ZANOTTI BIANCO, Umberto
ZANOTTI BIANCO, Umberto. – Nacque a La Canea (Creta) il 22 gennaio 1889, terzogenito di Gustavo, diplomatico di natali piemontesi, all’epoca console d’Italia nell’isola egea, e della nobildonna anglo-svedese Henriette-Marguerite Tulin.
Assai scarse sono le notizie sui suoi anni di vita preadolescenziali (Zoppi, 2009, p. 1). Quel che pare a ogni modo indiscutibilmente certo è che la diversa origine geografico-culturale dei genitori, entrambi di antico e distinto casato, lasciò un’impronta decisiva sulla strutturazione della sua personalità, nella quale l’idealismo pratico materno e il realismo etico del padre – «sempre animato dalla religione del dovere» (p. 16) – si combinavano alla perfezione, traducendosi in una fiducia vivace e appassionata nelle latenti potenzialità individuali e nella piena disponibilità a sacrificarsi per estrinsecarle a vantaggio del prossimo.
Serio e disciplinato studente-convittore a Moncalieri (1903-07) presso il R. Collegio Carlo Alberto retto dai padri barnabiti, conseguì la laurea in legge a Torino nel novembre del 1911, non senza aver prima sperimentato un intenso travaglio spirituale, testimoniato da numerose, accorate pagine dei suoi diari giovanili e destinato, in combinazione con meditate letture e fortunati incontri umani, a indicargli la vocazione di una vita. La peculiare conformazione del pensiero e della coscienza civile del futuro attivista sociale e meridionalista militante può infatti essere agevolmente ricondotta ai sentimenti patriottici di stampo risorgimental-mazziniano maturati nell’alveo familiare, alla rigida disciplina dell’ambiente formativo di matrice cattolica, alle suggestioni colte mutuate dalla tradizione romantica europea, dal messianismo polacco e dalla grande letteratura russa dell’Ottocento (Tolstoj in primis), e – non ultimo – al rapporto psico-pedagogico poi amicale e paritetico instauratosi con padre Giovanni Semeria e con alcuni esponenti e ‘simpatizzanti’ del movimento modernista allora in voga (Ernesto Bonaiuti, Tommaso Gallarati Scotti, Romolo Murri, Alessandro Casati, Giovanni Boine, Giuseppe Trinchero ecc.). Al più noto di questi, il poeta e romanziere vicentino Antonio Fogazzaro, si legò – ricambiato – di un affetto quasi filiale, condividendone la forte tensione etica, la fede nel trascendente e gli aneliti di rinnovamento religioso ed ecclesiale.
Non ancora ventenne, su incitamento e consiglio proprio di Fogazzaro, ma più di tutto obbedendo a un impulso filantropico destinato a caratterizzarne l’intera esistenza, accorse tra i primi in Calabria per portare soccorso alle vittime del catastrofico sisma abbattutosi il 28 dicembre 1908 sulle due sponde dello stretto di Messina. Fu questo il suo primo, triste contatto diretto con la dura realtà del Mezzogiorno. Profondamente impressionato – come tanti altri animosi e motivati coetanei – da quelle tragiche visioni, si diede (agosto/settembre 1909) con l’amico Giovanni Malvezzi a un minuzioso lavoro di inchiesta e denunzia dei mali endemici del Sud (indigenza, disoccupazione, criminalità, analfabetismo, emigrazione) che la calamità calabro-sicula aveva riportato al centro del dibattito nazionale. Da siffatto lavoro, condotto sulle orme ideali di Franchetti e Sonnino e sulla scorta della recente ricerca storica degli inglesi Thomas Okey e Bolton King (Italy today, London 1901; trad. it. 1902), scaturì il volume a quattro mani L’Aspromonte occidentale: note (Milano 1910), tra le pieghe della cui prefazione, e non solo, possono scorgersi, seppur ancora in nuce, i punti cardine della futura proposta meridionalistica zanottiana, imperniata su «una nuova [e moderna] forma di associazionismo [privato tendente a superare] il filantropismo ottocentesco [per divenire] un vero e proprio laboratorio di mobilitazione democratica» (Grasso, 2015, p. 29). Tale prospettazione teoretica, implicante non isolate e perlopiù vacue elucubrazioni intellettuali, ma un’agile e concreta strategia operativa extra-pubblica, capace di trascendere – nel tempo e nello spazio – l’emergenza terremoto, assunse forma e consistenza a partire dal 1910 con la fondazione, il 1° marzo, dell’Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia (ANIMI), di cui Zanotti sarebbe stato indefesso animatore e guida pratica nei dieci lustri a venire.
