Vedi URBANISTICA dell'anno: 1966 - 1997
URBANISTICA
Dopo le importanti realizzazioni di centri abitati in Siria (Gerico), Asia Minore e Macedonia, un maturo materiale urbanistico comincia in Mesopotamia e in Egitto nel IV millennio a. C., a Creta e a Troia verso il 2000 a. C., in Grecia verso il 1600 a. C. e poi di nuovo, dopo i secoli di decadenza (circa 1100-800 a. C.) nell'VIII sec. a. C. (Omero); nell'Etruria e in tutta l'Italia - a parte rifugi e fortificazioni primitive - i primordi si presentano nel VII sec. a. C. (Per un supposto piano regolatore delle terremare e la discussione ispirata da queste origini infondate ed ipotetiche, vedasi G. Säflund, Le terramare delle provincie di Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza, in Acta Instituti romani Regni Sueciae, vii, 1939 e art. terra, maricpola, civiltà).
Il geroglifico egiziano corrispondente a città è una croce dentro un cerchio. E, ad esempio, le città primitive di Hierakonpolis ed el Kab, con la loro pianta più o meno circolare, fanno pensare che tale forma possa aver corrisposto a una concezione antica in Egitto. Bisogna qui aggiungere un accenno alle speculazioni sulla primitiva Roma circolare, riferite da Plutarco (Romulus, 11) e da Varrone (Ling. Lat., v, 143).
Passando alla Mesopotamia, vediamo in Khorsābad (706 a. C.) una regolarità astratta, che prescrive la disposizione delle porte ai quattro lati di una città quadriforme, senza riguardo al traffico. Rilievi di accampamenti assiri del IX sec. (palazzo di Nimrud, Kalach e Balawār) e città come la parthica Darabjird, la Firuzābād dei Sassanidi e Bagdad mostrano una serie di accampamenti e città rotonde, con due strade principali incrociantisi ad angolo retto come nel geroglifico egiziano. La pianta circolare si mantiene nel Chorezm (v.) e nell'Iran (Takht-i Suleiman). Pare probabile che questa tradizione abbia ispirato Platone quando concepì la sua città ideale circolare (Leges, v, 745 s.; vi, 771, 778, 780).
(Per la documentazione grafica, si vedano le piante di città pubblicate sotto il rispettivo esponente).
1. - Mesopotamia. - Il materiale degli scavi moderni non dà appoggio alla supposizione che criterî di regolarità abbiano prevalso nelle città della Mesopotamia. Le città sumere a noi note, Tell Asmar (Eshnunna c. 2500 a. C.), Ur (verso il 2000 a. C.), ci mostrano invece abitati irregolari, sviluppatisi spontaneamente con una rete di strade strette e curve. Probabilmente si sente già qui l'idea che vie strette e curve in città potessero proteggere contro il sole, i venti, il calore, come credevano i Romani ancora nei tempi di Nerone (Tac., Ann., xv, 43) ed anche certi teorici del Rinascimento. Anche nelle città semitiche in Babilonia e in Assiria, anche in una città dalla forma esterna regolarissima come Khorsābād, o in città adattate al terreno montagnoso come Assur, appare evidente che le tendenze regolari si manifestavano soltanto intorno ai centri monumentali, e cioè a palazzi, ziqqurat (v.) ed altri templi, dominanti l'architettura urbana dei Sumeri e Semiti nella antica Mesopotamia, senza però arrivare ad una simmetria assoluta tra le varie unità architettoniche. Nei templi stessi, nelle piazze e negli edifici monumentali la tradizione di simmetria è evidente (cfr. Gjerstad, in Acta Instituti regni Sueciae, x, Opusc. Archaeol., iii, 1944, p. 40 s.).
Secondo calcoli moderni le città sumere arrivavano a un numero di abitanti fra 10 e 20 mila, Babilonia forse a 80.000. L'agricoltura ed i pascoli del bestiame nella campagna annessa rimanevano sempre attività essenziali per tali città, se si eccettuino le città carovaniere (si confronti quello che dice Vitruvio, ii, pref. 3 nell'aneddoto di Alessandro e la città senza campagna progettata dall'architetto Deinokrates).
Pare tipica per le città della Mesopotamia l'assoluta mancanza di provvedimenti per il benessere collettivo: sia regole per l'integrità e la manutenzione delle strade, sia un sistema di fogne e una provvista comune d'acqua. C'era una tradizione di rispetto per le strade, espressa in omina, ma, a quanto pare, nessun regolamento statale. Ad Ur vediamo, fra le case di abitazione a due piani con cortile, tipiche botteghe (tabernae, ἐργαστήρια) con lati aperti verso le strade, evidentemente costruite per il commercio e l'artigianato. Si affollano nella parte meridionale della città e costituiscono un vero quartiere di bazar come nelle città orientali di tutti i tempi, provvisto anche di un grande khan con tre ingressi dalla strada.
I Greci vennero a contatto con la cultura urbanistica mesopotamica nella Babilonia di Nabucodonosor e nelle città persiane di Ecbatana, Susa e Persepoli, con centri monumentali come quello di Persepoli, colla sua concentrazione (senza stretta simmetria) di unità dell'architettura ufficiale, con mura, vie fastose come quella della porta di Ishtar a Babilonia e molta profusione decorativa (in Persia creata in parte dai Greci) sulle facciate. Le ripetute parole su Tebe d'Egitto in Omero (Il., ix, 381; Od., iv, 126) prima della distruzione (663 a. C.), come anche l'arredamento fantastico del palazzo dei Feaci nell'Odissea possono mostrare l'eco lontana nel mondo greco della grandezza dell'Asia e dell'Egitto già nei tempi omerici.
2. - Egitto. - In Egitto - come, ancor più in un'altra civiltà antichissima, a Mohenjo-Daro nel Punjab - si incontrano prove evidenti di un piano regolatore, che contrastano con la confusione labirintica, ad esempio, di Ur. Bisogna però premettere che testimonianze scritte dei grandi periodi della storia egiziana mancano completamente. Tendenze alla regolarità si delineano già nella Merimde predinastica, nella parte N-O del Delta, fra abitati di capanne tonde e rettangolari. A Merimde si nota una pianificazione: uno spianato tra due file di capanne. Oltre al geroglifico per "città" e alle città primitive tondeggianti già menzionate, le città sepolcrali intorno alle piramidi del vecchio regno fanno supporre, colla loro evidente regolarità, che anche le città dei vivi fossero pianificate. Una conferma definitiva di regolamento comunale offre Tell el-῾Amārnah, la città di Akhetaton, abitata all'incirca tra il 1369 e il 1354. La città era divisa in quattro parti lungo una via principale, parallela al Nilo. Gli spaziosi palazzi con cortili dei ricchi - contrastanti colle case a due piani delle grandi e popolose città di Memfi e Tebe, erano aggruppati in fila assai regolare lungo la via principale ed il fiume, mentre le anguste abitazioni del proletariato e della piccola borghesia si affollavano senz'ordine apparente più indietro o fra le case signorili. Il centro monumentale, con palazzi governatoriali e templi, è invece regolarissimo e conforme alla tradizione di stretta simmetria, viva nell'architettura monumentale egiziana. Si ha l'impressione che i contorni della città fossero prestabiliti, ma che lo sviluppo interno fosse lasciato libero, fatta eccezione per il centro. Interessantissimo è un villaggio quadrangolare, cinto di mura, del piccolo proletariato ad E della città lungo il fiume (v. vol. ii, fig. 547). Qui regna una regolarità assoluta, vie strette e parallele tra case uniformi a due camere e cucina, collegate insieme in file di 2-4 appartamenti. Questa sistemazione rigorosa dei quartieri popolari apparteneva evidentemente a quartieri con popolazione più o meno vincolata. Il sistema s'incontra già nella città degli operai della piramide di Sesostris II (1897-1879 a. C.) e si può seguire nei successivi ingrandimenti del villaggio Deir el-Medīneh (v. vol. ii, fig. 543) presso Luxor dalla XVII fino alla XX dinastia. Bisogna aggiungere, sia per le città, sia per questi villaggi, che mancavano di fogne e di acquedotti.
