Umanesimo
Le ricerche condotte per assegnare a D. un posto nella storia dell'U. sono prevalentemente di questo secolo. Nell'Ottocento si badò piuttosto a valutare la conoscenza che D. poté avere del mondo antico e a censire gli autori classici che egli lesse; ma la tradizionale persuasione che D. appartenesse compiutamente al Medioevo e il larghissimo consenso che accompagnò le idee storiografiche del Burckhardt e del Voigt, vietarono che si conducessero concreti tentativi per rivedere i giudizi comunemente accettati. Solamente quando si sviluppò la reazione contro tali idee, e si cercò di anticipare nel Medioevo le origini del Rinascimento, attribuendo ad alcuni momenti della tradizione classica medievale il carattere di manifestazioni chiaramente umanistiche o preumanistiche, si giudicò che l'antitesi D.-U. nient'altro fosse che un mito del Romanticismo, e persino si rimproverò alla critica dantesca di aver prospettato un Medioevo prefabbricato a uso di un D. medievale.
Si moltiplicarono allora i tentativi di riconoscere nella cultura classica e in certe idee di D. intorno alla nobiltà dell'uomo la sicura testimonianza del suo u., variamente interpretandolo in rapporto alle molteplici risposte che si davano intorno all'origine, al carattere, al significato del movimento umanistico. Onde alcuni hanno visto in D. il testimone di un U. medievale (Renaudet), nel quale, restando prevalenti i caratteri dell'età di mezzo, si valorizzavano gli apporti della tradizione classica in un entusiasmo per l'antico, dal quale s'intendeva trarre le regole per una più vasta e più profonda cultura; altri hanno invece veduto in D. l'anticipazione dell'u. petrarchesco, e dunque collocando l'Alighieri entro la cerchia dei protoumanisti (o preumanisti) che nei primi decenni del Trecento animarono di nuove aspirazioni alcune zone culturali dell'Italia settentrionale (Zabughin); altri ancora hanno, con maggiore audacia, affermato la posizione chiaramente rinascimentale dell'Alighieri, posto sul limitare estremo del Medioevo ma già tutto orientato verso quel profondo rinnovamento che si sarebbe palesato intero nel Quattrocento (Kardos).
Per rintracciare caratteri umanistici nell'opera di D. due strade si potevano imboccare: o facendo riferimento all'U. genericamente inteso come tendenza a esaltare il valore e la dignità dell'uomo realizzandone in modo compiuto le prerogative fondamentali; oppure, in senso stretto, all'U. italiano che - come giustamente diceva il Burdach -, " dovrebbe essere il solo ad esser chiamato così ". Molto più agevole, naturalmente, la prima strada. Percorrendola senza troppo curarsi di analizzare l'atteggiamento di D. entro la storia di un perenne U., si è potuto asserire che i caratteri fondamentali dell'u. dantesco si annodano intorno alle idee di giustizia e di pietà, di virtù e di sapienza: le prime due quali basi dell'etica umana, le seconde quali basi della nobiltà intellettuale. Per sostenere l'idea di questo U. dantesco certe pagine del Convivio rappresentano un supporto indispensabile, e sono pertanto considerate d'importanza fondamentale, soprattutto se si riscontrano in perfetta armonia con la Commedia, egualmente pervasa dall'anelito per la perfezione dell'individuo e del genere umano; senza che tuttavia sia stato possibile trovare in quelle pagine medesime una soluzione sicura a due problemi fondamentali: da un lato per inserire entro il solco di tale U. il particolare atteggiamento di D. verso il mondo dei classici, dall'altro per puntualizzarne i rapporti con gli aspetti tipici dell'epoca rinascimentale.