Nata sotto gli auspici di personalità del calibro di Pasquale Villari, Giustino Fortunato, Leopoldo Franchetti e Gaetano Salvemini (per non citarne che alcune), determinate a inverare «il sogno che fu di Cavour morente di “lavare” il Sud provvedendo ai suoi immensi bisogni e rigenerandone l’anima», l’ANIMI si prefiggeva lo scopo di affiancare e sostenere le neglette popolazioni meridionali nel loro sforzo di elevazione civile, pungolando coscienze intorpidite, suscitando energie locali e integrando l’opera dello Stato con azioni positive nel campo dell’istruzione di base e popolare, ritenuta fattore prioritario di ogni seria politica di emancipazione e sviluppo. Pur tra ostilità e diffidenze, grazie al lavoro coordinato di volontari e delegati territoriali e al concorso finanziario di generosi benefattori, l’Associazione – eretta in Ente morale nel 1911 – fu in grado di dispiegare, per tutto il periodo antebellico (e oltre), una poderosa e durevole attività ‘assistenziale’, concretatasi nell’istituzione di un gran numero di asili, scuole tecnico-professionali per adulti, biblioteche, circoli di cultura, cooperative di produzione e consumo, nonché nell’allestimento di presidi igienico-sanitari, ovunque se ne fosse riscontrata la necessità.
Zanotti mise al servizio della causa, del tutto estranea a interessi/logiche di partito, di gruppo o personali, le sue eccezionali doti di organizzatore e realizzatore, vedendosi via via affidate mansioni direttive e programmatiche, che per gli ampli margini di discrezionalità che comportavano, gli consentirono di imprimere un indirizzo e un orientamento virtuosi all’opera animiana, destinata a valicare rapidamente gli iniziali, angusti confini della Calabria. Primo fautore del crescente consenso interno ed estero riscosso dall’Associazione in termini di fondi raccolti e risultati ottenuti sul fronte umanitario (come nel caso dei provvidi soccorsi erogati in occasione degli eventi sismici etnei e marsicani degli anni 1914-15), l’aristocratico greco-piemontese avvertì nel contempo sempre più viva e urgente l’esigenza di ampliare la sfera d’azione del proprio benefico apostolato, rivolgendolo, sotto l’influenza di una ‘fede’ mazziniana fortemente sentita, verso altri Stati-comunità dalla travagliata storia evenemenziale. Il modello di intervento animiano, ampiamente sperimentato nel più remoto Mezzogiorno, divenne così presupposto e condizione di un ulteriore, vigoroso dinamismo altruistico d’ispirazione liberal-riformista, volto a sostenere e incoraggiare le rivendicazioni indipendentiste di tutti i consorzi antropici del tempo (slovacchi, boemi, greci, albanesi, cechi, polacchi, lituani, finlandesi, armeni ecc.) sottoposti alle autocrazie russa, asburgica e ottomana (Grasso, 2015, pp. 47 ss.). In tal modo la questione meridionale, la cui risoluzione era da Zanotti ritenuta tassello nodale per il raggiungimento di una compiuta identità tricolore, veniva da questi inquadrata nel più vasto e all’epoca turbolento contesto geopolitico euro-mediterraneo, anch’esso richiedente – nella sua prospettiva irenica e cosmopolita – non la modulazione di ‘semplici’ interventi caritatevoli, bensì, ancora una volta, la tessitura di una fitta trama di azioni concrete e propagandistiche in grado di «suscitare tra i vari popoli [...] oppressi politicamente o arretrati nel progresso [...] il senso concreto e potente della loro missione nel mondo» (U. Zanotti Bianco, Carteggio 1906-18, 1987, p. 185).