3. - Grecia. -a) Creta minoica. - Verso il 2000 a. C. Creta entrava nella periferia N (Asia Minore-Grecia) dell'antico mondo orientale con la sua cultura dell'Età del Bronzo, detta minoica. Nei palazzi eretti intorno a grandi cortili rettangolari a Cnosso e a Festo, l'Europa ebbe i suoi primi centri di alta cultura. È interessante l'ipotesi che in origine fossero stati villaggi agglomerati intorno alle dimore dei re, da comparare ai pueblos indiani o alle casbah dei berberi (Ann. Br. Sc. Athens, xlvi, 1951, p. 81 s.), rimodellati e sistemati sotto l'influenza egiziana e orientale. Ad ogni modo il materiale attuale ci mostra - oltre ai palazzi sviluppantisi in tutto il loro lusso e la loro cultura artistica - villaggi conglobati con vie strette e tortuose come Vasiliki, Mallia, Palekastro e Gurnià. Ci sono sacelli, ma di solito per i riti religiosi si ricorreva a santuarî nei palazzi, a boschi e recinti con altari, a grotte, a vette montane. Gli elementi in fayence da Cnosso (v. vol. ii, fig. 555) mostrano le case cittadine a due o tre piani, eventualmente con una struttura di tipo belvedere sul tetto piatto, da confrontare con quelle di Memfi e Tebe. Rivolgono verso la strada il lato più corto, con la porta e con due o tre finestre nei piani superiori. Ritrovamenti di arnesi da lavoro in botteghe nei quartieri meridionali di Gurnià fanno supporre che ivi si trovasse una zona commerciale e industriale della città, un bazar: tale osservazione si accorda col fatto che le case cittadine illustrate dalle fayences di Cnosso servivano di abitazione e non hanno botteghe per commercio o artigianato. Una fila porticata di botteghe o tabernae del tipo comune a tutti i paesi e periodi classici si incontra, in forma quasi identica alle in porticibus tabernae romane (Vitr., v, 1, 2) o ἐργαστήρια greci, ad Ḥaghìa Triada. È ovvio che qui si tratta di una sistemazione isolata di un tipo primitivo universale, non di un prototipo di forme sviluppatesi di nuovo nelle città greche, ellenistiche e romane. I villaggi cretesi di Axos, Prinias, Latò, Karphi e Vrokastro ci mettono sott'occhio centri dell'ultimo periodo miceneo e protogeometrico dopo la catastrofe della cultura minoico-cretese e elladico-micenea verso il 1100 a. C., dove sopravvivevano gli elementi di architettura, tecnica, culto, leggenda, ecc. rimasti indispensabili anche nella vita decaduta ed isolata della Grecia del periodo dal 1100 all'800 a. C. La pianta di questi villaggi è ancora più confusa e disordinata di quella delle città minoiche.
Questi tardi villaggi possono senza dubbio dare una idea chiara anche dei villaggi contemporanei della Grecia continentale.
b) La Grecia dell'età elladica. - Verso il 1600 a. C. i villaggi della cultura locale detta medio-elladica (o premicenea) furono invasi dall'alta cultura minoica di Creta. Verso il 1500 a. C. i palazzi minoici di Creta subirono una trasformazione, ma la cultura esportata nel continente europeo, la cultura elladica recente, in centri come Micene, Tirinto, Pilo, Argo, Tebe, Orcomeno, Atene, Dendra, e in tutta la Grecia, da Sparta fino alla Tessaglia, raggiunse il suo più forte sviluppo. Questo grande periodo della storia greca, colle sue vaste relazioni culturali e commerciali, appartenne all'epoca caratterizzata dal Nuovo Regno egizio, dalle fortezze hittite, dalle signorie militari e divinizzate. Le grandiose tombe a cupola, le mura poderose di Micene e Tirinto, gli affreschi dei palazzi parlano la loro lingua, in evidente contrasto coi palazzi e le città aperte della cultura madre dei secoli passati a Creta. Tipici per il periodo dopo il 1400 a. C. sono palazzi su colline circondate da mura ciclopiche con porte monumentali, terminanti in appartamenti che, con simmetria assiale, adoperano l'unità di pròpylon, cortile e mègaron, sconosciuta a Creta ma evidentemente tradizionale nell'architettura comune della Grecia stessa (cfr. B. Schweitzer, in Ann. Br. Sc. Athens, xlvi, 1951, p. 160 s.). Questo insieme si incontra già in Troia II (circa 2000 a. C.). Quando verso il 1400 a. C. furono costruite le mura di Micene e l'ingresso all'acropoli colla Porta dei Leoni, venne coperto il vecchio sepolcreto di tombe a fossa della prima dinastia di Micene. Entro le mura fu creato un piano rialzato; sei delle vecchie tombe reali con le loro stele furono circondate da un muro circolare. Fuori della Porta dei Leoni e delle mura si è scavato un altro cimitero circolare e quartieri di ricchi commercianti dell'ultimo periodo miceneo (cfr. Wace, Mycenae, Guide, 1961).
Di fronte alle minacce che si aggravavano nell'ultimo secolo prima della catastrofe del mondo miceneo (verso il 1100 a. C.) possiamo anche constatare provvedimenti urbanistici attuali: a Micene, a Tirinto ed Atene accessi fortificati a sorgenti costituenti una riserva sufficiente per un assedio; a Tirinto e Micene magazzini fortificati all'interno delle mura; e a Tirinto inoltre un ampliamento delle mura per poter dare ricovero alla popolazione della campagna.
Dentro le mura di Micene erano, oltre al palazzo sulla vetta dell'acropoli, parecchie case signorili, con sale principali del tipo mègaron, provviste di fognature, accessibili attraverso un sistema di strade e costruite e decorate come i palazzi minoici ed elladici. Un gruppo a S del circolo delle tombe è adattato ad esso. Probabilmente queste case, come anche il palazzetto detto Casa delle Colonne entro l'acropoli, appartenevano a membri della famiglia reale o ad alti funzionarî civili o militari. Le centinaia di tombe a camera nelle colline che circondano l'acropoli di Micene e gli altri centri micenei, attestano l'esistenza di una ricca aristocrazia. Dagli scavi del 1939 si è appreso che questi nobili micenei avevano case somiglianti a quelle dentro le mura dell'acropoli, distribuite a gruppi presso le numerose tombe a camera (A. J. B. Wace, Mycenae, 1949, p. 64 s., 91 s.; Ann. Br. Sc. Athens, xlv, 1950, 221 s.). Oltre a questo concetto generale di un grande abitato elladico, centro di un sistema di strade verso il mare, ecc., gli scavi americani a Korakou e Zygouries nell'Argolide ci dànno una nozione assai chiara di piccoli villaggi con una folla di case cresciute disordinatamente, dagli interni stuccati e dipinti, di officine, di depositi di ceramica, ecc., in vicoli stretti e irregolari. Furono costruiti sopra precedenti abitati dei periodi medio-elladici, e sostituiti da villaggi molto poveri, come quelli già rammentati a proposito di Creta che, dopo la decomposizione del mondo minoico miceneo, soltanto a poco a poco ripresero contatti oltre marini grazie ai Fenici e rinnovarono la loro forza produttrice ed esportatrice.
