Vedi URBANISTICA dell'anno: 1966 - 1997
URBANISTICA (v. vol. vii, p. 1062)
p. 1062). Grecia. - Il complesso di norme che regolano la pianificazione urbana viene indicato con il termine «urbanistica», che non ha un corrispondente né nel greco né nel latino e quindi rischia di trascinare con sé approcci e schemi mentali che sono stati messi a punto in età moderna e che finiscono con il risultare perciò anacronistici, se acriticamente riferiti al mondo antico.
Nell'ambito dell'esperienza urbana greca la tradizione insiste (Thuc., I, 10 e Aristot., Polit., V, 1305 ss.) sul fatto che il modo di abitare «prevalente» era quello per villaggi (katà kòmas) e inoltre, ricorrendo al modello spartano, si può facilmente dimostrare la lunga durata di quella forma e l'apparizione relativamente tarda della città come spazio urbano costruito.
Se utilizziamo il termine u. nell'accezione corrente, per il mondo greco esso risulta riduttivo e scarsamente utilizzabile. Se vogliamo invece aderire al carattere della documentazione, letteraria e archeologica, che accompagna lo sviluppo della città greca, dal Geometrico fino alla conquista romana, tenendo la nostra indagine entro i limiti dell'esperienza della pòlis autonoma, dobbiamo assegnare all'u. il valore di storia dello spazio «politico», abbracciando in un solo sguardo l'abitato urbano e il territorio su cui si estendeva la sovranità della pòlis.
Il problema delle origini della formazione politica greca di età geometrica fruisce di una vigorosa ripresa, nella bibliografia più recente, di un tema caro alla storiografia tradizionale (a cominciare almeno da N. D. Fustel de Coulanges) con la novità sostanziale di far ricorso sempre più decisamente all'osservatorio archeologico, riguardante sia i diversi orientamenti (dalla necropoli al santuario) che vengono ora ad assumere i depositi di materiali indicanti emergenze aristocratiche, sia la loro distribuzione topografica: in pratica la nascita e lo sviluppo di quei grandi centri di culto, veri elementi aggreganti sia del luogo principale (la città in quanto sede del potere politico) che del territorio.
Le ricerche più recenti sul continente greco hanno fatto progredire le nostre conoscenze soprattutto in merito al problema della formazione dello spazio pubblico, di quel mèson concettuale e spaziale giustamente utilizzato, con le aree sacre, come uno dei più importanti descrittori nella definizione dello spazio urbano.
Sin dall'apparizione delle Griechische Städteanlagen di A. von Gerkan, tutta la materia riguardante la città greca è stata suddivisa in due categorie: la città irregolare e quella regolare. Il discrimine utilizzato, ovviamente, riguarda la disposizione del piano e la geometria dell'impianto; naturalmente le città «irregolari» sono quelle arcaiche, sorte per agglutinazioni nel lungo periodo, dunque espressione di quella che viene definita «urbanizzazione spontanea», mentre le città «regolari» sono le «città fondate», le colonie sorte secondo un piano preordinato, pensato, a volte, anche in previsione del loro sviluppo. L'u. coloniale deve non solo essere rivalutata, come del resto avviene da qualche anno, grazie al moltiplicarsi delle ricerche e delle scoperte, ma costituisce un capitolo autonomo, per la precocità e la varietà delle esperienze che ci trasmette, tanto da meritare di essere considerata un vero e proprio laboratorio per tutta l'età arcaica e prima delle grandi trasformazioni dell'età classica.
Riassumere tutta la storia urbana greca dell'età che precede le guerre persiane in poche schede descrittive di città caotiche e «spontanee» sembra invece quanto meno riduttivo e in ogni caso rivelatore della nostra incapacità di mettere a punto sistemi di lettura di realtà che si rivelano al contrario ben più complesse.
Il caso di atene, specialmente per la ricchezza della documentazione, merita di essere esaminato, anche se è fuorviarne assumere a paradigma ciò che questa o altre città ci insegnano, se considerate singolarmente.
Ad Atene vengono in evidenza due città ben distinte, topograficamente, urbanisticamente e cronologicamente. La più antica, «irregolare», è la grande ruota che si svolge intorno a quel gigantesco mozzo che è l'Acropoli, come efficacemente la descriveva la Pizia delfica (Herodot., vii, 140); la più recente, «regolare», è il Pireo, disegnata da Ippodamo intorno alla metà del V sec. a.C.
Prendiamo le piazze di questi due settori di Atene, sentiti veramente come tali (si pensi alla mobilitazione seguita alle profanazioni delle Erme nel 415 a.C. con l'ordine per tutti i cittadini di concentrarsi, a seconda del luogo in cui risiedevano, nell'agorà del Pireo che si chiamava Hippodàmeia in quella del Kerameikòs): della più recente, quella che prese il nome dal Milesio che progettò tutto l'insieme, possiamo avere qualche idea sulla base della topografia generale, ma niente di più è dato sapere; ben diversa, come è noto, è la situazione dell'altra agorà, grazie ai grandi scavi degli archeologi americani.
Il punto fermo raggiunto con l'esplorazione che dura da oltre 60 anni riguarda la certezza che l'agorà del Kerameikòs non fu definita prima del VI sec. a.C., anzi sembra sempre più chiaro che essa fu la creazione segnata da una precisa volontà politica in un'epoca che comincia con Solone ma che ha il suo momento più importante con i Pisistratidi.
La memoria mitico-religiosa ha invece serbato notizia dell'esistenza di altri luoghi in cui si esercitava il potere ad Atene: quello situato tra l'Areopago e l'Acropoli e connesso con il Santuario di Afrodite Pàndemos (situato sotto il bastione del Tempio di Atena Nike) e un altro da ubicare alle pendici sud-orientali dell'Acropoli, dove ancora in età romana si trovavano il Pritaneo, il Thesèion, il Boukolèion e santuarî importanti per la vita politica ateniese come l’Aglàurion e l’Anàkeion.
