Valori costitutivi e riforme istituzionali
Dopo l’esito del referendum costituzionale, politici, giuristi e scrittori di attualità, nel corso del 2017, hanno dedicato attenzione soprattutto ai problemi reali della società italiana, ai tentativi di riforma del sistema elettorale e agli equilibri internazionali, mentre una parte degli specialisti di diritto costituzionale ha continuato a interrogarsi, non senza ragione, sui temi più specifici posti dall’utilizzazione del referendum popolare nella logica della procedura di revisione costituzionale. Pur mantenendo le distanze da letture demagogiche o populistiche o dalla mitizzazione delle esperienze passate, gli studi in tema di diritto e di scienza politica hanno dedicato maggiore attenzione alle aspettative della gente comune, agli spazi della vita collettiva e alla comunicazione sociale.
Il dibattito tra giuristi, tra politici e tra scrittori di attualità sviluppatosi a ridosso del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 ha visto almeno apparentemente contrapporsi due “fronti”, uno favorevole e l’altro contrario alla revisione costituzionale, anche se è parso fin dall’inizio chiaro che i due “schieramenti” fossero tutt’altro che compatti e omogenei. La constatazione che il corpo elettorale ha rifiutato una riforma costituzionale affrettata e non sufficientemente meditata potrebbe essere letta come un segno di vitalità politica del Paese, purché lo si faccia evitando di fermare l’attenzione su un esame troppo puntuale delle ragioni che possono aver motivato il voto contrario a una riforma istituzionale che era stata condivisa dalla maggioranza dei membri del Parlamento. Occorre grande cautela nel considerare le polemiche che si sono sviluppate nel corso del dibattito che ha preceduto la consultazione elettorale, come anche nell’immaginare che si possa continuare in futuro a fare appello a giudizi del popolo, largamente imprevedibili nei loro contenuti politici e nei loro esiti fattuali, come a un rimedio fisiologico per avviare un effettivo rinnovamento del Paese. Nel corso del 2017, dopo il rifiuto da parte della maggioranza del popolo di condividere nel loro insieme riforme che, nelle intenzioni dei loro sostenitori, avrebbero dovuto allineare il Paese allo sviluppo istituzionale, economico e politico delle democrazie europee più efficienti e meglio organizzate, si è cercato di guardare con maggiore realismo alle esigenze territoriali e sociali, all’insieme degli equilibri politici internazionali e al mutare degli orientamenti collettivi. È appena il caso di ricordare, sia pur brevemente, che la parziale ri-scrittura della Costituzione, nella sua parte organizzativa, secondo le scelte prevalse nel nostro Parlamento, avrebbe soprattutto dovuto trasformare il modello bicamerale e lo stesso sistema partitico nazionale1, ampliare alcuni compiti dello Stato, ridurne altri delle Regioni a statuto ordinario, abolire le Province e il CNEL2, e riformare il procedimento legislativo, facendo fronte ai problemi che nascevano dall’introduzione di diverse procedure legislative, una bicamerale e l’altra monocamerale. Gli orientamenti manifestatisi durante lo svolgimento della campagna referendaria non hanno rispecchiato sempre il modo di sentire e di vedere della maggioranza del popolo, non solo in ragione della varietà e complessità dei temi coinvolti dal testo della legge costituzionale, ma anche per l’effetto distorcente dell’uso dei mezzi di comunicazione che hanno cercato di incidere sullo stesso significato politico generale della consultazione. Nella logica dell’art. 138 Cost., il ruolo del referendum costituzionale nei processi di scrittura o riscrittura dei testi costituzionali non può essere considerato alla stessa stregua delle consultazioni referendarie tipiche di altre esperienze costituzionali, nelle quali alla pronuncia popolare si riconnette talora un vero e proprio valore costituente3. La funzione svolta concretamente dal referendum costituzionale nella prassi italiana merita di essere valutata caso per caso anzitutto in relazione al modo in cui si inserisce la pronuncia dell’elettorato nella dialettica tra maggioranza e opposizione, fino a assumere talora persino una valenza “oppositiva” nei confronti dell’orientamento delle Camere4. Si tratta di una funzione che non si lascia facilmente dogmatizzare o irrigidire in definizioni concettuali esaurienti, per l’imprevedibilità degli equilibri politici e degli orientamenti dell’opinione pubblica, fino a correre il rischio di rendere evanescente, nella prassi interpretativa dell’art. 138 Cost., persino quella finalità di garanzia giuridica e politica che secondo la migliore dottrina dovrebbe prevalere rispetto alle altre possibili utilizzazioni