Unni
Dall’Asia con furore
Gli Unni erano una popolazione barbarica di stirpe mongolica. Non ebbero mai una vera e propria unità etnica, né mai costituirono un vero Stato. Il loro momento di maggiore gloria fu nel 5° secolo d.C. quando, sotto la guida di Attila, riuscirono a raggiungere una certa coesione. Con la morte del loro capo crollò per sempre la loro potenza
Gli Unni, nomadi selvaggi, abitavano da sempre, come allevatori di cavalli e bellicosi predoni, le immense e piatte distese del deserto del Gobi e della Mongolia. Da quella posizione costituivano una continua minaccia soprattutto per i Cinesi, i quali, per difendersi, costruirono la Grande Muraglia, verso la metà del 3° secolo a.C. Anche questa immensa opera, però, si dimostrò alla lunga inutile: gli Hsiung-nu – così i Cinesi chiamavano gli Unni – riuscirono a varcare la Grande Muraglia verso la metà del 3° secolo d.C. e a giungere a Pechino. Dovettero tuttavia presto ritirarsi dietro la spinta di altre popolazioni nomadi.
Il seguente spostamento degli Unni verso occidente provocò un vero e proprio ‘effetto domino’ sulle altre stirpi barbariche che abitavano l’Europa centrale e le steppe eurasiatiche (barbariche, invasioni). I Visigoti, premuti alle spalle dagli Unni, varcarono i confini dell’Impero Romano nel 376, entrandovi come federati (alleati). Due anni dopo, però, poiché l’imperatore romano Valente non aveva rispettato il patto di alleanza appena concluso, sconfissero l’esercito romano in Tracia con la grande battaglia di Adrianopoli (378) (germaniche, popolazioni). Da quel momento i Romani fecero ricorso in modo sempre più massiccio al servizio di barbari esterni. Tra questi si contarono in numero sempre crescente gli Unni, che furono al servizio degli imperatori Graziano e Teodosio e dei generali Stilicone ed Ezio.
Gli Unni, però, non erano altro che schiere tra loro slegate, che si riunivano a seconda del bisogno e delle circostanze, senza alcuna vera struttura sociale. Nel corso del 5° secolo d.C. il contatto con i più civili Germani, oltre che con i Romani, portò alla creazione di una struttura leggermente più stabile, con a capo un ‘re’, Uldino. Alla morte di Uldino gli succedette il figlio Rua e quindi i nipoti di questo, i due fratelli Attila e Bleda. Nel 444 Attila uccise Bleda e si fece re di tutte le stirpi unne fra Mar Baltico, Danubio e Don.
Attila pretese un forte aumento del tributo che da tempo l’Impero Romano pagava agli Unni, come ad altre stirpi barbariche, e inoltre pretese di esser nominato magister militum, capo dell’esercito. Nonostante ottenesse tutto quel che chiedeva, essendosi accorto dello stato di impotenza in cui versava allora l’Impero, decise di approfittarne. Iniziò a devastare le province orientali, guadagnandosi il titolo di flagello di Dio; si disse anche che dove passavano le sue schiere le distruzioni erano così terribili che non cresceva più l’erba. Quindi, a partire dal 451, iniziò a devastare le Gallie. Lì fu affrontato e sconfitto dall’ultimo grande generale romano, Ezio, nella grande battaglia dei Campi Catalaunici. Al contrario di quanto avveniva per l’Impero, però, le forze degli Unni sembravano inesauribili: nonostante la sconfitta, l’anno dopo un nuovo esercito unno si riversò in Italia. Qui, però, avvenne un fatto miracoloso: il papa Leone I andò incontro al selvaggio invasore e lo convinse a fermarsi. Attila, quindi, si ritirò e l’anno seguente, improvvisamente, morì (453). Con lui si dissolse improvvisamente la potenza degli Unni, che non ebbero più un ruolo importante nella storia delle invasioni barbariche.
Le descrizioni che le fonti antiche riportano di questo popolo sono talmente terribili da sembrare incredibili, anche se la testimonianza di Prisco, che fu ambasciatore alla corte di Attila, è al di là di ogni sospetto. Erano piccoli, esili, più simili a bestie che a uomini, violenti e ferocissimi, vestiti di pelli di animali o di una tunica di tela che non cambiavano se non quando cadeva a brandelli.
Vivevano praticamente in simbiosi con i loro cavalli; mangiavano radici e carne cruda, che facevano frollare fra le cosce dei cavalieri e il dorso dei cavalli. Si spostavano con le loro donne e i bambini su carri coperti di pelli. Non avevano alcuna credenza religiosa.