VERSAILLES (A. T., 32-33-34)
Città della Francia settentrionale, capoluogo del dipartimento di Seine-et-Oise con 66.859 abitanti (1931). Sorse in posizione bella e pittoresca a 130-140 m. s. m., circondata da alture coperte di boschi che permettono numerose ed incantevoli passeggiate. È sede di prefettura, di vescovato, di Corte d'assise, di tribunale di prima istanza; vi sono scuole primarie e secondarie, una scuola d'artiglieria e genio, seminarî, musei, biblioteche, archivî. Famosa per i suoi monumenti e per i suoi ricordi storici, conserva tuttora il maestoso aspetto di città regale. È unita a Parigi con rapidi e frequentissimi mezzi di comunicazione.
Arte. - Il castello, il giardino, la città formano un complesso artistico di prim'ordine; Versailles è il tipo della città residenza reale, più volte realizzata nel corso dei secoli XVII e XVIII.
Il castello. - Luigi XIII, appassionato cacciatore, che si recava spesso nei boschi di Versailles, nel 1624 decise di elevarvi un padiglione, un piccolo castello in mattoni e pietra con tetto di ardesia, modesta opera dell'imprenditore Le Roy, nota attraverso una stampa del Silvestre e tuttora esistente come nucleo delle costruzioni posteriori. Dopo la morte del Mazzarino (1661), Luigi XIV iniziò i primi lavori a Versailles; si accontentò in un primo tempo di far restaurare il castello paterno e di aggiungervi due ali che venissero a formare un cortile, il "cortile di marmo". In questa modesta cornice architettonica furono tenute magnifiche feste: Molière vi recitò l'Improptu de Versailles. Ben presto il piccolo castello fu insufficiente; ma nonostante le insistenze del Colbert, Luigi XIV rifiutò di farlo demolire. Con il 1668 il Le Vau ne avvolse tre lati con nuove costruzioni, duplicandone la capacità, provvedendolo di un'ampia facciata sul lato del parco, la cui sistemazione era stata iniziata dal Le Nôtre. Nel 1678 il Mansart trasformò tutte le parti posteriori verso i giardini: la costruzione del Le Vau, modificata, divenne la "Galleria degli specchi" e in generale la parte centrale di un vasto complesso prolungato a destra e a sinistra dall'ala sud o "ala dei principi" (1679-82) e dall'ala nord (dal 1684). Lo sviluppo totale della facciata è di 580 m. Verso il 1690 il castello di Versailles ebbe l'aspetto quasi definitivo. Vi furono aggiunti in seguito la cappella, opera del Mansart e di R. de Cotte. Per riposare dalle solennità della corte Luigi XIV fece costruire nel parco dai medesimi artisti il "Grande Trianon" (1688 segg.), piccola villa col solo pianterreno.
L'ostinazione dimostrata da Luigi XIV nel conservare per amore filiale il castello paterno aveva avuto per risultato un'opera molto bella ma priva di unità. Sotto Luigi XV l'architetto Gabriel progettò un nuovo castello secondo il gusto del tempo; poté però elevare il solo avancorpo prolungando a destra il "cortile di marmo"; venne poi edificato sul lato sinistro un corpo simmetrico a quello. È pure del Gabriel il padiglione del Piccolo Trianon (1766), poco lontano dal quale Maria Antonietta fece sistemare dal suo architetto Mique il Hameau (il villaggio).
A metà del sec. XIX Versailles era abbandonata e minacciava di rovinare quando Luigi Filippo ne iniziò il restauro, e la trasformò in un museo dedicato "à toutes les gloires de la France". Interni interessanti sparirono per fare posto a gallerie da museo, particolarmente alla "Galleria delle battaglie" nell'ala sud.
Versailles è quindi oggi uno dei grandi musei francesi; l'interesse che presenta è duplice: vi sono stati riuniti un certo numero di quadri storici, molti dei quali sono notevoli opere d'arte (ritratti eseguiti dal Nattier e dalla Vigée-Lebrun, Distruzione delle Aquile del David, Battaglia di Aboukir del Le Gros, Battaglia di Taillebourg del Delacroix, ecc.). In tutto il primo piano della parte centrale sono stati invece ricostruiti gli appartamenti reali, rispondenti a tre epoche ben distinte: Luigi XIV (camera del re, della regina, "Galleria degli specchi" con decorazioni del Le Brun, tra i due saloni della guerra e della pace); Luigi XV (piccoli appartamenti del re); Maria Antonietta (piccoli appartamenti della regina). Il Grande Trianon, dove risiedeva Napoleone, ha un arredamento stile impero. Recentemente è stato aggiunto un museo storico di Versailles (dipinti e stampe).
I giardini. - La storia dei giardini, della loro pianta e delle loro sculture si divide anch'essa in varî periodi. L'insieme è dovuto al Le Nôtre, il quale, a partire dal 1666 vi creò il capolavoro dei giardini alla francese, applicandovi il principio di allontanare dalle abitazioni le masse di verdura.
