UNNI (Hiun, Hunni, Chuni)
La storia degli Unni è abbastanza sicura soltanto per meno d'un secolo, da quando, intormo al 370 d. C., apparvero nelle steppe del Don fino al disciogliersi dell'impero di Attila. Del resto le vicende loro e la stessa loro stirpe e le relazioni fra i diversi rami di questa e con altre popolazioni sorelle sono avvolte nell'oscurità e intorbidate da leggende.
Le fonti cinesi attestano che gli Unni discendevano da quei mongoli Hiung-nu, che, già parecchi secoli prima di Cristo, vivevano, nomadi e feroci, presso ai confini del grande impero cinese, nel Kan-su e nella regione meridionale del deserto di Gobi; ma non è possibile dire con certezza se quel nome di Hiung-nu, come l'altro più antico di Hsien-yün, indicasse una popolazione bene deteminata, o fosse dato indistintamente ai non:. idi della Mongolia. Contro alle loro minacce lottarono i re cinesi lungamente e con varia fortuna, e innalzarono per difesa i baluardi, che intorno al 246 vennero collegati nella Grande muraglia. Gli Hiung-nu ebbero notevole potenza nel sec. II, quando erano re Moduk, Kiyuk, Künchen; furono assoggettati dal re cinese Wu-ti (140-87 a. C.).
Già più secoli innanzi, fin dal sec. VI a. C., alcune loro tribù erano penetrate nelle steppe fra il Tien-shan e il mare d'Azov, se, come parrebbe, sono della loro stirpe, nonostante i nomi di ceppo ariano, quegli Argippei e Arimaspi, che Erodoto ricorda in mezzo alle tribù ariane dei Sarmati. Intorno al 50 a. C. un capo degli Hiung-nu, Ci-ci, guidando orde insofferenti del giogo cinese, dopo avere sottomesso il Tien-shan e corso il paese intorno al lago Balchǎs, si gettò sugli Aorsi, che abitavano nella vallata del Iaxartes (Syr-daryā) e intorno al Lago d'Aral, e li sospinse a occidente, stabilendo i suoi nella loro terra; nel 36 soccombette a un assalto cinese.
Degli Hiung-nu rimasti nel centro dell'Asia, quelli che erano più a mezzogiorno, riuscirono a ricostituire un regno nel Kan-su, e, verso la metà del sec. III o al principio del IV, passata la Grande muraglia, occuparono Pechino e si sparsero nella Cina centrale, finché li schiacciarono i Juan-Juan (Avari) prementi dal settentrione e i Tibetani dal mezzodì. I più settentrionali, dal Tien-scian e dal bacino del Farim, diedero pure lunga briga ai Cinesi, finché furono sconfitti nel 73 al lago Barcul dal generale cinese Pan-chao e nel 92 al monte Ki-lo-san. Allora, di nuovo, i più arditi si gettarono a occidente e crearono un regno nella Sogdiana, fra l'Oxus e il Iaxartes (Āmū-daryā e Syr-darȳa).
Verso la metà del sec. IV d. C. orde di Unni, forse parte di quelle stesse che avevano invaso prima la Cina, si rovesciano nel paese abitato dagli Alani, a nord del Caspio e sul Volga, costituendo un regno che le fonti cinesi chiamano di Suk-tak, mentre loro gruppi s'infiltrano nel regno degli Yue-ci (Indo-Sciti), a mezzogiorno del Lago di Aral, verso i confini della Persia, e altri minacciano già i passi del Caucaso. Intorno al 370, sotto la pressione di nuove ondate incalzanti dall'Oriente, guidati da Balamber, passano il Don, trascinando con sé gli Alani ormai soggiogati. Innanzi a loro cede il grande regno degli Ostrogoti, che rimangono per la maggior parte nelle loro terre al settentrione del Mar Nero e hanno per alcun tempo proprî re soggetti agli Unni, poi sono travolti da questi nell'invasione; i Visigoti spauriti si rifugiano di là dal Danubio, in terra romana; gli Unni si stendono già fino a questo fiume e ai Carpazî. Essi non formano tuttavia ancora uno stato: loro gruppi, indipendenti l'uno dall'altro sotto proprî capi, corrono per tutta la Germania e penetrano dentro all'impero, servono i Romani, o combattono contro di loro fra i barbari, sono al soldo dell'imperatore o del patrizio o d'un magister militum ribelle, appaiono sul campo gli uni di fronte agli altri; né vi è quasi fatto d'arme, a cui non siano partecipi. Già dal 383, combattendo per Graziano gli Alamanni, giungono presso al confine del Reno, mentre altre orde, che hanno accompagnato i Visigoti oltre il Danubio, sono rimaste ad abitare nella Tracia e sono forse quelle che aiutano Teodosio nella battaglia di Petovio contro l'esercito di Massimo (388). Ma nell'inverno del 395-96 altre schiere fanno una scorreria di là dal Danubio gelato; e altre ancora, attraverso il Caucaso, passano nell'Armenia e nell'Asia minore, arrivando fin presso ad Antiochia, finché Eutropio non le respinge oltre il monte (398). Rufino e Stilicone, rivali, hanno fra i loro buccellarii, cavalieri Unni.
