VANDALI
Popolazione germanica, probabilmente in origine stanziata nell'area scandinava e baltica, menzionata per la prima volta nel sec. 1° d.C. (Plinio, Nat. Hist., 4, 99).I V. compaiono regolarmente nelle fonti romane di età imperiale, specie in relazione a operazioni militari destinate ad arginarli (Tacito, Germania, 2), fino al momento in cui Costantino il Grande (306-337) concesse loro la possibilità di insediarsi in Pannonia, sottomessi al potere di Roma e con l'obbligo di fornire contingenti all'esercito.
A seguito della crescente pressione degli Unni, che alla fine del sec. 4° portò notevoli sconvolgimenti tra le popolazioni delle regioni nordorientali, nel 406, insieme ad altri popoli, i V. passarono il Reno, attraversando le Gallie, per poi insediarsi in Spagna nel 411, dopo scorrerie devastanti. L'imperatore Onorio (395-423) riconobbe i loro insediamenti, che divennero foederati. Negli anni successivi, le gravi contese tra le diverse popolazioni barbariche, in ordine ai loro rapporti con Roma, culminarono con l'alleanza tra Onorio e il re visigoto Vallia, stipulata nel 416, nel tentativo di liberare la Spagna da tutti gli altri barbari. Il rex Vandalorum et Alanorum Gunderico (m. nel 428) giunse tuttavia, nel 425, a controllare l'intera penisola iberica. Iniziarono allora i primi episodi di insofferenza religiosa tra i V., ariani, e i Romani, cattolici ortodossi.Con Genserico (428-477), che successe al fratello Gunderico, iniziò la conquista dell'Africa, in un momento in cui la presenza militare romana nell'area era particolarmente debole. Il primo stanziamento dei V. riconosciuto in Africa fu quello numidico, che ebbe come capitale Ippona e che risale al 430. Il vero inizio del dominio vandalo sull'Africa e la data iniziale del calendario della loro era coincidono tuttavia con la presa di Cartagine, il 19 ottobre 439.Nonostante l'accordo raggiunto con l'impero d'Occidente nel 442, la flotta vandala perpetrò numerosissime scorrerie piratesche, in particolare in Sicilia, Sardegna e Corsica. Nel giugno del 455, Genserico approfittò della morte dell'imperatore Valentiniano III per attaccare e saccheggiare Roma: l'intervento diretto di papa Leone Magno riuscì a limitare i danni alle chiese, rispetto a quanto era successo con i Visigoti nel 410; in due settimane fu comunque accumulato un ingente bottino e furono prese in ostaggio Eudossia, vedova di Valentiniano, e le figlie Placidia ed Eudocia; quest'ultima fu data in moglie al figlio di Genserico, Unnerico.Per quanto riguarda l'Africa, solo un'iscrizione del 429, rinvenuta ad Altava, parla concretamente di una vittima dei barbari (Courtois, 1955, p. 159), forse dei V., ma fu comunque un episodio isolato. Dopo diversi e inutili tentativi militari, l'impero d'Oriente riconobbe nel 476 il dominio dei V. nella quasi totalità delle province africane, in Sicilia, Sardegna, Corsica e nelle isole Baleari. L'esatta estensione del regno vandalo in Africa non è nota con certezza, anche se Courtois (1955) ipotizza che comprendesse le province dioclezianee dell'Africa proconsolare, della Bizacena e la metà orientale della Numidia settentrionale.A differenza di altri popoli barbarici, i V. non ebbero mai i propri storici: le fonti scritte per la loro dominazione in Africa sono quindi tutte di parte romano-bizantina: in particolare si tratta della Historia persecutionis Africanae provinciae (CSEL, VII, 1881, pp. 1-107) - commissionata dalla gerarchia ecclesiastica di Cartagine e redatta nella seconda metà del sec. 5° dal sacerdote cartaginese Vittore, originario di Vita, nella Bizacena - e del De bello Vandalico, scritto nel sec. 6° dallo storico bizantino Procopio di Cesarea (v.), che pure manifesta una velata simpatia per la dinastia vandala, legata per matrimonio alla casa imperiale costantinopolitana.Il dominio vandalo dell'Africa iniziò con il lungo regno di Genserico, dipinto dalle fonti come rozzo, cupido, iracondo e crudele spesso in modo gratuito, mentre fu sicuramente ottimo capo sia militare sia politico, come risulta in diverse occasioni. La prima parte del regno di Unnerico (477-484), caratterizzata da una politica piuttosto moderata, fu seguita negli ultimi anni da un comportamento crudele e inflessibile, forse causato da una grave malattia. Il suo successore e nipote, Guntamundo (484-496), ebbe certamente una personalità meno forte. Secondo Procopio di Cesarea (De bello Vandalico, I, 8, 13), il suo successore, Trasamondo (496-523), fu il più prestigioso e brillante dei re vandali; tuttavia le sue capacità politiche e militari - oltre quelle intellettuali - non sembrano eccezionali. Gli successe Ilderico (523-530), figlio di Unnerico ed Eudocia, che ebbe una gestione incerta, dovuta a legami privilegiati con l'imperatore bizantino Giustino I (518-527), e subì forti pressioni da parte dei Mauri. Ciò causò la sua deposizione da parte di Gelimero (530-534), primogenito fra i principi ereditari della dinastia vandala. Nonostante una certa capacità politica e militare, Gelimero non ebbe però la forza né i mezzi per resistere alla riconquista bizantina dell'Africa settentrionale.La monarchia dei V. non presentò alcuna originalità né per la forma di governo né per l'amministrazione (Courtois, 1955, pp. 259-260). Per quanto riguarda l'atteggiamento dei re vandali rispetto alla Chiesa cattolica ortodossa, alla persecuzione 'diversificata' di Genserico, caratterizzata da spoliazioni sistematiche e da episodi violenti - furono martirizzati o esiliati essenzialmente vescovi di sedi 'strategiche' o intransigenti rispetto agli occupanti o alla religione ariana -, fece seguito una posizione più conciliante di Unnerico, che in un primo tempo accordò alcune concessioni ai cattolici. Le sue esitazioni furono all'origine del concilio di Cartagine (484), che vide riuniti ariani e cattolici, durante il quale tensioni e violenze sfociarono in ulteriori confische dei beni della Chiesa ortodossa ed ebbero per conseguenza l'esilio in Corsica dei vescovi più reticenti a ogni forma di compromesso. Per contro vi fu, a quanto sembra, un elevato numero di lapsi, tra i quali alcuni vescovi, che si convertirono all'arianesimo.Un certo ritorno di serenità per la Chiesa cattolica africana pare aver caratterizzato il regno di Guntamundo: egli interruppe, infatti, la persecuzione contro i cattolici, richiamando i vescovi dall'esilio, senza mai dare, però, un riconoscimento ufficiale all'ortodossia. Il suo successore Trasamondo dialogò con la Chiesa cattolica (fece tornare Fulgenzio dalla Sardegna per un dibattito teologico) ed ebbe una politica di persuasione non violenta alla conversione all'arianesimo, favorendo gli ariani e ignorando i cattolici. A lui si deve una nuova ondata di condanne di vescovi cattolici all'esilio in Sardegna e Corsica, sia pure meno duro del precedente. All'origine di questa misura fu l'organizzazione da parte della Chiesa cattolica ortodossa, nel 502, di elezioni sistematiche di vescovi in tutte le sedi vacanti.Ilderico lasciò ai cattolici la libertà di culto; contro ogni attesa - e nonostante il giuramento fatto al suo predecessore di proseguirne la politica religiosa - richiamò tutti i vescovi dall'esilio e organizzò l'elezione dei vescovi cattolici. Anche Gelimero proseguì questa politica, ma ciò non impedì che la Chiesa ortodossa africana accogliesse trionfalmente il liberatore Giustiniano.
