BENASSAI, Ventura
Nato a Siena da ricca famiglia appartenente alla fazione detta Monte dei Riformatori, fu per qualche tempo contabile della banca cittadina degli Spannocchi; associatosi poi ad essa, per meglio favorire le operazioni finanziarie, che sempre più strettamente legarono la banca senese alla Camera apostolica tra la fine del sec. XV ed i primi anni del successivo, ottenne nel gennaio del 1498 di essere ammesso in Curia, dove ricoprì dapprima l'ufficio di scrittore, poi quello di chierico di camera. Il B. fu in questo periodo tra i più vicini collaboratori di Alessandro VI, che, nella sua audace politica di repressione delle signone particolari dell'Italia centrale, sempre più spesso doveva ricorrere alla banca senese, servendosi di lui come intermediario. Il B. fece al pontefice anche un prestito personale di 4.500 scudi.
Oltre agli Spannocchi, anche la Repubblica di Siena si giovò a più riprese dei servigi del B. presso il papa. Nel 1500 il chierico di camera assolse una attività notevole nelle trattative per stabilire amichevoli relazioni tra la città toscana e i Borgia: trattative che si conclusero, dopo la conquista di Piombino da parte di Cesare, con una visita del pontefice e del duca Valentino a Massa, splendidamente ospitati dal governo di Siena. Il B., che aveva accompagnato nel viaggio il papa, ottenne poi, nel concistoro del 6 ott. 1501, di succedere a Gerolamo de' Conti nel vescovato di Massa Marittima: pare che egli pagasse al pontefice, in cambio della promozione, una somma di 7.000 ducati. Il B., tuttavia, non raggiunse la diocesi assegnatagli, ché anzi aumentò l'importanza delle sue funzioni presso Alessandro VI: dopo avergli concesso, nel 1503, la carica di sagrista della cappella pontificia - con una netta infrazione della tradizione che voleva riservato quest'ufficio ai regolari dell'Ordine agostiniano - il pontefice affidò al B., il 2 giugno del medesimo anno, quella assai più importante di tesoriere generale pontificio, che effettivamente si addiceva assai bene ai suoi reali compiti presso la corte romana.
L'amministrazione del vescovo di Massa fu tutt'altro che ineccepibile: alle numerose speculazioni finanziarie egli aggiunse piccole ruberie e meschine malversazioni, che gli guadagnarono il disprezzo unanime della Curia, in un periodo in cui presso la sede apostolica non scarseggiavano davvero gli avventurieri e gli speculatori senza scrupoli. Il prestigio del B. presso Alessandro VI, tuttavia, non ne era affatto diminuito e la Repubblica di Siena, allorché si profilò il tentativo di Pandolfo Petrucci per riguadagnare la signoria con il sostegno del re di Francia, poté fare ancora una volta ricorso al suoi buoni uffici per ottenere sulla città la protezione del pontefice e del duca Valentino.
Alla morte di Alessandro VI il tesoriere generale riuscì a riservare alla banca Spannocchi il finanziamento dei funerali del pontefice e dell'organizzazione del conclave. Gli Spannocchi, associatisi con il banchiere Ghinucci, ottennero in garanzia di questi finanziamenti i proventi della dogana di Ripa e le gioie pontificie. Eletto Pio III, il B. temette di essere esonerato dalla lucrosa carica, ma riuscì poi ad ottenere dal papa un breve nel quale si stabiliva che essa doveva essergli conservata fino a che non gli fossero stati restituiti dalla Camera apostolica i 4.500 scudi prestati ad Alessandro VI. Anche da Giulio Il il B. ottenne inizialmente la conferma delle sue precedenti cariche, e la Repubblica di Siena, per ingraziarsi il nuovo pontefice, incaricò il vescovo di Massa di presentare al papa i documenti raccolti dallo storico senese Antonio di Giorgio Mosca, che pretendevano mostrare la discendenza della famiglia savonese dei Della Rovere da quella senese dei Ghiandaroni. Ma il favore di Giulio II per il B. durò assai poco: il tesoriere generale cadde in sospetto di voler aiutare Cesare Borgia, allora prigioniero, ottenendogli dagli Spannocchi un prestito di 300.000 ducati. Probabilmente questo sospetto non aveva fondamento, perché la banca senese si trovava in quel momento in assai critiche condizioni finanziarie, sembra proprio in conseguenza di alcune arrischiate speculazioni del B., e infatti di lì a poco Alessandro Spannocchi dovette dichiarare fallimento per settantamila ducati; ad ogni modo il B. fu arrestato nel febbraio dei 1504 ed imprigionato in Castel Sant'Angelo, sotto l'accusa ufficiale di aver falsificato il breve di Pio III, che lo confermava nelle cariche; pare anche che il risentimento degli Spannocchi contro il loro antico associato contribuisse non poco a determinare la sua rovina.
Al suo posto la carica di tesoriere generale pontificio fu affidata da Giulio II al protonotario apostolico Francesco Alidosi, amico del Della Rovere. Il famoso giurista Antonio de Soto assunse la difesa del B. nel giudizio, che si concluse nel novembre del 1504. Il B. fu privato di tutte le cariche, ma, comprando il perdono di Giulio II con 8.000 ducati, ottenne di conservare la carica episcopale e di essere rimesso in libertà. Si ritirò allora dapprima "ad gimnasium patavinum" e poi nella sua diocesi di Massa Marittima, dove morì nel 1511.
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