VANNI di Fuccio
VANNI di Fuccio (Vanni Fucci, Vanni Lazzàri). – Nacque con ogni probabilità a Pistoia, nel quartiere di porta Caldatica dove erano le case della sua famiglia, i Lazzàri, dopo la metà del Duecento, e probabilmente sul finire degli anni Cinquanta. Il padre fu Guelfuccio (Fuccio) di messer Rustichello di Nazario. Della madre non si hanno notizie (forse il nome; se è da riferire a lui e non al padre quel «della Dolce» indicato in un documento di primo Trecento; cfr. Savino, 1979, p. 67); la tradizione, che per questo come per altri particolari della vita di Vanni è debitrice del celebre ritratto tratteggiato da Dante Alighieri nel XXIV e XXV canto dell’Inferno (e soprattutto delle affermazioni dei primi commentatori della Commedia), vuole che non fosse legittimamente sposata con Guelfuccio, e pur in assenza di riscontri documentari specifici non sussistono motivi per mettere in dubbio tale assunto.
La nascita illegittima non dovette comunque – come del resto è attestato per altri casi similari, a Pistoia come altrove – incidere negativamente sulla condizione sociale di Vanni, né pregiudicare il suo rapporto con la famiglia paterna: egli fu, infatti, per quanto è possibile inferire dalla documentazione superstite, costantemente e attivamente impegnato con gli altri Lazzàri nelle lotte di fazione che nell’ultimo quarto del Duecento infiammarono lo spazio politico pistoiese, in città come in contado.
Le prime menzioni esplicite di Vanni nei documenti sono del resto proprio quelle relative alle condanne da lui subite per alcuni episodi di violenza (1281, 1286 e 1287) che lo avrebbero visto protagonista. E la sua presenza (trasmessa da una compilazione di epoca moderna) fra i milites delle cavallate, come testimonierebbe la condanna comminatagli nel 1289 dal podestà Corso Donati per la mancata partecipazione alla spedizione contro Arezzo che culminò nella battaglia di Campaldino, ci restituisce il profilo di un personaggio non del tutto privo di risorse finanziarie, che probabilmente ricavava di che vivere per lo più dalla professione militare, secondo un costume ancora attestato fra gli esponenti delle famiglie magnatizie pistoiesi.
Il ruolo svolto nel grave fatto di sangue che lo vide protagonista proprio nel 1289 o nel 1290 (sicuramente prima del 1292) contribuisce in questo senso a rafforzare l’immagine di un personaggio avvezzo e incline all’uso delle armi. Nel corso delle prime fasi dello scontro di fazione che, originatosi all’interno della famiglia Cancellieri, si diffuse nella società pistoiese polarizzandola nelle due parti bianca e nera, Vanni assalì e uccise assieme a due esponenti della parte nera, Dettorino di messer Re dei Rossi e Zazzara di messer Sozzofante dei Tebertelli, messer Bertino Vergiolesi, personaggio di spicco della parte bianca, provocando una significativa escalation nel conflitto.
Non abbiamo tuttavia elementi che ci permettano di valutare il peso di Vanni all’interno della fazione: l’anonimo autore delle Storie pistoresi lo descrive come «uomo giovane e gagliardo» (Storie pistoresi, 2011, p. 8), il che suggerisce che il suo ruolo fosse sostanzialmente quello di un ‘uomo d’azione’, apprezzato e utilizzato per le sue capacità nello scontro di piazza.
Confinato da Pistoia a seguito dell’assassinio di Vergiolesi, riuscì comunque a rientrarvi abbastanza presto – sfruttando con ogni evidenza il peso politico della propria famiglia e le coperture della propria parte –, visto che secondo le Storie pistoresi sarebbe stato ancora una volta protagonista di alcuni scontri di piazza (assalendo la torre di un altro membro dei Lazzàri esponente dei bianchi, e quindi combattendo i famigli del podestà che cercavano di arrestare alcuni banditi, fra cui forse lui stesso, riuniti proprio presso le case dei Lazzàri). Nel 1292 fu comunque fra gli stipendiari fiorentini impegnati nella guerra contro Pisa, e una parte della critica – invero in forma congetturale, vista la totale assenza di pezze d’appoggio documentarie – ha individuato in questa fase il momento nel quale Vanni avrebbe conosciuto Dante.