Allo scoppio della guerra europea, sebbene esentato dal servizio militare per la sua gracile costituzione fisica, partì volontario per il fronte come Salvemini e altri esponenti dell’interventismo democratico, venendo ferito in modo grave il 7 agosto 1916 mentre guidava, da prode, un reparto di granatieri all’assalto delle linee trincerate austroungariche sul monte San Michele (Carso isontino). Prontamente soccorso, ebbe salva la vita grazie a una serie di complesse operazioni chirurgiche, i cui postumi fisici e anatomici continuarono ad affliggerlo nel lungo periodo. Per questo atto di impavido coraggio venne insignito della medaglia d’argento al valor militare, notificatagli quando, appena convalescente, era tornato sulla breccia a coordinare di persona la raccolta e il drenaggio alla volta del Sud Italia di risorse e provvidenze varie atte a mitigare il profondo stato di crisi economico-occupazionale indotto in quelle terre, e non solo, dal conflitto in essere.
A guerra finita, fu tra i massimi sostenitori della Lega delle Nazioni e svolse ruoli di rappresentanza per organizzazioni non governative impegnate nella tutela dei diritti umani, prodigandosi, fra l’altro, per la creazione dell’Istituto per l’Europa orientale (gennaio 1921), rivolto a diffondere in Italia la conoscenza diretta dell’Est europeo. Riprese, altresì, le redini informali dell’ANIMI, rinnovandone il mandatum della fase pioneristica alla luce, però, di nuove collaborazioni (Giuseppe Lombardo-Radice, Giuseppe Isnardi, Ernesto Rossi, Manlio Rossi-Doria), funzionali al potenziamento delle linee di intervento nel settore didattico-educativo (risale a questo periodo l’attribuzione all’Associazione della delega statale per la lotta contro l’analfabetismo e allo stesso Zanotti di una medaglia d’oro di benemerito per l’istruzione pubblica), senza trascurare quelle finalizzate alla valorizzazione dei suoli in agricoltura e delle tradizioni artigianali autoctone.
Accanto a quest’opera quotidiana di missionario laico, svolta sempre con la massima discrezione ma nella consapevolezza del suo «alto valore nazionale», per il fatto di rivolgersi «alle terre veramente irredente d’Italia» (Carteggio 1919-28, 1989, p. 99), non mancò di proseguire a interessarsi, con nerbo e passione, di problemi di politica internazionale, affiancando a prassi ormai consolidate un’incisiva e qualificata attività pubblicistica ed editoriale in favore dei diritti delle minoranze etniche e linguistiche dell’Europa centro-orientale e della Russia, asservite in forza dell’esser sprovviste degli indispensabili strumenti di cittadinanza.
Convinto della necessità di una politica di larga comprensione solidale e di mutua giustizia per la pacifica convivenza dei popoli contro infatuazioni totalitarie e nazionalistiche, fondò con il concorso interno ed esterno di un nutrito gruppo di ‘spiriti liberi’ (tra cui Giuseppe Prezzolini, Piero Gobetti, Giovanni Papini, Francesco Ruffini e Andrea Caffi) il mensile La Voce dei popoli, che per poco più di un anno (aprile 1918-maggio 1919), sull’esempio del foglio britannico The New Europe, rappresentò un efficace strumento di informazione e dibattito sulle condizioni e sulle aspirazioni di quelle genti di area slavo-balcanica e mediterraneo-orientale le quali non erano ancora riuscite a configurare la propria compagine nell’ambito di uno Stato autonomo e sovrano. Analoga funzione assolse la collana di volumi La Giovine Europa, da Zanotti avviata e diretta (1914-22) con il nom de plume di Giorgio D’Acandia, cui furono chiamati a collaborare, in ben regolato ordine, apprezzati scrittori ed esperti politologi, soprattutto stranieri, quali Eugenio Vaina, Giani Stuparich, Hrand Nazariantz, Costas Kerofilas, Anna Kolpinskaja, Wladimir Woytinsky e Jules Destrée.