dell’istituto5 . Si deve ritenere che il ricorso al referendum costituzionale non possa essere utilizzato per uscire dalle difficoltà in cui si trova attualmente il diritto costituzionale italiano, così come quello europeo o di molte altre nazioni, perché i problemi di politica costituzionale richiedono valutazioni che non si lasciano eccessivamente schematizzare, facendo ricorso a miti o ideologie di democrazia diretta o di sovranità popolare. La riflessione sul mutare degli orientamenti collettivi richiederebbe conoscenze e valutazioni specifiche che non possono essere lasciate all’utilizzazione della comunicazione mediatica, né al protagonismo di singoli uomini politici. Nel corso del 2017 si è continuato a discutere sull’esito del referendum e sulla necessità di approfondire i problemi reali della società e della politica italiane, nella crescente consapevolezza che questi ultimi non si risolvono attraverso l’imitazione di congegni e modelli di organizzazione dei pubblici poteri ricavati dal diritto di altri Paesi e che per risolvere i problemi sociali e politici del nostro diritto costituzionale occorre considerare le aspettative sociali, oltre che la tutela delle minoranze, le garanzie del pluralismo istituzionale e, non ultima, l’esigenza di assicurare un grado adeguato di governabilità6. Viene spontaneo il ricordo della genesi della Costituzione del 1947, che è stata il risultato dei lavori di un’Assemblea costituente che ha chiesto tempi di riflessione particolarmente lunghi e che sono stati preceduti, accompagnati e seguiti da larghi scambi di opinioni tra intellettuali, letterati e artisti7, che hanno contribuito a suscitare nell’opinione pubblica la consapevolezza che si stava vivendo un’epoca di transizione, nella quale la scrittura dei testi costituzionali doveva procedere secondo tempi di maturazione e di discussione adeguati; basti pensare alla lunghezza dei dibattiti in Assemblea costituente a proposito delle autonomie territoriali, dei rapporti sociali e della rappresentanza politica, così come della forma di governo e dell’intero sistema delle garanzie giuridiche.
Il voto del 4 dicembre 2016 non va letto come rifiuto di ogni tentativo di riforma costituzionale e neppure come espressione di una aspirazione da parte del popolo a assumere un ruolo costituente, ma solo come un’occasione che si è offerta allo studioso di diritto costituzionale di riflettere sulle reali esigenze di rinnovamento della società, cercando di opporsi alla resistibile tendenza a concentrare l’attenzione nelle dinamiche interne ai partiti. La prima più elementare considerazione suggerita da questa vicenda è che le riforme costituzionali non dovrebbero essere avviate quando non siano sufficientemente chiariti i loro contenuti, soprattutto quando esse facciano ricorso all’innovazione costituzionale come a un mezzo per creare un più largo consenso elettorale intorno alla maggioranza oltre che un maggiore apprezzamento internazionale. L’altro insegnamento che sembra potersi trarre dall’esperienza referendaria è che occorrerebbe diffidare delle riforme costituzionali “gestite” solo dal Governo o guidate comunque dalla maggioranza governativa, senza che si tenti almeno da parte dei promotori delle riforme di prendere contatto con la gente comune e con i diversi settori della società. La scrittura o la riscrittura delle Costituzioni non dovrebbe essere considerata uno strumento giuridico o politico per risolvere problemi interni ai partiti della maggioranza, perché la scrittura dei nuovi testi costituzionali dovrebbe potersi appoggiare sul confronto tra le opinioni dei cittadini, compresi quelli che restano estranei alla dialettica partitica e ai conflitti economici e finanziari. Le Costituzioni storiche dei diversi Paesi europei rispecchiano il mutare delle concezioni valutative prevalenti nella società in ordine alla garanzia di alcuni equilibri economici e sociali e possono anche essere dettate dall’alto, purché abbiano radici in orientamenti che rispondano a dinamiche sociali e politiche che trovino effettivo riscontro nella collettività. Le procedure di revisione costituzionale variano profondamente da un ordine costituzionale all’altro, e assumono una valenza politica e giuridica che non può essere sottovalutata, almeno negli ordinamenti in cui la scrittura delle Costituzioni mantenga un’importanza centrale nell’esperienza giuridica. La previsione poi di un’eventuale o necessaria partecipazione popolare al procedimento di revisione risponde a funzioni diverse nei diversi ordini costituzionali, ma questo non autorizza disinvolte operazioni che affidino le fortune politiche di correnti interne a un partito all’affrettata ri-scrittura di alcune disposizioni costituzionali.