Si va tuttavia delineando, sulla fine del secolo IV e agli inizî del V, un centro, intorno al quale si raccoglie la maggiore massa degli Unni. La loro sede è ora la Pannonia, dalla quale si stendono fino al Danubio, alle Alpi e al Reno, assoggettando o riducendo all'impotenza le piccole popolazioni germaniche. Uldin, che ne è detto re, combatte contro il generale barbaro Gainas, che, ribellatosi all'imperatore orientale, vuole stabilirsi nelle terre ormai sue, e ne manda la testa a Costantinopoli (400): forse fin da allora ha dall'imperatore la promessa di un tributo di 350 libre d'oro. Egli stesso combatte a Fiesole contro i Goti di Radagasio (406); e i suoi, o altri Unni, sono sulle Alpi Giulie contro Ataulfo, durante l'impresa di Alarico in Italia, e diecimila sono assoldati contro questo, che ha tuttavia schiere unne nell'esercito suo (409). Ma anche Uldin, nel 408 o 409, passa il Danubio e devasta la Mesia; finché, abbandonato per le accorte promesse dei Romani da gran parte dei suoi, è costretto a ritirarsi con gravi perdite di là dal Danubio.
Gli Unni annodano ora relazioni più strette con l'Occidente romano, soprattutto per mezzo di Aezio, che era stato nel 409 ostaggio dell'imperatore presso di loro. Nel 423 Aezio ottiene che vengano aiuti, giunti tardivamente, all'Augusto Giovanni contro l'esercito orientale, che vuole dare il trono a Valentiniano III. E, se il magister militum Felice ha tolto agli Unni la Pannonia (427), Aezio la restituisce, sembra, nel 431, e certo trova rifugio in quella regione presso di loro, quando Sebastiano lo costringe a uscire d'Italia, e col loro aiuto ricupera e accresce, come patrizio, il potere (432). Re degli Unni era a questo tempo Rua, forse figlio di Uldin e succeduto a questo col fratello Octar: il regno unno andava sempre più configurandosi a stato e pretendeva il diritto di signoreggiare tutte le genti, ch'erano oltre al Danubio, e considerava come fuggitivi quanti passassero di qua, nell'impero d'Oriente, esigendone dall'imperatore la consegna; che voleva dire togliere a questo la possibilità di assoldare genti fuori dei proprî confini. E già stava per scoppiare guerra con l'Oriente, quando Rua venne a morte, con grande esultanza dei Bizantini (434).
Ma con Bleda e Attila, suoi nipoti e successori, l'imperatore dovette conchiudere un nuovo patto, portando a 700 libre annue il tributo e promettendo la restituzione dei fuggitivi, anzi degli stessi Romani scampati alla prigionia degli Unni, se ciascun prigioniero non fosse riscattato con otto soldi d'oro. E, dopo una nuova guerra devastatrice (441-47), nella quale gli Unni arrivarono quasi alle porte di Costantinopoli e a mezzogiorno fino alle Termopili, il tributo fu portato a 2100 libre d'oro all'anno, oltre a 6000 di arretrati, e il riscatto dei Romani a dodici soldi aurei. Anzi Attila, che, ucciso il fratello Bleda (446 circa), era rimasto unico re, pretendeva, di più, che rimanesse deserta di Romani una terra occupata oltre il Danubio, per una larghezza di cinque giornate di cammino, sebbene poi, rivolta l'attenzione all'Occidente, riportasse il confine sul fiume.
