valutazione
Esprimere giudizi fondati
Valutare significa esprimere giudizi intorno a fatti, oggetti, persone e loro comportamenti. La valutazione ha grande importanza in campo educativo. Nella scuola tradizionale la valutazione dell’apprendimento era basata unicamente su giudizi soggettivi espressi dall’insegnante. Verso la metà dell’Ottocento si iniziò a mettere in discussione la validità di questa impostazione e a elaborare e utilizzare metodi e strumenti per basare la valutazione del profitto scolastico su criteri oggettivi
Nella vita quotidiana, per orientare i nostri comportamenti, dobbiamo continuamente effettuare scelte e prendere decisioni, che sono il frutto di valutazioni. Per esempio, se intendiamo andare a cena fuori con amici e dobbiamo scegliere il locale, lo faremo sulla base di una valutazione comparativa tra più locali e decideremo di recarci dove riteniamo si mangi meglio o dove il prezzo è più contenuto.
Una scelta più complessa e impegnativa, come quella del corso di studi da intraprendere, sarà il risultato di più approfondite valutazioni, che ci consentano di decidere quale tipo di scuola soddisfi meglio i nostri interessi e ci permetta di realizzare le nostre aspirazioni e i nostri obiettivi.
L’oggettività di una valutazione consiste nel fatto che essa è il risultato dell’applicazione di regole rigorose, per esempio di tipo logico o matematico, o comunque di criteri in precedenza definiti o concordati e che perciò prescindono dalla soggettività di chi compie la valutazione. Nel campo scientifico la valutazione corrisponde quasi sempre a una misura: se si deve valutare, per esempio, se un oggetto è più pesante di un altro, si può usare una bilancia, che misura sempre nello stesso modo e permette di eseguire una comparazione oggettiva dei valori ottenuti.
Anche il giudizio espresso da un giudice in tribunale deve seguire principi rigorosi: una volta raccolti tutti gli elementi conoscitivi e le prove, egli prende la sua decisione applicando la legge al caso specifico, in modo da garantire che questa sia rispettata (principio di equità).
Invece i giudizi di natura estetica e quelli che, più in generale, dipendono dal gusto, dalle opinioni e dalle preferenze personali non hanno lo stesso carattere di oggettività e sono influenzati da elementi di natura soggettiva, in quanto legati a emozioni e a modi individuali di pensare, sentire e interpretare la realtà. Tuttavia, anche i giudizi di natura soggettiva possono essere basati su caratteri, se non proprio di oggettività, almeno di maggiore o minore plausibilità e fondatezza. Per esempio, se un certo brano musicale mi piace più di un altro, e quindi lo giudico ‘più bello’, posso giustificare questa preferenza sostenendo che quel brano presenta una melodia più originale o una struttura armonica più complessa e quindi più gradevole. Analogamente, posso sostenere che una pietanza è ‘buona’ perché è cotta al punto giusto o gli ingredienti sono ben equilibrati e amalgamati.
La valutazione può essere anche di natura morale, ossia può riguardare la conformità dei comportamenti di un individuo a norme e valori condivisi in una certa società.
La valutazione riveste una funzione molto importante in campo educativo. È infatti necessario verificare che, attraverso l’insegnamento, gli alunni abbiano realmente appreso quello che è stato loro insegnato. Nella scuola tradizionale la valutazione era affidata principalmente al giudizio dell’insegnante, che nel formulare le sue valutazioni era spesso influenzato da impressioni e convinzioni personali. Per esempio, il voto sul ben noto tema in classe, ancora oggi molto diffuso nelle nostre scuole, rappresenta un intricato insieme di elementi oggettivi – quali la valutazione dello stile e della correttezza sintattica e ortografica – e soggettivi, legati al gusto personale e alla sensibilità estetica. Una valutazione di questo tipo, però, non rivela grande utilità ai fini formativi, perché non consente di stabilire quali abilità di scrittura l’alunno abbia sviluppato e quali siano carenti e quindi necessitino di miglioramento.