c) La Grecia di età storica e l'ellenismo. - In Omero si indovina la rinascita della città greca. Nell'Odissea e nella descrizione dello Scudo di Achille nell'Iliade, come anche in Troia, vediamo intere città contornate da mura (Od., vii, 44; Il., xviii, 514). Le poderose mura di Troia e della città dei Feaci fanno pensare alla città indicata da un muro fra due alte torri sul tondo d'argento di Palestrina, (Giglioli, L'arte etrusca, tav. 29,1). Incitamento a fortificarsi davano i pericoli da parte dei Cimmeri ed altri, ai quali erano esposti i Greci dell'Asia Minore. Le acropoli dentro le città persero naturalmente più o meno la loro funzione di fortificazione, quando le città vennero cinte di mura.
Confrontando il materiale archeologico (Scranton, Greek Walls, 1941) bisogna però dire che le descrizioni omeriche sorprendono per l'impressione, che esse dànno, di una monumentalità delle mura cittadine imprevista in tale periodo primitivo. D'altro canto la città (Troia) sul cratere di Kleitias e di Ergotimos nel Museo Archeologico di Firenze, come anche il materiale archeologico, provano che l'architettura muraria verso il 600 a. C. era già assai progredita.
Nella città-tipo dello Scudo di Achille compaiono porto e navi (Od., vii, 43; cfr. i, 183) ed una piazza, ἀγορά (Il., xviii, 497; cfr. Od., vii, 44) con un cerchio di pietre levigate per i giudici. In Troia la piazza si trova davanti l'alta porta del palazzo di Priamo (Il., vii, 345); anche Nestore in Pilo aveva sedili di pietra levigata (Od., iii, 406). Il palazzo del re dei Feaci col suo lusso di tipo evidentemente orientale sorgeva nei densi quartieri della città (Od., vi, 298); tutta la descrizione di Itaca (Od., ii, 1 s.; xvii, 264 s.) indica che anche il modesto palazzo di Ulisse si trovava fra le case cittadine, ἐν πολλοῖσιν. Inconclusiva è la descrizione delle città montanare di Pilo e di Pherai (Od., iii, 484 s.) come anche del palazzo magnifico di Menelao, che ricorda quello feace (Od., iv, 71). Nonostante l'arredamento diverso di questi palazzi, il tipo rimane lo stesso, mègaron con cortile (αὐλή) ε pròpylon. Lungo le strade della città rappresentata sullo Scudo di Achille (Il., xviii, 496) erano case con πρόϑυρα. Templi sono ricordati poco fuori di Troia (Il., i, 39). I sacelli senza dubbio erano ancora modesti modelli dei mègara dei nobili, come fanno supporre gli avanzi dei più antichi templi absidati o rettangolari (ad esempio a Kalydon, Thermos, Dreros, Gortina, Perachora; il tempio di Artemide Orthìa) e le riproduzioni fittili di case o templi dall'Heraion ad Argo e da Perachora (v. vol. ii, fig. 566), città ed i palazzi su acropoli fortificate, le tombe colossali e gli abitati aperti della civiltà micenea. Il carattere favoloso del mègaron dei Feaci e di Menelao rammenta l'Oriente contemporaneo, palazzi come quello di Hama in Siria, nonostante che il tipo architettonico fondamentale mègaron-cortile-pròpylon fosse sopravvissuto ai secoli di decadenza e stesse per incominciare un nuovo sviluppo nei templi e nell'architettura domestica dei tempi storici. Le città greche dei poemi omerici e l'alloggiamento di Achille a Troia pare evidente che rispecchino i palazzi e le città contemporanee alla poesia omerica e alla ceramica geometrica.
L'impressione di Troia è un po' differente. Il palazzo costruito in pietra con cortile porticato fiancheggiato dalle file grandiose delle abitazioni dei figli e delle figlie pare, benché dello stesso tipo, ancora più splendido dei palazzi di Menelao e del re feace. Inoltre a Troia il palazzo reale fa parte di un vero centro monumentale, con la piazza, i palazzi separati di Ettore e di Paride (Il., vi, 313, 370), il grande tempio di Atena con la statua seduta della dea (Il., vi, 269). Attorno a questo centro monumentale, ma sempre dentro le mura, si espandono i quartieri della città. Fuori delle mura è la campagna con le fontane, le vasche e qualche monumento (Il., xxii, 147 s.; xxiv, 329) ma senza abitati.
Agli accenni omerici si uniscono avanzi come quelli di Thera o Latò a Creta e le descrizioni di Atene (Dicearco, Fr. Hist. Gr., ii, p. 254). Ad Atene riscontriamo una folla disordinata di case intorno all'Acropoli con un centro cittadino al N, che pian piano divenne l'agorà monumentale, liberata dal commercio e dall'artigianato. Aristotele (Politica, vii, 11, 2) illustra questo momento dello sviluppo della città ed accenna a speciali piazze commerciali, ma appare chiaro che per lui la città regolare era una innovazione di data recente (vii, 10, 4). Coi suoi supposti vantaggi per la difesa contro il calore e contro i venti, la città spontanea e irregolare aveva ancora una posizione dominante nella vita cittadina greca. Si sentono però i cambiamenti. I palazzi dei re e dell'aristocrazia terminavano a poco a poco la loro funzione di centri culturali, e benché talune case private - come ci mostrano Olinto, le parole sul lusso dei ricchi in Demostene (Ol., iii, 29), Tucidide (ii, 38) e quanto sappiamo sulla casa di Alcibiade (Ditt., Syll., iii, 102; Demostene, Κατὰ Μειδίου, 147) - esibissero una certa eleganza, sono le esigenze della vita cittadina che sempre più guidano, dai tempi dei tiranni fino alla democrazia matura lo sviluppo architettonico delle città. Si crea una città con elementi fissi, la bella città greca che, nel sec. IV diventerà una unità definita, pronta per l'esportazione mondiale. Già nel V sec. la vediamo riflessa nelle feste greche, nei templi e nelle mura di legno fra gli Sciti in Russia (Herod., iv, 108). Epidauro, gli scavi di Labraunda, il Mausoleo di Alicarnasso e la descrizione di Alicarnasso (Vitr., ii, 8, 10-12) ed altri centri del IV sec. a. C. mostrano questa creazione urbana, prima della sua grande espansione ellenistica.
