VENEZUELA.
– Demografia e geografia economica. Storia
Demografia e geografia economica di Anna Bordoni. – Stato dell’America Meridionale. All’ultima rilevazione statistica ufficiale del 2011 la popolazione era risultata pari a 28.946.101 ab., concentrati prevalentemente nelle aree urbane delle regioni settentrionali, tra cui quella di Caracas: alla stessa data, la città raggiungeva 2,1 milioni di ab., 2,9 milioni l’agglomerazione e 4,4 milioni la regione metro politana; nel 2014, secondo una stima UNDESA (United Nations Department of Economic and Social Affairs), gli abitanti erano 30.851.343. Nel complesso la popolazione urbana risultava pari a circa il 94% del totale (2013), con una densità di 32 ab./km2. Le tendenze demografiche sono quelle tipiche dei Paesi in via di sviluppo, con un tasso di natalità ancora alto (19,8‰ nel 2013), una mortalità bassa (5,3‰), un’elevata percentuale di giovani: il 28,2% della popolazione ha meno di 14 anni e il 18,8% è nella fascia d’età compresa tra 15 e 24 anni.
Nonostante il V. sia tra i Paesi con il più elevato reddito pro capite a parità di potere d’acquisto (PPA) dell’America Latina (17.917 $ nel 2014) e benché il governo abbia investito grosse somme nell’ultimo decennio per garantire l’accesso delle fasce marginali della popolazione ai servizi sociali, ottenendo una significativa riduzione della povertà, ancor oggi il 31,6% dei venezuelani vive al di sotto di tale soglia. Tra gli obiettivi immediati spicca, oltre al rilancio dell’economia, la sicurezza, minacciata dalla continua escalation della criminalità nelle grandi città, specie Caracas, considerata una delle metropoli più pericolose del mondo, dove il tasso di omicidi supera i 70 ogni 1000 abitanti.
Gli elevati prezzi del petrolio avevano favorito la crescita dell’economia venezuelana, la quale poi subì il contraccolpo della crisi finanziaria internazionale iniziata nel 2008 mostrando ancor oggi maggiori difficoltà a risollevarsi rispetto agli altri Paesi latinoamericani. A questa già difficile situazione si è aggiunto il recente calo del prezzo del greggio, scivolato sotto i 50 $ al barile, che ha spinto il V. (come molti altri Paesi petroliferi) sull’orlo del baratro, per la duplice ragione che sono calate le entrare in dollari, derivate dall’export del greggio, ed è divenuto più difficile onorare le scadenze di rimborso del debito. Inoltre la produzione, gestita dalla società statale PDVSA (Petróleos De Venezuela, S.A.), è in ribasso (135 milioni di t prodotte nel 2013, contro 171 del 2006), e il Paese deve confrontarsi con un’inflazione oramai fuori controllo (oltre il 50% annuo), favorita dalle ripetute svalutazioni della moneta nazionale, il bolívar, effettuate per tentare di migliorare i conti dello Stato. Recentemente, per fronteggiare la depressione economica, il V. ha trovato un alleato nella Russia.
Tra le altre criticità, il Paese deve confrontarsi con la corruzione e il malaffare, incentivati dall’enorme e incontrollato potere della classe politica vicina al regime, in particolar modo nella gestione del vero motore dell’economia venezuelana, ossia il settore energetico (i consumi venezuelani dipendono per oltre l’85% da petrolio e gas naturale). Per quanto riguarda le altre attività produttive, le principali colture alimentari non sono sufficienti a soddisfare il fabbisogno nazionale e comincia a farsi evidente la scarsità di prodotti di base. I ritardi e le inefficienze del settore idroelettrico, che hanno causato estesi black-out in larga parte del Paese, si ripercuotono anche sul settore industriale, costretto a volte a lavorare a ritmo ridotto.
Storia di Ilenia Rossini. – Gli anni a cavallo del primo decennio del 21° sec. continuarono a essere caratterizzati in V. da una forte polarizzazione della scena politica, divisa tra i sostenitori del presidente socialista Hugo Chávez Frías e i suoi oppositori. I governi di Chávez assunsero i tratti tipici dei sistemi populisti latinoamericani: i suoi sostenitori ne evidenziavano l’ampliamento dei diritti sociali e della partecipazione politica delle classi meno abbienti; i critici, invece, ne enfatizzavano la tendenza all’accentramento dei poteri e a utilizzare le risorse pubbliche e i mezzi di informazione statali per guadagnare consensi. Dopo la rielezione di fine 2006, Chávez si dedicò a completare il piano di nazionalizzazioni, in primis nel campo dell’energia e delle telecomunicazioni: il governo assunse il controllo del bacino petrolifero nell’Orinoco attraverso l’impresa PDVSA (Petróleos de Venezuela, S.A.). Il 2 dicembre 2007 un referendum bocciò, con il 51% di pareri contrari, la riforma della Costituzione, già approvata dall’Assemblea nazionale, che avrebbe cancellato il limite al numero dei mandati presidenziali, annullato l’autonomia della Banca centrale e introdotto nuove regole per dichiarare lo stato di emergenza. Nel febbraio 2009, tuttavia, con il 54,4% dei voti a favore, un altro referendum approvò la rimozione dei limiti alla rieleggibilità delle cariche istituzionali.