Davanti al castello si stende un vasto piazzale decorato soltanto di bacini bassissimi (specchi d'acqua): nulla ferma lo sguardo, il quale attraverso un largo (Tapis Vert) che corre tra due alte macchie posa sul bacino di Apollo sul Grande Canale e si perde all'infinito. Nelle macchie sono stati sistemati dei boschetti in varie epoche: quello del colonnato è una delle opere classiche del Mansart, quello del Bagno di Apollo è dovuto a Hubert-Robert (fine sec. XVIII). Numerose fontane e statue animano l'insieme. Dal 1666 al 1669 nelle sculture fu usato il piombo: Fontana di Latona, dei fratelli Marsy; Carro di Apollo del Tubi, Bagno delle Ninfe del Girardon; il Labirinto, con storie d'animali tratte dalle favole d'Esopo, una delle più curiose realizzazioni dell'epoca, è purtroppo scomparso. Dopo il 1674 il Le Brun con i suoi aiuti popolò di statue marmoree il terrazzo e il Tapis Vert: derivò la maggior parte dei soggetti allegorici dall'Iconologia di Cesare Ripa. Il Girardon scolpì per il parco di Versailles l'Inverno e il Ratto di Proserpina. Dopo il 1685 fu adottato il bronzo; è l'epoca della magnifica decorazione degli "specchi d'acqua": statue di fiumi e gruppi di putti a cui collaborò Coysevox. Il "Bacino di Nettuno" è in gran parte del sec. XVIII (circa 1740). Il parco del Piccolo Trianon, progettato sotto Luigi XVI, ha un carattere del tutto differente da quello dei giardini del castello: è un giardino all'inglese cosparso di piccole costruzioni (Padiglione della Musica, Tempio dell'Amore, Villaggio di Maria Antonietta).
La città. - Si può dire che l'intera città di Versailles sia una creazione di Luigi XIV. La pianta, uno dei capolavori dell'urbanistica, ha per fattore essenziale il convergere davanti al castello di tre larghi viali: Avenue de Paris, de Saint-Cloud, de Sceaux, la cui larghezza raggiunge quasi i cento metri. Ivi, dietro alle scuderie reali, opera del Mansart, sorgevano i grandi servizî d'amministrazione e le case dell'alta nobiltà: tutte queste costruzioni erano soggette a servitù di altezza e di facciata. A nord-est della parte centrale è il quartiere dell'epoca di Luigi XIV di pianta regolare, avente per centro la piazza Hoche e la chiesa di Notre-Dame (Mansart, 1684). Sotto Luigi XV fu costruito il quartiere meridionale, intorno alla chiesa di Saint-Louis (1742-54) oggi cattedrale. L'idea di creare una città intorno alla residenza del sovrano è stata spesso ripresa nel sec. XVIII, specie in Germania (Mannheim e Karlsruhe) e in Russia (Pietroburgo). (V. tavv. LIII e LIV)
Bibl.: Félibien, Description sommaire du château de Versailles, Parigi 1674 e 1696; Piganiol de la Force, Nouvelle description du château et du parc de Versailles, ivi 1704; J. Guiffrey, Comptes des Bâtiments du Roi sous le Règne de Louis XIV, ivi 1881-1887-1891; P. de Nolhac, La création de Versailles, ivi 1901; id., Histoire du Château de Versailles, voll. 3, ivi 1911-1928; id., La Chapelle royale de Versailles, ivi s. a.; id., Les grands Palais de France, les Trianons, ivi s. a.; id., Les Jardins de Versailles, ivi 1930; G. Brière, Le château de Versailles, Architecture et décoration, ivi 1907; L. Deshairs, Le Grand Trianon, ivi 1908; W. Hegemann e E. Peets, The American Vitruvius. An Architect's Handbook of Civil Art, New York 1922: P. Lavedan, Histoire de l'urbanisme, II, Parigi 1927; P. Francastel, La création du Musée historique de Versailles, ivi 1930; id., La sculpture de Versailles, ivi 1930; A. Pératé, Versailles (coll. Villes d'arts), ivi s. a.; P. Gruyer, Huit jours à Versailles, ivi s. a.; J. A. Le Roi, Histoire de Versailles, Versailles s. a.
Storia. - Luigi XIV fino dal 7 maggio 1682 si stabilì a Versailles con tutta la corte e il governo: Parigi cessava quindi di essere la capitale del regno, e principiava così quel pericoloso assenteismo reale che durò fino ai primi d'ottobre del 1789. La presenza a Versailles del re, della corte, dei ministri, determinò lo sviluppo di una città connessa necessariamente alla vita del castello. Versailles divenne così, alla fine del sec. XVIII, un centro economico importante della Francia, dove s'arricchirono numerosi fornitori del re e della corte. Sotto i successori di Luigi XIV si accentuò il carattere di città di Versailles, poiché, come s'è detto, numerose e costose trasformazioni e aggiunte furono operate da Luigi XV e Luigi XVI. In città, oltre alle chiese di Notre-Dame e di Saint-Louis, furono innalzati edifici per servizî pubblici (il Palazzo comunale nel 1682, il palazzo della guerra, oggi scuola dei sottufficiali del genio, il palazzo degli Affari esteri, oggi biblioteca comunale), un giuoco della pallacorda, un ospizio, un convento delle orsoline. Alla morte di Luigi XIV Versailles contava 30.000 ab. e 60.000 al principio della rivoluzione. A Versailles il 5 maggio 1789, in una sala espressamente costruita, si riunirono gli Stati generali. Luigi XVI, scortato dai parigini tumultuosamente giunti a Versailles la vigilia, lasciò con la sua famiglia il castello il 6 ottobre 1789 per non farvi più ritorno. Allora ebbe principio la decadenza. Il castello fu spogliato; le proteste degli abitanti impedirono però che la città venisse rasa al suolo. La popolazione, con la partenza del re, era scesa a 50.000 anime; nel 1792 a 38.000, e poi a 36.000. Il castello fu trascurato da Napoleone che non l'amava troppo, per quanto nel 1811 desiderasse di stabilirvisi.