Gli elementi fissi erano - oltre alle mura e fortificazioni, ai diversi tipi di case (tipo a mègaron conosciuto da Priene, Colofone, Asea; tipo Olinto; case a peristilio) ed alla ricchezza di monumenti - prima di tutto i templi coi loro recinti e i loro stili differenti, poi le ἀγοραί, le piazze porticate con la sala del consiglio ed altri edifici civili (come le conosciamo dagli scavi americani della ἀγορά di Atene), i teatri sviluppatisi nel VI sec. dalle aie (e forse anche scene di tradizione più antica e di tipo rettilineo), palestre, ippodromi, ginnasî, sedi di antichi tribunali - come ad esempio l'Aeropago di Atene - il Kriterion di Argo e di assemblee popolari come la Pnice di Atene, il cosiddetto piccolo teatro di Argo. Tipica in questi edifici monumentali durante il periodo classico era la libertà con la quale i varî edifici erano collocati gli uni rispetto agli altri, senza simmetria regolare. Un complesso come i propilei dell'acropoli di Atene era in origine concepito con simmetria assiale assoluta (mai però realizzata!), ma quando si trattava di piazze, recinti sacri e gruppi di edifici prevalevano il principio dell'utilità, le tradizioni locali e sacre e il desiderio di creare un bell'effetto monumentale con libertà affascinante, senza restrizioni di regolarità assiale e simmetrica. Si può aggiungere che anche le città si espandevano liberamente, e che le cinta di mura circondavano gli abitati senza regolare la forma delle città secondo concetti fissi, se non li prescrivevano la natura stessa dell'acropoli, i fiumi, ecc. Un passo di Platone (Leges, vi, 779) ci fa pensare che città montanare, in cui l'ultimo cerchio di case costituiva la fortificazione, esistessero già nell'antichità e suggerissero a Platone il sistema di difesa da lui raccomandato.
Nelle grandi capitali dell'ellenismo crescevano le proporzioni. Si nota uno sviluppo di tutti i tipi sia in grandezza, sia in altezza, e un arricchimento delle decorazioni e delle piazze monumentali. Città dell'Asia Minore come Pergamo, Priene, Mileto, Colofone e Magnesia ci dànno, insieme colle descrizioni di Strabone ed altri, e ritrovamenti in Egitto e altrove, un'idea anche delle grandi città, di Alessandria, Seleucia, Antiochia, ecc., come i primi periodi di Palmira illustrano l'ellenismo di Seleucia sul Tigri ed altri centri orientali. Pompei ci riproduce l'ellenismo occidentale di Napoli, di Taranto, Siracusa, ecc. Il Foro porticato di Pompei, il teatro, la palestra, le colonne, le pitture, gli stucchi e tutta l'eleganza delle case: tutto rispecchia la vicinanza delle città greche, nonostante le tradizioni italiche manifeste nella forma del Foro, nella pianta dei templi e delle case. Vediamo in Mileto, in Priene bouleutèria (cfr. Vitr., vii, 6, 5) che attestano tendenze a creare sale grandi, benché il grande sviluppo di questo genere di architettura dovesse poi venire con gli ampi soffitti di legno (Cass. Dio, lv, 8; Plin., Nat. hist., xxxvi, 102) e le vòlte di cemento dei Romani. Sono da aggiungere le accademie, le biblioteche e le istituzioni universitarie come il Mouseion di Alessandria. Generalizzando si può dire che nelle città ellenistiche si riscontrano proporzioni maggiori e monumentalità e ricchezza aumentate; e che tuttavia la città ellenistica continua e rinnova, ma non riforma, la città greca dei secoli V e IV. Una novità importante è però rappresentata da tendenze di simmetria ed assialità - manifeste in complessi come il mercato N di Mileto, Lindos e l'Asklepieion di Coo - dovute forse ad influenze orientali, forse allo sviluppo dell'architettura ellenistica in Italia, donde già nel II sec. a. C. venne un architetto come Cossutius.
Strabone rivela nella descrizione del suburbio di Nikopolis fuori di Alessandria che l'architettura ellenistica romana, (cfr. qui di seguito, par. 4, b) sviluppatasi nei tre ultimi secoli a. C. e descritta da Vitruvio nel V libro, destò sensazione anche nei vecchi centri ellenistici, quando, sotto Augusto, cominciò ad influenzare le varie città dell'Impero. Per l'agorà di Atene riscontriamo ciò sia nelle tendenze di simmetria assiale imposte dagli architetti augustei, sia in edifici come l'Odeon o il mercato di Cesare ed Augusto. Qui ci troviamo davanti all'urbanismo tipico dell'Impero Romano, col suo sincretismo delle varie tradizioni del mondo mediterraneo (cfr. Vitr., vii, praef.), in special modo dell'Italia, ed inoltre di influenze orientali. In una città come Timgad vediamo il piano della città sul tipo dei castra, maturato in Italia negli ultimi secoli a. C., unirsi a tradizioni di architettura domestica ellenistica, in contrasto apparente con città del tipo romano: e in tutto l'Impero si sentono i risultati della versione romana dell'architettura ellenistica, costituente un elemento nuovo, distinto: come ad esempio nel tempio di Traiano a Pergamo, con la disposizione assiale del recinto sacro fra gli edifici ellenistici.
Al sistema della città greca apparteneva, oltre all'architettura monumentale, una importante architettura utilitaria. Fontane pubbliche, acquedotti e fognature elaborate e razionali fanno una bella mostra in confronto con le città orientali. Qui compaiono anche bagni del tipo conosciuto dalle terme stabiane di Pompei, con grandi palestre e disposizione libera. Porti con darsene interne scavate e fari appartenevano all'attrezzatura esterna (ad esempio in Alessandria; cfr. Strab., C 795); c'erano inoltre mura e fortificazioni sempre più perfezionate, porte monumentali ed un migliorato sistema stradale. Le aspirazioni estetiche dell'architettura funzionale, apprezzate da Aristotele e da altri, si sentono anche nell'interno delle città, nei mercati - come quello di Mileto o la piazza commerciale di Pergamo - con file di botteghe del tipo di ogni tempo, già discusso per la Creta minoica, e portici continui davanti alle larghe porte delle botteghe. Magazzini in Pergamo e altrove, l'arsenale di Philon al Pireo (IV sec.) ed altri edifici utilitari conosciuti attraverso la letteratura o i resti monumentali attestano quelle cure, al tempo stesso pratiche ed estetiche, nel creare i necessaria (per usare il termine tecnico dei Romani; cfr. Front., De aquis i, 16), che Aristotele riassume in Polit., vii, 11. Di pari passo andava la cura delle vie e di tutto il corredo della città, affidata ad impiegati speciali come gli astynòmoi di Atene (Aristot., Polit., l) o di Pergamo (Ath. Mitt., xxvii, 1902, p. 47, n. 71).
A tutti questi sforzi urbanistici greci si ricollegano gli intenti di creare una pianta regolare delle città. Pare evidente che questa attività, impedita nelle vecchie città irregolari come Atene, poteva svilupparsi soltanto nelle colonie o nella ricostruzione di città distrutte, come Mileto (dopo il 494 a. C.). È impossibile dire se i Greci abbiano subito influenze dall città regolari dell'Egitto; ad ogni modo il piano regolatore greco ha le sue prime origini nel VI sec., e si manifesta in pieno con Ippodamo da Mileto (v.), autore del piano del Pireo e di Thurioi. Gli scavi del Robinson ad Olinto ci dànno una visione chiara dei risultati dei lavori urbanistici del V sec. (circa 443-348 a. C.). In contrasto col vecchio borgo sulla collina S vediamo una città regolarissima tipo scacchiera con vie dritte, incrociate ad angoli retti, quartieri egualmente proporzionati ed orientazione fissa delle case N-S (cfr. Vitr., vi, 7, 3; vi, 3, 10).
