Urbisaglia (Orbisaglia)
Città della Marca d'Ancona, ai limiti fra i territori di Macerata e Fermo, ricordata da D. perché al suo tempo in completa decadenza. Cacciaguida infatti nell'illustrare al congiunto come la confusion de le persone [cioè, da quanto risulta dal contesto, l'inurbamento delle popolazioni rurali, causa principale dei disordini intestini] / principio fu del mal de la cittade, esemplifica: Se tu riguardi Luni e Orbisaglia / come sono ite, e come se ne vanno / di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia (Pd XVI 67-75). Un legame fra la causa esposta da Cacciaguida e il motivo reale della caduta delle città portate ad esempio non è storicamente accettabile; sappiamo infatti che causa principale della decadenza di Luni fu l'interramento del suo porto avvenuto nel corso dei secoli mentre la rovina di U. dipese, secondo quanto narra Procopio di Cesarea (De Bello gothico II 16), dalla distruzione infertale dai Visigoti di Alarico. Tenuto conto che un simile elenco di città distrutte è in Ovidio (Met. XV 287 ss.) e che la rovina delle suddette città non era così assoluta come vuole D., si può desumere che per il poeta questo sia un semplice riferimento letterario. In particolare, infatti, per quanto riguarda U. sappiamo che al tempo di D. esisteva presso i resti della città romana un borgo fortificato con una sua vita autonoma non dissimile dai tanti altri che fiorirono nell'Italia centrale. Voler poi desumere, sulla base di questa menzione dantesca, una presenza del poeta nelle Marche meridionali è azzardato; infatti l'accenno a U. è il solo che il poeta faccia a questa parte della regione, e si serve proprio di una reminiscenza erudita, mentre si può supporre che avrebbe ben altrimenti sfruttato una conoscenza diretta.
U. è città di deduzione militare, dovuta probabilmente alla gente Salvia; e pare che già subisse gravi danni durante le guerre civili, per soddisfare cupidigie di soldati. Fu municipio fiorente, ebbe un monumentale anfiteatro e molte lapidi illustrano le magistrature. L'umanista Panfilo ricordava ancora nel sec. XVI i suoi teatri: " Salvia quae fuerat ternis celebrata theatris / Nunc iacet et paucis est habitata viris... ".
La causa prima della decadenza di U. si può far risalire, come si è detto, alla distruzione infertale dall'esercito di Alarico nonché al successivo passaggio di altre orde guerriere, ma fu senz'altro favorita dalle trasformazioni socio-economiche del primo Medioevo, tanto che la città divenne cava di pietre e conci per edifici sacri e profani, come testimonia l'abbazia di Chiaravalle di Fiastra. Il prevalere dei comuni circostanti, in particolare San Ginesio e Fermo, che con la sua diocesi giunse fin sulle alture di Macerata, ostacolò ogni possibile risorgere di U. che al ternpo di D. era un borgo fortificato di discreta entità come dimostra un atto del 27 novembre 1297, col quale Fidesmido di Pietro, signore del luogo, impegna per settecento fiorini d'oro " castrum Urbesalias, cum burgo, ierone, turribus palatiis et omnibus aliis iuribus, fortellitiis... quae habet in dicto castro, girone et territorio et districtu castri praedicti " all'università e al sindaco di San Ginesio. Questa descrizione della U. medievale può essere assunta a riprova di come il poeta non avesse conoscenza diretta del luogo.
Bibl. - G. Colucci, Delle Antiche città di U. e Pollenza, in Antichità Picene, XII, Fermo 1791, 139-182; F. Panphili, Picenum, ibid. XVI, ivi 1792, 71-72; G. Colucci, Memorie Storiche di San Genesio, Appendice, ibid. XVIII, ivi 1793; F. Allevi, U. e il canto XVI del Paradiso, Falerone 1949; F. Caraceni, Memorie Storiche di U., Urbania 1951; ID., I Salvi di U., ibid. 1958; B. Belloni, U., Macerata 1950; F. Allevi, Poesia delle rovine, Roma 1956; ID., Il Balcone della Sibilla, Milano 1960; G. Piergiacomi, Le ultime lapidi romane scoperte ad U., Macerata 1960; G. Fatini, Il Canto XVI del Paradiso, in " Convivium " n.s., XXIX (1961) 648-665; F. Allevi, Con D. e la Sibilla ed altri, Milano 1965; M. Natalucci, D. e le Marche, Bologna 1967, 18-19.