 il governo olandese ha trattenuto un versamento di tre milioni di euro di aiuti, in seguito all’inazione governativa nel prendere provvedimenti relativamente alle malversazioni avvenute in occasione del summit dei capi di governo del Commonwealth del 2007, in cui sono implicate figure di grande spicco della politica nazionale.
La popolazione ugandese è la più giovane al mondo: più della metà dei suoi cittadini hanno meno di 18 anni. Questa situazione potrebbe rappresentare un’opportunità per il paese, ma se non verrà gestita adeguatamente rischia invece di trasformarsi in un elemento di destabilizzazione interna.
Uno dei risultati notevoli dei primi anni dell’amministrazione Museveni è stata la riduzione dei tassi di infezione da Hiv in un’epoca, quella degli anni Novanta, in cui in molti stati africani faticavano a prendere atto dell’emergenza in corso. Da una prevalenza del 18% nel 1992, nel 2000 il governo era riuscito a ottenere un declino fino al 6%, attraverso una campagna di prevenzione basata sull’approccio Abc (dall’acronimo inglese di ‘Abstinence, be faithful, condom use’), che è stata presentata dal governo ugandese come la più efficace strategia di contrasto all’Aids in Africa. Attualmente, il tasso di prevalenza è rimasto intorno ai livelli del 2000 (6,3%), ma non è chiaro se l’arresto nei progressi nel contrasto alla pandemia sia dovuto a un cambiamento di strategia del governo, sempre più concentrato nel promuovere l’astinenza sessuale piuttosto che l’uso del preservativo.
Le prospettive economiche del paese sono state completamente modificate dalla scoperta dei giacimenti di petrolio sul Lago Alberto. Fino alla scoperta del petrolio nel Lago Alberto, l’Uganda era un’economia primariamente agricola, che esportava soprattutto caffè ed era fortemente penalizzata dalla mancanza di uno sbocco sul mare. Inoltre, la campagna di persecuzione razziale del presidente Idi Amin del 1972 e gli anni della guerra civile avevano avuto delle forti conseguenze sul livello di accumulazione del capitale nel paese, rendendo assai complessa la ripresa economica del post-1986. La grande affluenza di aiuti internazionali negli anni Ottanta e Novanta, attirati anche dall’impegno del governo nella gestione oculata della finanza pubblica, nella lotta alla povertà e nel miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini, aveva permesso di ricostruire il tessuto economico e sociale del paese. Ciononostante, il 35% della popolazione vive con meno di due dollari giornalieri e il paese é posizionato al 161° posto su 187 paesi nell’Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite.
La scoperta del petrolio – che ancora non viene estratto e del quale non si conosce l’ammontare esatto in termini di riserve – permetterà al paese di fare investimenti nel settore infrastrutturale, anche in termini di raffinazione del greggio, facendo dell’Uganda un possibile paese esportatore di petrolio anche verso gli stati vicini. Le prospettive come produttore di petrolio stanno spingendo il governo ad assumere posizioni nazionalistiche e pragmatiche, che nel lungo periodo potrebbero anche mutare le relazioni internazionali del paese.
L’esercito ugandese ha ricoperto un ruolo fondamentale in tutti i cambiamenti politici del paese dall’indipendenza ad oggi: tutti i presidenti hanno potuto governare grazie al sostegno dell’esercito. L’Uganda People’s Defence Force (l’esercito ugandese) è composto da 45.000 unità e da 1800 paramilitari. La maggior parte dei soldati proviene dalle fila del National Resistance Army – il movimento di opposizione armata con cui Museveni è arrivato al potere – e da altre formazioni paramilitari. L’esercito mantiene una composizione etnica che privilegia i gruppi di riferimento politico di Museveni (persone che provengono dalle zone meridionali e occidentali del paese).
L’esercito ugandese è impegnato con circa 8000 soldati nella missione di pace dell’Unione Africana in Somalia (Amisom). In risposta agli attacchi lanciati a Kampala nel luglio 2010 dal movimento somalo al-Shaabab, Museveni si è detto disponibile ad aumentare le forze ugandesi impegnate in Somalia fino a 20.000 soldati.
L’esercito ugandese è fortemente finanziato dagli Stati Uniti, sia per sostenere la campagna contro il Lord’s Resistance Army, sia come contributo all’Amisom. In realtà, dalla metà degli anni Novanta l’Uganda è considerato da Washington un importante alleato anche dal punto di vista strategico-militare in una zona di grande instabilità e di penetrazione del terrorismo di matrice islamica. Infatti, gli investimenti nel settore militare (circa il 2% del pil) vengono presentati dal presidente Musuveni all’opinione pubblica come necessari per combattere il terrorismo islamista e il movimento integralista cristiano di Joseph Kony.
Il nord dell’Uganda, dalla metà degli anni Ottanta, è teatro di sanguinosissime incursioni di un movimento religioso-militare chiamato Lord’s Resistance Army (Lra). Nato tra il 1986 e il 1987 in seguito all’esperienza del movimento di Alice Lakwena e nel quadro delle rivolte degli Acholi contro la perdita del potere centrale da parte delle élites del nord, il Lra ha degli obiettivi politici non ben definiti, tra cui la creazione di una teocrazia in Uganda, basata sui dieci comandamenti biblici. Il raggio di azione del Lra si è espanso anche verso i confinanti Sud Sudan (il governo sudanese ha finanziato il Lra in funzione anti-Splm), Repubblica Centrafricana e Repubblica Democratica del Congo. Il suo leader, Joseph Kony, è stato colpito insieme ad altri quattro luogotenenti da un mandato di cattura internazionale emesso dalla Corte penale internazionale nel 2005, ma, nonostante i tentativi fatti dall’esercito ugandese, dagli eserciti dei paesi confinanti, dagli Usa e dalle Nazioni Unite, finora non è stato catturato. Anche gli sforzi diplomatici per contenere le uccisioni e le violenze indiscriminate sono fallite. Si stima che il conflitto con il Lra abbia generato quasi due milioni di rifugiati nel paese e sia costato moltissimo in termini di vite umane (il Lra impiega anche bambini soldato).
Tra il 2009 e il 2010 l’Eni ha cercato di entrare nel mercato dello sfruttamento dei giacimenti petroliferi ugandesi. La compagnia petrolifera italiana, infatti, ha cercato di comprare il 50% dei blocchi 1 e 3A sul Lago Alberto, in Uganda, per 1,35 miliardi di dollari dalla compagnia petrolifera Heritage. L’opposizione della Tullow Oil, che deteneva il restante 50% dei pozzi, unito alla contrarietà del governo ugandese, hanno però bloccato questa operazione, che avrebbe permesso all’Eni di controllare pozzi sulle due sponde del Lago Alberto – nel febbraio del 2012 la Tullow Oil ha completato la vendita del 66% delle licenze, per totali 2,9 miliardi dollari, alla società francese Total e alla cinese Cnooc. L’Eni ha probabilmente pagato anche un’eccessiva vicinanza al regime libico: l’opposizione di alcuni membri del governo ugandese all’Eni, infatti, sembrerebbe esser stata dettata dal fatto che l’acquisto della quota Heritage avrebbe dato alla Libia e all’Eni il totale controllo delle politiche energetiche lungo il fiume Nilo, dall’Uganda all’Egitto.