La povertà delle informazioni e l'assoluta mancanza di elementi materiali di giudizio non permettono di spingere molto l'analisi: ma un fatto importante va sottolineato: con l'emergere e l'imporsi dell'agorà del Kerameikòs come spazio politico per eccellenza, non essendo possibile trasferire funzioni importanti come quelle dell'arconte basilèus, o il sacrario dedicato a Hestìa, gli edifici corrispondenti furono reduplicati nella thòlos e nella stoà basìleios, segno della maggiore antichità di quelli che erano alle pendici sud-orientali. Atene fornisce in questo modo un esempio straordinario del frazionamento dei quartieri evidentemente aggregati intorno ai grandi gène aristocratici specialmente nell'area che va dall'Acropoli alle rive dell'Ilisso e del modo con cui viene a determinarsi la grande trasformazione e la nascita del centro cittadino a partire dal VI sec. a.C.
Appare dunque chiaro da questo esempio come sia più produttivo procedere analiticamente per ciascuna città con l'esame di tutti i documenti disponibili, invece di concludere frettolosamente, fondandosi solo sulla disposizione degli edifici, che la città greca arcaica era caotica e irregolare.
In realtà la forma urbana geometrica, per il continente greco, fu una «conquista» del V sec. a.C., quando Ippodamo realizzò il Pireo e quando furono fondate Halieis o i quartieri della collina Nord di Olinto e ancora nel IV sec. a.C. con la nascita di città come Cassope, Megalopoli e, fuori dal mondo ellenico, la fondazione di Alessandria in Egitto, per citare alcuni esempî ben conosciuti. Ma, a ben vedere, l'esplosione e il successo della nuova forma urbana, il neòteros tròpos, come dice Aristotele (Polit., V, 1330b, 21), è impensabile senza l'antefatto costituito dal grandioso laboratorio coloniale e dalle importanti esperienze compiute dai Greci di Asia Minore, da Smyrna a Mileto.
Le ricerche francesi a Megara Hyblaea unitamente a quelle in corso in numerose altre città della Sicilia, della Magna Grecia, della Cirenaica, del Mar Nero e della Penisola Iberica hanno fornito, specialmente negli ultimi 50 anni, una massa straordinaria di informazioni che ci permettono di studiare la variabilità dei modi con cui, al di là di una molto generica uniformità culturale, i Greci organizzarono i loro insediamenti urbani.
Appare abbastanza chiaro che in certi ambiti coloniali fu possibile realizzare forme di insediamento sostanzialmente nuove rispetto all'esperienza da cui muovevano le prime generazioni di àpoikoi; a giudicare da quanto sappiamo, p.es., la distribuzione delle popolazioni nello spazio di Pithecusa non sembra discostarsi per nulla da quella in atto contemporaneamente sul continente balcanico o nelle isole dell'Egeo; la stessa Cuma, dove le ricerche topografico-urbanistiche sono appena cominciate, potrebbe aver conosciuto forme di pianificazione in epoche più recenti e solo limitatamente ad alcuni quartieri della città.
Megara Hyblaea è senza dubbio la città arcaica, in Occidente e con Eretria e Smyrna in tutto il Mediterraneo, a fornire il maggior numero di informazioni sulla organizzazione urbana di una pòlis dell'VIII sec. a.C. Innanzitutto la divisione dello spazio, a parte la ragione difficilmente spiegabile della non ortogonalità degli assi, mostra, al contrario di certe pretese estetizzanti che riaffiorano di tanto in tanto negli studi, il dominio del momento catastale, della divisione dei lotti tra i coloni; non solo, prova la necessità, avvertita sin dalla prima generazione, di riservare uno spazio agli usi pubblici della comunità (l’agorà)·, quanto alle forme di occupazione di quei lotti possiamo dire che in origine prevale il momento rurale con la casa quadrata (m 4 x 4) e l'orto circostante, mentre, nel corso del secolo successivo, progressivamente riempiendosi di nuovi vani quello spazio in precedenza vuoto, viene a comporsi la struttura dell'isolato integralmente costruito.
A partire dal VII sec. a.C. e per tutto quello successivo le nuove fondazioni adottano ormai in modo generalizzato quell'impianto che è stato definito per strigas.
Si tratta di un dispositivo caratterizzato da estrema semplicità: tre o più strade parallele di dimensioni diverse tra di loro ma sempre sufficientemente larghe (platèiai), tra i 10 e i 18 m, vengono incrociate a intervalli regolari (mediamente tra i 35 e i 39 m) da strade di minore larghezza (c.a 405 m), anch'esse parallele e ortogonali alle precedenti, che definiscono isolati segnati da un rapporto molto alto (in genere 1:7 o 1:8) tra la larghezza e la lunghezza. Non è ancora ben chiaro se in tali impianti fossero previsti attraversamenti trasversali dell'isolato e se questi, lì dove sono attestati (p.es. a Himera e a Posidonia) ricorressero con cadenza regolare.
Mentre le ricerche sugli isolati di abitazione avviate in numerosi siti non sono ancora sufficienti per delineare un quadro sintetico, decisamente più ricche sono le informazioni che vengono dallo studio degli spazî pubblici.
