Valletta dei principi
La parte inferiore della montagna del Purgatorio, dopo un primo e un secondo ripiano, o cinghio, verso sinistra face di sé grembo (Pg VII 68), e forma una cavità, una valletta (lacca, seno, lama: vv. 71, 76, 90), soave per mille odori, colorata dall'erba e dai fiori; è contornata da un rialto, quasi riparo (VIII 97), chiamato lembo o balzo o sponda (VII 72, 88; VIII 32), che è rotto a un certo punto, quasi per dare adito.
D. e Virgilio, guidati da Sordello, vi giungono tagliando a sghembo la costa per un sentiero ora erto ora piano, prima che il sole sia scomparso, e sostano in un punto più basso del margine della V., donde meglio si possono ‛ conoscere ' gli atti e i volti di coloro che vi dimorano. Qui Sordello indica, facendone i nomi, alcuni di quegli spiriti: l'imperatore Rodolfo d'Absburgo, colui che più siede alto (VII 91), Ottocaro II re di Boemia, Filippo III l'Ardito re di Francia, Enrico I di Navarra, Pietro III d'Aragona e di Sicilia, Carlo I d'Angiò, Alfonso III d'Aragona, Enrico III d'Inghilterra, e quel che più basso tra costor s'atterra (v. 133), Guglielmo VII Spadalunga, marchese di Monferrato. La rassegna si limita a questi otto principi, ma dà occasione per richiamare con severe note di biasimo discendenti e successori: così nel presentare Ottocaro II, Sordello aggiunge il biasimo per il figlio e successore Venceslao IV cui lussuria e ozio pasce (v. 102); alla presentazione di Filippo III e di Enrico I associa la vibrata condanna del mal di Francia (v. 109), Filippo il Bello, figlio di Filippo e genero di Enrico; Pietro III e Carlo d'Angiò hanno avuto la triste sorte di avere come successori figli indegni (Carlo II, figlio di Carlo I; Giacomo II e Federico Il, figli di Pietro III); Enrico III d'Inghilterra, inetto e debole, ha nel figlio Edoardo I migliore uscita, migliore discendenza, mentre il figlio di Guglielmo VII, Giovanni I, fa pianger Monferrato e Canavese (v. 136). Quando i poeti ‛ avvalleranno ' tra le grandi ombre, D. incontrerà Ugolino (Nino) Visconti, governatore della Gallura, e Corrado Malaspina, signore della Lunigiana.
La V. fa pensare al Paradiso terrestre (il Benini ipotizzò addirittura che essa sia una parte del Paradiso terrestre precipitata per il terremoto del Venerdì Santo), per i bei colori della vegetazione, per alcune espressioni come bel soggiorno (Pg VII 45) e simili, per la venuta del serpente e per la stessa allusione di D. al serpente dell'Eden (una biscia, / forse qual diede ad Eva il cibo amaro, VIII 98-99). Per la concezione del bel prato adorno di fiori che si stende nella V., come per il nobile castello (If IV 106 ss.), D. si sarebbe ispirato ai Campi Elisi di Virgilio nel VI dell'Eneide (D'Ovidio), ma anche alla pittura coeva (il D'Ancona ricordò il " verziere " del Trionfo della morte nel Camposanto di Pisa), e il Buck, rifacendosi al Curtius (Europäische Literatur und lateinisches Mittelater, Berna 1954, 202 ss.), ha osservato come alla descrizione dantesca abbia contribuito un po' tutta quanta la tradizione letteraria del locus amoenus.
Perché vi si trovano raccolti i principi? Per essere anime dell'Antipurgatorio, deve trattarsi di principi negligenti. Nella voce ANTIPURGATORIO si sostiene che, pur essendo quelle dell'Antipurgatorio anime di negligenti, in quanto tutte tardarono a pentirsi, una qualificazione così generica ed estesa è resa tuttavia insufficiente dalla loro varietà, dalle schiere stesse in cui si dividono e si raccolgono, per cui occorre specificare il termine, al fine di adeguarlo alla reale struttura morale dell'Antipurgatorio; e si è precisato che il ritardo a pentirsi è, in sostanza, qualcosa di essenzialmente negativo, un non fare che denuncia un non essere (" Negligens dicitur quasi nec eligens ": così Isidoro, citato da s. Tommaso): sicché quelle anime debbono dirsi negligenti, conferendo al termine un valore evocativo di mancanza, scarsità, insufficienza, per cui il loro Antipurgatorio costituisce la loro integrazione. Nel caso dei principi della V., non pare possa ridursi la loro negligenza al fatto che essi pregarono poco, che trascurarono di chiedere l'aiuto divino per l'adempimento dei loro doveri (Forti), perché allora D. avrebbe dovuto incontrare nella V. con i principi innumerevoli altri cristiani di ogni categoria. Il principe di D. dev'essere tal che fia nato a cignersi la spada (Pd VIII 146) - s. Paolo dice che il principe è colui che " non... sine causa gladium portat " (Rom. 13, 4) -; certo, dovrà anche pregare, ma è quella e non questa la differenza specifica fra il principe cristiano e il suddito cristiano. Dio non comandava ad essi soltanto la preghiera, ma anche l'azione, ed è in questa che furono specificamente carenti.
