Umberto D.
(Italia 1951, 1952, bianco e nero, 89m); regia: Vittorio De Sica; produzione: Vittorio De Sica/Giuseppe Amato/Rizzoli; sceneggiatura: Cesare Zavattini; fotografia: G.R. Aldo; montaggio: Eraldo da Roma; scenografia: Virgilio Marchi; musica: Alessandro Cicognini.
Un corteo di anziani protesta per ottenere l'aumento della pensione, ma viene disperso dal deciso intervento della polizia: fra i dimostranti c'è Umberto Domenico Ferrari, ex funzionario ministeriale di sessant'anni. Con diciottomila lire al mese, conduce un'esistenza misera, fra un parco pranzo in una mensa economica e il tentativo di vendere un grosso orologio, che alla fine gli frutterà solo tremila lire. Suo fedele compagno è il bastardino Flike. Umberto vive in una squallida camera d'affitto infestata dalle formiche, nella pensione gestita da una prepotente padrona di casa che sollecita in continuazione il pagamento degli arretrati; l'unica persona con cui scambiare qualche parola amichevole è la domestica Maria, che gli confessa di essere incinta, senza peraltro sapere quale, tra i due militari che frequenta, sia il padre. Umberto riesce a farsi ricoverare in ospedale per una febbre da tonsillite; lì ha modo di riposarsi e rifocillarsi, anche se la cattiva qualità del cibo spinge alla protesta un gruppo di malati. Ma la degenza ospedaliera dura troppo poco. Alla pensione c'è aria di cambiamento: Umberto trova un tappezziere in corridoio e un operaio che lavora in camera sua. Scopre inoltre che Flike è fuggito ed è stato rinchiuso al canile. Vi si reca trafelato e riesce a recuperarlo. Ma per lui c'è una sentenza di sfratto: la padrona si è fidanzata col gestore del cinema Iride e ha intenzione di sposarsi, perciò non affitterà più camere. L'indomani, all'alba, Umberto esce di casa con una grossa valigia e il cane. Vaga per un po', cercando di sistemare in maniera dignitosa almeno Flike: prima in una pensione per cani (ma quando il bastardino si impaurisce di fronte a un altro cane non se la sente di abbandonarlo lì), poi cercando di regalarlo a una bambina (ma la bambinaia si oppone). Davanti a un passaggio a livello, Umberto è tentato dall'idea del suicidio. La fuga del cagnolino all'arrivo sferragliante del treno distrae l'uomo dai suoi propositi. Umberto riacciuffa Flike e gioca felice con lui.
Considerato uno dei vertici del Neorealismo italiano, Umberto D. ebbe incassi scarsi e suscitò, come i tre precedenti Sciuscià, Ladri di biciclette e Miracolo a Milano (1951), vivaci discussioni e reazioni politiche, fra cui l'intervento dell'allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giulio Andreotti, che deprecava il "pessimo servizio" che il film rendeva all'immagine dell'Italia all'estero. Più che nella denuncia sociale, però, la forza dell'opera sta nella resa psicologica del protagonista, delineata con grande acutezza e sensibilità. Per il ruolo di Umberto la scelta di Vittorio De Sica cadde su Carlo Battisti, un illustre professore di glottologia dell'Università di Firenze, appassionato di cinema, alla sua prima e unica esperienza davanti alla macchina da presa: la sua interpretazione è essenziale e misurata, non senza qualche punta di autoironia (quando vende un vocabolario, quando cerca il significato della parola 'detumescenza', o quando dice alla domestica: "Certi guai ti capitano perché non sai la grammatica"). Ma la novità del film è di carattere spiccatamente stilistico, e consiste in una narrazione che procede attraverso la frammentazione di episodi di vita quotidiana, con una successione dei fatti ("i fatti qualsiasi", li chiama Cesare Zavattini) che non risponde ad alcuna necessità drammatica. Questa tecnica, a detta di André Bazin, rende il film proustiano, in quanto basato sulla continua scoperta e raffigurazione di un tempo reale, presente.
La macchina da presa segue da vicino i gesti del pensionato e della giovane domestica, scomponendoli in una serie di momenti autonomi (la celebre scena del risveglio di Maria), e spesso appronta scene che hanno un'evidenza figurativa indipendente dalle ragioni della trama. Il rischio del film, come sottolineava Luigi Chiarini, potrebbe essere quello di cadere nel bozzettismo, di relegare la descrizione minuta dei fatti a un compiacimento fine a sé stesso. Ma tutto ciò viene risolto e ricomposto in un tono intimamente lirico, e la frantumazione stessa degli eventi riflette il ritmo dolente della vita. La vecchiaia e la solitudine sono descritte nel rispetto asciutto e profondo della dignità umana, senza attingere al populismo ingenuo che all'epoca altri registi prediligevano. Del resto, l'angoscioso senso esistenziale che pervade il film ha ricordato a Gian Luigi Rondi l'opera di Franz Kafka. La desolazione visiva è appena attenuata da qualche punta ironica, tipica dello stile zavattiniano, come testimonia ad esempio la lunga sequenza dell'ospedale.
Interpreti e personaggi: Carlo Battisti (Umberto Domenico Ferrari), Maria Pia Casilio (Maria), Lina Gennari (Antonia, la padrona della pensione), Memmo Carotenuto (malato all'ospedale), Alberto Albani Barbieri (Paolo, fidanzato di Antonia), Elena Rea (suora), Ilena Simova, Lamberto Maggiorani, Pasquale Campagnolo.
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Sceneggiatura: in 'Umberto D.', di Vittorio De Sica. Un salvataggio, a cura di F. Santi, Roma 1995.