Il regno di Attila comprendeva tutt'intera la Germania, fino alle lontane isole danesi, e il bacino del Danubio, e s'era esteso sugli Unni rimasti oltre il Don, fino al Lago di Aral: questi conservavano tuttavia un principe proprio, quel Hut-ngai-ssi, che, intorno al 452, per ottenere la liberazione dei mercanti del suo regno, mandò all'imperatore della Cina Kau-tsung (452-66) un'ambasceria, che getta qualche luce sull'antica storia degli Unni. E Attila stesso aveva dato agli Acatziri, altro ramo forse della stirpe degli Unni, un loro re nel proprio figliolo maggiore. Sopra i diversi popoli e principi si levava il potere del terribile re che, di fronte allo stesso impero romano, dal quale s'era contentato dapprima di avere il titolo di magister militum e ricco stipendio, assumeva atteggiamento di padrone e di dominatore del mondo, anzi di un dio.
Fallita l'invasione della Gallia con la battaglia dei Campi Catalauni e quella d'Italia dopo l'ambasceria di papa Leone (451 e 452) e morto improvvisamente Attila (453), il grande regno degli Unni crollò. I figli di lui, discordi, non poterono fronteggiare una rivolta dei Gepidi e delle altre popolazioni germaniche: Ellac, primogenito di Attila, perì nella battaglia del Netao, nella pianura ungherese (454); i superstiti furono respinti nelle steppe verso il Don. Un'invasione di Sabiri (461-65), sospingendo verso occidente quegli altri Unni che erano rimasti oltre il fiume, costrinse i resti dell'orda attilana a premere di nuovo verso i confini dell'impero: Ernac, il minore dei figli di Attila, si stabilì nella Scizia minore (Dobrugia); Dengizico, altro figlio, respinto dalla Pannonia dagli Ostrogoti, tentò d'invadere la Tracia, pure sforzandosi di ristabilire buone relazioni con l'impero, ma fu ucciso (468 o 469), e la sua testa fu portata a Costantinopoli in trionfo. Di questi e di altri Unni, penetrati fra il Danubio e i Balcani, si perdono l'individualità etnica e il nome. Ma a nord del Mar Nero e del Caucaso, spinti a mezzogiorno e a ponente dalla pressione dei Sabiri e forse asserviti a loro, sono Cutriguri e Utriguri, quelli a occidente del Don e nella Crimea, questi a oriente e in particolare nel bacino del Kuban′, dove era l'antica Gorgippia, detta allora Eudosia o Eulysia, presso l'attuale Anapa. Sono assai probabilmente gli Unni dell'antico regno di Suk-tak, quelli stessi che gà dalla fine del sec. V sono ricordati col nome "terribile in tutto il mondo" di Bulgari. E nell'Iberia caucasica sono Suebi, anch'essi di stirpe unna.
I Sabiri stessi, che si stabilirono come padroni nella regione fra il Don e il Lago di Aral, erano probabilmente un altro ramo degli Hiung-nu, spintosi prima nel bacino dell'Irtiš, che ebbe da loro nome di Siberia, poi a occidente e mezzogiorno, insieme con altri popoli, Uguri, Unuguri, Saraguri, di stirpe ugro-finnica. E quegli Avari o Varchoniti, che prima avevano cacciato i Sabiri dalle loro sedi antiche e poi si rovesciarono sopra di loro e li sopraffecero nelle nuove (558), - fossero essi o no, gli stessi Juan-Juan o Zu-Zu della Mongolia - sembrano del medesimo ceppo degli Unni, se essi appartengono, come gli Uighuri, affini o identici a loro, a quelle stirpi mongoliche degli Hoei-ho o Te-le, che le fonti cinesi chiamano Hiung-nu e che si vantavano di discendere da una principessa Hiung-nu e da un lupo. E anche i Turchi (Tu-küe dei Cinesi), che dalle prime sedi della Zungaria e del bacino meridionale del Lago Baical si diffusero verso la metà del sec. VI su tutta l'Asia centrale e settentrionale e cacciarono gli Avari a occidente, apparendo già nel 568 sul Volga e nel 576 sul mare d'Azov, sono Hiung-nu per i Cinesi e dicono disceso il loro Khaq̄an da una lupa e da un giovine Hiung-nu.