Un elemento che sembra caratterizzare le agorài delle città greche in Occidente riguarda le loro dimensioni enormi; non mancano nella letteratura alcuni accenni a questo riguardo: p.es. Strabone (VI, 3, 1) definisce eumegèthes l'agorà di Taranto e Cicerone (Verr., IV, 53) ci informa che Siracusa aveva un forum amplissimum e, a giudicare da quanto gli scavi più recenti vengono rivelandoci, notevolmente estesa era l'agorà di Agrigento con il perno costituito dalla collina di S. Nicola che ospitava l’ekklesiastèrion e il bouleutèrion, ma che certamente si estendeva anche verso S (dove sarà situato il foro della città romana) o l’agorà di Metaponto nella quale spicca la grande mole dell'ekklesiastèrion-teatro o l’agorà di Posidonia, che occupava un'area di c.a 10 ha, caratterizzata dalla presenza di edifici squisitamente politici come ekklesiastèrion e heròon. L'aspetto sorprendente di queste piazze coloniali riguarda non solo le loro dimensioni ma la presenza di grandi vuoti tra un edificio e l'altro e l'incidenza in percentuale degli spazi pubblici (agorài e santuari) sulle dimensioni di tutto lo spazio urbano, elementi che spostano immediatamente la nostra attenzione sul problema della distribuzione della popolazione nello spazio e del rapporto con il territorio. Da questo particolare punto di vista si possono ottenere informazioni di grande rilievo.
Generalmente il comportamento che sembra segnare l'esperienza coloniale sin dalle origini è quello che vede una netta prevalenza della popolazione che risiede in città a fronte di una certa rarità di insediamenti rurali di epoca arcaica; non è irrilevante sottolineare, a questo proposito, come una situazione del genere finisca con il giustificare la precocità con cui il mondo coloniale pose mano alla risoluzione del problema dello spazio urbano pianificato e organizzato se si tiene conto della fondamentale opposizione che si viene a creare con gli ambiti di partenza, nei quali era invece prevalente il modello opposto, quello dei nuclei di villaggio sparpagliati nella chòra e di un centro politico fondamentale, sede del santuario poliadico e dell'agorà e residenza di una parte soltanto della totalità della popolazione della pòlis. Naturalmente non è lecito generalizzare, anche se va ribadita una prevalenza del modello, quando si consideri l'esperienza di città come Taranto o Sibari, nei cui territori scavi recenti hanno portato alla luce resti di villaggi greci di età arcaica (VII-VI sec. a.C.) che offrono l'aspetto, con le loro modeste strutture abitative e le vicine necropoli, di un insediamento agrario simile a quelli di cui doveva essere disseminato alla stessa epoca il continente greco.
Ancora nella prima metà del V sec. a.C. nuove fondazioni come Naxos e Neapolis esibiscono, pur con le innovazioni dovute alle peculiarità di ogni città (p.es. le grandi agorài neapolitane) la forma più classica dell'impianto per strigas di tradizione arcaica.
Una svolta nel modo di concepire e organizzare lo spazio è invece segnata alla metà del V sec. a.C.; è indubitabile, a questo riguardo, l'apporto innovativo dovuto alla personalità di Ippodamo di Mileto (v. vol. IV, p. 183), anche se sappiamo che la pianificazione regolare della città greca comincia molto prima del milesio. La concordia è pressoché generale nel ritenere l'aggettivo «ippodameo» derivato dal fatto che Ippodamo fu veramente il primo pensatore greco a scrivere sulla forma ideale di città. Ciò, unito all'esperienza pratica degli impianti del Pireo, di Thurii e di Rodi, fa capire come Ippodamo abbia fatto progredire non solo l'u., ma anche la riflessione sulla società ideale, tanto da meritare, essendo il primo ad averne scritto, l'uso di definire quel tròpos con l'aggettivo derivato dal suo nome.
Dobbiamo dunque distinguere il pensatore dall'urbanista, specialmente dal pratico realizzatore di impianti urbani; e siccome il testo di Ippodamo è perduto e Aristotele ne riassume solo la parte che a lui interessa (quella politica), dobbiamo rivolgere la nostra attenzione ai pochi elementi che abbiamo, per cercare di cogliere le peculiarità e le innovazioni introdotte da Ippodamo, tenendo ben presente che non appare lecita nessuna operazione che non riguardi gli impianti che la tradizione attribuisce al Milesio. E tra questi, tenuto conto della perdita documentaria del Pireo e delle poche cose recuperabili a Rodi, il sito che meglio si presta è senza dubbio Thurii (v.).
Con la piccola parte già scavata di Copiae (che conservò in buona parte l'impianto della colonia panellenica) e con alcuni saggi mirati effettuati di recente possiamo apprezzare l'estrema cura del sistema: le grandi platèiai, note anche alla tradizione letteraria ed eccezionalmente con il loro nome (Diod. Sic., XII, 10-11), hanno larghezze diverse (dai m 29,50 =100 piedi di quella centrale ai m 12,60 delle altre) così gli stenopòi (m 6,30 quelli N-S, m 3 quelli E-O) disposti a intervalli di m 80 c.a i primi e di m 37 gli altri, di modo che viene a configurarsi un impianto a scacchiera con l'elemento modulare (l'isolato) pari a un rettangolo 1:2. È facilmente intuibile che non molto diverso doveva essere lo schema del Pireo (che Ippodamo doveva aver già realizzato prima di trasferirsi a Thurii) e quello di Rodi (con isolati di m 50 X 33,50 pari a 150 X 100 piedi) restituito (Kondis) in gran parte sulla base delle sopravvivenze medioevali e, pertanto, da considerare con cautela. Ci troveremmo perciò di fronte alla prima limpida emergenza dell'impianto a scacchiera nella storia dell'u. greca, che deve essere il frutto di una meditazione razionale e non solo il perfezionamento tecnico di una figura geometrica.
Su di un ultimo punto vale la pena di soffermarsi prima di concludere su Ippodamo: si tratta di un ricorrente luogo comune sulla figura del Milesio, quello che ne fa l'architetto della democrazia; questa sarebbe dunque la risposta all'interrogativo sul retroterra filosofico-politico, su cui fonda il «perfezionamento» tecnico, quello dello schema urbano, per il quale si è anche immaginata l'esistenza di una «Scuola Milesia», prestando fede alla restituzione tradizionale della città, che, oltretutto, era la patria di Ippodamo (Martin).