Oltre alla Chiesa cattolica, le conseguenze più gravi dell'occupazione vandala dell'Africa colpirono i ricchi proprietari fondiari, quasi sempre espropriati e allontanati dalle loro terre o costretti a lavorarvi in schiavitù. Ciò comportò probabilmente un miglioramento della vita dei coloni, che ebbero modo di ampliare le piccole proprietà, riacquistando lotti dei grandi fundi senatori espropriati. Da un punto di vista giuridico la tradizione romana sembra essere rimasta perfettamente operante per tutta l'epoca vandala, come dimostra l'interessante raccolta delle c.d. Tablettes Albertini, un lungo testo giuridico inciso su tavolette di legno duro, rinvenute in perfetto stato di conservazione.Oltre alle fonti letterarie ed epigrafiche, la fonte archeologica omogenea più eloquente è costituita dalle emissioni monetali. Per quanto riguarda l'originalità della civiltà vandala in Africa e nelle isole da loro occupate, oltre alla circolazione monetale, l'epigrafia è di scarso aiuto, in quanto i sistemi di datazione tradizionali - consolare o dell'era mauretana, iniziata nel 40 a.C. con l'annessione del regno di Tolomeo - vennero usati in parallelo all'era vandala. Lo stesso discorso può essere applicato alle oreficerie 'barbariche', la cui produzione e diffusione non costituiscono in sé, in Africa come in Italia, una prova di controllo politico o militare, né di specificità culturale. Non si sa molto dell'attività edilizia dei V. e della produzione artistica a essa collegata, che sembra comunque non conoscere variazioni rispetto all'età precedente.Sia i vescovi sia i presbiteri ariani si insediarono quasi certamente nelle cattedrali e nelle chiese confiscate ai cattolici. Solo ad Ammaedara è nota la sepoltura di un vescovo vandalo nella chiesa più monumentale del centro urbano, ritenuta forse a ragione la cattedrale. Le fonti menzionano lussuose ville per le quali non si è in grado di stabilire se si trattò di nuove costruzioni o, piuttosto, del riuso di precedenti impianti, probabilmente confiscati. Vengono comunque menzionati in proposito edifici di spettacolo, terme, aule di ricevimento, torri e peristili che sarebbero stati edificati dai sovrani e da alti dignitari. Se si trattò di realizzazioni ex novo, il loro aspetto generale non dovette essere diverso da quello di analoghi edifici tardoantichi, sia in Africa sia in altre province.Una delle maggiori testimonianze relative al regno dei V. in Africa è certamente costituita dai dati relativi alla cultura materiale e in particolare alle produzioni di ceramica (anfore, ceramica da cucina e da mensa, lucerne). La c.d. terra sigillata africana, prodotta ed esportata senza soluzione di continuità dall'età flavia fino ad almeno buona parte del sec. 8°, continuò a essere realizzata durante tutta l'età vandala e compare su tutti i mercati mediterranei e oltre, con le stesse forme, la stessa frequenza, se non addirittura in alcuni casi con un incremento delle produzioni.
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P. Pergola
I sovrani del regno vandalo in Africa emisero moneta nazionale in argento e rame, con il titolo di REX; non sembra invece abbiano emesso moneta in oro.Durante il regno di Genserico non si ebbe moneta vandala riconoscibile: si possiedono però emissioni argentee, pseudoimperiali, a nome di Onorio, con mezze (forse) silique con la personificazione di Roma al rovescio (VRBS ROMA) e quarti (forse) di siliqua (VICTORIAAVCC), probabilmente dell'ultima fase del regno. A queste seguirono emissioni, sempre in argento, con la personificazione di Cartagine e con ANNO IIII (o V) K(arthaginis); l'era indicata si riferisce probabilmente a Unnerico e indica quindi rispettivamente il 480/481 e il 481/482.Tra il 455 e la fine del regno di Genserico vengono datate le emissioni di piccoli nominali in rame, definiti protovandali: per es. con D, rosetta o chrismon, in ghirlanda.I re vandali coniarono ciascuno serie complete di monete in argento, mezze silique (solo con Guntamundo di gr. 1,95 ca.), quarti di siliqua, ottavi di siliqua, con la quasi costante indicazione del valore in denari e quindi con i