La città fu occupata dai Tedeschi nell'ottobre 1870. Il 18 gennaio 1871 il re di Prussia fu incoronato imperatore tedesco nella Galleria degli specchi del castello. Bismarck vi discusse con Jules Favre, ministro degli Affari esteri e della Difesa nazionale, le condizioni dell'armistizio firmato il 26 gennaio. Poco dopo, l'Assemblea nazionale, lasciata Bordeaux, vi seguiva il Thiers, organizzatore della lotta contro la Comune di Parigi (v. appresso). Soltanto nel 1879 le due camere lasciarono Versailles per Parigi. La città, che contava 44.000 ab. nel 1872, alla vigilia della guerra mondiale ne aveva 54.000. Il 28 giugno 1919 per volere di Georges Clemenceau fu firmato il trattato di pace con la Germania e con i venticinque stati coalizzati, nella Galleria degli specchi del castello.
Bibl.: Numerosi articoli su questioni particolari, in Revue d'histoire de Versailles et de Seine-et-Oise. Cfr. inoltre: M. Foncin, Versailles, étude de géographie historique, in Annales de géographie, 1919, e soprattutto: P. Evrard, Versailles ville des rois, collezione di documenti inediti relativi alla storia economica della rivoluzione, Parigi 1935. Molti dei fatti concernenti la storia di Versailles possono essere presi dalle opere, in numero grandissimo, riguardanti la storia del castello. Si troveranno elementi bibliografici su questa storia in P. Gruyer, Versailles, Encyclopédie par l'image, Parigi 1925.
L'Assemblea di Versailles.
L'Assemblea nazionale che governò la Francia dal 13 febbraio 1871 al 31 dicembre 1875, dopo avere seduto per un mese a Bordeaux, si trasferì a Versailles il 20 marzo 1871. Essa si trovò di fronte a una situazione gravissima: il Thiers, nominato a Bordeaux capo del potere esecutivo, aveva costituito un ministero, firmato a Versailles i preliminari di pace con la Prussia, e ottenuto dalla maggioranza monarchica il rinvio della decisione sulla forma del governo, ma non aveva potuto impedire che Parigi cadesse il 18 marzo nelle mani della Comune. Bisognava quindi anzitutto sottomettere la capitale; ciò che fu fatto con una guerra civile che finì con la "settimana di sangue" (21-28 maggio). Durante questo tempo l'Assemblea sostenne il Thiers nell'opera di repressione come pure ratificò il 18 maggio con 433 voti contro 98 il trattato di Francoforte e provvide all'amministrazione locale, approvando il 14 aprile, dopo molte discussioni, una legge dipartimentale. Restava però sempre aperto il problema fondamentale della forma del governo. La maggioranza considerava la repubblica un regime provvisorio, ma era internamente divisa fra legittimisti e orleanisti. Il paese invece inclinava a poco a poco verso la repubblica, come si vide nelle elezioni suppletive del 2 luglio, nelle quali i repubblicani vinsero in 39 dipartimenti su 46. Verso la repubblica inclinava anche il Thiers, quasi sempre in lotta con la maggioranza. In queste condizioni i partiti monarchici tentarono la fusione, che però fallì perché il conte di Chambord, che gli orleanisti si sarebbero adattati a sostenere, rifiutò pubblicamente il 5 luglio di rinunciare alla bandiera bianca. Allora il Thiers che, nonostante l'ostilità della maggioranza, era sempre riuscito a dominare l'Assemblea con la minaccia delle dimissioni, minaccia gravissima data la difficoltà di trovare un altro uomo capace di governare il paese in quel momento, riuscì a far approvare il 31 agosto, con 491 voti contro 94, la cosiddetta costituzione Rivet. Con questa legge l'Assemblea conferiva al Thiers il titolo di presidente della repubblica e stabiliva che i suoi poteri durassero quanto l'Assemblea stessa, dinnanzi alla quale egli restava responsabile. Nello stesso giorno l'Assemblea, nonostante l'opposizione dei repubblicani condotti dal Gambetta, che avrebbero preferito lo scioglimento, si proclamava Costituente con 434 voti contro 225. Dopo questo voto l'Assemblea si aggiornò. La successiva sessione (7 dicembre 1871-31 marzo 1872), in gran parte occupata dal dibattito finanziario, rivelò il sostanziale disaccordo fra l'Assemblea e il presidente. Questi nel suo messaggio del 7 dicembre, per non urtare la destra, evitò di parlare di repubblica, poi il 26 dicembre, in un discorso contro l'imposta sul reddito, fece una prima dichiarazione di fede repubblicana. Ma il 19 gennaio 1872 egli fu battuto da un voto di sfiducia sulla questione del libero scambio e diede le dimissioni, subito ritirate in seguito all'insistenza dell'Assemblea. La sessione primaverile (22 aprile-3 