Pur di fatto deluso dal sostanziale fallimento delle coltivate idealità di un’armonica ‘federazione’ di popoli presentatisi con volti nuovi alla ribalta della storia dopo Versailles, Zanotti seguitò comunque a credere fermamente che una provvidenziale missione di fratellanza, integrazione e libertà incombesse sulla generazione riscattata dal martirio della guerra. Su questi fondamenti imperniò non solo il suo patriottico impegno nel reperimento di alleanze e pubblici consensi attorno alla rivendicazione all’Italia dei territori rimasti soggetti alla Monarchia danubiana dopo la guerra, ma anche il suo coinvolgimento fattivo, tra 1921 e 1923, nei diversi comitati di gestione degli aiuti d’emergenza destinati a far fronte alla terribile carestia divampata nella regione del Volga a seguito della rivoluzione bolscevica e della guerra civile russa, e ancora il progetto di fondazione, a lui dovuto (1926), di un villaggio-colonia alle porte di Bari (Nor Arax), riservato al ricovero e all’accoglienza di una comunità di profughi armeni scampati ai barbari eccidi compiuti dai turchi nell’Anatolia orientale.
Della sua ‘affinità elettiva’ con l’universo culturale russo, e in particolare del viaggio umanitario da Zanotti compiuto, nell’estate del 1922, con passaporto Nansen, attraverso gli impervi territori meridionali della futura Unione Sovietica, rendono segnalata testimonianza alcuni personali resoconti diaristici ove alla cruda descrizione d’un Paese sofferente e stremato sono intercalate amare, realistiche considerazioni su una rilevata linea di continuità tra bolscevismo e autocrazia zarista.
Frattanto, irrobustitisi i rapporti già operanti con l’illustre archeologo roveretano Paolo Orsi, attivo da oltre un ventennio in Sicilia e Calabria, la versatile intelligenza zanottiana era stata presa da un fervido e crescente interesse per il passato di straordinaria civiltà di queste e delle altre regioni meridionali: interesse sostenuto dall’intuizione di saldare l’azione social/educativa sin lì energicamente promossa nel Mezzogiorno con la battaglia etico/estetica da intraprendersi per la conservazione e la valorizzazione del paesaggio (patrio in generale, e meridionale in particolare) e delle più o meno insigni vestigia monumentali che quel paesaggio ancora caratterizzavano. In questo quadro di attenzione alle identità territoriali, potenziali attrattrici di sviluppo economico e turistico, e di ormai consolidata mobilitazione privata per fini pubblici, diede vita, nell’autunno del 1920, alla Società Magna Grecia, nata come filiazione dell’ANIMI con lo scopo precipuo di raccogliere fondi a sostegno dell’opera delle soprintendenze alle antichità a sud di Napoli in tema di scavo archeologico, restauro e costituzione o ampliamento di musei. Attiva e assai prolifica sino al 1934, anno in cui fu sciolta per essere ritenuta focolaio di opposizione al fascismo, la Società si dotò nel 1928 di un proprio organo a stampa, che assieme ad altri progetti editoriali sempre di marca zanottiana, quali la Collezione meridionale (dal 1924), declinata in più serie, e l’Archivio storico per la Calabria e la Lucania (dal 1931), venne pensato come titolata piattaforma attraverso la quale divulgare conoscenze specializzate, tenere viva la memoria storica di eventi e luoghi, e esaltare identità culturali, nello spirito di quello che sarebbe stato l’art. 9 della Costituzione repubblicana. Di tutte queste pubblicazioni Zanotti fissò le linee-guida, curandone soprattutto gli aspetti redazionali ma non disdegnando di cimentarsi sovente nella scrittura autoriale.
Con il consolidamento al potere di Benito Mussolini, pur senza assumere posizioni oltranziste quali quelle salveminiane, principiò ad esercitare un’opposizione fiera e risoluta al regime come atto di coscienza, denunciando a più riprese, specie dopo il delitto Matteotti e la pubblicazione del memoriale Rossi, «l’organizzazione faziosa dei poteri statali, la diuturna propaganda di violenza e l’impunità concessa agli aggressori politici» poste in essere dal partito dominante, ormai sovrapposto alla Nazione (cit. da Proteste civili, Tivoli 1954, p. 17).