Proprio per non eludere certi interrogativi, ma anzi per dar loro una risposta ben organizzata, si sviluppò il tentativo di chi (Burdach), richiamandosi a s. Francesco e a Gioacchino da Fiore, vedeva l'U. come la versione laica del moto francescano-gioachimita, e alla renovatio religiosa che esso propugnava riferiva un'altra renovatio: programma per un arricchimento e un'esaltazione della natura umana. Accanto a siffatta concezione dell'humanitas, stava la persuasione che essa si fosse manifestata pienamente solo nel mondo classico; al quale, dunque, si doveva attingere come all'unica fonte per realizzare l'ideale cultura umana. Ciò posto, si vedeva in D. l'immagine della nuova vita, della rinascita: trasformazione ideale, nel dominio secolare, degl'individui e della società, in collegamento con una radicale riforma della Chiesa; e si vedeva in lui uno degl'iniziatori dell'U., inteso appunto come ansia di elevazione tanto nel mondo politico-sociale, come poetico-artistico. Quanto alla cultura classica di D., essa veniva giustificata come sostegno indispensabile per la realizzazione della renovatio humanitatis, collegando in tal modo l'atteggiamento di D. con quello dell'intero U. del Tre e Quattrocento; e veniva anche giustificata come base per lo svolgimento dell'idea imperiale nella missione divina di Roma e del popolo romano, destinato al dominio del mondo. Insieme con questa idea universale della tradizione romana l'affermazione dell'unità del popolo italiano di fronte ai barbari esprimerebbe in D., come nel Petrarca e in Cola di Rienzo, il carattere aristocratico e nazionalistico dell'U., inteso come impetuoso manifestarsi di tendenze rimaste a lungo latenti entro gli strati profondi della cultura medievale in Italia.
A questa versione dell'U., descritto come mutamento dell'intera società, nella quale Stato e Chiesa collaborano alla soluzione dei fondamentali problemi del progresso civile, altri (Renaudet) preferiscono l'immagine di un U. legato a tendenze mistiche, e capace di attingere altezze sovrumane attraverso esperienze intellettuali che progressivamente innalzano l'uomo sino a esaltarlo nella sua unione con Dio. L'U. esige dunque, in questo caso, una precisa connessione tra problema culturale e problema religioso: e tale connessione può senza difficoltà attuarsi in quanto l'U. genericamente inteso come tendenza a esaltare il valore e la dignità dell'uomo è stato attribuito, come tutti sanno, a molti atteggiamenti spirituali, legati alle culture più diverse e alle epoche più disparate; ond'è che si è potuto parlare di un U. ‛ cristiano ', articolato variamente lungo l'arco di un intero millennio. A tale U. si è riconosciuto, quale carattere tipico, il tentativo di realizzare un'etica della nobiltà umana conciliando in una sintesi nuova l'educazione dell'uomo qual era stata nel mondo antico con l'insegnamento che emerge dal Vangelo; e un particolare sforzo in tale direzione si suole attribuire a s. Tommaso, nel quale si è riconosciuto il costruttore di un aristotelismo umanistico e cristiano al tempo medesimo, capace di annunziare, in pieno clima della scolastica, lo spirito della Rinascita. Entro il solco di questa tradizione si tenta appunto di collocare l'u. di D. consapevole dell'esperienza molteplice dei padri, dei mistici, degli scolastici e profondamente versato nello studio del mondo antico. In tal modo il problema dell'u. dantesco è riconosciuto come il problema dell'U. medievale, anzi del perenne U., conformato come primo balenare della Rinascita. Posto come evidente che D. consacra la sua vita a una riforma intellettuale, morale, politica e religiosa, l'U. ‛ cristiano ' in quanto sintesi di dottrina cattolica e di saggezza classica, troverebbe nel poema una delle sue espressioni più eminenti: ivi la scienza terrena, fondata sulla dottrina degli antichi, introduce alla scienza celeste; e guidato dalla teologia cristiana, l'u. di D. si sublima nell'unione mistica con l'eterno Amore. Nessuna difficoltà, d'altra parte, nel saldare tale u. con quello del Rinascimento italiano, essendo affidato al carattere ‛ cristiano ' il fondamento di una comune sostanza.