Nonostante i contraccolpi della crisi economica globale, nelle elezioni parlamentari del 2010 il chavista PSUV (Partido Socialista Unido de Venezuela) conquistò il 48,2% (98 seggi), ma ottenne un buon risultato (47,2%) anche la MUD (Mesa de la Unidad Democrática), il cartello dei partiti dell’opposizione. Prima che la nuova Assemblea nazionale entrasse in funzione (genn. 2011), il 16 dicembre 2010 Chávez ottenne dal Parlamento di poter emanare leggi per decreto per 18 mesi. Le elezioni presidenziali dell’ottobre 2012 furono di nuovo vinte da Chávez (55,25%), gravemente malato di cancro, contro il candidato dell’opposizione Henrique Capriles Radonski (44,13%). Dopo la vittoria, Chávez si recò a Cuba per curarsi e lasciò la gestione del Paese a Nicolás Maduro, vicepresidente e ministro degli Esteri. Dopo la morte di Chávez (5 marzo 2013), Maduro vinse le elezioni presidenziali di aprile, sconfiggendo Capriles con il 50,66% delle preferenze: il risultato, contestato dalle opposizioni, fu ritenuto corretto dagli osservatori internazionali.
Tra il febbraio e il marzo del 2014 il governo di Maduro – più debole di quelli di Chávez – entrò in una fase critica, caratterizzata da numerose e violente manifestazioni di piazza (guarimbas) che chiedevano le sue dimissioni. Esse furono guidate dal leader del partito di destra Voluntad popular (VD) Leopoldo López, già condannato per la partecipazione al colpo di Stato contro Chávez del 2002, e organizzate soprattutto da esponenti delle classi medio-alte, tra cui molti studenti universitari: vi morirono decine di persone tra manifestanti dell’opposizione, militanti chavisti uccisi a sangue freddo, civili e militari; quasi duecento persone furono arrestate e alcuni esponenti delle forze dell’ordine furono incriminati per i maltrattamenti sui dimostranti detenuti. López fu arrestato e poi condannato, nel settembre 2015, a quasi quattordici anni di carcere per incitamento alle violenze e promozione di piani destabilizzanti. In seguito all’avvio di effimeri negoziati tra il governo e le opposizioni (tranne VD) – sotto l’egida dell’UNASUR (Unión de Naciones Suramericanas) e del Vaticano – e all’acuirsi delle divisioni interne alla MUD, nella seconda metà del 2014 le proteste antigovernative si affievolirono.
Nel 2015 il costante abbassamento del prezzo del petrolio colpì profondamente l’economia venezuelana: il governo garantì il proseguimento delle politiche sociali solo con il taglio dei cosiddetti consumi di lusso. Nel febbraio 2015 il governo di Maduro annunciò di aver sventato un nuovo tentativo di colpo di Stato, in cui era coinvolto anche il sindaco di Caracas Antonio Ledezma. Contemporaneamente ripresero gli scontri di piazza contro il governo, che tuttavia durarono pochi giorni: la via che avrebbe portato alle elezioni legislative del 6 dicembre 2015 si annunciava, però, irta di difficoltà.
In politica estera, i tesi rapporti con la Colombia, che accusava Chávez di proteggere i guerriglieri delle FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia), migliorarono dalla seconda metà del 2010, dopo l’elezione del nuovo presidente colombiano Juan Manuel Santos Calderon. Oltre a coltivare intense relazioni con Russia, Cina e Irān, fu costante l’impegno di Chávez per una maggiore integrazione politica ed economica dell’America Latina, come dimostrano l’ammissione del V. nel MERCOSUR (MERcado COmún del SUR) dopo un lungo negoziato (luglio 2012) e l’importanza attribuita all’alleanza Petrocaribe – volta a fornire ai Paesi caraibici petrolio a condizioni agevolate – e all’ALBA-TCP (Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América-Tratado de Comercio de los Pueblos), organizzazione di cooperazione economica e sociale cui aderiscono, oltre al V., Cuba, Bolivia, Ecuador, Nicaragua e altre Repubbliche caraibiche.
Molto tesi, invece, rimasero i rapporti con gli Stati Uniti, soprattutto dopo che l’ambasciatore statunitense fu dichiarato persona non gradita (sett. 2008) e che alcuni diplomatici statunitensi, accusati di aver fomentato le proteste del 2014, furono espulsi dal Paese. Nel dicembre 2014 gli USA decisero delle sanzioni (congelamento dei beni e rifiuto dei visti) contro alcuni funzionari del governo venezuelano accusati di aver violato i diritti dei manifestanti. Nel corso del 2014 anche i rapporti con la Colombia si erano fatti più difficili, a causa del traffico di valuta, di benzina e di alimenti sottratti al mercato sussidiato venezuelano dalle mafie colombiane nelle zone di confine tra i due Paesi e rivenduti al mercato nero. Queste appropriazioni furono all’origine di una generale penuria alimentare e, dopo il ferimento di alcuni soldati di frontiera (ag. 2015), Maduro dichiarò «lo stato d’emergenza costituzionale» e chiuse, in alcuni tratti dello Stato del Táchira, le frontiere tra i due Paesi. In pochi giorni furono sequestrate centinaia di tonnellate di merci accaparrate illegalmente. Si aprì però una crisi diplomatica tra V. e Colombia con il ritiro dei rispettivi ambasciatori: la crisi si chiuse dopo qualche settimana, ma l’accordo non poteva considerarsi definitivo.