Drammaturgo spagnolo (Madrid 1562 - ivi 1635). Ebbe esistenza avventurosa, particolarmente ricca di fatti d'arme, di amori e di contese letterarie, tanto che fu considerato già nel suo tempo come il prototipo di un'epoca e di un gusto, quello barocco, facilitando la contrapposizione, che è rimasta come formula anche nelle storie letterarie, fra la sua personalità e quella di Calderón, che avrebbe rappresentato la successiva fase di una più pacata rimeditazione dei valori secenteschi. Dopo aver studiato nel collegio dei teatini e poi ad Alcalá de Henares, al ritorno da una spedizione nelle Islas Terceras si innamorò di Elena Osorio (Filis), dando inizio a una relazione contrastatissima per l'opposizione della famiglia di lei e che si complicò addirittura con l'esilio del poeta (1588). Nello stesso anno egli rapì e sposò un'altra donna, Isabel de Urbina (Belisa), e subito dopo partecipò come volontario alla spedizione della Invincibile Armata. Al ritorno da questa, dopo una breve dimora a Valencia e ad Alba de Tormes, dove morì Isabel (1595), egli tornò finalmente a Madrid e alla corte. Un secondo matrimonio con doña Juana de Guardo (1598) non gli impedì di nutrire una nuova grande passione per Micaela de Luján (Lucinda), da cui ebbe varî figli. Stabilitosi definitivamente a Madrid nel 1610, assurse al vertice della sua fama come poeta e drammaturgo, ma la sua inquietudine non si placò neppure dopo aver preso gli ordini sacerdotali (1614): gli anni della maturità registrano l'ultima relazione con Marta de Nevares (Amarilis), non senza conflitti e amarezze anche nell'ambito della famiglia (la fuga della figlia Antonia Clara, la morte del figlio Carlos Félix, la cecità e la morte della stessa Marta), che compromisero la sua già provata salute. ▭ Nella storia del teatro spagnolo, Lope de V. rappresenta qualcosa di più di quel mitico monstruo de naturaleza che i contemporanei e la critica hanno voluto scorgere in lui per la straordinaria fecondità e facilità dell'invenzione: egli è soprattutto l'innovatore del dramma cinquecentesco, ancora oscillante fra le soluzioni popolaresche e la sterile accademia delle unità aristoteliche. Contro l'ambiguo classicismo, i temi mitologici e la grezza materia popolare di L. de Rueda e di J. de la Cueva, il teatro di Lope de V., pur non rinnegando la propria filiazione da quei modelli, attinge un nuovo concetto di populismo e un'intensità di ricostruzione storica e ambientale soprattutto dal romancero e dalle cronache medievali, portando sulle scene spagnole a contatto di un pubblico sempre più vasto gli eroi della reconquista castigliana, l'esaltazione della popolarità e della superiorità del monarca giustiziere secondo il profilo della più antica tradizione ispanica, il non meno tradizionale e ispanico senso dell'onore in cui si riscattano anche le passioni degli umili e dei soggetti: in questo senso si può dire che il suo teatro coincide con una nuova coscienza nazionale e popolare della letteratura spagnola del Seicento. Profondamente innovatrice è, in lui, anche la teoria drammatica nel senso più strutturale e tecnico: contro le unità aristoteliche egli difende una messa in scena vincolata alla verosimiglianza e all'immediata rappresentazione del soggetto, affidandosi a un sostanziale empirismo, di cui si fa anche teorico assertore nella famosa operetta Arte nuevo de hacer comedias en nuestro tiempo (1609). Indubbiamente barocco nell'espressione, talvolta stilisticamente non alieno dall'influenza di Góngora, il linguaggio teatrale di Lope de V. conosce tuttavia un'immediatezza e una facilità di comunicazione che i suoi scolari complicheranno rapidamente in accentuato culteranismo e in maniera; la ricchezza stessa e la quantità delle messe in scena però possono talvolta degenerare in un'abbondanza di situazioni e in un gusto dell'intreccio (enredo) che vanno a spese della penetrazione psicologica di individuati personaggi. Le più belle commedie restano legate forse al genere storico detto de aldea, ambientato per lo più in villaggi spagnoli nell'epoca medievale (Fuenteovejuna, El mejor alcalde el rey, Peribáñez y el Comendador de Ocaña, El villano en su rincón), ma non vi sono praticamente generi letterarî da cui il poeta non abbia tratto materia per messe in scena, dal comico al drammatico, dal sacro al novelesco, dalla commedia di puro intreccio a quella agiografica. Fra le commedie di argomento religioso si ricordano particolarmente Lo fingido verdadero, Los pastores de Belén, La fianza satisfecha; fra quelle dedicate a miti ed episodî storico-leggendarî dell'antica Spagna, El último godo, El casamiento en la muerte, El bastardo Mudarra; fra quelle d'intreccio La hermosa fea, La dama boba, La moza de cántaro. Dramma felicissimo è El caballero de Olmedo, in cui si combinano ricordi della Celestina con una stilizzata ricostruzione di ambienti cortigiani quattrocenteschi; mentre nella Dorotea, commedia in prosa, traspaiono ricordi autobiografici in una delicata situazione sentimentale. Le sue Comedias furono pubblicate in 25 volumi (1603-47), di cui alcuni, dal 9° al 20°, curati dall'autore stesso. Delle opere in prosa si segnalano il romanzo pastorale La Arcadia (1589), il romanzo di stile bizantino El peregrino en su patria (1604), i racconti de La Filomena (1621). Straordinariamente versatile, Lope de V. coltivò anche la poesia narrativa con il poema cavalleresco La hermosura de Angélica (1602), il poema epico La Jerusalén conquistada (1609), il poema eroico La Dragontea (1598), il poema agiografico Isidro (1599). Con Góngora e con F. G. Quevedo, è uno dei maggiori autori di sonetti e componimenti lirici del suo tempo (Rimas humanas, 1602; Rimas sacras, 1614; Rimas de Tomé Burguillos, 1634).