Naturalmente siffatti tentativi di riconoscere un u. dantesco non potevano aspirare che a un risultato assai generico, essendo fondati sulla persuasione che il pensiero del Rinascimento non rechi alcunché di sostanzialmente nuovo, se esiste al contrario una documentabile continuità tra mondo medievale e mondo umanistico, tra mondo classico e mondo medievale. Senza contare che, anche limitando l'U. al settore letterario degli studia humanitatis, si accettava l'erudizione classica di D. come entusiastica adesione di un cristiano alla sapienza greco-romana, rinunciando a chiarire il preciso atteggiamento della cultura dantesca verso gli autori antichi, e vietando ogni possibilità di confronto con quella filologia che rappresenta l'aspetto fondamentale dell'U. nel Rinascimento.
Proprio per una più precisa connotazione dell'u. dantesco e al tempo medesimo per una più giustificata collocazione storica, nacquero le ricerche avviate lungo l'altra strada possibile: quella del confronto con l'U. italiano, che per comune consenso non può essere confuso con lo sviluppo della tradizione classica durante il tardo Medioevo. E subito vennero poste alcune domande fondamentali in stretta relazione con i caratteri del movimento umanistico in Italia: fino a quale punto D. si valse di quel metodo storico-critico che profondamente rivoluzionò il mondo culturale proponendo una nuova misura nella valutazione delle idee e un diverso recupero del mondo antico? e quale fu il rapporto di D. con la nuova cultura, svoltasi in opposizione alla cultura delle università? quale la posizione verso quel laicismo che l'U. sostituì all'orientamento teologico della spiritualità? e infine, quale la posizione di D. dinanzi alla nuova retorica e alla nuova dialettica, che nel mondo umanistico sostituiscono la logica tradizionale?
L'indagine palesò evidente in D. la mancanza di quel recupero critico dell'antichità classica che caratterizza l'attività dell'U. letterario: nessuna ricerca di testi inconsueti; nessun tentativo filologico di restauro testuale; nessuna innovazione nei precetti della retorica latina, che in lui è rigidamente medievale; nessun desiderio di una più esatta ricostruzione storica del mondo antico, che egli accetta quale gli è tramandato dal Medioevo, senza discuterne le alterazioni e gli errori; nessun ritegno ad accettare quelle interpretazioni medievali che la nuova mentalità umanistica stava per ripudiare: di Stazio come poeta cristiano, dell'Eneide come documento storico inconfutabile; delle figure mitologiche come realtà storicamente accertata; e via dicendo. E se dal campo strettamente letterario si passa a esaminare la concezione della storia, nulla troviamo in D. che lo accosti alle nuove tendenze umanistiche; anzi, egli continua la tradizione ecclesiastica medievale che vede la storia sub specie aeternitatis, e non fa distinzioni, pertanto, tra civiltà e civiltà, tra mondo antico e mondo medievale. Su tale fondamento storico poggia, d'altra parte, il pensiero politico di D., che senza tener conto dei mutamenti intervenuti nell'assetto degli stati e dell'evoluzione sociale ed economica, lega le fortune dell'umanità al disegno provvidenziale di un imperatore capace di porre fine al disordine, riportando ovunque la pace. Si aggiunga che D. risentì senza dubbio, nella costruzione della sua cultura, l'influenza determinante dell'università dugentesca, forte nelle cattedre di teologia, di filosofia, di scienza; e rimase legato ai procedimenti dialettici tradizionali. Onde in lui mancò ciò che invece costituì il carattere principale del nascente U.: l'opposizione radicale verso l'organizzazione degli studi nel Duecento; mentre vivo gli rimaneva il culto, tanto combattuto dagli umanisti, per l'ideale scolastico che aspirava alle grandi costruzioni logiche e sottoponeva ogni ricerca al problema teologico. Insomma, l'orientamento culturale di D. si palesa come diverso da quello che il Petrarca conferì al movimento umanistico fissandone i caratteri fondamentali; e pertanto D. mai ebbe sui letterati del suo tempo quell'influenza che invece il Petrarca seppe esercitare con tanta larghezza e tanta profondità.