Che questi fosse l'architetto della democrazia è un argomento semplicistico e viziato da numerosi pregiudizi che riaffiora nella letteratura e ha conosciuto di recente una vigorosa ripresa. In pratica, l'elemento dirimente sarebbe la pretesa eguaglianza dei lotti urbani, corrispondente al bisogno di apparecchiare una città di uguali; l'utopia (relativamente al concetto di eguaglianza di quella determinata società) si sarebbe così saldata con la realtà. Naturalmente l'uniformità nella distribuzione dei lotti, oltre a essere relativa ai livelli alti della società, spesso è più apparente che reale, come si è dimostrato (F. Pesando) ristudiando il più classico argomento degli egualitaristi: la pianta e le case di Olinto; senza contare che, da quel poco che ci rimane di Ippodamo, se al suo pensiero si possono riportare i frammenti registrati sotto il suo nome nel Florilegio di Giovanni Stobeo (IV, XXXIV, 71, p. 846 Hense; iv, i, 93-95, p. 28 ss. Hense) piuttosto che risalire a una generica e improbabile matrice pitagorica possiamo ricavare il carattere di un pensatore politico orientato verso un modello di stato più nettamente identificabile con Sparta che con Atene.
Si comprende, così, sia il suo ruolo marginale nella spedizione turina (dove la politèia fu scritta da Protagora di Abdera, secondo quanto riferisce Eraclide Lembo apud Diog. Laert., IX, 50) sia la tradizione che fa di Ippodamo, evidentemente in tarda età, verso il 408 a.C., il pianificatore dell'impianto di Rodi (Strab., XIV, 2, 9), città nata per sinecismo e sotto la tutela lacedemone.
Il periodo successivo, dalla seconda metà del V sec., ma soprattutto nel IV sec. a.C., è segnato da una diversa organizzazione della campagna, fenomeno reso particolarmente evidente dal popolamento della chòra nella quale si vanno a insediare, pressoché ovunque, impianti agrari stabili.
Il territorio è ora oggetto di importanti trasformazioni culturali a partire dalla disseminazione della popolazione nella campagna, resa trasparente dall'uso di seppellire i morti accanto alle fattorie. Di grande interesse, in questo periodo, è lo studio delle tipologie abitative con lo sviluppo delle grandi dimore rurali modellate sulle case urbane o, viceversa, con la creazione di case in città che, con il richiamo architettonico alla residenza rurale, segnalano casi interessanti di rapporti città-campagna, divisione del lavoro e specializzazione delle funzioni. Si dovrà tener conto, ovviamente caso per caso, della rilevanza sociale e politica del problema, più facilmente comprensibile quando si dispone di testi epigrafici come la hierà syngraphè di Delo o le Tavole di Heraclea o le Tavole di Locri o i contratti di enfiteusi come quelli dell'Attica o di testi relativi a rincalzi colonici come il c.d. Bronzo Pappadakis, per citare solo alcuni tra i documenti epigrafici rilevanti che andranno valutati insieme alle altre informazioni che ricaviamo dalle iscrizioni di Olinto o dai contratti di vendita su laminette di piombo di case di Camarina, per quanto riguarda le vicende relative allo spazio urbano.
Nella storia dell'u. greca la fondazione di Alessandria occupa un posto fondamentale, segnando l'inizio di un modo totalmente nuovo di intendere lo spazio urbano.
Come si è acutamente notato (D. Asheri), gli insegnamenti di Aristotele non sortirono, in questo caso, grande effetto, se l'alunno adottò quel tròpos ippodameo che il maestro aveva trattato con distacco e diffidenza. Alessandro, che affiancò personalmente l'architetto Deinocrate di Rodi, voleva realizzare una «città di tipo ellenico» che potesse ospitare una popolazione numerosa.
Dell'impianto sappiamo ben poco e ricaviamo qualche informazione dalle descrizioni di Strabone (XVII, 8 ss.) e Diodoro Siculo (XVII, 52, 5): un circuito di ben 15 km abbracciava la fascia di terreno compresa tra il mare e il lago Mereotide, con ampie strade e con un programma architettonico che mirava a esaltare la cultura greca nel modo più grandioso (palazzi, giardini, la biblioteca, i santuari, gli arsenali, i porti).
La semplicità e il rigore dell'u. classica venivano così reinterpretati in una prospettiva diversa da quella della pòlis classica ormai destinata a scomparire per lasciare il posto alle nuove fondazioni che Alessandro stesso o i suoi diadochi realizzarono dall'India alla Siria, dall'Asia Minore all'Egitto per fissare le dimore delle grandi capitali dei nuovi regni.
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(E. Greco)
Italia. - Riguardo alle prime manifestazioni di vita urbana (fasi insediative «protourbane») si discute sui dati che in genere confermano, almeno per quanto riguarda l'Etruria, come al momento iniziale dell'Età del Ferro gli insediamenti del Bronzo Finale non coincidano con i successivi centri storici. Nei casi di Tarquinia e Veio le recenti ricerche hanno indicato i modelli dei processi sinecistici tipici dell'area etrusco-latina alla metà dell'VIII sec. a.C. A Veio in particolare sembra superato il concetto degli abitati separati, situati lungo i margini del pianoro in cui le aree abitate alla fine della prima Età del Ferro dovevano lasciare ampi spazi liberi. Tra VII e VI sec. la città definisce realtà monumentali che differenziano gli aspetti funzionali (religiosi, politici) in un ambito unitario fortificato. Tali elementi, dalle cinte fortificate alla determinazione funzionale degli spazi, caratterizzano i centri di più recente documentazione, sia del Lazio che dell'Etruria, con difese ad aggere di terra (Roma, Lavinium, Ardea, Anzio, ecc.) sia a spina che contraffortate, ulteriormente protette da fossati, o cinte in massi informi o anche a mattoni crudi (Roselle): dalla seconda metà del VII sec., mentre la realtà urbana è ormai funzionante negli spazi monumentali sacri o collettivi (Roma, verso il 600 a.C.), il tipo dell'abitazione assume forma regolare, come testimoniato (Foro Romano) su schemi a pianta centrale con atrio e ambienti circostanti, modello che troverà eco in testimonianze più recenti (Marzabotto). Gli insediamenti minori sono rappresentati dagli abitati d'altura p.es. presenti nelle vallate appenniniche (scavi indicativi a Monte Bibele, con estensione di 200 ha c.a per un complesso di 200-300 persone, presso Monterenzio nella valle dell'Idice).