agosto) fu in gran parte occupata dalla discussione della legge militare, che ristabilì il servizio obbligatorio. Frattanto la situazione si andava lentamente evolvendo in favore dei repubblicani: altri tentativi di fusione fra i monarchici erano falliti; si era formato un nuovo gruppo, il centro sinistro, favorevole al nuovo regime, che presto doveva esercitare notevole influenza. Il Thiers credette allora venuto il momento di chiarire la situazione. Alla riapertura dell'Assemblea, il 13 novembre 1872, egli lesse un messaggio nel quale proclamava apertamente la sua fede nella repubblica conservatrice. Il messaggio ebbe grande risonanza nel paese e provocò nell'Assemblea molte discussioni che portarono, il 29 novembre, alla decisione, presa con 372 voti contro 335, di nominare una commissione di 30 membri, incaricata di preparare una legge sull'organizzazione dei pubblici poteri: era un primo passo verso una costituzione definitiva. Frattanto il Thiers attendeva con grande energia e alacrità all'opera di ricostruzione nazionale: venne lanciato un prestito per pagare l'indennità di guerra e s'intavolarono trattative con la Germania per l'evacuazione anticipata del territorio che fu ottenuta con il trattato del 15 marzo 1873. Ma nonostante queste benemerenze la posizione del Thiers era ormai fortemente indebolita. Il centro destro orleanista, che fino allora lo aveva sostenuto, non gli perdonava le sue dichiarazioni repubblicane. La Commissione dei trenta volle limitare gl'interventi presidenziali nell'Assemblea, riducendo il potere semidittatoriale del Thiers a quello di un re costituzionale, gettando così le basi di un principio che ebbe in seguito grande sviluppo. Infine l'attiva propaganda dei repubblicani di estrema sinistra condotti dal Gambetta spaventava i conservatori, compresi i repubblicani moderati, sempre ossessionati dal ricordo della Comune. Un'elezione parziale tenutasi a Parigi il 27 aprile 1873, nella quale il Barodet, repubblicano di sinistra, trionfò del Rémusat, moderato, sostenuto dallo stesso Thiers, spinse quest'ultimo a rimaneggiare il gabinetto in senso nettamente repubblicano per venire incontro allo spirito pubblico. Contro questo rimaneggiamento fu presentato un ordine del giorno di sfiducia che, approvato con 360 voti contro 344, provocò le dimissioni del Thiers. In sua vece venne immediatamente eletto presidente il maresciallo Mac-Mahon che costituì un gabinetto col duca De Broglie, orleanista, vicepresidente del consiglio. La corrente monarchica e cattolica aveva la prevalenza: si ebbero nel paese e nell'Assemblea numerose manifestazioni politico-religiose a favore del ristabilimento del potere temporale, le quali per poco non portarono a una rottura con l'Italia, già altre volte faticosamente evitata dal Thiers in occasioni analoghe. Sembrava inoltre venuto il momento adatto per la restaurazione. Il 5 agosto 1873 con la visita del conte di Parigi al conte di Chambord si realizzò nuovamente la fusione dei partiti monarchici. Nonostante che le numerose elezioni parziali avessero rafforzato i repubblicani, la destra aveva ancora la maggioranza, sia pure per pochi voti. Ma il pretendente rifiutò ancora una volta, il 27 ottobre, di adottare la bandiera tricolore e questo provocò la scissione nella maggioranza. Svanite le speranze di restaurazione, il 20 novembre, venne conferito al Mac-Mahon il mandato presidenziale per sette anni. L'anno 1874 fu in gran parte occupato dal dibattito costituzionale. Una legge mirante a rendere stabile il settennato presidenziale, assai combattuta dalla destra che sperava, limitando il mandato settennale al Mac-Mahon, di mantenere il regime repubblicano in uno stato di provvisorietà, fu approvata il 30 gennaio 1875. Finalmente il 24 e il 25 febbraio vennero approvate altre due leggi, una sul Senato e l'altra sull'organizzazione dei poteri pubblici, elaborate dalla Commissione dei trenta. Così l'Assemblea dava alla Francia la costituzione tuttora vigente. Essa si sciolse però solamente il 31 dicembre 1875 dopo avere eletto 75 membri inamovibili del Senato. La Camera dei deputati e il Senato seguitarono a risiedere a Versailles fino al 1879, quando rafforzatosi ormai definitivamente, con le dimissioni del Mac-Mahon, il regime repubblicano, si trasferirono a Parigi.
Bibl.: M. De Roux, Origines et fondation de la Troisième République, Parigi 1933; G. Hanotaux, Histoire de la fondation de la Troisième République, nuova ed., ivi 1925.
Trattati di Versailles.