Uno schema a reticolato regolare si può ricostruire a Mileto e a Rodi (nella riedificazione del 408-7); ma gli esempî più importanti di planimetria regolare della fine del VI e del V sec. si hanno nelle colonie greche d'Italia (Metaponto, Selinunte, Paestum, Agrigento, Napoli, Pompei, Locri, Eraclea, ecc.) e anche in città etrusche (Capua, Marzabotto). In tutti questi esempî non abbiamo semplicemente l'applicazione di principî ortogonali (come già, per esempio, a Smirne e a Casmene nel VII sec.), ma vediamo un piano funzionale elaborato in base a precisi principî teorici: ritmica alternanza di vie larghissime (πλατείαια) e stretti vicoli (στενωποί), creazioni di isolati allungatissimi attestati col lato breve sulle grandi arterie longitudinali, orientamento degli isolati con l'asse prevalentemente in direzione N-S, adozione di basi metriche fisse (lato breve degli isolati di 1 actus, o, meno frequentemente, 100 piedi; lato lungo di 1000 piedi o 1 stadio, ecc.); le piazze sono spesso ritagliate nel reticolo urbano, gli edifici sacri invece non di rado escono da questo tessuto; le mura hanno di solito perimetro irregolare. L'uniformità del disegno urbanistico sembra dimostrare soprattutto preoccupazioni egualitarie nell'edilizia privata. All'atto della fondazione dovevasi progettare l'intero piano urbano, che prevedeva gli sviluppi futuri oltre le zone effettivamente costruite, come vediamo a Pompei. In questo tipo, che compare simultaneamente in tante città a partire dalla fine del VI sec., non possiamo non riconoscere l'u. attribuita dagli antichi a Ippodamo di Mileto, il quale non ne fu l'inventore, ma dovette contribuire - con l'opera di teorizzatore e con la realizzazione di importanti piani come quelli del Pireo - al perfezionamento di un'u. già esistente.
Quanto alla città circolare ad anelli concentrici del mito platonico dell'Atlantide o alla città circolare a raggiera di un celebre passo degli Uccelli di Aristofane (995-1009), i confronti col materiale archeologico portano ad escludere un'allusione a città reali: si tratta perciò di discussioni teoriche forse ispirate a tipi urbanistici orientali. In fine, la perfetta coincidenza (addirittura nelle misure degli isolati) del piano di Marzabotto ci porta necessariamente alla insospettata conclusione che Marzabotto, lungi dall'essere il modello caratteristico dell'u. etrusca, non è che una perfetta imitazione della città greca. Lo stesso sembra possa dirsi per Capua.
Grande è poi la fortuna che lo schema ippodameo (sviluppato in poche varianti, e di solito con una riduzione della lunghezza degli isolati) ebbe nel IV sec. e in tutta l'età ellenistica: Cnido, Priene, Coo, Solunto, Alessandria, le città seleucidi in Siria, come Dura Europos, Antiochia sull'Oronte, Aparnea, Laodicea sul mare, ecc.
Meno chiarificatore è il materiale riguardo alla distribuzione degli artigiani e della vita commerciale da un lato, e dall'altro delle abitazioni dentro le città. In Olinto la vecchia città sulla collina S e la Avenue B evidentemente servivano come bazar della città. In Priene le file di botteghe si affollavano lungo la via principale e l'agorà, in Pergamo attorno all'agorà commerciale. A Pompei, prima del II sec. a. C. e della distribuzione delle botteghe nelle case ad atrio in tutta la città, il commercio e le botteghe si concentravano nei dintorni del Foro ed in special modo lungo la via Consolare, la via del Foro e la via degli Augustali. In Dura Europos vediamo nel centro della città tipici souk e un khan, che somiglia all'edificio di Eumachia ed al macello di Pompei o agli horrea dì Roma e Ostia. Anche fonti letterarie suggeriscono - come i ruderi - una divisione tra quartieri di abitazione e quartieri di bazar destinati al commercio e alla produzione industriale, come nell'Oriente fino ai nostri tempi e già nell'Età del Bronzo ad Ur, in Egitto ed a Gurnià cretese. La città ellenistica era probabilmente di solito bassa. Si notano però eccezioni caratteristiche, città che per scarsezza di terreno o per l'incremento rapido ricorrevano all'"aiuto dell'altezza", come dice Vitruvio per Roma (ii, 8, 17). Strabone ne fa menzione per Tiro (C 757) e per Arados in Siria (C 753), Pomponio Mela per Phoinike (ii, 103). Le ricerche a Sabratha rivelano case di abitazione con piani superiori che - come le case di Timgad e delle altre città africane - esibiscono un tipo differente da quello romano e senza dubbio ellenistico, il che è reso naturale dal clima e dalle condizioni geografiche.
Modelli ceramici e le colonne di Aksum probabilmente illustrano l'architettura domestica di Alessandria. Questo materiale indica che le case alte ellenistiche ordinariamente non avevano botteghe al pian terreno, ma quartieri di abitazione. È verisimile che le loro tradizioni architettoniche e sociali sopravvivano nella strana architettura domestica a molti piani che ancora si ritrova in Arabia (Shibam) e a Tunisi; come la casa greca del tipo di Olinto pare tuttora viva nelle città greche di oggi (The Architectural Review, giugno 1948). Dal punto di vista urbanistico, il tipo di città creato dall'ellenismo evidentemente si trasformò poco nei periodi romano e bizantino e sopravvive tuttora come eredità dai tempi medievali in poi, nonostante i cambiamenti della società e dei tipi ed esigenze dell'architettura ufficiale.
4. - Italia. -a) L'urbanistica italica arcaica. - Bisogna mettere in evidenza che fino ad ora non esiste materiale comprovante che in Italia esistessero tradizioni antiche di piano regolatore delle città intere. Roma era - come mostrano abbondantemente le fonti (ad esempio Tac., Ann., xv, 38; Strabo, C, 235; Liv., v, 55; Diodor., xiv, 116) - una città sviluppatasi senza piano regolatore, disordinata e confusa come l'antica Atene. Cicerone (De lege agr., xxxv, 96) pone in contrasto il disordine delle colline di Roma, le vie strette e tortuose, le case alte, con le città della pianura campana, con città cioè basse e regolari come lo erano i quartieri della città bassa di Pompei. I quartieri fuori del castrum di Ostia, invece, mostrano, nonostante la posizione in pianura, una mancanza di piano regolatore che, ancora negli ultimi secoli a. C., rammenta le descrizioni della vecchia Roma. La vecchia Pompei intorno al Foro e al Foro triangolare esibisce soltanto varie tendenze di regolarità e testimonia, piuttosto, che neanche nella Campania sannitico-etrusca dominava prima del V sec. a. C. un piano regolatore delle città nel vero e proprio senso della parola. Nessuna delle antiche città etrusche ci dà qualche prova sicura di piano regolatore. Le città greche dell'Italia probabilmente vennero cinte di mura già nei loro primi secoli, ma la storia delle mura ciclopiche, poligonali, dell'opus siliceum (Vitr., i, 5, 8) o dell'opus quadratum, dell'Italia centrale e settentrionale - sia che si tratti di cinte vere e proprie, sia di poderosi muri di terrazzamento che sostenevano le pendici delle rocche (cfr. ad esempio Dion. Halicarn., ix, 68) - comincia soltanto nel V secolo. Le mura ebbero il loro primo grande sviluppo nell'Italia centrale durante le guerre tra le città etrusche, i Celti e Roma e dopo la conquista romana (dal IV fino al I sec. a. C.). Soltanto allora cominciano nel nostro materiale le prove fisse di quella sistemazione e regolamento della forma esterna secondo esigenze fortificatorie, che caratterizza l'u. in Italia e rivela un forte controllo dello Stato. Le vecchie e ricche città etrusche, latine, ecc., evidentemente, oltre ad acropoli fortificate, come ad esempio il Campidoglio di Roma, l'acropoli di Ardea e di Veio, avevano soltanto la difesa naturale offerta dalle loro colline, ed aggeri e fosse per proteggere i lati aperti: così ad esempio Ardea, Anzio e probabilmente Roma prima delle cosiddette Mura di Servio Tullio, del 378 a. C., e di eventuali restauri delle fortificazioni delle colline dopo la catastrofe gallica del 390 a. C. Bisogna rammentare che ancora nel I sec. a. C. potevano essere in uso palizzate di legno (Aeclanum: Appian., Bell. civ., i, 551) e cinte murarie di mattoni crudi (Arezzo: Vitr., ii, 8, 9).