Un primo profilo che non va trascurato è proprio quello di una riflessione sulla prassi interpretativa dell’art. 138 Cost., che ha progressivamente accentuato la funzione di garanzia giuridica propria del referendum costituzionale nel quadro del procedimento di revisione, dimostrando ancora una volta che l’uso del referendum non può essere considerato come un mezzo normale al fine di realizzare facili innovazioni costituzionali. Il referendum costituzionale previsto dalla Costituzione italiana non può essere considerato alla stregua di altre consultazioni referendarie possibili in esperienze costituzionali straniere, nelle quali, per tradizione, alla pronuncia popolare si tende a riconnettere un vero e proprio valore costituente. Un altro profilo, che non va trascurato e al quale si è già accennato, è rappresentato dal peso rilevante che ha assunto nella recente consultazione popolare il giudizio sulla personalità del leader che si era impegnato a condurre in porto le riforme, assumendosene la responsabilità e tentando talora persino di anticiparne i tempi di attuazione legislativa8. Si può ricordare inoltre che, nel corso della campagna a favore o contro l’insieme delle riforme costituzionali, è stato fondatamente respinto il tentativo esperito da parte di autorevoli costituzionalisti di proporre uno “spacchettamento” del quesito referendario al fine di consentire al popolo una valutazione separata dei diversi interrogativi rientranti nella complessiva richiesta referendaria, in modo da trasformare la valutazione d’insieme sulla legge costituzionale in una consultazione popolare più specifica e puntuale sui diversi contenuti della riforma9. In effetti, anche se la separazione dei diversi quesiti riconducibili alla legge oggetto di referendum poteva sembrare apparentemente non irragionevole, non si può negare che non sarebbe stata la stessa cosa rivolgere al corpo elettorale singole domande specifiche, se non addirittura puntuali, su alcune enunciazioni della legge di revisione o tentare invece di mantenere la consultazione referendaria su una valutazione politica complessiva. Proprio da tale vicenda è apparso chiaro come la separazione del quesito referendario in più parti, con riferimento a singole previsioni di una legge costituzionale, già approvata da ciascuna Camera articolo per articolo e con votazione finale, oltre a non avere alcun fondamento testuale nella disciplina del referendum costituzionale, avrebbe finito con l’affidare direttamente al popolo l’approvazione dei singoli articoli oggetto di revisione, modificando lo stesso significato dell’utilizzazione del referendum costituzionale.
Dopo il fallimento del ricorso a procedure una tantum, come era avvenuto in occasione delle Commissioni bicamerali, e dopo le difficoltà incontrate nel trovare accordi in sedi diverse da quelle ordinarie previste dalla Costituzione, si è tornati a utilizzare la procedura ordinaria di revisione costituzionale, la cui funzione di garanzia è legata anche, come era stato sottolineato da gran parte della letteratura giuridica, alla possibilità di svolgimento di dibattiti in grado di suscitare maggiore interesse nell’opinione pubblica sui contenuti delle innovazioni costituzionali. Le regole procedurali si collegano a esigenze sostanziali che riguardano, prima del merito dei temi affrontati nel corso della procedura di revisione, il mantenimento delle condizioni di un dibattito libero e aperto che si svolga secondo tempi adeguati ad esso e che non possono essere abbreviati o ristretti discrezionalmente a seconda di accordi partitici.