Per le fondazioni urbane che si impiantano ex novo su forme regolari, dati sempre più precisi derivano da Spina e Marzabotto: quest'ultima si conferma, a partire dal 500 a.C., come guardia di uno degli sbocchi naturali delle valli appenniniche, fondata su schemi di derivazione greca, ma con adeguamenti funzionali specifici e con testimonianze delle tecniche di pianificazione (pietre, anche con decussis, capisaldi sepolti agli incroci principali della maglia ortogonale). Scarsi gli elementi nuovi per l'aspetto urbanistico in Campania: esemplificativa la metropoli di Capua i cui dati sembrano indicare come un insediamento più antico (nuclei abitativi sparsi) venne aggregato su forme ortogonali.
Dal IV sec. a.C., nelle aree interne a tradizionale sistema di insediamenti dispersi (katà kòmas) o comunque urbanisticamente disaggregati, si creano i presupposti politici ma anche economici per l'importazione di modelli di città che, allogeni per concezione, si personalizzano nelle situazioni italiche. Emblematica e in corso di evidenziazione, Laos organizza una collina con due o tre vie principali N-S (platèiai di cui la maggiore larga 12 m) che formano una maglia portante, incrociate con 5 (o più) strade E-O, a intervalli regolari di 96 m, in un sistema ortogonale in cui si inseriscono gli edifici pubblici (zecca/aerarium della città). In modo analogo, oggi ancor meglio leggibile, nella brettia Castiglione di Paludi il concetto difensivo è affidato alla inaccessibilità del sito prescelto, ma l'aspetto delle fortificazioni risponde a criteri importati di monumentalità che tradiscono l'adesione alla speculazione teorica defensionale (torri a propugnacolo, porta a tenaglia, mura di semipendio, ecc.).
Un parallelo coi centri assimilabili alla koinè urbanistica del secolo, accettata in ambiente italico con l'adeguamento alle esigenze dei diversi contesti della penisola, potrebbe porsi per la Pompei della massima dimensione urbana. Greca nella forma, è modello adattato ai parametri italici, con schemi sensibili alle variazioni dei profili altimetrici che portano al concetto delle percorrenze disassate, alla regolarità di quartiere non generalizzata su tutta l'area intramuranea e, infine, all'uso coordinato tra architetture (anche terrazzate) e viabilità. L'ampliamento si confronta con altri centri della fase sannitica, da quelli tirrenici, Laos, al versante adriatico, Larinum, a quelli dell'interno, Grumentum. Da questo proviene l'informazione di una planimetria regolare ma modellata sul terreno, risalente al momento dell'impianto, nei decenni iniziali del III sec. a.C., polo collegato al passaggio di quattro vie a lunga percorrenza e con caratteristiche comuni a coevi centri dell'area italica, sia di fondazione romana (Venusta), sia lucana (Pomarico, ecc.).
Un'ottica di comparazione interregionale non può prescindere dai nuclei fortificati che si vanno sempre più rivelando lungo le dorsali appenniniche dell'Abruzzo e del Molise, e nell'area ciociara ai confini tra il Lazio meridionale e la Campania; centri a volte di notevole ampiezza topografica, spesso con significati urbanistici (Monte Vairano), con cinte per lo più in opera poligonale, identificabili su un ampio sviluppo areale e in un sistema strategico che abbraccia i passaggi obbligati o le valli attrezzate della transumanza. Medesimi sono i criteri che si porranno alla base della costruzione di cinte murarie nell'area umbro-laziale ove recenti indagini stratigrafiche condotte sulle mura di Spoleto propongono datazioni ancorate anche alla seconda metà del IV sec. a.C., comunque sulla base di esigenze nop solo defensionali ma anche di proiezione economica.
Il modello greco e le sue assimilazioni. - Dati recenti qualificanti derivano da Sibari (Parco del Cavallo, Stombi, Casa Bianca), con testimonianze urbane distanti oltre 1 km e mezzo che documentano una città dilatata già dopo la fondazione, tra l'ultimo quarto dell'VIII e tutto il VII sec. a.C. Riguardo all'assetto urbanistico sappiamo solo di direttrici stradali e di un'organizzazione sia di zone abitative che a funzione differenziata. Come a Sibari, a Metaponto il fiume offre, con l'aggiunta del fossato, una difesa: qui è confermato un sistema in opera quadrata mentre novità, per la zonizzazione, riguardano l'area sacra in cui alcuni templi sorgono già alla fine del VII secolo a.C. Nello stesso quadrante il témenos è disegnato dalla serie degli «argòi lìthoi», cippi rozzi piantati nella terra insieme ad altre testimonianze lapidee più regolarmente lavorate e cronologicamente distinguibili. I limiti dell'area, rispondenti a un piano urbanistico unitario risalente a dopo la fondazione, sono costituiti a Ν e a E dalle difese urbane, mentre una grande «via sacra» prosegue a S verso i quartieri occidentali della città, separando l'isolato dell’ekklesiastèrion (teatro dal IV sec. a.C.) e la stessa agorà.