La disciplina etrusca presentava riti di fondazione (pomerium e sulcus primigenius), ma quando si considera che le più antiche città, se possibile, erano collocate su colline, le regole riguardanti il pomerium e il sulcus primigenius paiono secondarie e connesse con le colonie etrusche e romane in pianura. Inoltre Dionigi di Alicarnasso (i, 88) in contrasto a Plutarco (Romulus, ii) racconta del solco che limitava la Roma primitiva quadrata: notizia però che può essere una conclusione fatta posteriormente, sulla base delle tarde colonie e città romane perfettamente regolari e delle eventuali pretese di vecchie tradizioni ad esse connesse. Bisogna dire che anche la testimonianza di Servio (ad Aen., i, 422) secondo cui una città doveva avere tre porte, tre vie e tre templi è molto malsicura e che non è facile farla concordare con le città romane a croce centrale e quattro porte.
Si è per lungo tempo discusso sull'esistenza di una u. etrusco-italica basata sull'incrocio ortogonale di cardini e decumani, e modellata ritualmente ad imitazione del templum celeste: un tale piano sarebbe dimostrabile in base all'interpretazione dei testi dei gromatici, alla Roma Quadrata, e particolarmente all'esempio di Marzabotto, divisa da cardini e decumani orientati astronomicamente. Questa teoria, che risale a K. O. Müller e a H. Nissen, è ormai da abbandonarsi, poiché il riferirrento archeologico che poteva essere ritenuto un chiaro esempio di applicazione dei principî rituali del templum etrusco, cioè la pianta di Marzabotto, non può considerarsi che un'imitazione esatta della coeva città greca; i testi dei gromatici non si riferiscono affatto all'u. ma alla disciplina augurale e alla limitatio agraria; la Roma Quadrata, come si è detto sopra, è probabilmente un'invenzione. Parimenti non sembra fondata la teoria di E. Kornemann, che vede nella consacrazione della città come un templum ciò che distingue l'urbs dall'oppidum.
b) Lo sviluppo urbanistico di età romana. - Le città fondate dai Romani hanno quasi sempre una planimetria regolare, ma possiamo distinguere in esse una varietà di tipi. Anzitutto un tipo - di chiara derivazione ippodamea (v. ippodamo) - caratterizzato da una divisione in rettangoli allungati, dalla mancanza di un incrocio assiale, dal perimetro delle mura irregolare; così sono varie città fondate nel IV e III sec. a. C.: Norba, Alba Fucens, Volsini, Cosa, Faleri Novi. Un secondo tipo, che costituisce una novità rispetto ai precedenti greci, è quello comunemente definito (ma a torto) del castrum; esso è caratterizzato dall'incrocio di due grandi strade (a cui si vuol dare il nome di cardine e decumano, presi a prestito dalla centuriazione) nel centro della città (dove di solito è il Foro), e dal perimetro quadrangolare; così sono molte città, a partire dal IV sec. a. C.: Ostia, Minturno, Pyrgi, Terracina, Fondi, Rimini, Piacenza, Bologna, Parma, Lucca, Pavia, Alife, Venafro, ecc. Il tipo doveva poi dare la forma definitiva alle città dell'Impero Romano: a N Colonia Agrippina, ad O le città galliche e britanniche colle loro abitazioni del tipo di villa a portico (Journ. Rom. Stud., xli, 1951, p. 25 ss.), a S Timgad colla sua architettura ellenistica e Antinoupolis in Egitto, ad E Antiochia in Pisidia.
Una variante di questo tipo si ha in alcune città in cui l'incrocio degli assi fondamentali non avviene nel centro ma è nettamente spostato su di un lato (possiamo vedervi un ricordo dell'analogo schema dell'accampamento): così Torino e Aosta. Nel secondo tipo, gli isolati si avvicinano molto al quadrato (che ha spesso il lato molto vicino ai 2 actus); molto rari gli schemi con isolati rettangolari molto allungati, come Cartagine e Zara. Bisogna anche rammentare gli sforzi, spesso vani, ispirati dall'u. regolare, di introdurre un piano regolatore nelle vecchie città, come Roma, che ne erano prive (Suet., Nero, 16; Tac., Ann., xv, 43).
Delle vecchie città conosciamo templi di tipo etrusco con altari avanti le scale, capitolia e Fori irregolari come lo era il vecchio Foro romano. Pare evidente che le vecchie sedi delle assemblee popolari, come il comitium del Foro romano, vennero sistemate secondo i modelli greci. Anche da notizie letterarie apprendiamo che ad esempio il Foro romano - come le agorà greche (Arist., Pol., vii, 11, 2), - venne liberato il più possibile dal commercio e acquistò forensis dignitas (Varr., Nonius, 532). Vediamo il risultato a Pompei, dove le botteghe del Foro vennero traslocate in mercati speciali, mentre il Foro fu sistemato con simmetria assiale e forma bislunga secondo le tradizioni italiche (Vitr., v, 1, 2); ma nello stesso tempo provvisto di portici greci e di un Capitolium, con la solita fusione di stile greco e pianta italica. Tutto l'insieme è un adattamento tipico dei risultati dell'u. greca in Italia, eventualmente anche della disposizione simmetrica del tardo ellenismo che probabilmente venne a rafforzare le vecchie tendenze di simmetria assiale in Italia. Nel Foro romano come nel Foro di Paestum rimanevano botteghe nei portici (Vitr., v, 1, 2. Le tabernae novae davanti alla Basilica Aemilia, e le vecchie, che nella Basilica Iulia furono rifatte dietro la basilica stessa). Soltanto Silla e Cesare diedero - per quanto possibile - al Foro romano la simmetria assiale e la monumentalità manifeste nel Foro di Pompei e, in forma meno perfetta, ad esempio, a Cosa e Minturno.
