CACCIANEMICI, Venedico
Personaggio di rilievo nella Bologna tardo-comunale, la cui fortuna storica si deve per gran parte, però, ai versi della Commedia dantesca (Inf., XVIII, 40-66), dove è sinistramente rievocato come colui che, per compiacere a Obizzo II d'Este, signore di Ferrara, gli prostituì la sorella Ghisolabella.
Discendente dalla nobile famiglia bolognese dei Caccianemici "de Ursis" o "Grandi" di sicura tradizione guelfa, nacque verso il 1228 da Alberto e da Pellegrina Baccilieri in Bologna, presumibilmente nell'antica residenza familiare situata nella centrale piazza del Comune. Col padre, un caporione della parte geremea, in cui si riconoscevano nel corso del sec. XIII i guelfi bolognesi, fu, almeno dalla metà del Duecento, quasi costantemente in prima linea nelle tormentate vicende politiche della sua città; un tenace attaccamento alla fazione dovette rivelare soprattutto nelle lotte intestine fra guelfi e ghibellini che si accentuarono nella seconda metà del secolo e sfociarono, durante la tarda primavera dell'anno 1274, nella cacciata dei Lambertazzi ghibellini.
Ma, già prima di entrare nel vivo della politica comunale e di assumere pubblici uffici, il C. aveva avuto occasione di rivelarsi per il suo temperamento violento e senza scrupoli: infatti, forse per suggestione paterna, prese parte, assieme al fratello Caccianemico, all'uccisione del cugino Guido di Gruamonte detto Paltena, avvenuta nel 1268. Tale delitto fu duramente scontato dal C., ma non compromise in modo definitivo il prestigio politico del casato e la carriera pubblica del C. stesso: rinnovando i fasti professionali del padre, il C. infatti, che già era stato chiamato alla podesteria della vicina Imola nel 1264-1265, ottenne, dopo il delitto, il capitanato del popolo a Modena nel 1272-1274 e l'anno seguente tenne persino la podesteria di Milano. In tal modo il C., mentre riusciva a tenere saldamente piede nella vita politica della sua città, poteva ampliare il raggio della sua influenza, delle sue relazioni e dei suoi interessi estendendolo ai Comuni alleati vicini e lontani.
Se già in precedenza erano state avviate relazioni di amicizia tra i Caccianemici e gli Estensi, la permanenza del C. in Modena acapo del Comune popolare dovette con ogni probabilità rappresentare una valida occasione per rassodarle; e forse vi contribuì, fra le altre circostanze, il matrimonio che il C., dopo essere rimasto vedovo nel 1269 della prima consorte, Aichina di Guidottino Prendiparte, contrasse nel 1274 con Maddalena Rangoni, discendente di una delle più cospicue famiglie modenesi di tradizione guelfa che era strettamente legata ai signori di Ferrara. In tal caso non apparirebbe più del tutto casuale e gratuito che alcuni commentatori di Dante insistano a datare al 1273 l'atto di lenocinio compiuto dal C. nei confronti della sorella e a favore di Obizzo II d'Este.
Sta di fatto che le relazioni sempre più strette coi signori di Ferrara vennero a condizionare in misura determinante l'atteggiamento politico dei Caccianemici sia nei consigli cittadini sia in quelli della parte; e più di ogni altro, forse, mostrò di esserne influenzato il C., soprattutto dopoché, in seguito alla morte del padre, assunse la guida del suo casato e delle forze guelfe in Bologna. Oltretutto una serie di circostanze, quali, appunto, la cacciata dalla città dei rivali Lambertazzi nel 1274, rinnovata nel 1280, e la sottomissione di Bologna al debole governo dei rettori e legati apostolici (1278), cospirarono a favore del C. e gli facilitarono il compito di coagulare quelle forze dello schieramento guelfa bolognese che si erano distinte per la loro intransigenza faziosa nella parsMarchixana, cosiddetta per il suo ispirarsi alle mire egemoniche dei marchesi di Ferrara nell'Emilia mediorientale. E tale fu la sua adesione al partito filoestense - esso nello schieramento guelfo di Bologna venne a rappresentare per molti aspetti ciò che proprio negli stessi anni costituivano i neri in Firenze -, che neppure la presenza del C. ad atti ufficiali di pacificazione - come accadde ad es. a Bologna nel 1279 -, o a cerimonie di ossequio formale ai rappresentanti della sovranità papale, poteva dissipare o, quanto meno, attenuare il significato aspramente fazioso della sua azione alla guida della pars Marchixana.
Negli ultimi due decenni del sec. XIII il peso politico del C. nella vita pubblica bolognese aumentò sensibilmente. Tuttavia, ciò non gli impedì di proseguire la sua attività professionale alla guida del Comune in altre città: divenne, così, podestà a Pistoia nel 1283 e ancora a Milano nel 1286. Tali cariche gli consentirono di mantenere per un largo raggio i contatti e le relazioni con vari gruppi guelfi dell'Italia centrosettentrionale. Ma col tempo la sua azione politica dovette perdere d'incisività e rivelarsi così dispersiva da compromettere le posizioni personali di prestigio raggiunte in Bologna; posizioni già peraltro indebolite dal progressivo sfaldarsi dello schieramento guelfo bolognese: ne fu probabilmente un segno rivelatore l'accesa disputa apertasi nel 1287 fra Caccianemici e Lambertini guelfi circa la disponibilità di alcuni possessi nella Bassa bolognese.