Con ogni probabilità, vista l’attiva partecipazione di Vanni al conflitto fra bianchi e neri, che sempre più divampava in Pistoia, la necessità di denaro dovette in questa fase farsi impellente, tanto da spingerlo a svaligiare il tesoro dell’Opera di S. Jacopo, l’importante ente (custode fra l’altro di buona parte dell’archivio comunale) che sotto controllo civico gestiva il culto delle reliquie del santo di Compostela, nei fatti vero patrono cittadino. Il furto alla «sacrestia de’ belli arredi» (Inferno XXIV, 138), reso celebre dal verso dantesco, è da collocarsi con ogni probabilità nei primi mesi del 1294, come da ultimo ipotizzato in maniera convincente da Natale Rauty (1981, pp. 120-124). Autori del furto sacrilego furono appunto Vanni Fucci, il notaio Vanni della Monna e Vanni Mironne: personaggi altrimenti sconosciuti, questi ultimi, che una fonte di primo Trecento (il Miraculum de furibus thesauri sancti Jacobi) definisce – assieme a Vanni Fucci – come «cives nephandi et homines male conversationis et vite». Stando ai più antichi commentatori danteschi sarebbe stato lo stesso Vanni Fucci, al sicuro nell’Appennino, a fare il nome di uno dei complici custode della refurtiva allo scopo di scagionare tale Rampino di messer Ranuccio Foresi, ingiustamente condannato per il furto. Se il citato Miraculum conferma la liberazione di Foresi, esso tuttavia attribuisce a Vanni della Monna, arrestato dal podestà in carica Giano della Bella, la confessione del furto e l’indicazione dei complici, tacendo in questo senso qualsiasi ruolo di Vanni Fucci nella conclusione della vicenda.
A prescindere dalle differenze fra le varie versioni offerte dalle fonti (peraltro concordi nei dati fondamentali), l’episodio dà un’idea di quali fossero – al di là dei legami intrattenuti con i vertici della società pistoiese – le frequentazioni di Vanni, che al centro delle contese cittadine del tempo dovette essere in stretto contatto con quel sottobosco di personaggi di dubbia fama che tanta parte ebbero nelle masnade delle famiglie magnatizie.
Del resto gli ultimi dati sicuri della sua biografia riguardano ancora una volta episodi di violenza di parte, in questo caso perpetrata nei confronti degli abitanti dei castelli della montagna pistoiese fra Lizzano e Montecatini, razziati con il proprio seguito di armati nei primi mesi del 1295 al fianco di ser Fiumalbo Tedeschi, leader della parte nera in quella parte di contado pistoiese.
Le circostanze della morte di Vanni, che sulla scorta dell’Inferno dantesco possiamo comunque collocare con sicurezza prima del 1300, non sono note.
Fonti e Bibl.: S. Ciampi, Notizie inedite della sacrestia pistoiese de’ belli arredi, Firenze 1810, pp. 58-67 e doc. nn. IX e X; P. Bacci, Dante e Vanni Fucci secondo una tradizione ignota, Pistoia 1892; Id., Del notaio pistoiese Vanni della Monna e del furto alla sacrestia de’ belli arredi, Pistoia 1895; Id., Due documenti inediti del MCCXCV su Vanni Fucci ed altri banditi del comune di Pistoia, Pistoia 1896; G. Beani, La cattedrale pistoiese, l’altare di S. Jacopo e la sacrestia de’ belli arredi, Pistoia 1903, pp. 167-173; A. Chiappelli, Dante e Pistoia, in Id., Pagine di critica letteraria, Firenze 1911, pp. 434-468; L. Chiappelli, Le fazioni pistoiesi e Dante, in Giornale dantesco, XXV (1922), pp. 242-254; R. Piattoli, Vanni Fucci e Focaccia de’ Cancellieri alla luce di nuovi documenti, in Archivio storico italiano, s. 7, XXI (1934), pp. 93-115; A. Secchi, La cappella di S. Jacopo a Pistoia e la “sacrestia dei belli arredi”, in Il Gotico a Pistoia nei suoi rapporti con l’arte gotica italiana, Pistoia 1966, pp. 85-92; E. Bigi, Vanni Fucci, in Enciclopedia dantesca, Roma 1970, s.v.; G. Savino, Il furto ‘a la sagrestia d’i belli arredi’, in Bullettino storico pistoiese, LXXXI (1979), pp. 61-71; N. Rauty, L’antico palazzo dei vescovi a Pistoia, I, Storia e restauro, Firenze 1981, pp. 120-124; Storie pistoresi, a cura di S.A. Barbi, Pistoia 2011, ad indicem.