Eraclea permette di delineare l'organizzazione del centro sulla base di ricerche in corso: il quartiere artigianale (IV-III sec. a.C.) è caratterizzato da case di dimensione limitata e soprattutto dalle officine pertinenti (il che ha fatto supporre un'economia basata sull'industria familiare), secondo moduli inseriti all'interno dell'originaria organizzazione ortogonale, innervata da una platèia su cui si attesta la viabilità secondaria che scandisce ritmi modulari di c.a 35 m. L'ipotesi dell'agorà e i complessi cultuali rimessi in luce (Demetra) risaltano per la dislocazione in settori diversi della città, scandita su terrazze che saldano il doppio sistema collinare parallelo dedicato alle funzioni abitative. Nel territorio, alle recenti scoperte si deve la possibilità di una lettura stratificata dei rapporti tra insediamenti precoloniali e fasi successive, sia con casi di completa sostituzione che con evidenti situazioni di continuità economica e culturale, dall'Incoronata di Metaponto, a Broglio di Trebisacce nella Sibaritide, agli altri centri dell'interno, Pisticci e Ferrandina sul Basento, Montescaglioso e Timmari sul Bradano.
La competenza greca nell'adattarsi alla morfologia del terreno risalta con sempre maggiori dati nella prima urbanizzazione in Sicilia chiarendo scelte che privilegiano penisolette o rilievi presso il mare, con pianure verso l'interno, a volte presso fiumi, con funzione di difesa ma anche di approvvigionamento. Dagli scavi di Megara è altresì sembrato di riconoscere l'organizzazione in cinque quartieri, forse riflesso della situazione etnica originaria. Gli isolati comprendono due lotti agrari originari, con passaggi comuni e strade, e con evidente distinzione degli spazi privati da quelli d'uso comune; la viabilità è prevista fin dall'inizio insieme al grande spazio comunitario in cui si incontrano gli assi matrice convergenti. Anche a Siracusa le ricerche in corso (recente il riconoscimento del porto della fase di massimo sviluppo) denotano l'iniziale modello regolare di Ortigia, e la successiva articolazione per aree insediative distinte, unificate nell'espansione verso l'entroterra, nel momento dionigiano cui meglio corrisponde il concetto di «massima città greca» (Cic., Verr., II, 4, 117 ss.), con l'organizzazione delle regioni urbane differenziate sia nelle funzioni che negli aspetti formali.
Diverso è il caso di Imera ove la programmazione è impiantata su un allineamento seguito dagli edifici sacri arcaici, poi conservatosi nel V sec. (dopo il 490/80, data del nuovo sistema urbano) quando l'abitato si estende su tutta la collina: il comprensorio urbano scende verso valle poiché la conformazione del pianoro costringe a evitare il tracciamento di strade N-S e tutto l'impianto viene condizionato dall'unico asse di servizio all'agorà. D'altronde già la Naxos del VII sec. è organizzata nei quartieri diversamente orientati, con strade larghe 3 m, che nel settore occidentale si attestano ritmicamente su una lunga via, asse portante diretto a settentrione e lungo il quale si è individuato il Ceramico extraurbano del VI secolo. Tra le ipotesi più recenti avanzate per Selinunte non sembra plausibile l'estensione della maglia regolare della città fino alla valle del Cotone, mentre le conferme riguardano il tessuto portante della collina di Manuzza lungo il cui asse originante dovevano trovarsi le aree comunitarie più importanti della città. È comunque da supporre che dopo la metà del V sec. il comprensorio fosse urbanizzato fino alla Malophòros e che i sistemi viari delle pendici fossero paralleli agli assi di attraversamento urbano. La puntualizzazione cronologica di questi impianti regolari, con gli isolati dalla forma assai allungata, assume ora un caposaldo in Agrigento ove il tessuto viario per strigas, originato da sei platèiai E-0 e da un fitto numero di stenopòi N-S è puntualizzato per la fine del VI secolo. Solo un cenno infine può dedicarsi alla fase ricostruttiva degli assetti urbani che sotto Timoleonte vede, accanto agli interventi sui grandi centri, anche il formarsi di un tessuto connettivo di aggregati di dimensioni vicane, ma con evidenze di programmazione (dall'articolata regolarità della fase ellenistica di Morgantina alla non casuale distinzione funzionale del quartiere ceramico nel villaggio di Scornavacche).
Il sistema «ippodameo» ha trovato spunti cronologici e formali nel recente approfondimento urbanistico di Napoli che ha conservato in massima parte il tessuto stradale antico inserito nella città moderna con parametri direzionali e dimensionali, articolati su tre platèiai E-O e una ventina di assi ortogonali N-S che inquadrano isolati stretti e allungati con moduli di 35 X 180 m. Alla variazione delle misure, che riducono la lunghezza delle strigae arcaiche, fa riscontro una pianificazione pubblica e sacrale nell'area urbana mediana su sistemi terrazzati che vedono differenziarsi a S le attività commerciali, all'interno di fortificazioni che delimitano lungo il perimetro una superficie di oltre 70 ha.
Ancor più indicativo dell'u. di V sec., esemplificazione della scuola milesia legata al nome di Ippodamo, è Thurii, fondata per la volontà politica di Pericle in coincidenza topografica, ma non formale, con l'arcaica Sibari tra il Crati e il Coscile. Scavi decennali hanno materializzato l'impianto descritto da Diodoro Siculo (XII, 10, 7) che «fotografa» la pianta di una città di fondazione disegnata su quattro platèiai incrociate da tre strade parimenti di grande importanza, «sì che la città appariva ben disposta» anche secondo il commento degli antichi. L'interno dei setti urbani delimitati dalle platèiai era infatti suddiviso in rettangoli da viabilità secondarie (stenopòi), veri e propri discriminanti nel modulo degli isolati. Il sistema è in effetti un evidente passaggio di scala, dallo schema più ampio alle strigae e quindi alle parcelle abitative. La linea è, del resto, ripresa anche nel testo vitruviano (I, 7, 1) quando si accenna ai criteri di programmazione urbana, a riprova della dipendenza di quest'ultimo dalla trattatistica greca: divisis angiportis et plateis constitutis, arearum electio est exsplicanda, ove si sottolinea la perfetta corrispondenza di platea e angiportus con platèia e stenopòs.