Da questo momento la vicenda personale del C. sembra contrassegnata da una alterna fortuna, in un rapido susseguirsi di colpi di scena apparentemente contraddittori ed irriducibili ad una coerente mira politica. Non trova, ad es., una convincente spiegazione il fatto che il C. potesse essere bandito dal Comune bolognese negli anni 1287, 1289 e 1300 ed ogni volta subito dopo pienamente reintegrato nei suoi diritti; non solo, ma in un caso addirittura designato ambasciatore del Comune di Bologna al marchese d'Este e poi al rettore papale di Romagna, residente a Forlì. A meno che non si ravvisi la coesistenza nella famiglia Caccianemici di due o più discendenti omonimi e non si riconosca che in qualche caso si sono confuse e identificate in un solo Venedico vicende relative a due o più personaggi dello stesso nome e pressocché contemporanei: si sa infatti che il C. aveva un nipote omonimo, distinto con l'appellativo di "Zenza". L'unica costante che forse è possibile cogliere nell'ultimo scorcio della vita del C. e nella confusa vicenda del suo parentado è rappresentata dal persistente atteggiamento filoestense dei Caccianemici: se da un lato procurò al C. e ai suoi congiunti favori e donativi da parte degli Estensi, dall'altro fu considerato quasi sempre con sospetto e mal tollerato dalle autorità comunali bolognesi, quando non fu duramente perseguito. Ciò contribuì a indebolire ulteriormente in Bologna le posizioni politiche del C. e della sua parte, che apparivano già compromesse.
Sulla linea di una politica domestica filoestense deve, infatti, considerarsi il contratto matrimoniale stipulato nel 1294 tra il C. e Azzo VIII d'Este, rispettivamente per il figlio del C. Lambertino e Costanza d'Este figlia di Azzo; contratto che ebbe effetto solo nel 1305, quando fra i due promessi sposi furono celebrate le nozze. Sullo stesso piano deve pure porsi il matrimonio contratto nel 1308 fra una nipote del C., Pellegrina, figlia del fratello Caccianemico, e Fresco di Azzo VIII d'Este.
Il 28 genn. 1303, il C., sentendosi ormai prossimo alla fine, fece testamento: lasciò eredi i figli Caccianemico detto "Migolus", Giacomo detto "Zuzus", Lambertino detto "Bitino" e Azzone, questi due ultimi ancora minorenni sotto la tutela della terza moglie, Lucia di Belvillano Paci. La morte dovette sopraggiungere prima della fine del 1303.
Fonti e Bibl.: Petri Cantinelli Chronicon, in Rer. Ital. Script., 2 ediz., XXVIII, 2, a cura, di F. Torraca, p. 31; Relatio translationis corporis s. Geminiani (1099-1106), ibid., VI, 1, a cura di G. Bertoni, Appendice, III, 2, p. 19; Matthaei de Griffonibus Memoriale histor. de rebus Bononiensium,ibid., XVIII, 2, a cura di L. Frati e A: Sorbelli, pp. 17, 24; Corpus chronicorum Bonomensium,ibid., XVIII, 2, a cura di A. Sorbelli, vol. II, p. 160; C. Ghirardacci, Della Historia di Bologna, I, Bologna 1596, pp. 213, 227; O. Mazzoni-Toselli, Racconti stor. estratti dall'Archivio criminale di Bologna, III, Bologna 1870, M. 381-389; G. Gozzadini, Delle torri gentil. di Bologna, Bologna 1875, pp. 216-218 e App. docc. 105, 173-4, 177; M. Sarti-M. Fattorini, De claris Archigynmasii Bonon. professoribus, Bononiae 1888-1896, I, pp. 198, 253; II, p. 222; I. Del Lungo, Dante ne' tempi di Dante, Bologna 1888, pp. 197-270; G. Zaccagnini, Personaggi danteschi in Bologna, in Giorn. stor. d. lett. ital., LXIV(1914), pp. 27-47; G. Zaccagnini, Iltestamento di V. C., ibid., LXV (1915), pp. 51-54; Q. Santoli, La podesteria pistoiese di V. C., in Bull. stor. pistoiese, XXIII (1921), pp. 116 s.; G. Zaccagnini, Personaggi danteschi a Bologna e in Romagna, in Atti e mem. d. R. Deput. di storia patria per le prov. di Romagna, s. 4, XXIV (1933-1934), pp. 19-40, 60-68; G. Dall'Occa dell'Orso, V. C. e la sua gente. Nuove ricerche, in L'Archiginnasio, XXXVI (1941), pp. 212-225; E. Raimondi, Icanti bolognesi nell'Inferno di Dante, in Dante e Bologna nei tempi di Dante, Bologna 1967, pp. 233-237; V. Presta, in Enciclopedia Dantesca, I, Roma 1970, pp. 740-741, sub voce Caccianemico Venedico.