Va tenuto ben presente che il motivo di fondo della questione è che i principi della V., con tutto ciò che evocano o ricordano, sono l'Europa, prima di essere questa o quella persona: essi rappresentano l'Europa in crisi per difetto d'impegno umano, per viltà e anarchia, per egoismo di parte e per rilassamento morale. Anche se contro di essi non viene portata alcuna specifica accusa (anzi, in taluni casi, esplicite lodi), quei principi son tutti rei di non aver lottato come avrebbero dovuto contro l'andazzo anarchico e incivile della loro Europa disordinata; essi sono stati, per mollezza di sentimenti e forse di costumi (qualche antico interprete ricondusse senz'altro la ragione del confino nella V. alla loro vita troppo agiata), complici o preparatori dei delitti che guastano la cristianità; e la loro colpa è stata, sotto tale profilo, proprio a livello di deficienza umana, di trascuratezza o paura, e costituisce perciò peccato non mortale ma veniale. E la loro integrazione come avviene? Si direbbe che D. ha posto come epigrafe ideale della V. un'affermazione dell'aristocrazia come responsabilità. Commenta l'Ottimo a Pg VII 81: " Questo luogo figura sì bello l'autore negli occhi di questi negligenti quasi in modo di pena: ché per questo si grava loro più l'aspettare ad andare in quello regno dove sono gli angelici fiori ": e, in effetti, bisogna dire che essi mostrano di soffrire e pregare e aspettare più delle altre anime dell'Antipurgatorio. In quel bel soggiorno le anime apprendono che la loro dignità di principi è tanto rispettabile e valida da essere onorata, in qualche modo, nell'oltretomba: ma ciò costituisce per essi un aumento di pena, e, insieme, un aspetto della loro integrazione. Anzi, quella V., che in certo senso prefigura il Paradiso terrestre, costituisce, per ciò stesso, un doloroso contrapasso per anime che nella vita terrena, tralasciando di assumere il loro ufficio come eroico servizio dell'ideale, quasi pretesero di trovarsi, per così dire, in un Paradiso terrestre di vita ‛ cortese ' e di scarsa milizia morale. L'integrazione viene attuandosi, altresì, attraverso un esercizio continuato di carità reciproca e di rispetto delle gerarchie (contro l'anarchia e gli egoismi dell'Europa disordinata): si osservi come appaiono ripartite e ravvicinate quelle anime. E similmente è proprio quella legge d'integrazione che spiega il ‛ mistero ' (nel senso di " sacra rappresentazione ") del serpente e degli angeli.
Come appare dal comportamento tutt'altro che improvvisato delle anime della V., la sacra rappresentazione dell'arrivo della mala striscia dev'essere quotidiana o almeno periodica, anche se con probabili variazioni; e se è destinata in certo senso a integrare le loro deficienze, non si deve pensare che il serpente si presti intenzionalmente a tale funzione. Non v'è dubbio che la mala striscia somigli molto a quella concupiscentia che D. descrive in Ep V 18; ma concupiscentia, nel linguaggio teologico, comprende tutti e sette i vizi capitali, del resto notoriamente connessi fra loro: sicché, non ci si può fermare a una semplice interpretazione allegorica, mala striscia = concupiscentia, sotto pena di trasformare la V. in un inutile riassunto di tutto intero il Purgatorio. E allora occorre trovare una motivazione specifica, che per chi scrive è nel fatto che il serpente va nella V. spinto solamente dal suo odio; egli rappresenta il non esaurito tentativo diabolico di sovvertire l'ordine civile per sostituire al Sacro Impero il dominio dell'Anticristo, al quale l'anarchia dei principi europei prepara le vie. L'arrivo della mala striscia rivela ai principi quanto gravi siano le conseguenze di un errato comportamento politico, non solo sul piano immediatamente storico, ma anche escatologico. E se nell'Antipurgatorio (v.) le anime devono compiere un atto di carità che cancelli la colpa - e non ancora la pena - dei peccati veniali deliberati (e ciò comprende inevitabilmente la possibilità opposta, quella cioè di non emettere quell'atto di carità, cadendo così in una lieve colpa o, meglio, permanendo in quella condizione di lieve colpa in cui si trovano), il tentativo del serpente potrebbe avere un certo effetto ritardante. Cioè, i principi potranno o partecipare interiormente all'azione dei due angeli buoni, discesi dal cielo contro il serpente, o lasciarsi spaventare interiormente dalla presenza dell'angelo cattivo: ed è a questa seconda alternativa che mira il serpente (anche se, essendo scontata la sconfitta di questo, permane al quadro nel suo insieme la natura di " sacra rappresentazione "). E allora i due angeli, mentre permangono personaggi di sacra rappresentazione, sono anche difesa concreta per i principi contro quel pericolo.