Uno dei primi temi sui quali si è cominciato a discutere subito dopo l’esito del referendum è stato quello della riforma delle leggi elettorali, tenendo conto delle pronunce della Corte costituzionale (sentenza 9.2.2017, n. 35, che aveva giudicato negativamente parte dei congegni previsti dalla legge elettorale 6.5.2015, n. 52 e sentenza 13.1.2014, n. 1), che hanno posto dei limiti alla discrezionalità del Parlamento in tema di riforme elettorali, e della impossibilità di avvalersi della sola l. n. 52/201510. Va segnalato che la nuova legge elettorale deve tener conto anzitutto del mantenimento del bicameralismo paritario così come previsto dalla Costituzione non più riformata, ricordato che la l. n. 52/2015 riguardava le elezioni della sola Camera dei deputati che avrebbe profondamente trasformato il ruolo del Senato. Si può solo accennare al fatto che il bicameralismo italiano continuerà prevedibilmente a caratterizzarsi per la presenza di un Senato che svolge funzioni sostanzialmente eguali a quelle della Camera dei deputati, il che può dirsi risponda alle esigenze di una prassi parlamentare, come quella italiana, fortemente conflittuale e nello stesso tempo aperta a possibili colpi di mano.
È molto importante che i giuristi chiamati a interpretare i risultati di una consultazione referendaria non si pronuncino solo come meri tecnici, in grado di valutare esclusivamente le conseguenze formali delle decisioni prese dai detentori del potere politico o economico, ma siano consapevoli di partecipare al confronto sul significato del processo di rinnovamento istituzionale e sociale. Per consentire di riflettere sul mutare dei valori costitutivi della convivenza è necessario lasciare aperti spazi realistici che non rinuncino in principio all’approfondimento delle conoscenze storiche, umane, politiche in cui si inserisce lo sviluppo delle diverse collettività. A tal fine occorre non perdere di vista gli sviluppi del diritto internazionale, sensibile più di altre discipline al mutare dei rapporti politici, economici e sociali, che riguardano l’emergere di nuove esigenze e di fattori che incidono profondamente sulle dinamiche del diritto costituzionale e che non sono dominabili dagli equilibri interni ai partiti politici11. Nel contesto globale in cui si inseriscono la crisi sociale e politica italiana e quella internazionale sono presenti tendenze disgregatrici degli equilibri raggiunti e, al fenomeno di crescenti migrazioni di popoli, con i gravi rischi di incontrollabili reazioni collettive, si aggiunge la crescita di una diffusa corruzione degli apparati ufficiali del potere politico e burocratico. I giuristi e i politici dovrebbero considerare le ragioni che sono al fondamento delle crisi sociali e istituzionali e che orientano le interpretazioni delle dinamiche costituzionali, esaminandole con quel distacco che impone una riflessione sul mutare delle aspettative sociali e sulla psicologia collettiva, che pure assume rilievo nel consolidarsi delle istituzioni politiche e sociali, e non concentrarsi sulla considerazione delle sole conseguenze elettorali dei comportamenti dei cittadini.
Dal dibattito che ha preceduto la consultazione referendaria così come da quello che l’ha seguita è emerso chiaramente che uno dei punti che meriterebbe di essere considerato è rappresentato dall’esigenza di una riflessione critica sulla demagogia e sul populismo, perché si tratta di fenomeni che minacciano gravemente l’approfondimento dei problemi politici, sociali e costituzionali del nostro tempo, soprattutto se vengono affrontati con il tradizionale arsenale concettuale e scientifico elaborato dalla dottrina prevalente. Occorrerebbe interrogarsi direttamente sul mutare delle circostanze in cui si dibattono attualmente i problemi delle riforme istituzionali, anche in vista del concreto inserimento del nostro ordine giuridico nell’ambito delle istituzioni europee, evitando di muovere da premesse ideologiche, dogmatiche o di esegesi dei testi delle costituzioni o dei trattati, perché i nodi della politica e del diritto costituzionale e internazionale non nascono dai concetti e dalle dispute metodologiche o dottrinali. Non ci si può neppure lasciare guidare, come già detto, da astratte dottrine dirette a classificare gli appelli al popolo sulla base di schemi che riconoscano carattere di vera e propria espressione di democrazia diretta alle pronunce popolari e le considerino come segnali di svolta negli orientamenti collettivi, perché le manifestazioni del consenso popolare a partire dall’uso dello strumento referendario restano spesso ambigue e che tendono inevitabilmente a assumere imprevedibili significati politici. La soluzione dei problemi istituzionali attualmente sul tappeto è soggetta a gravi rischi quando venga affidata a procedure di democrazia diretta, la cui utilizzazione è inevitabilmente legata a equilibri difficilmente prevedibili e quasi inevitabilmente condizionabili dai più banali strumenti di comunicazione sociale. Occorrerebbe guardare più lontano delle polemiche interne alle singole collettività nazionali e locali, tenendo conto del mutare delle aspettative delle componenti sociali nel quadro dei diversi contesti storici e istituzionali, senza perdere di vista l’inserimento dei singoli ordini giuridici nazionali in un contesto europeo che riesca a superare le proprie gravi carenze originarie.