All’inizio del 1925, nell’intento di manifestare apertamente l’esasperazione di molti ex combattenti che vedevano calpestati gli elementari principi di giustizia e libertà per difendere i quali erano scesi in trincea, restituì ai ministri competenti le medaglie al merito ricevute, accompagnandole con telegrammi che stigmatizzavano «la pavidità e il malinteso senso di opportunità politica di certi uomini del governo, [...] incerti e tardi nel difendere l’onore del Paese» (ibid., p. 27). Tale gesto, combinato con un crescendo di iniziative di resistenza civile nonviolenta quali la firma del Manifesto degli intellettuali antifascisti (1° maggio 1925), la pubblica solidarietà esternata a Salvemini, a Giovanni Amendola e a Luigi Albertini (arrestato il primo, vittima di una proditoria aggressione il secondo, forzosamente estromesso dalla proprietà del Corriere della sera l’ultimo), nonché l’adesione (1928-31) al movimento liberal-conservatore Alleanza Nazionale per la Libertà (con Lauro De Bosis, Mario Vinciguerra, Gino Doria ecc.), gli valse un’ostinata persecuzione da parte della polizia fascista, nel tentativo – rivelatosi alfine non del tutto vano – di imbavagliarne la molesta voce icastica e di minare dall’esterno il suo ben collaudato sistema di relazioni (Carteggio 1919-28, cit., p. 714).
A partire dall’inizio degli anni Trenta, costretto dalle circostanze a disimpegnarsi in toto dall’ANIMI, non senza aver prima provveduto (marzo 1930) a porre l’istituto sotto l’alto patronato della Principessa del Piemonte (sua amica e confidente) onde difenderne l’autonomia e non pregiudicarne l’avvenire, Zanotti trovò occupazione e rifugio spirituale nella ricerca archeologica, promuovendo e attuando in prima persona, da autodidatta di rango, fortunate campagne di scavo che consentirono la rimessa in luce di un’autentica miniera di tesori artistici e il chiarimento di problemi di alto interesse scientifico.
Il suo battesimo di Feldarchäologe, dopo aver procurato nel decennio precedente corposi sussidi per indagini altrui, avvenne nel maggio del 1931, allorquando, sempre rigorosamente sorvegliato, coadiuvò Paolo Orsi nell’esplorazione dell’inedita necropoli sicula di Sant’Angelo Muxaro (Agrigento), per poi condurre in autonomia, l’anno successivo (aprile-maggio 1932), limitati sondaggi nella piana paludosa e malarica di Sibari, ove raccolse dati decisivi per la localizzazione dell’omonima e sin lì irreperita colonia achea. L’impresa archeologica che gli diede più lustro fu, tuttavia, l’identificazione topografica (aprile 1934) e la conseguente rimessa in luce del santuario di Hera argiva alle foci del Sele: impresa realizzata in sinergia di idee e di programma con Paola Zancani Montuoro, che dischiuse, tra l’altro, nuovi orizzonti allo studio delle esperienze figurative del mondo greco-coloniale d’Occidente.
Sempre più inviso al governo per il suo fervoroso attivismo, aggravato dal fatto di interessarsi di antichità greche in tempi di diffusa retorica romanocentrica, proseguì, fra difficoltà di ogni sorta, gli scavi in estensione al Sele fino al febbraio del 1941, quando, arrestato con un pretesto a Roma, venne dapprima trattenuto un mese nel carcere di Regina Coeli, prima di essere confinato a Paestum e poi a Sant’Agnello di Sorrento ove, assieme alla Zancani, attese all’edizione sistematica del complesso silarense, portata a termine in due volumi tra il 1951 e il 1954.
La caduta del fascismo, cui Zanotti aveva dato un contributo non indifferente come trait d’union tra i vari interpreti della cospirazione democratica, lo riportò nella Capitale dai suoi forzati ‘ozi’ campani. Qui, vivendo nell’anonimato per timore di essere catturato dagli occupanti tedeschi, si avvicinò alla resistenza militare e al gruppo liberale romano, spendendosi senza risparmio di forze – come testimonia il suo Diario 1943-44 (edito nel 2011 con il titolo: La mia Roma) – nella strutturazione di una complessa rete assistenziale occulta, tesa a sovvenire larga parte delle necessità primarie della sofferente popolazione capitolina. Acceso patrocinatore dell’istituto monarchico, ritenuto imprescindibile elemento di continuità e d’ordine nella vita politica del Paese, subito dopo la liberazione (3 agosto 1944) fu designato da Umberto di Savoia presidente generale della Croce rossa italiana, carica mantenuta per un quinquennio nel corso del quale, anche grazie al prestigio internazionale di cui godeva da sempre il suo nome, riuscì a risollevare le sorti dell’Ente, compromesse dagli eventi bellici, con un lavoro paziente e metodico di risanamento economico e morale e di riordinamento tecnico-amministrativo. Nauseato dai tentativi di controllo politico messi in atto sulla sua amministrazione dalla DC degasperiana, uscita rafforzata dalle elezioni politiche del 1948, si dimise dall’incarico un anno più tardi (2 luglio 1949), censurando pubblicamente l’invadenza partitica e il contegno fazioso della maggioranza di governo, spalleggiata dal cosiddetto collateralismo cattolico, ma raccogliendo la solidarietà pressoché unanime del mondo laico e liberale italiano.