Unni bianchi sono detti dai Bizantini quegli Eftaliti, che nel sec. V avevano costituito un solido regno fra il Iaxartes e l'Oxus (Syr-daryā e Āmū-daryā) e, premendo sul vicino impero dei Sassanidi di Persia, apparivano ai Romani come alleati, finché nel 557 non furono disfatti dai Persiani. E dallo stesso ceppo, siano o no veramente Unni, sembrano discesi quegli Hûnas che, sulla fine del sec. V, penetrarono fin nell'India centrale, ponendo capitale a Sakāla nel Pengiab, con voce di spaventosa ferocia. Respinti dagli Indiani intorno al 528; furono, come gli Eftaliti, sopraffatti dai Turchi. Rimasero nell'India altre stirpi, venute con loro, ma non si sa bene se affini.
Anche se non tutte le popolazioni qui ricordate si possono affermare con certezza discese dal ceppo degli Unni, rimane tuttavia che questi ebbero una diffusione immensa, dalla Mongolia e dalla Cina alla Gallia, dalle steppe siberiane e dai mari settentrionali al Caucaso, al Danubio, alle Alpi. Ma si trattò pressoché sempre di orde sparse e spesso assai poco numerose - narrano che Ci-Ci fuggisse a occidente con tremila uomini - facili, quando occorresse, a comporsi in grandi masse amorfe, altrettanto facili a disgregarsi, a confondersi con altri popoli, a scomparire. Rua forse, certo Attila costituirono un impero unno; ma Attila stesso dominava piuttosto col prestigio e col terrore della sua persona che per mezzo di un saldo ordinamento politico. Non appare che fossero ben definiti i legami, che stringevano a lui i popoli soggetti; né v'erano funzionarî centrali, o reggitori di provincie, fuori dei logádes, o notabili, che stavano intorno al re come suoi servi, il fatto ch'egli si giovasse dell'opera di segretarî romani, quali il celebre Oreste, dimostra come non ci fossero uffici di corte bene determinati. La giustizia era resa dallo stesso re innanzi alla porta del suo palazzo: di giudici subordinati, di norme legali o consuetudinarie di diritto, non v'è memoria. Non vi era alcun sistema tributario, essendo sole entrate dello stato le forti somme estorte all'Impero romano. Nonostante l'esagerazione che si può riscontrare nelle descrizioni che Ammiano Marcellino e, ricopiandolo, Giordanes fanno di queste "bipedes bestiae" e dei loro rozzi costumi, è certo che la condizione degli Unni, anche quando Prisco, nel 448, accompagnò alla corte di Attila gli ambasciatori bizantini, era sempre assai primitiva. La capitale, in un luogo a noi ignoto della pianura ungherese, era nulla più che un grande villaggio. Tutte le case e lo stesso palazzo del re erano di legno, anche se, negli edifici più ricchi, ben lavorato. Le donne avevano loro appartamenti e loro case e potevano ricevere ospiti e dare conviti: era però in uso largamente la poligamia.
Ammiano afferma che gli Unni non erano legati da alcun vincolo di religione: sappiamo da Prisco che era considerata come feticcio una spada, che era stata perduta e ritrovata poi al tempo di Attila, come presagio del suo dominio sul mondo. Non v'è traccia presso di loro di cultura, se non nei canti, che si intonavano durante i banchetti, in onore del re: dell'arte non v'è alcun ricordo o monumento. Attitudini particolari, fuor che per la guerra, gli Unni mostrarono soltanto per il commercio: quelli di loro, che s'erano spinti nelle regioni del Caspio e dell'Aral, annodarono e tennero lungamente relazioni per mezzo di carovane con gli Hiung-nu della Mongolia e con la Cina; gli Hûnas stabilirono rapporti fra l'Asia centrale e la Persia e l'India; e Attila nei trattati con l'Impero romano d'Oriente volle che vi fossero oltre al Danubio, mercati ai quali potessero convenire con uguaglianza di condizioni Romani e Unni. È troppo poco tuttavia per aggiungere alla loro fama antica e meritata di distruggitori quella non meritata di costruttori di stati.
Fonti Oltre alle cinesi, principalmente Ammiano Marcellino, XXXI; Prisco e Menander Protector (Fragm. Histor. Graec., ed. Müller, IV, Parigi 1851); Giordane (M.G.H., Auct. antiq., V).
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Si veda anche l'ampio articolo di M. Kiessling, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VIII, ii (1913), p. 2583 segg.