È difficile che possano riprodursi le circostanze politiche e istituzionali in cui è stato possibile il ricorso al referendum nel dicembre del 2016 e occorre perciò lasciarsi alle spalle molte delle contrapposizioni di allora, legate come sono a logiche che meritano di essere apprezzate con riferimento alle attuali dinamiche economiche, sociali e costituzionali nazionali europee. Conviene tenere distinti i problemi che riguardano il contesto europeo da quelli che riguardano quello nazionale; quest’ultimo va considerato muovendo dalla constatazione che popolo e Parlamento rappresentano valori da considerare come elementi primari del diritto costituzionale vivente e non solo punti di riferimento concettuali per l’elaborazione di dottrine sistematiche. Il popolo, in particolare, è considerato dai classici del diritto costituzionale come un punto di riferimento centrale, oggetto della riflessione di ogni studio di storia o di diritto costituzionale che non si proponga soltanto di irrigidire dottrine e concetti onde consentirne una più facile utilizzazione strumentale a finalità politiche, economiche o finanziarie, ma persegua obiettivi di conoscenza storica, sociale e valutativa dei percorsi delle diverse esperienze politiche e costituzionali. Non si può fare a meno di segnalare gli inconvenienti che potrebbero nascere da una prassi nella quale si facesse continuo appello al corpo elettorale, attribuendo al popolo poteri molto simili a quelli di un mitico potere costituente, senza considerare che il mutare degli orientamenti giuridici collettivi si inserisce in un arco di fenomeni storicosociali molto più vasto. Gli orientamenti collettivi e l’individuazione dei mutamenti dei valori sociali e politici costitutivi della convivenza seguono logiche concrete che meritano di essere considerate da vicino, senza lasciarsi sopraffare dal tecnicismo degli “esperti”, né dalle ideologie e meno che mai dai richiami agli sviluppi del diritto positivo straniero, che possono essere utili per far riflettere sulle dinamiche sociali e istituzionali nazionali ma non sono in grado di guidare le trasformazioni del nostro ordine giuridico e sociale.
Il dibattito libero e aperto che ha continuato a svilupparsi in Italia dopo la consultazione referendaria risponde anche all’esigenza dei diversi partecipanti, nel Parlamento e fuori di esso, di raggiungere un più largo consenso sull’inserimento del nostro Paese nell’ordine europeo e in quello internazionale12. Occorre tuttavia considerare che guardare all’Europa significa mettere a confronto tradizioni diverse, culture giuridiche e sociali che non possono confondersi con le tradizioni amministrative, legislative o giurisprudenziali dei singoli Paesi europei, ma vanno piuttosto inseriti nelle grandi direttive della storia sociale. Per approfondire poi gli orientamenti delle collettività, dell’opinione pubblica e delle istituzioni rappresentative, così come i rapporti tra cittadini e poteri pubblici, occorrerebbe uno studio attento delle dinamiche della psicologia collettiva, della storia delle comunità etniche e delle esigenze delle minoranze sociali presenti nel nostro paese.
1 Cfr. Ridola, P., Il nuovo bicameralismo italiano e l’Unione europea, in La Riforma della Costituzione. Una Guida all’analisi di 15 Costituzionalisti. Instantbook , Corriere della Sera, Milano, 2016, p. 42 ss.; Pinelli, C., I Senati nelle democrazie occidentali, ivi, p. 27 ss.
2 Un organo difficile da difendere in presenza di un sistema politico fondato sulla lottizzazione, oltre che su rapporti non sempre trasparenti tra potere politico e accademia e nel quale la cultura specialistica riesce difficilmente a trovare spazi di completa indipendenza; esso trova riscontro nel Wirtschaftsrat della Costituzione tedesca del 1919, significativamente eliminato dal novero delle istituzioni statali nella Costituzione federale del 1949.