numerali corrispondenti (C, L, XXV). Parallelamente emisero serie bronzee, con valore indicato in nummi, con un sistema di nominali specifico del mondo vandalo, con un follis di quarantadue (N XLII), un mezzo follis di ventuno (N XXI) e nominali da dodici nummi (N XII), quattro (N IIII) e due e mezzo (senza indicazione). In realtà i due sistemi, quello argenteo basato sul denaro e quello bronzeo basato sul nummus, pur nell'apparente illogicità della sequenza dei nominali di quest'ultimo, erano strettamente interdipendenti. Attribuendo al denaro una corrispondenza di due nummi e mezzo, il valore della siliqua corrispondeva a cinquecento nummi (cioè a duecento denari). Così il follis venne a corrispondere a un dodicesimo (arrotondato) della siliqua, che era a sua volta un ventiquattresimo del solido. Il cambio solidus/follis sarebbe stato quindi di un duecentottantaseiesimo (arrotondato) e il rapporto (teorico) AV/AR sarebbe stato di un dodicesimo; con Ilderico sarebbe passato a un quattordicesimo. Tali calcoli sono tuttora oggetto di vivace discussione tra gli studiosi.I V. si liberarono precocemente dal sacrale rispetto del monopolio imperiale dell'immagine sulla moneta ed emisero monete con l'immagine e il nome del loro re, a partire da Guntamundo. Tale approdo a una dimensione nazionale, forse legata alla legittimazione del potere vandalo in Africa, conferma il carattere locale della circolazione della moneta argentea (non si hanno ritrovamenti fuori dall'Africa) e la valutazione del significato propagandistico e programmatico dei tipi monetari.Nei tipi dei rovesci i V. evitarono l'imitazione dei tipi imperiali contemporanei e del passato. Tre tipi - l'immagine di Cartagine frontale, la protome equina e il palmizio - sono legati alle tradizioni del territorio in cui si trovava il regno. Il tipo con la figura frontale del re e quello con il monogramma di Gelimero sono invece legati a un discorso nazionale germanico.La figura di Cartagine frontale appare nelle silique di Ilderico, sul rovescio, subordinata all'immagine del re sul dritto. La serie bronzea corrispondente ha Cartagine sul dritto e il segno del valore sul rovescio: N XLII, N XXI, N XII e N IIII (con al dritto il busto della personificazione). In queste serie bronzee, analogamente alle cosiddette serie 'autonome' gote, manca il riferimento all'autorità regia. Per alcuni si tratta di emissioni 'autonome', promosse dalle superstiti autorità municipali di Cartagine. È chiaro il significato programmatico della scelta per i tipi monetari della personificazione della città capoluogo. Analogo significato, con ancora maggiori risonanze e suggestioni, ha l'antico simbolo numidico e punico della protome equina, nei bronzi da quarantadue, ventuno e dodici nummi di Gelimero, associato al tipo di dritto con il re armato frontale, derivato dal coevo tipo bronzeo del goto Atalarico (526-534). Analogo riferimento a tipi punici ha il palmizio nel nummus di Gelimero.Accanto ai nominali argentei e ai nominali bronzei sino a quattro nummi, l'evidenza archeologica propone una serie non sempre chiara di nominali minori in bronzo. Per alcuni di essi, successivamente alle emissioni protovandale, è agevole, grazie alla leggenda, l'attribuzione a re vandali: il tipo con D in ghirlanda e con il chrismon pure in ghirlanda (di Guntamundo); quello analogo di Trasamondo; quello con semplice croce, sempre in ghirlanda, di Ilderico; quello con monogramma di Gelimero. Altri, meno chiari, con tipi diversi e leggende riferite agli imperatori o pseudoepigrafiche, rientrano nel quadro ancora confuso delle emissioni non ufficiali del 6° secolo. Il tipo più frequentemente presente, con Vittoria alata, è attribuito a Trasamondo.Sono di attribuzione discussa i sesterzi e dupondii/asses imperiali sommariamente contromarcati con il valore in nummi, rispettivamente con LXXXIII e XLII, secondo il sistema vandalo: per alcuni si tratta di monetazione sussidiaria di area ostrogota; per altri di monetazione bizantina immediatamente successiva alla riconquista dell'Africa (534).
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E.A. Arslan