Trattato del 1° maggio 1756. - Fu stipulato tra la Francia e l'Austria, dopo un'intensa preparazione diplomatica compiuta sotto l'assillo della minaccia britannica e della crescente forza prussiana, e venne firmato dal conte di Stahremberg, da A.-L. Rouillé e dall'abate P. de Bernis. L'accordo ha un grande valore storico, in quanto l'alleanza tra Borboni e Asburgo segna un capovolgimento nei tradizionali rapporti politici europei (renversement des alliances), e anche perché costituisce il punto di partenza della grande coalizione contro Federico II nella guerra dei Sette anni.
Il trattato consta, in realtà, di tre atti diplomatici distinti, accomunati da una sola data e da un'unica ratifica. Il primo è costituito da una "convenzione di neutralità" che Francia e Austria s'impegnano di mantenere e rispettare per tutta la durata dei contrasti e dell'eventuale guerra tra la Francia e l'Inghilterra. Il secondo consiste in un accordo che conferma i trattati di Vestfalia e quelli successivi e, in pari tempo, pattuisce un sistema di mutua garanzia. I due stati contraenti s'impegnano reciprocamente a un aiuto militare di 24 mila uomini contro qualunque aggressore, eccezione fatta per la Gran Bretagna. Infine vengono sottoscritti cinque articoli segreti che perfezionano e consolidano l'alleanza. In virtù di tali patti, si specifica che dev'essere considerato casus foederis l'eventuale aggressione di un alleato dell'Inghilterra contro qualsiasi territorio francese o austriaco (art. 1); si stabilisce d'invitare ad accedere al trattato esclusivamente il re di Spagna, il re di Napoli, e il duca di Parma e Piacenza (art. 2); si conferma la volontà di mantenere lo statu quo in Italia (art. 3).
Questo complesso d'accordi prende, generalmente, il nome di primo trattato di Versailles. Il secondo trattato fu sottoscritto, dai medesimi firmatarî del primo, esattamente un anno dopo (1° maggio 1757); consta di 32 articoli seguiti da altri 10 articoli separati e supplementari. In esso s'accentua il vincolo franco-austriaco; ma l'esame del testo, mentre rivela l'urgenza delle necessità belliche, dimostra anche quali e quante illusioni di vittoria nutrissero i Borboni e gli Asburgo agl'inizî della guerra dei Sette anni.
Trattato del 15 maggio 1768. - È il trattato che stabilì la cessione della sovranità sulla Corsica da parte della repubblica di Genova al re di Francia. La diplomazia di Luigi XV completava così l'opera abilmente iniziata con i due trattati di Compiègne (1756 e 1764), e riusciva a bilanciare, almeno in parte, le perdite coloniali subite con la guerra dei Sette anni, migliorando la posizione marittima e commerciale della Francia nel Mediterraneo. Il duca di Choiseul, animatore di questa politica, fu pure abile e previdente nell'assicurarsi la benevola neutralità della Spagna, dell'Austria e della Prussia. La stessa Inghilterra, ch'era direttamente colpita, non si mosse, e quindi rimasero sterili le proteste del governo borbonico di Napoli e del re di Sardegna.
Genova, in virtù del trattato, ottenne, come compenso, un regolamento favorevole dei sussidî avuti dalla Francia e un indennizzo di due milioni di lire. Inoltre l'art. 4 pattuiva che la repubblica avrebbe potuto rientrare in possesso dell'isola mediante il rimborso alla Francia delle spese inerenti alla conquista e all'amministrazione.
Bibl.: Il testo dei trattati del 1736, in Martens, Recueil des traités, II, pagine 462-503. Il testo del trattato del 1768, ibid., III. - Per la genesi storica del trattato del 1768, G. Volpe, Europa e Mediterraneo nei secoli XVII-XVIII, in Momenti di storia italiana, Firenze 1925. Per le conseguenze del trattato: L. Villat, La Corse de 1768 à 1789, voll. 2, Besançon 1925.
Trattato del 1919 e Conferenza della pace di Parigi. - Il 18 gennaio 1919 si apriva ufficialmente a Parigi la Conferenza della pace. Il compito che aveva davanti era immenso. Infatti si sarebbe dovuta rifare la carta d'Europa su basi in gran parte nuove e dopo la scomparsa di uno dei più antichi imperi, quello asburgico; stabilire le condizioni di vita per i nuovi stati sorti per lo più sulle rovine di quello; ripartire un importante impero coloniale; rimediare, se possibile, alle rovine che avevano devastato alcune delle più ricche regioni d'Europa; ristabilire le condizioni normali per la produzione e i commerci, sconvolti da più di quattro anni di guerra. Ma soprattutto, secondo le promesse, la Conferenza avrebbe dovuto instaurare la "vera pace, la pace perpetua", che i combattenti e i popoli avevano sognato durante la tormenta, e, in mancanza della quale, appariva inutile il sacrificio di tante giovani vite e di tanti beni. Si pensava fosse una cosa possibile purché i rapporti fra le nazioni venissero regolati dalla giustizia e non dalla forza.