Parallelamente alla piena responsabilità della compagine rossocrociata (come rappresentante della quale si era recato in missione in Somalia all’inizio del 1948 per condurre un’inchiesta sui luttuosi fatti di Mogadiscio), aveva assunto quella dell’Associazione nazionale per il restauro dei monumenti danneggiati dalla guerra (1944-57), mentre con l’avvio degli anni Cinquanta tornò in prima linea per incoraggiare la ripresa d’una cultura laica e democratica nel Sud, accettando la presidenza dell’ANIMI e la direzione esecutiva della Società Magna Grecia, restituite ormai a un pieno regime di esercizio.
Il 17 settembre 1952, senza preavviso, venne elevato al laticlavio a vita dal presidente della Repubblica Luigi Einaudi a norma dell’art. 59, secondo comma, della Costituzione. Membro del gruppo misto di palazzo Madama, partecipò attivamente alla vita dell’assemblea, dedicandosi, nelle commissioni cui fu ascritto, all’esame e all’elaborazione di provvedimenti connessi con i prediletti temi dell’istruzione pubblica e dei beni culturali. In quest’ambito specifico e nel clima di crescente attenzione collettiva nei riguardi del patrimonio naturale e artistico della Penisola, Zanotti contribuì, pionieristicamente, all’elaborazione teorica e all’applicazione pratica del concetto di tutela integrata territoriale con la legge speciale 5 marzo 1957 n. 220 per Paestum, conducendo altresì serrate battaglie per la difesa di diverse realtà ‘comunitarie’ (via Appia, colline fiorentine, ville venete, centri storici di piccole e grandi città italiane) messe a rischio dai primi vagiti del ‘miracolo economico’. Corollario di questo mai sopito civismo fu il suo coinvolgimento apicale nell’associazionismo protezionista organizzato di Italia Nostra (1955).
Morì settantaquattrenne, celibe, a Roma il 28 agosto 1963 a causa di una emorragia interna. Privo di eredi diretti e di mezzi, lo Stato decise di assumere a proprio carico le spese per il rito funebre, il trasporto e la tumulazione della salma nel cimitero del Verano.
Uomo estremamente colto e carismatico, la sua figura mercuriale è stata sottoposta nel tempo a vaglio critico da molteplici angolature, difficili da raccordare in un profilo unitario. A dispetto di ciò, non può non ravvisarsi come tratto unificante delle diverse anime di Zanotti Bianco il suo essere latore e propagatore di principi ed ideali in un certo qual modo progressisti nel costume e nella vita politica del suo tempo. Pur appartenendo, difatti, per educazione e atteggiamento culturale a una generazione in cui era considerato dovere delle classi più elevate occuparsi dei problemi di quelle disagiate, trasformò questa fredda norma atavica in un propulsivo imperativo morale su cui fondare, assieme al lievito della cultura e dell’associazionismo, la sua idea di mondo declinata al futuro.
Opere. Una raccolta quasi integrale degli scritti di Zanotti Bianco, approntata da M. Isnardi Parente - C. Cassani, è pubblicata in Umberto Zanotti Bianco 1889-1963, a cura di G. Ielardi, Roma 1996, pp. 196-207; nel medesimo volume (pp. 208-212) compare anche una Bibliografia degli scritti su Umberto Zanotti Bianco al 1992. Parte del Carteggio zanottiano è stato edito in due volumi (1906-18; 1919-28), a cura di V. Carinci (Roma-Bari 1987) e di V. Carinci - A. Jannazzo (Roma-Bari 1989).