Ricerche finalizzate hanno infine completato il quadro della diffusione dei modelli greci nell'area sudorientale italiana ove gli influssi delle colonie (in primis Taranto, anch'essa oggi meglio nota nell'aspetto formale e funzionale) condizionarono fortemente il processo di urbanizzazione. È così che tra il VI e il V sec. a.C. l'area occupata dall'abitato di Serra di Vaglio, nel Potentino, presenta l'eco di un'organizzazione viaria regolare, mentre a Cavallino, nella Puglia messapica, una poderosa cinta di mura, ispirata da modelli greci, chiude un centro scandito da strade in terra battuta e con una base di organizzazione urbanistica che si ripete con varianti in gran parte dei principali centri dell'Apulia, da Arpi a Monte Sannace.
Per quanto riguarda gli esempî più noti di centri punici, solo alcuni sono stati oggetto di scavi recenti e hanno contribuito ad ampliare il quadro noto delle forme urbane connesse con il portato coloniale in Sardegna e Sicilia. Nella prima, la presenza fenicia, oltre agli influssi sul concetto insediativo protosardo, trasmette gli aspetti formali della città che dai centri semitici della costa si diffondono negli insediamenti dell'interno. La città fenicia appare originata da un nucleo iniziale corrispondente a un sistema qualificato dalla presenza della piazza del mercato e del porto, negli insediamenti marittimi. Emblematica Tharros che, nonostante l'ampliamento della città romana, conserva le tracce della rete stradale della fase punica che serviva i quartieri di abitazione e alcuni edifici pubblici. Ancor più Caralis romana tradisce l'impianto regolare dell'originaria città punica che si sviluppava su direttrici a incroci ortogonali ove l'orografia era favorevole, non diversamente da quanto noto negli scavi recenti di Monte Sirai. Nulla si sa del porto antico di Nora né resta traccia di una cinta di mura: in antico l'area della piccola penisola doveva essere indubbiamente più larga poiché lo studio dei livelli marini ha dimostrato come il movimento di abbassamento delle coste sarde abbia sommerso parte della documentazione archeologica.
La forma tipica della città punica si lega con particolare evidenza all'esemplificazione siciliana ove, diversamente dalla essenzialità cruciforme di Mozia, Solunto presenta un piano urbanistico di chiara derivazione dalla teorizzazione greca, riconcepito e studiato per essere qui applicato rigorosamente. La strada principale che segue il pendio collinare è lastricata con grossi mattoni di terracotta mentre le strade trasversali, larghe fino m 5,80, nel seguire la schiena d'asino orografica presentano una pendenza che in alcuni casi raggiunge il 25%. Gli isolati rettangolari (m 40 X 80) che scandiscono la città sono divisi, nel senso della lunghezza, da un ambitus con funzioni di canale di smaltimento delle acque piovane e di punto d'aria e luce per le zone interne delle case, che spesso presentano una tipologia disposta su diversi piani collegati da scale interne, e che si raggruppano al centro della città, o in parte si dislocano verso.le mura. Caratteristiche similari di un'organizzazione pianificata si desumono nel palinsesto urbanistico di Panormus, recentemente ripreso in esame sul piano urbanologico stratificato dalle fasi romane e arabe.
L'urbanistica di fondazione romana. - La forma urbana romana nasce in stretto collegamento con le caratteristiche dell'ambiente oro-idrografico selezionato per l'insediamento ed è indubbio che le scelte poleografiche dell'espansionismo romano rispondano a criteri di grande varietà che qui sono dunque riassumibili solo per problematiche. Motivi comuni sono comunque quelli che affiancano requisiti di squisito significato militare ai concetti insediativi elementari dell'autonomia di sopravvivenza. È oggi possibile leggere i modelli che si definiscono attraverso gli impianti urbani che formano la struttura portante della maglia insediativa romana, e cioè le colonie nel doppio aspetto istituzionale di nuclei di cittadini dislocati fuori dell'Urbe (coloniae optimo iure) e di aggregati di abitanti di un'area legata a Roma da vincoli particolari (coloniae civium latinorum). Al di là dell'aspetto giuridico, ciò che distingue su un piano urbanistico i due tipi di insediamento è la forma, condizionata o meno da fattori geomorfologici, da ricollegarsi alle funzioni differenziate e al numero iniziale delle persone dedotte. A partire dal primo insediamento ostiense alla foce del Tevere per giungere, attraverso il controllo del valico di Terracina, fino ai punti nodali di Minturno sul Garigliano e di Sinuessa, le colonie di «cittadini», che caratterizzano l'originaria tendenza romana a creare capisaldi militari lungo le coste, privilegiano forme geometriche elementari in aree di particolare significato strategico, punti obbligati di passaggio viario o di guado fluviale.
Appaiono invece più complesse già in prima istanza progettuale le colonie di diritto latino, la cui collocazione geopolitica, se da un lato risponde anch'essa a vitali esigenze di autonomia defensionale, dall'altro mostra sistemi di controllo territoriale, in una gravitazione programmata verso gli agri circostanti l'impianto urbano. Le direttrici seguite sono legate al quadro politico della progressione militare, e costante è dunque l'insediamento allo sbocco dei passi delle catene subappenniniche e a dominio dei larghi spazi vallivi, spesso organizzati secondo schemi di divisioni regolari a fini distributivi e di sfruttamento razionale (centuriazioni e agri limitati da Cales a Lucera e Venosa, da Sessa Aurunca ad Alba Fucente, ecc.). Non ultima funzione delle colonie latine, che si giovavano delle autonomie nelle assemblee, nelle magistrature, nelle strutture militari, era la trasmissione del modello urbanistico, rappresentando un preciso riferimento culturale e istituzionale nelle aree di influenza: esempio ben noto, il caso della lucana Bantia che, intorno al 100 a.C., si dà una costituzione modellata su quella della vicina colonia latina di Venosa con un templum augurale che riprende quanto noto in àmbito romano.