Già verso la metà dell’Ottocento ci si rese conto che una valutazione affidata completamente al giudizio soggettivo dell’insegnante non risultava utile e neppure corretta e si affermò l’esigenza di identificare metodi fondati su criteri più oggettivi. Negli Stati Uniti si sviluppò un’ampia polemica contro la scarsa attendibilità dei criteri di assegnazione dei voti e delle procedure di svolgimento degli esami e dei concorsi pubblici. Si evidenziò, in particolare, che la valutazione è spesso influenzata da vari fattori estranei, come l’idea che gli insegnanti si sono già formata delle capacità di un alunno (effetto stereotipia), la tensione emotiva durante le interrogazioni o gli esami, il grado di fortuna connesso all’improvvisazione dell’esaminatore nel porre le domande.
Nel 1845, presso la High School di Boston, fu condotto un esperimento teso a verificare l’affidabilità dei giudizi espressi dalle commissioni nelle tradizionali prove d’esame, orali e scritte, mediante il confronto tra questi giudizi e i risultati di un test composto da 154 domande somministrato agli stessi candidati su argomenti identici. L’esperimento fu la dimostrazione che la corrispondenza fra i risultati ottenuti nelle prove orali e scritte e quelli ottenuti nel test era debolissima.
Attorno al 1930 vennero realizzate ricerche analoghe su più vasta scala, che coinvolsero studiosi e istituzioni sia degli usa sia di molti paesi europei. Particolarmente significativi furono gli studi condotti in Francia e in Belgio. Qui, un’inchiesta coordinata dallo psicologo francese Louis Piéron fornì risultati che suscitarono notevole scalpore. Furono formati sei gruppi di esaminatori e fu loro affidata la correzione di un campione di cento composizioni scritte prodotte durante gli esami di baccalaureato (con i quali si concludono gli studi delle scuole secondarie superiori). I risultati dimostrarono che tra i valutatori vi era una considerevole difformità nell’attribuzione dei voti agli stessi elaborati. Tali risultati convinsero gli esperti che nella valutazione scolastica e postscolastica – esami, prove di concorso, selezione attitudinale e così via – era necessario introdurre nuove procedure di carattere oggettivo, cioè basate su tecniche che consentissero di rendere i risultati del tutto indipendenti da fattori non pertinenti e dalla soggettività dell’esaminatore. Piéron battezzò docimologia (dal greco dokimàzo, «esamino») la nuova scienza destinata a questo compito.
Da allora a oggi i ricercatori impegnati in campo docimologico hanno elaborato un repertorio vastissimo di strumenti per la valutazione oggettiva dell’apprendimento, noti, in generale, come prove oggettive (o test) di profitto. Si tratta di prove spesso costituite da quesiti a risposta chiusa, cioè costruiti in modo che colui che risponde deve semplicemente scegliere un risposta tra una serie di alternative date. La garanzia essenziale di oggettività di tali strumenti di valutazione è data dal fatto che il risultato ottenuto dall’esaminato non cambia a seconda di chi li utilizza. La prova, inoltre, comprende una serie adeguata di quesiti che spaziano sull’intero ventaglio di temi sui quali verte l’esame.
Altre prove oggettive richiedono invece a chi le esegue lo svolgimento di un’attività più complessa. A questo tipo appartengono, per esempio, alcune prove scritte, come il riassunto o il saggio breve, che consistono nell’elaborazione di un testo secondo precise regole di composizione. In questo modo chi corregge la prova, verificando se tali regole sono state adeguatamente rispettate, può valutare sulla base di elementi oggettivi la prestazione fornita.
Si tratta, in sostanza, di veri e propri strumenti di misura dell’apprendimento, che, se opportunamente costruiti e collaudati, possiedono caratteristiche analoghe a quelle degli strumenti di misura di variabili fisiche. Al pari di una bilancia, infatti, che fornisce la misura del peso di un oggetto indipendentemente da chi effettua la pesata e da fattori legati alla situazione – come la temperatura dell’aria o il tempo atmosferico –, un test di profitto deve fornire sempre lo stesso risultato a prescindere dall’insegnante che lo utilizza e da altre condizioni esterne (come la timidezza o il grado di scioltezza nel parlare del candidato).
In Italia l’uso dei test di profitto si è diffuso soprattutto negli ultimi trent’anni, anche se le pratiche di valutazione più tradizionali, come il tema in classe o l’interrogazione, sono ancora adottate da molti insegnanti.