Di questi due angeli D. non dice che emettessero splendore, al contrario di tutti i loro congeneri del Purgatorio e del Paradiso; li riveste con il colore che è simbolo della speranza; li arma di spade che essendo spuntate rappresentano una forza limitata, indebolita e per ciò stesso eroica; li fa sorgere dal grembo di Maria, che è quanto dire da una base di umane virtù e umane facoltà (e la funzione politica è funzione umana per eccellenza). Lo stesso canto del Salve, Regina è congruo a queste anime. Qui la Vergine è invocata come integrazione dell'umano: in quella preghiera sono trasferiti sul piano della mistica i moduli espressivi della cavalleria, quelli cioè che ponevano la donna come esemplare cui i cavalieri adeguavano le loro virtù, come ideale di perfezione e di pienezza umana al quale essi s'ispiravano. Anche i due angeli intervengono, analogamente a quel che fa il Messo celeste, contro forze malvagie che vorrebbero ritardare e impedire il progresso spirituale dei principi, e, forse, anche agire in qualche modo contro la missione di Dante. Dopo che i due angeli hanno respinto il serpente, a D. è aperto il Purgatorio, così come, dopo che il Messo celeste è intervenuto, devono aprirsi le porte di Dite.
Sulla funzione di guida assunta da Sordello nella V. occorre ovviamente riferirsi al celebre planh per la morte di Blacatz e all'Ensanhamen d'onor, cioè a quei versi di Sordello che si sono ispirati a temi etici e politici, e che D. dovette particolarmente ammirare, anche se " gli spunti suggeriti dal nostro maggiore trovatore si sono convertiti nel clima del Purgatorio in novella poesia " (Buck). Gli è che in Sordello D. oggettivizza sé stesso e, più precisamente, sé stesso in quel momento del suo spirituale divenire. Astraendo dall'uomo reale, D. trasse dal " compianto " per la morte di Blacatz un Sordello dallo sguardo leonino, una figura impulsiva, generosa, coraggiosa, fornendola del suo stato d'animo, dei suoi sentimenti, dei suoi ideali; la configurazione spirituale di Sordello corrisponde a quella di D., segnata dalle dure esperienze e ancor più dalla profondità del pensiero e dall'ardente speranza trascendentale. Al D. della Commedia, che si viene collocando au-dessus de la melée, per partecipare alla storia con la serenità e la forza di chi a l'etterno dal tempo è venuto, corrisponde un Sordello che presenta i principi della V. con un'attenta composizione in cui si avverte il superamento di ogni odio di parte (e si pensi al superiore distacco che pone, almeno inizialmente, fra sé e quelli: Pg VII 85-90). Per tutto questo, e per altre ragioni (cfr. Pasquazi, pp. 263-269, 324-329, 335-339, 354-357), ci sembra insufficiente ridurre il Sordello dantesco semplicemente a simbolo poetico dell'amor di patria o del sentimento cittadino.
Bibl. - A. D'Ancona, Il canto VII del Purgatorio (1900), in Lett. dant. 809-823; F. D'Ovidio, Nuovi studi danteschi: Il Purgatorio e il suo preludio, Milano 1906, 413 ss.; M. Rocca, La piccola vallea, Napoli 1908; A. Masséron, Dante, Purgatoire VIII et st. Bernard, Sermones de diversis, XLII, in " Annales du C.U.M " V (1951-1952) 151-155 (ritiene possibile fonte della tentazione dei principi della V. il XLII Sermone di s. Bernardo); L. Pietrobono, Dentro e d'intorno la picciola vallea dell'Antipurgatorio, in Saggi danteschi, Torino 1954, 203-223; G. Petronio, Il canto VIII del Purgatorio, in Lect. Scaligera II 261-285; F. Forti, Il dramma sacro della " mala striscia ", in " Giorn. stor. " CXLVI (1969) 481-496; ID., Il canto VIII del Purgatorio, in Letture Classensi III, Ravenna 1970, 295-322; A. Buck, Il canto VII del Purgatorio, in Nuove Lett. IV 1-18; G. Fallani, Il canto VIII del Purgatorio, ibid., pp. 19-34; S. Pasquazi, All'eterno dal tempo, Firenze 1972², 311-369, 592-594; D. Heilbronn, Dante's Valley of the Princes, in " Dante Studies " XC (1972) 43-58.