Ma non c'è bisogno di spingere il confronto fino all'esempio del Petrarca: basta limitarsi a valutare la figura di D. sullo sfondo dell'attività culturale dei protoumanisti o preumanisti padovani. Essi seppero indagare nelle antiche biblioteche, dalle quali trassero frutti preziosi, mentre a D. tale arte sembra esser mancata del tutto; essi aprirono la via a scambi culturali che più tardi vennero proseguiti dai curiali di Avignone, mentre D. rimase chiuso in un isolamento privo di novità; essi propugnarono un rifiorire della letteratura in latino, rinnovandone la grammatica e la retorica, mentre D. convogliò tutte le sue energie nell'affermazione letteraria del volgare, e partecipò al rinnovamento protoumanistico soltanto per mezzo del dialogo bucolico con Giovanni del Virgilio. Del resto l'idea stessa che D. ebbe del poeta e del poetare valorizza fino al limite estremo la tradizione medievale, ma non si fonda mai su una concezione rinascimentale dell'uomo; e quand'egli propugna l'imitazione degli autori classici, non accenna a un principio umanistico, ma piuttosto a un comportamento connesso con la retorica mediolatina. Insomma, se l'esaltazione dantesca dell'uomo si risolve nella perfezione che la creatura raggiunge nell'unione mistica con Dio, se l'entusiastico riferimento al mondo antico non esce dai confini della tradizione classica medievale, e se nel pensiero di D. non è lecito rintracciare ribellioni verso la trascendenza scolastica, allora sembra ancor valida la vecchia formula che definì D. " pietra di confine tra Medioevo e tempo moderno ".
Bibl. - Che la Rinascita s'iniziasse con D. fu detto già nel Quattro e nel Cinquecento (cfr., ad esempio, i Commentari urbani di Raffaele da Volterra); e, nel secolo passato, ripetuto da chi vedeva nel corso del Trecento una prima Rinascita con D., Petrarca e Boccaccio (cfr., ad esempio, P. Charpentier, Parigi 1843); e del resto il Burckhardt stesso accennò ad alcuni aspetti rinascimentali della personalità di D. (La civiltà del Rinascimento in Italia, traduz. ital. Firenze 1958, 131, 135), illustrando temi poi ripresi da K. Vossler, D. und die Renaissance, in " Neue Heidelberger Jahrbücher " XI (1901) 85-107 e V. Zabughin, L'oltretomba classico medievale dantesco nel Rinascimento (IV, D. e la mentalità umanistica), Roma s.d. (ma 1922). Le attuali posizioni di una parte della critica dantesca, volta ad anticipare nel Medioevo le origini dell'U., sono rappresentate con particolare incisività da K. Burdach, D. und das Problem der Renaissance, in " Deutsche Rundschau " CXCVIII (1914) 129-154, 260-277; ID., Riforma, Rinascimento, U., traduz. ital. di D. Cantimori, Firenze 1935; A. Renaudet, D. humaniste, Parigi 1952; T. Kardos, L'U. di D. tra Medio Evo e Rinascimento, in Atti del Congresso internaz. di Studi danteschi, II, Firenze 1966, 441-443; AA.VV., D. a Középkor és a renaissance Kozött (D. tra Medioevo e Rinascimento), Budapest 1966; G. Toffanin, Perché l'U. comincia con D., Bologna 1967. Hanno reagito contro l'idea d'inserire D. entro la storia dell'U. italiano P. Millefiorini, U. di D., in " Civiltà Cattolica " CXVI (1965) vol. IV, 332-346 e 436-447; G. Padoan, D. di fronte all'u. letterario, in Atti Congresso internaz. di Studi danteschi, cit., pp. 377-400. Non riesce molto utile il volume miscellaneo L'u. in D.-Atti del quarto Convegno del Centro di studi umanistici a Montepulciano, Firenze 1967.