CORTE, Valerio
Nacque a Venezia nel 1530 da Ferdinando, di nobile famiglia pavese, e crebbe in quell'ambiente culturale sollecitato dai più vari interessi. R. Soprani, il quale lo descrive abile letterato e forbito conversatore, ci informa, nella vita del figlio Cesare, che il C. ne curò personalmente I'istruzione (p. 101 n.). Quanto all'apprendistato pittorico avrebbe frequentato Tiziano per specializzarsi nella ritrattistica, ma non sappiamo se il biografo trae la notizia da fonti certe. D'altronde non stupirebbe che Tiziano, appartenente ad una élite di valori paradigmatici selezionata dalla trattatistica cinquecentesca, fosse coinvolto arbitrariamente da un'opera biografica locale a carattere spesso agiografico qual è quella del Soprani. Comunque il C. restò poco a bottega e nel 1550, sui vent'anni, si allontanò da Venezia per darsi alla milizia mercenaria in terra di Francia al seguito di Piero Strozzi; ma di passaggio a Genova, vi si trattenne (il suo arrivo nella città potrebbe essere un po' anticipato, perché nel 1550 nasceva il figlio Cesare). Qui prese in moglie una nobildonna genovese, di cui ignoriamo il casato, Ottavia Sofia, comprò casa, e, con lo smalto di una cultura sprovincializzata e il fascino delle doti personali che il biografo gli riconosce, si ritrovò subito introdotto nell'élite culturale genovese che si andava formando su apporti romani e toscani, non di rado accademici. La sua "distinta abilità nel fare ritratti sul gusto Tizianesco" (ibid., p. 397), impossibile da spendere a Venezia, si rivelò una scelta di campo operata con perfetto tempismo; ma nella sua attività pittorica l'iscrizione all'albo dei pittori è a tutt'oggi l'unica notizia documentata.
Meno ancora si può dire della qualità artistica e tecnica della sua pittura: nessuno dei numerosi ritratti di scuola veneta nei depositi delle gallerie genovesi gli può essere attribuito documentariamente, anche se l'Alizeri ipotizzava che avrebbero potuto essere suoi molti dei ritratti sparsi nelle gallerie private genovesi e spropositatamente attribuiti a Tiziano. D'altronde il Soprani, che lo descrive distratto da altri interessi, invita a ridimensionare quantitativamente la sua produzione pittorica.
Altra cosa è il suo ruolo di sollecitatore culturale e di mercante d'arte. La stessa amicizia con Luca Cambiaso si configura come un rapporto fra l'intellettuale e il pittore, ben diverso dal sodalizio tecnico operativo Bergamasco-Cambiaso.
I suoi suggerimenti vanno collocati su un piano promozionale, come quando rifornisce l'amico di carta reale per i suoi disegni con l'occhio attento alle quotazioni di mercato. Nella stessa prospettiva va collocata la biografia del Cambiaso redatta dal C. con disinvolta abilità di letterato. Ne conosciamo la misura attraverso quella del Soprani che se ne servì abbondantemente per sua stessa ammissione e che spesso cita singolarmente le notizie tratte da lui, attente alle sfumature che rivelano la figura virtuosa, conforme ai canoni più aggiornati di un "ritratto d'artista": gioventù in fama di prodigio, facilità e rapidità di esecuzione, semplicità e modestia.
Fu certamente un agente del mercato d'arte, soprattutto di disegni, promosso dal collezionismo divulgante, che a Genova, negli anni intorno alla metà del secolo e oltre, aveva già una piazza importante. Egli stesso era collezionista; la sua quadreria, che vantava tavole di Tiziano, Veronese e Andrea del Sarto, fu il tramite più attendibile della diffusione dei veneti nelle collezioni genovesi, precoce rispetto ad altre città italiane, e già avvertibile come influenza sui pittori contemporanei. Anche la sua casa, ricca di suppellettili, era un esempio, ancora inusuale a Genova, di quella dignità dell'artista che s'impose come segno di distinzione negli ultimi decenni del sec. XVI.
Il C. si era iniziato all'alchimia negli anni giovanili nell'ambiente culturale veneziano, spregiudicato ed anche in seguito assai poco toccato dalla Controriforma. Questa propensione alle dottrine esoteriche, riaffiorata negli ultimi anni della sua vita, sembra contraddire una figura di artista che appare così esemplarmente costruita sui canoni della maniera accademica, e in fondo viene ad esemplare come certi fermenti di cultura "anticlassica" sopravvivano sotterranei, specie nelle culture periferiche, ben oltre la metà del sec. XVI.
Il C. spese tutti i suoi averi nella pratica alchimistica, impegnò i suoi quadri e morì in povertà a Genova nel 1580.
Un documento del 4 ag. 1574 (Arch. di Stato di Genova, Not. Ant. Tittello), in cui Battista Perolli testimonia che il C. aveva ricevuto in prestito 100 scudi d'oro da Luca Grimaldi su pegno di due quadri, attesta purtroppo questa desolante decadenza. Dei molti figli, due soli si avviarono alla pittura, Cesare e Marco Antonio, che però morì accidentalmente prima d'aver intrapreso la carriera.
Fonti e Bibl.: R. Soprani-C. G. Ratti, Delle vite de' pittori... genovesi, I, 1768 (rist. anast., Bologna 1969), pp. 79, 82 s., 100 s., 397 s.; F. Alizeri, Guida artistica... di Genova, II,Genova 1847, p. 77 n. I; F. Caraceni Poleggi, La committenza borghese e il manierismo a Genova, in La pittura a Genova e in Liguria, Genova 1971, pp. 245, 256 s., 276, 311 s.; U. Thieme-F. Becker, Künsterlexikon, VII, pp. 481 S.