Il programma per una tale pace fu formulato da Wilson nei suoi Quattordici punti esposti al Congresso americano l'8 gennaio 1918 e nei messaggi successivi. Esso si riassumeva nei seguenti principî: santità dei trattati, autodecisione dei popoli, disarmo, Lega delle nazioni. Era questo un programma sorto negli Stati Uniti che, protetti da due mari e senza potenti vicini, provvisti di tutte le risorse economiche, senza aspirazioni territoriali, credevano possibile la pace eterna e la desideravano per poter sviluppare la loro produzione e il loro commercio con tutto il mondo. Ma non era un programma che si adattasse alle condizioni storiche dell'Europa, il cui assetto era il frutto di secoli di contrasti e di guerre, e dove ogni nazione vedeva la sicurezza e la pace nella maggior quantità di garanzie di ogni genere contro un attacco esterno. Poiché le condizioni di pace dovevano essere stabilite dai vincitori, era impossibile impedire, p. es., ai Francesi, dopo una vittoria, ottenuta in circostanze così favorevoli che non si sarebbero ripetute mai più, di tendere con ogni forza alla creazione di una zona di protezione di fronte a una nuova eventuale minaccia tedesca, da ottenersi con l'indebolimento politico ed economico della Germania; come era impossibile negare agli altri la sicurezza dei confini naturali, o l'acquisto di regioni indispensabili per l'avvenire economico, la libertà delle comunicazioni interne o col mare, anche se così includevano nel proprio territorio minoranze straniere.
Tuttavia la Conferenza non era libera nella sua azione, perché gli Alleati e l'associato (come erano detti gli Stati Uniti) si erano già impegnati verso la Germania a fare la pace su certe determinate basi.
Infatti, quando ai primi dell'ottobre 1918, in seguito alla situazione militare disperata, il governo tedesco fu costretto a cedere, si rivolse a Wilson (3 ottobre), chiedendogli la pace basata sui suoi principî, e l'immediata conclusione di un armistizio. Seguì a questa richiesta uno scambio di note, destinato a precisare: a) l'accettazione integrale, da parte tedesca, dei Quattordici punti e successivi messaggi, senza alcuna discussione, la quale si sarebbe dovuta limitare ai particolari dell'applicazione; b) l'impegno di evacuare tutti i territorî invasi; c) l'accettazione delle condizioni di armistizio stabilite dalle autorità militari alleate e delle garanzie che avrebbero dovuto assicurare in modo assoluto la supremazia degli eserciti alleati. Quando il governo tedesco ebbe accettate queste condizioni (20 ottobre), Wilson le trasmise agli Alleati, che le sottoposero al Consiglio supremo di guerra.
Questo esaminò separatamente le condizioni dell'armistizio e l'accettazione dei Quattordici punti. Scopo delle prime era quello di dare l'assoluta garanzia che la Germania non sarebbe stata in grado di riprendere la guerra, nel caso che non avesse voluto accettare le condizioni di pace, e dapprima furono studiate e preparate dalle autorità militari, poi, a cominciare dal 29 ottobre furono prese in esame in riunioni private alle quali partecipavano i capi di governo e i ministri degli Esteri di Francia, Italia e Inghilterra e House in rappresentanza di Wilson. Questo sistema delle riunioni private, che doveva trovare larga applicazione alla Conferenza, continuò anche durante le sedute del Consiglio supremo, che cominciarono il 31 ottobre, e alle quali oltre i predetti partecipavano i consiglieri militari e furono ammessi i rappresentanti del Belgio, del Giappone, della Serbia e della Grecia, e quelli delle altre piccole nazioni, quando si fosse trattato di cose che li interessavano. Nelle loro riunioni private, i capi responsabili delle grandi potenze si accordavano sulle soluzioni che venivano poi presentate e in genere accettate integralmente dal Consiglio supremo.
Lo stesso sistema fu adottato anche per i Quattordici punti. I capi degli stati europei erano contrarî alla loro incondizionata accettazione, perché, essendo redatti in termini vaghi, pensavano che potessero essere interpretati in modo da non assicurare né la stabilità né la giustizia della pace futura. Ma soprattutto temevano che essi impedissero le rivendicazioni dei trattati conclusi fra loro durante la guerra. Perciò per quanto House il 29 ottobre fornisse un'interpretazione che ne precisava la portata e cercava di renderli più accetti agli Alleati, questi tentarono senz'altro di scartarli. Ma House vinse la resistenza dichiarando che quella era la condizione preliminare della partecipazione americana alle trattative per l'armistizio, e minacciando di pubblicare gli scopi di guerra degli Alleati. E così l'accordo fu raggiunto su tutto, salvo su due punti, la libertà dei mari e le riparazioni. Circa la prima gli Americani volevano rendere indipendente il loro commercio marittimo dalle leggi stabilite dall'Inghilterra in tempo di guerra, mentre gl'Inglesi non intendevano affatto abbandonare la loro supremazia navale e Lloyd George arrivò fino a dichiarare che l'Inghilterra avrebbe speso fino all'ultima ghinea per conservare una marina superiore a qualsiasi altra potenza. La discussione, talvolta anche drammatica, non riuscì a vincere l'intransigenza britannica, e House dovette accontentarsi della promessa che l'Inghilterra non si sarebbe opposta a quella eventuale soluzione che sarebbe stata trovata dalla Conferenza.