Fonti e Bibl.: L’Archivio personale di Umberto Zanotti Bianco (corrispondenza, diari, quaderni, letteratura grigia, ritagli di stampa, fotografie) si conserva a Roma, presso l’ANIMI; esso documenta la sua vita privata, i suoi interessi e tutta l’ampia gamma di attività da questi svolta in campo nazionale e internazionale (v. F. Vistoli, Gli “archivi” archeologici dell’ANIMI. Consistenza, ordinamento, fruizione, in Archivi dell’archeologia italiana, a cura di A. Pessina - M. Tarantini, Roma 2020, pp. 167-170). Complementare al dataset romano è un ulteriore nucleo di carte (e libri) ordinato e custodito presso la Biblioteca comunale Pietro De Nava di Reggio Calabria (Guida alle biblioteche comunali di Reggio Calabria, a cura di D. Romeo et alii, Reggio Calabria 20082, p. 73), per larga parte pubblicato in Archivio storico per la Calabria e la Lucania, LXIII (1996), pp. 17 ss., con introduzione di M. Isnardi Parente.
Oltre ai titoli compresi nella Bio-bibliografia sopra citata, offrono utili tasselli alla ricostruzione della vicenda culturale e umana di Zanotti Bianco i necrologi e gli articoli commemorativi apparsi sulle riviste e sui quotidiani del tempo (un’estesa raccolta trovasi presso la Biblioteca di studi meridionali Giustino Fortunato di Roma, gestita dall’ANIMI, alla segnatura: Misc. 177/35). Si vedano inoltre (tutti con ulteriore bibliografia): A. Jannazzo, Mezzogiorno e liberalismo nell’azione di Z. B., Roma 1992, 20022; P. Amato, Il meridionalismo di U. Z. B. dall’idea all’azione, in Scritti di Storia per Gaetano Cingari, Milano 2001, pp. 9-25; È. Gran-Aymerich, Dictionnaire biographique d’archéologie: 1798-1945, Paris 2001, pp. 738 s.; S. Zoppi, U. Z.-B. Patriota, educatore, meridionalista: il suo progetto e il nostro tempo, Soveria Mannelli 2009; G. Pescosolido, ANIMI cento anni, in Cento anni di attività dell’Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia e la questione meridionale oggi, a cura di G. Pescosolido, Soveria Mannelli 2011, pp. 21 ss.; F. Pedrotti, I pionieri della protezione della natura in Italia, Trento 2012, pp. 145-150; S. Zoppi, Un singolare senatore a vita: U. Z.-B. (1952-1963), Soveria Mannelli 2013; M. Grasso, Costruire la democrazia: U. Z.-B. tra meridionalismo ed europeismo, con postfazione di S. Settis, Roma 2015; G. Pugliese Carratelli, Umanesimo napoletano, a cura di G. Maddoli, Soveria Mannelli 2015, pp. 223-229; A. Focà, L’assistenza sanitaria nella Calabria di U. Z. B., Soveria Mannelli 2016; V. Emiliani, Z. B.: un apostolo laico della libertà, in Italia Nostra, 496 (2017), pp. 8-11; G. Greco, U. Z. B.: tra archeologia e tutela, in Archeologia e politica nella prima metà del XX secolo..., a cura di C. Capaldi - O. Dally - C. Gasparri, Napoli 2017, pp. 95-108; A.M. Morace, Narrazione e memoria in Z. B., in Critica letteraria, XLVI (2018), 1, pp. 131-144; M. Munzi, Archéologues italiens à travers la Grande Guerre, in Hommes et patrimoines en guerre. L’heure du choix (1914-18), a cura di A. Fenet - M. Passini - S. Nardi-Combescure, Dijon 2018, pp. 75 s.; L. M. Venniro, U. Z. B. tra l’Italia e la Russia. L’epistolario di padre Giuseppe Trinchero, il carteggio di Anna Kolpinskaja, il viaggio in Russia nel 1922, Reggio Calabria 2018; N. de Haan, Wheeling and dealing. The multiple networks of U. Z.-B. (1889-1963), social activist and dissident archeologist in fascist Italy, in Incontri. Rivista europea di studi italiani, XXXIV (2019), 1, pp. 97-109; M. Grasso, Contro i populismi e per la democrazia: l’Europa, la Grande Guerra e i suoi esiti negli scritti giornalistici di U. Z.-B., in Archivio storico per la Calabria e la Lucania, LXXXV (2019), pp. 129 ss.