Utilitarismo (Utilitarianism)
(Utilitarianism) Opera di J. Stuart Mill, originariamente pubblicata in tre parti nel Fraser’s magazine, tra l’ott. e il dic. del 1861, quindi raccolta in volume e pubblicata a Londra nel 1863. Strutturato in cinque capitoli (I. Considerazioni generali; II. Che cos’è l’utilitarismo; III. La sanzione ultima del principio di utilità; IV. Quale tipo di prova si possa ammettere per il principio di utilità; V. La connessione fra giustizia e utilità), il saggio intende fornire a un più ampio pubblico «un qualche contributo per comprendere e valutare meglio la teoria dell’utilitarismo o della felicità»; e non si tratta soltanto di una difesa dell’utilitarismo, ma anche, e soprattutto, di una sua revisione critica. J.S. Mill accetta senz’altro la classica definizione del principio di utilità formulata da Bentham, secondo cui l’unica condotta moralmente approvabile è quella che persegue la massima felicità, ossia il massimo piacere; tuttavia la psicologia edonistica benthamiana appare all’autore troppo semplicistica, tesa com’è a distinguere solo quantitativamente i piaceri e i dolori in gioco. Sostenendo invece anche una differenza qualitativa del piacere, l’utilitarismo milliano include i desideri di quegli individui che si sono perfezionati attraverso l’educazione. Nel calcolo utilitario, quindi, l’individuo, dato il giusto peso ai bisogni elementari, deve rivolgere i suoi sforzi al soddisfacimento dei superiori bisogni propri della natura umana. L’importanza dell’educazione emerge con chiarezza nell’analisi dell’obbligazione morale: se i sentimenti morali non sono innati ma acquisiti, è necessario educare le associazioni psicologiche più utili alla collettività; e l’associazionismo etico di Mill ha il suo fondamento interno «nei sentimenti sociali dell’umanità: nel desiderio, cioè, di essere in unione con i nostri simili»; è quindi la stessa vita sociale che ci educa e radica in noi sentimenti disinteressati.