La città greca nella sua forma ellenistica si fa in tal modo sentire in Italia come in tutto il mondo ellenistico-romano, formando in Italia un nuovo tipo di città con tradizioni locali e forma greca e con una scelta propria di edifici e locali pubblici secondo le esigenze della vita nazionale e lo sviluppo storico. È questa città italica ellenizzata che Vitruvio descrive nei suoi libri quinto e seguenti, ripetutamente ponendo in contrasto la sua consuetudo italica con la consuetudo greca (v, 1, 1; v, 7, 1; v, 11, 1; vi, 7, 1, ecc.). È una città nuova, di carattere misto greco-italico, coi suoi templi di pianta italica ed architettura greca, altari e recinti davanti alle facciate d'ingresso (Dion. Halicarn., iv, 61; Tac., Hist., iv, 53), con le piazze allungate, porticate, simmetriche, le basiliche con aedes e cioè carattere di assialità (Vitr., v, 1, 7); coi bagni sviluppantisi a poco a poco sul tipo delle terme romane, con simmetria rigorosa, con anfiteatri come quello di Pompei, teatri del tipo romano (Vitr., v, 6-7) come quello di Pompeo e quello di Marcello a Roma, vie porticate (Ostia, ecc.). Vitruvio esalta l'importanza degli architetti romani (vii, Praef., 17) nonostante il fatto che la loro opera fosse tutta compiuta senza marmo, e cioè in tufo o in travertino, con decorazioni fittili e stucchi imitanti il marmo. Infatti è chiaro che furono gli architetti di Roma degli ultimi secoli a. C. - maestri come Cossutius - a formulare il programma, che, nonostante le ripetute influenze del mondo ellenistico, dominò l'architettura monumentale in marmo dei primi secoli dell'Impero colle sue accresciute dimensioni. La città imperiale, non si spiega senza comprendere la organica, efficace e lunga elaborazione degli elementi greci ad opera della Roma repubblicana. I risultati romani - sia la rigida simmetria assiale, sia la tecnica e le misure - si sentivano come grandi modernità anche nel mondo ellenistico. Addirittura rivoluzionaria appariva la costruzione in cemento (opus caementicium) perfezionata in Roma durante i due ultimi secoli della Repubblica, con facciate rivestite da tufelli o, dopo Tiberio, da mattoni cotti, e le vòlte grandi, la cui gettata era resa possibile dall'uso di tale materiale. Questo fatto introduce nell'u., come mai prima, sale vaste per assemblee (invece dei Fori), come anche per bagni, mercati, ecc. Elementi attinti dalle regioni ellenistiche dell'impero e dal mondo parthico e persiano continuavano a fondersi con questa architettura romana divenuta un dialetto dominante nell'architettura dell'Impero. Una nuova epoca venne però soltanto con l'architettura monumentale del tardo Impero, senza facciate classicistiche, illustrata dal sarcofago detto della Traditio legis (Laterano n. 174, adesso nelle Grotte Vaticane), da edifici come la Curia del Foro romano, la basilica di Costantino sulla via Sacra, la basilica di Treviri e infine da basiliche paleocristiane, eredi di questa tarda architettura.
I Romani si vantavano di essersi dedicati più dei Greci al sistema stradale, alle cloache, agli acquedotti, e cioè all'equipaggiamento pratico delle città (cfr. ad esempio Strab., C 235). Il vanto riportato da Strabone costituiva tutt'altro che una carattenstica esauriente. Da un altro punto di vista era anche pretesa infondatissima rispetto all'u. utilitaria greca ed ellenistica, che in realtà fu precorritrice quasi dappertutto. Bisogna però ammettere che, in special modo a Roma, l'attrezzatura utilitaria della città acquistò una grandezza incomparabile e fu diretta da esigenze estetiche, formulate già da Cicerone (De orat., iii, 180), Frontino (De aquis, i, 16) ed altri autori classici. Gli acquedotti, gli horrea di Roma ed Ostia, mercati come quello di Traiano ai Fori Imperiali e quello di Ostia alla via della Foce, le terme, ecc., ci fanno presente la nuova grandiosità di questa architettura imperiale. Come nel caso del piano regolatore, degli accampamenti e dell'architettura monumentale, vediamo che l'impulso greco si verificò già nei tempi repubblicani. Oltre a teatri e anfiteatri coi loro ludi, bagni, ecc. sono da notare, fra altri elementi, mercati dei tempi sillani a Tivoli e Ferentino di un tipo precursore di quelli traianei, horrea del tipo dei tempi imperiali (Ostia), sale absidali che facevano parte dei muri di cinta dei Fori (Tivoli; Palestrina: Sueton., De grammaticis, 17; teatro di Pompeo: Plut., Brutus, 14); e che sono prodromi delle sale absidali dei Fori di Augusto e Traiano in Roma. Anche qui il programma viene fuori come un risultato dell'attività architettonica repubblicana, con le influenze ellenistiche implicite e trasformate dal III sec. a. C. in poi. Lo stesso vale per il sistema grandioso delle vie lastricate entro le città e per tutto l'Impero e per la sistemazione dei sepolcreti. Le tombe fantastiche dei ricchi - corrispondenti alle domus delle città - le sale sotterranee dei colombarî, le città di casette con urne cinerarie o, dal II sec. in poi, con sarcofagi, loculi, arcosoli, ecc. per cadaveri non cremati, perfezionavano soltanto i prototipi repubblicani, come lo facevano nelle città i Fori imperiali, le terme, i templi e le basiliche di marmo, i palazzi imperiali e nobili con il loro lusso internazionale e la disposizione ereditata dalle case e palazzi ad atrio e dai peristilî repubblicani. È dappertutto una continuazione e nello stesso tempo un ingrandimento colossale e un lusso nuovo accolto con critica severa o con entusiasmo già dai suoi primordi repubblicani.
Tutti questi elementi rinnovati, ingranditi e lussuosi entravano in Roma nella grande soluzione dei problemi di una città grande, senza dubbio di circa un milione o più di abitanti, che inaugura una nuova epoca urbanistica nella storia mondiale. Oltre ai ruderi di Roma ed Ostia e la Forma Urbis, il catalogo delle quattordici Regioni di Roma ne è il grande documento. Spiccano tendenze collettive. Circhi, teatri, terme ed acquedotti, cloache, latrine pubbliche, horrea, ecc. rappresentano una comunanza più sviluppata e monumentale che nell'u. precedente. Incomparabile è il centro monumentale che - con i suoi portici, templi, teatri, circhi, bagni con parchi, fori, basiliche, i palazzi imperiali del Palatino - si estendeva in Roma dallo Stadio di Domiziano (Piazza Navona) fino agli Orti di Mecenate. La folla di chiese della Roma paleocristiana continua questa tradizione urbanistica, combattendo l'enorme collettivismo pagano coi suoi santi locali. Le case d'affitto di Roma sono incomprensibili se non vengono considerate alla luce di questo sistema collettivo. (Si veda in particolare la voce roma).
La città tipica dell'Italia nei tempi storici, come la vediamo a Pompei e ad Ostia repubblicana - aveva due tradizioni differenti di architettura, e cioè da un lato case ad atrio ed altre case signorili con cortili interni e facciate chiuse; dall'altro lato camere conglomerate e file di botteghe della forma consueta, già discussa per la Creta minoica, le città greche, ecc.: le tabernae o ἐργαστήρια. Sulla base delle botteghe si sviluppava in Roma un'architettura speciale delle case d'affitto, dovuta - come dice espressamente Vitruvio (ii, 8, 17) all'immensa moltitudine della plebe. Come nel caso dell'architettura ellenistica e semitica, le case a molti piani si presentano a Roma come eccezione locale, speciale ed isolata. Le case signorili, le domus, rimanevano dentro la tradizione delle case ad atrio e peristilio. Questa minoranza nobile ebbe nel IV sec. d. C. una rifioritura elegante - come mostrano gli scavi di Ostia - evidentemente ispirata allo sviluppo dei palazzi dei ricchi nelle province ed in special modo in Siria.