3 A proposito del largo uso del referendum nell’esperienza francese, in particolare anche in tema di revisione costituzionale, come di approvazione di nuovi testi costituzionali, si veda, Duverger, M., Institutions politiques et droit constitutionnel, Paris, 1970, p. 645 ss., Ardent, Ph., Institutions politiques et droit constitutionnel, Paris, 2004, p. 175 ss, 177 ss, 179 ss., p. 183 ss.; Morabito, M., Histoire constitutionnelle de la France, Paris, 2000, p. 99 ss., p. 336 p. 365, 382, 391 e passim. Per riferimenti alla letteratura di altri Paesi, in particolare la Svizzera, si vedano citazioni soprattutto Schefold, D., Die schweizerische Regeneration, Basel, 1967, p. 10 ss.; Id., Bewahrung der Demokratie, Berlin, 2012, p. 381 ss. ed ivi citazione di Neidherdt, L., Plebiszit und pluralitäre Demokratie. Eine Analyse der Funktion des scheizizerischen Gesetzesreferendums, Berna, 1970; con riferimento all’Austria e alla Svizzera cfr. anche Autori citati da Cervati, A., La revisione costituzionale ed il ricorso a procedure straordinarie di riforma delle istituzioni, in AA.VV., Studi sulla riforma costituzionale, Torino, 2001, p. 40 ss., dove si fa breve riferimento alla partecipazione dei cantoni svizzeri alla riforma totale della Costituzione. Sarebbe interessante riflettere sull’suo dello strumento referendario in Francia come in altri Paesi, purché lo si faccia tenendo conto delle connotazioni storiche, ideologiche e sistematiche delle diverse esperienze costituzionali e non si cada nel facile errore di fare riferimento ad astratti modelli ideologici o istituzionali non radicati nelle esperienze storiche e politiche in cui hanno preso forma; si veda in proposito ancora Schefold, D., Constitutional Reform and constitutional Unity, in Italian Law Journal, 2017, p. 147 ss.
4 Per una valutazione del problema dall’utilizzazione delle riforme costituzionali ai fini del programma di governo della maggioranza, si veda Volpi, M., Riforma Renzi e riforma Berlusconi, così lontane … e così vicine, …, in Democrazia e diritto, n. 2, 2016, p. 119; per un esame della dottrina e della prassi in materia, Barbera, A., Costituzione della Repubblica italiana, in Enc. dir., Annali, VIII, Milano, 2015, p. 324 ss.
5 Sulla funzione del referendum costituzionale italiano si veda Mortati, C., Costituzione italiana (Dottrine generali e Costituzione della Repubblica italiana), in Enciclopedia dir., XI, Milano, 1962, p. 140 ss.; p. 162 ss.; p. 169 ss.; si veda anche Panunzio, S.P., in Le vie e le forme per le innovazioni costituzionali; procedura ordinaria di revisione, procedure speciali per le riforme costituzionali, percorsi alternativi, in AAVV, Studi sulla riforma costituzionale, Torino, 2001, p.75 ss.
6 V. in questo volume, Diritto costituzionale, 1.1.4 Rappresentanza politica e riforme costituzionali.
7 Si veda, Ridola, P., L’esperienza costituente come problema storiografico, in Studi L. Elia, II, Milano, 1939, p. 1401 ss.; Buratti, A.Fioravanti, M., a cura di, I costituenti ombra, Roma, 2005.
8 Cfr. Vespaziani, A., Il referendum costituzionale e la saga delle riforme istituzionali in Italia: much ado about nothing, in Revista espanola de derecho constitucional europeo, 2017, n, 27.
9 Trib. Milano, ord. 6.11.2016, ove si afferma che «è lo stesso art. 138 Cost. a connotare l’oggetto del referendum costituzionale come unitario e non scomponibile».
10 Amirante, C., Un rimedio peggiore del “male”: la doppia riforma elettorale e costituzionale, p. 11 ss., in Amirante, C., a cura di, Tra riforma costituzionale e Italicum, Napoli, 2016; Cosulich, M., La legge n. 52 del 2015 : la madre di tutte le riforme, ivi, p. 87 ss.; Vespaziani, A., Il referendum costituzionale, cit.
11 Cfr. Picone, P., Comunità internazionale e obblighi “erga omnes”, Napoli, 53 ss., 67 ss., 94 ss.
12 Si veda, Pinelli, C., Alla ricerca dell’autenticità perduta. Identità e differenze nei discorsi e nei progetti di Europa, Napoli, 2017.