In base alle decisioni prese il 4 novembre dal Consiglio supremo, Wilson il giorno dopo comunicò al governo tedesco l'accettazione alleata dei suoi punti, salvo due riserve; a) sulla "libertà dei mari", per la quale gli Alleati mantenevano libertà d'azione per quando fosse venuta in discussione alla Conferenza; b) sulle riparazioni, che s'intendeva dovessero "compensare tutti i danni subiti dalle popolazioni civili e dai loro beni a causa dell'aggressione tedesca sia per terra, sia per mare, sia dall'aria". Fu in seguito a questo impegno politico da parte degli Alleati di fare la pace secondo i Quattordici punti, che la Germania sottoscrisse l'armistizio dell'11 novembre che equivaleva ad una vera e propria resa a discrezione. Infatti oltre l'immediata evacuazione di tutti i territorî invasi, stabiliva anche quella della riva sinistra del Reno, di una striscia di 40 o 30 km. sulla riva destra, e delle tre teste di ponte di Magonza, Colonia e Coblenza, del raggio di 30 km.; l'occupazione da parte delle truppe alleate dei territorî sulla sinistra del Reno, e delle teste di ponte; la consegna di grandi quantità di materiale da guerra; l'internamento della flotta; la continuazione del blocco.
Firmato l'armistizio, la Conferenza della pace non si riunì subito e nello stesso tempo fu scartata l'idea di House di fare un trattato preliminare, che contenesse le clausole fondamentali sia militari e navali, sia quelle territoriali e delle riparazioni, e che, lasciando alla futura Conferenza o Congresso il resto dei problemi, intanto mettesse fine al periodo d'incertezza, impedisse il dilagare dell'anarchia nei paesi vinti, e lo sviluppo di esagerate aspirazioni nei paesi vincitori. Il ritardo nella Conferenza fu dovuta alla ferma decisione di Wilson di prendervi parte personalmente per difendere e imporre i suoi principî, alla necessità dei capi di governo alleati di dedicarsi agli affari interni, e al desiderio di attendere gli sviluppi della rivoluzione in Germania. Ma soprattutto fu dovuto alla fine improvvisa della lotta, che sorprese popoli e governi, i quali, protesi nello sforzo di guerra, non erano in grado di dedicarsi subito ai problemi di pace. Una certa preparazione era già stata fatta. Sia in Francia, sia in Inghilterra e in America fino dal 1917 erano stati creati organismi per lo studio di tutti i problemi - territoriali, economici, finanziarî, giuridici, ecc. - che si sarebbero presentati alla Conferenza. I varî ministeri fornirono i dati necessarî, che i componenti di questi varî organismi - giuristi, storici, geografi, etnografi, linguisti, ecc. - esaminarono, vagliarono e raccolsero in memorie, carte e statistiche, messe a disposizione delle rispettive delegazioni. Fra questi organismi si distinse l'Inquiry organizzata da House per incarico di Wilson. Però tutta questa era preparazione tecnica.
Giunto Wilson in Europa alla metà del dicembre 1918, le prime settimane le passò in ricevimenti, in cerimonie, in visite all'Inghilterra e all'Italia. Le folle enormi che gli si accalcarono intorno per acclamarlo freneticamente, radicarono sempre più in lui la convinzione di essere destinato a instaurare l'ordine nuovo e di rappresentare la volontà dei popoli d'Europa meglio dei loro governanti. Invece quelle folle avevano ancora presenti tutti i lutti, le sofferenze e le ansie della guerra; erano ancora in preda alle passioni suscitate dalla lotta, e non solo chiedevano pace, ma anche la punizione del nemico e il risarcimento dei danni, come dimostravano chiaramente le elezioni inglesi (14 dicembre 1918) che diedero una stragrande maggioranza al programma di processare il Kaiser e far pagare i Tedeschi fino all'ultimo centesimo. Nello stesso tempo il ritardo aveva rafforzato la posizione degli Alleati, poiché il caos dell'Europa centrale aveva tolto ogni possibilità di resistenza da quella parte. Ormai tutta la difesa dei punti wilsoniani riposava interamente su Wilson stesso. Ma a sua disposizione aveva ancora forze tali da permettergli d'imporre la sua volontà. Non solo le forze morali, ma anche quelle materiali: l'esercito americano al massimo di efficienza, di disciplina e di equipaggiamento, l'Europa in una situazione di completa dipendenza dagli Stati Uniti per i viveri e i mezzi finanziarî; la convinzione generale che solo gli aiuti americani, dati in larga misura, potevano salvarla dall'inedia e dalla bancarotta.
Nello stesso tempo il ritardo diede modo ai nuovi stati di procedere a una prima organizzazione dei poteri statali, provvedere ai problemi più urgenti e inviare proprie delegazioni alla Conferenza.
I lavori incominciarono il 12 gennaio 1919 con una riunione dei capi di governo e dei ministri degli Esteri degli Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Italia, ai quali il giorno dopo si aggiunsero i giapponesi. Le riunioni continuarono mattina e pomeriggio anche nei giorni successivi, e in esse venne stabilita l'organizzazione della Conferenza.