Di gran lunga più numerose erano case d'affitto o condominî, di quattro o cinque piani, sviluppati sopra le file di botteghe. Le leggi imperiali limitavano l'altezza a circa venti metri (Augusto, 70 piedi romani; Traiano, 60) e fissavano una serie di prescrizioni, ereditate poi da Costantinopoli. Gli appartamenti sopra le botteghe erano accessibili per mezzo di scale e avevano portoni sulle strade. Questa architettura domestica ebbe dunque le sue origini nelle botteghe, nell'architettura della plebe e della piccola borghesia, benché nei tempi imperiali fosse realizzata con grande solennità ed eleganza e qualche volta anche provvista di cortili interni del tipo dei peristilî signorili (palazzo di tutti, per usare la denominazione del Calza).
Livio già dal III sec. a. C. ci fa conoscere una casa di almeno tre piani sul Foro Boario (xxi, 62). Cicerone (De lege agr., II, 35, 96) pone in contrasto le case a più piani di Roma con quelle delle città campane. Vitruvio (ii, 8, 17) ci descrive la sistemazione di questa architettura elevata, trascurata e scomposta. Con l'opera a sacco (opus caementicium) i Romani costruirono eccellenti abitazioni di altezza e capacità sufficienti. È un processo di miglioramento continuo e progressivo. Negli ultimi decennî del I sec. d. C. (verso il 70 ed in seguito) venne il perfezionamento finale, con la copertura di opera laterizia in mattoni cotti e con tipi di pianta fissi. I resti monumentali, la Forma Urbis ed il catalogo delle regioni mostrano che era questa l'architettura domestica tipica a Roma e ad Ostia. Pompei conferma che essa influenzava le città d'Italia già nei tempi sillani (Terme del Foro) e poi, nella forma finale, dei tempi imperiali (Portico tulliano). Questa architettura domestica rappresenta l'eredità predominante trasmessa dalla Roma imperiale ai tempi medievali, ed alla Rinascita, ispirata dai ruderi antichi, verso la fine del Medioevo e durante i secoli XV e XVI.
Pare evidente che quest'ultimo e più grande sforzo dell'architettura domestica dell'antichità fosse tipico per Roma e dintorni, mentre nel mondo ellenistico e nelle province dell'O vivevano altre tradizioni, sia greche, sia (come in Inghilterra e Gallia) provenienti dall'architettura delle ville. Questa differenza trova riscontro anche nei diversi sistemi sociali. A Roma e ad Ostia c'erano molti mercati e bazar (come ad esempio il piccolo mercato e la Casa del Larario ad Ostia). C'erano anche una minoranza di case d'affitto senza botteghe, con appartamenti anche a pian terreno. Assolutamente tipico per tale sistema era però il fatto che sia le botteghe per il commercio e l'artigianato come i pianterreni adibiti ad abitazione proletaria erano distribuiti per tutta la città, occupando cioè il piano terra delle case d'affitto. Tale comunione di botteghe ed appartamenti d'abitazione era in origine congeniale con questo tipo di architettura basata sulle file di botteghe. A Pompei, e anche dalle testimonianze letterarie su Roma (Liv., xxxix, 44, 7; xxxxiv, 16, 10) vediamo che botteghe furono introdotte anche nelle case ad atrio, occupando i vani a destra e sinistra del vestibolo. Anche questo adattamento secondario contribuiva a distribuire le botteghe in quartieri originariamente destinati ad abitazione. Questo sviluppo formava un sistema sociale differente da quello delle città con quartieri di bazar e quartieri di abitazione distinti gli uni dagli altri, come nell'Oriente e nell'Africa di oggi e probabilmente già nel mondo ellenistico. È evidente che il sistema romano in Italia, diffuso - grazie all'ispirazione dell'Italia medievale e del Rinascimento - nell'Europa occidentale, è sopravvissuto come forza formativa nella vita cittadina fino ai tempi moderni.
Bibl.: E. Kornemann, Polis und Urbs, in Klio, V, 1905, p. 72 ss.; C. O. Thulin, Die etruskische Disciplin, III. Die Ritualbücher und zur Geschichte und Organisation der Haruspices, in Göteborg Högskolas Årsskrift, XIV, 1909, p. 37 ss.; F. Haverfield, Ancient Town Planning, Oxford 1913; G. Cultrera, Architettura ippodamea, in Mem. Acc. Lincei, XVII, 1923, pp. 357-603; A. v. Gerkan, Griechische Städteanlagen, Berlino-Lipsia 1924; F. Trisch, Die Städte des Altertums und die griechsche Polis, in Klio, XXII, 1928, p. i ss.; E. Fabricius, K. Lehmann-Hartleben, in Pauly-Wissowa, III, A, 1929, c. 1982 ss., s. v. Städtbeau; E. Kornemann, Heilige Städtbildungen in Die Antike, VIII, 1932, p. 105 ss.; G. Lugli, L'urbanistica nel mondo etrusco, italico e romano, estratto da L'Urbanistica dall'antichità ad oggi, Firenze s. d., posteriore al 1943; W. A. Mc Donald, The Political Meeting Places of the Greeks, Baltimora 1943; A. Boethius, Roman and Greek town Architecture, in Göteborg Högskolas Årsskrift, LIV, 1948, fasc. 3; H. W. Fairman, Town-planning in pharaonic Egypt, in The Town-planning Review, XX, 1949, pp. 32-51; R. E. Wycherley, How the Greeks built cities, Londra 1949; W. B. Dinsmoor, The Architecture of Ancient Greece, Londra-New York 1950, pp. 212-214; 262-264; 330-335; H. Frankfort, Town-planning in Ancient Mesopotamia, in The Town-planning Rewiew, XXI, 1950, pp. 98-115; R. W. Hutchinson, Prehistoric Town-planning: Crete, in The Town-planning Review, XXI, 1950, pp. 199-220; R. Martin, Recherches sur l'agora grecque, Parigi 1951; R. E. Wycherley, Hellenic Cities, in The Town-planning Review, XXII, 1951, pp. 103-121; A. Boethius, Die hellenisierte italische Stadt der römischen Republik, in Acta Inst. Athen. Regni Sueciae, 4°, II, 1953, p. 172 ss.; R. W. Hutchinson, Prehistoric Town Planning in and around the Aegean, in The Town-planning Review, XXIV, 1953-1954, p. 5 ss.; R. Naumann, Architektur Kleinasiens, Tubinga 1955; J. B. Ward Perkins, Early Roman Towns in Italy, in The Town Planning Review, XXVI, 1955, p. 127 ss.; R. Martin, L'Urbanisme dans la Grèce antique, Parigi 1956; F. Castagnoli, Ippodamo di Mileto e l'urbanistica a schema ortogonale, Roma 1956; A. W. Lawerence, Greek Architecture, Middlesex 1957; A. Kriesis, Ancient Greek Town building, in Acta Congressus Madvigiani, IV, Copenaghen 1958, p. 27 ss.; J. Lauffray, L'urbanisme antique en proche Orient, ibid., IV, 1958, p. 7 ss.; E. Egli, Geschichte der Städtebaues, I, Die Alte Welt, Zurigo-Stoccarda 1959; L. Crema, L'architettura romana, Torino 1959; A. Boethius, The Golden Hause of Nero, Ann Arbor, I, 1960; F. Castagnoli, Recenti ricerche nell'urbanistica ippodamea, in Arch. Class., XV, 1963, pp. 180 ss.; A. Giuliano, Urbanistica delle città greche, Milano 1966.