Nel contempo mura, impianto viario, area forense e prima zonizzazione traducono in chiave di u. romana anche centri noti come punti urbani già in fase preromana. Dagli esempî condizionati (Arpino, Alatri, Ferentino, Artena, Venafro, ecc.) a quelli con l'orografia quasi ininfluente (Fondi, Privernum, Aquinum, Saepinum) in contesti etnico-culturali differenziati e con salti cronologici anche notevoli, l'intervento romano si manifesta nel criterio della razionalizzazione formale e nella trasformazione o nel consolidamento delle funzioni areali urbane, in un'ottica generalizzata di adeguamento alle nuove realtà economiche e sociali derivanti dal cambiamento della gestione politica.
Una lettura che tende a differenziare, nell'u. delle città romane, un tipo con l'organizzazione di isolati rettangolari aventi i lati lunghi sugli assi originanti (Alba Fucens), rispetto al più diffuso sistema che dispone gli isolati perpendicolarmente alla viabilità principale, è piuttosto da collegare al concetto del miglior adattamento orografico, e non va codificata secondo terminologie estranee alla pianificazione urbana. Un impianto «ippodameo», nell'ambito dell'u. romana, può leggersi solo per quei centri in cui la ristrutturazione amministrativa, conseguenza dello statuto imposto da Roma, incida su un assetto effettivamente greco, derivando da forme che possono risalire alle città regolari del VI e V secolo. Diversamente da Puteoli, che ha dimenticato la samia Dicearchia per un impianto ora finalmente studiato nel suo sviluppo coerente con la storia economica di Roma, Paestum, nota da scavi finalizzati, presenta infatti il fenomeno dell'inserimento politico- amministrativo coloniale in un'area urbanizzata fin dall'età arcaica. All'inizio del II sec. a.C. anche la zonizzazione urbana della Thurii di Ippodamo si modifica nel riassetto della colonia latina di Copia che utilizza con perfetta sopravvivenza la maglia urbana a isolati allungati del centro greco, ma ne riqualifica progressivamente alcune aree.
Un ultimo problema è rappresentato dal modello castrense, cui spesso si attribuiscono città in realtà di origine diversa dai pertinenti casi di Aosta e Torino: l'osservazione polibiana (VI, 31, 10) sull'accampamento «simile a una città» è chiarificatrice del rapporto cronologico e formale che intercorre fra i castra e gli impianti urbani regolari, in particolare i sistemi caratteristici delle prime esemplificazioni delle colonìae maritimae. La ricorrente ma inesatta etichetta di «Castrum» per il rettangolo di Ostia, scandito dall'assetto cruciforme della viabilità, vede un ostacolo determinante nei dati cronologici se, come afferma Frontino (S trat., IV, 1, 14), i Romani appresero l'uso di creare accampamenti unitari dall'esempio dell'esercito epirota dopo la battaglia di Maleventum (275 a.C.). Infatti anche se lo scavo di Ostia sembra aver dimostrato l'inesistenza in questa località di una città arcaica, in realtà contro la data convenzionale della metà del IV sec. a.C. i materiali più antichi scoperti negli strati profondi risalgono certamente agli ultimi decenni del V secolo.
Molti infine sono i dati che scavi e ricerche, in specie nell'Italia adriatica e nella Cisalpina, stanno recando al tema urbanistico sì che modelli tradizionalmente attribuiti agli impianti romani negli ultimi due secoli della repubblica e in specie nel momento della municipalizzazione, sono ora in fase di discussione (centri abbruzzesi) e di interpretazione settoriali. Se infatti l'aspetto geopolitico cisalpino vede una prima stabilizzazione con gli ultimi insediamenti coloniali la cui funzione strategica sembra primaria, un più incisivo momento dell'organizzazione urbanistica sarà più tardi conseguenza del rinnovamento politico e sociale con il riassetto delle città su nuovi parametri funzionali e architettonici. La diffusione di schemi urbani codificati secondo linee innovative nel quarantennio 90-50 a.C. e soprattutto nella fase triumvirale-augustea si basa su molte esemplificazioni derivanti da ricerche in atto (da Tridentum, a Brixia a Ticinum a Mediolanum, ai centri della Flaminia, alle città della transumanza, ecc.), oltre che sulla conservatività dei percorsi stradali odierni. L'aspetto formale ricorrente, che diviene caposaldo cronologico, ben oltre la semplice misura dei lati degli isolati a volte condizionati dai piani regolatori che spesso impongono i moduli in base al dimensionamento degli edifici pubblici, è l'uso del rapporto di programma tendente all'unitario, con insulae che si organizzano intorno alla misura del doppio actus quadrato. La gamma - che gli scavi continuamente arricchiscono - di nuovi importanti capisaldi architettonici (si pensi a elementi cospicui ma finora sconosciuti o quasi, dal teatro di Bologna, al Capitolium di Verona, ma anche all'«acropoli» di Chieti, all'anfiteatro di Ancona, ecc.) dimostra, comunque, come sia obbligatorio operare per singole esemplificazioni e non per casistiche nel campo della lettura delle stratigrafie urbane, ove con questo termine si voglia correttamente interpretare l'identificazione delle linee di sviluppo di una città dalla sua fondazione ai giorni nostri, in specie in presenza del continuum insediativo che può ritenersi la norma nella storia della città italiana.
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(P. Sommella)