Sulla questione della rappresentanza fu deciso di escludere i nemici finché gli Alleati non si fossero messi d'accordo sulle condizioni da presentare loro, ossia quella che s'iniziava venne considerata una Conferenza preliminare fra gli Alleati, alla quale poi, secondo le decisioni ulteriori, poteva seguire un Congresso con la partecipazione dei nemici. Per il momento perciò furono ammessi tutti quelli che avevano dichiarato guerra o avevano rotto le relazioni con la Germania, in tutto 32 stati. Fra questi venne fatta una distinzione, e cioè fra le potenze a interessi generali, e quelle a interessi particolari. Le prime erano le cinque grandi potenze, Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Italia, Giappone e prendevano parte a tutti i lavori, mentre la partecipazione delle altre era limitata ai lavori di talune commissioni e alla presentazione delle loro richieste. Anche ai neutrali fu concesso come principio d'intervenire a quelle discussioni che riguardavano direttamente i loro interessi. Per quanto il numero dei delegati avesse un'importanza relativa, poiché ci si attenne alla tradizione diplomatica della unanimità e non della maggioranza dei voti, tuttavia era questione di prestigio e venne regolata con una certa difficoltà. Alle cinque grandi potenze furono assegnati 5 delegati ciascuna; alla Serbia, Belgio e Brasile tre; alla Cina, Grecia, Ḥigiāz, Polonia, Portogallo, Romania, Siam e Cecoslovacchia due; alle altre repubbliche sudamericane uno. Una rappresentanza separata venne data anche ai dominî inglesi e all'India, e ciò fu importante non solo per la storia dell'impero inglese, ma anche perché queste delegazioni fiancheggiarono e rinforzarono con la loro azione quella della delegazione inglese.
L'organo direttivo doveva essere il Consiglio dei Dieci, composto dei capi di governo e dei ministri degli Esteri, il quale così veniva ad essere il prolungamento del Consiglio supremo. A questo Consiglio, che dal 12 gennaio fino al 24 marzo doveva riunirsi due volte al giorno, vennero sottoposte tutte le questioni per l'esame e la decisione, prima di essere sottoposte alla Conferenza plenaria per l'approvazione definitiva. Alla sua esclusiva competenza fu riservato tutto quello che interessava le cinque grandi potenze. Queste poi avrebbero dovuto essere rappresentate in tutte le commissioni. Questo sistema non riuscì gradito a tutte le altre, le quali si attendevano di rappresentare una parte di primo piano nel regolamento degli affari mondiali; perciò nella seconda seduta plenaria (25 gennaio) protestarono. Come presidente della Conferenza, Clemenceau rispose che le grandi potenze, il giorno dell'armistizio, avevano dodici milioni di soldati sui campi di battaglia, e che le loro perdite in morti e feriti si contavano a milioni, e che se non ci fosse stata la questione della Società delle nazioni avrebbero potuto egoisticamente fare da sé. Era la verità e così l'organizzazione della Conferenza corrispose in fondo alla realtà dei fatti.
Altre decisioni furono prese su questioni minori come quella della lingua e della pubblicità da darsi ai lavori.
Circa la prima, contro la pretesa francese che la loro lingua fosse la sola ufficiale, si dichiararono tanto Wilson quanto Lloyd George - ambedue ignoravano il francese - e venne decisa la parità fra inglese e francese come lingua della Conferenza. Vivi contrasti suscitò la deliberazione, presa il primo giorno, di considerare le riunioni del Consiglio dei Dieci come riunioni private, e quindi di dare su esse brevi comunicati alla stampa; ma più ancora provocò l'indignazione della maggior parte delle centinaia di corrispondenti di giornali accorsi a Parigi, e soprattutto di quelli anglosassoni, il breve comunicato di cinque righe sulla prima riunione. Sembrò non solo un'offesa ai diritti della stampa e del pubblico, ma un'aperta violazione del primo punto di Wilson, che prometteva la diplomazia aperta. In seguito alle proteste, Wilson propugnò una maggiore pubblicità, però dovette riconoscere che per la riuscita di trattative molto delicate, in cui sono in giuoco gl'interessi di parti contrastanti, il segreto è una condizione indispensabile. Quindi alla fine si decise che la stampa avesse accesso solo alle sedute plenarie. Tutto ciò non impedì le indiscrezioni, spesso volute per servirsene contro gli avversarî.
Stabilita l'organizzazione occorreva provvedere anche alla procedura, ossia fissare un programma della Conferenza, tanto più necessario in quanto che nelle mani di quel piccolo numero di uomini stava l'avvenire dell'Europa. I Francesi, consci del vecchio principio che "tutti i grandi problemi politici in fondo sono problemi di procedura", si preoccuparono subito di preparare un programma che rendesse possibile il raggiungimento delle loro aspirazioni. Ne cominciarono l'elaborazione fino dal 15 novembre 1918 e lo presentarono a Wilson il 29. Era un programma che attraverso i Quattordici punti tentava di far passare anche quello che non vi era, e soprattutto gli scopi di guerra francesi quali erano stati fissati nei trattati conclusi durante la guerra. Rigettato subito, fu sostituito da un altro preparato da Tardieu e che fu sottoposto alla Conferenza. A questo Wilson contrappose il suo, che consisteva in un semplice elenco degli argomenti in ordine di precedenza, e cioè: Lega delle nazioni, riparazioni, nuovi stati, confini, colonie. E così se i partecipanti alla Conferenza avevano chiari i rispettivi scopi da raggiungere, il che da alcuni è stato considerato come un programma, questo in realtà mancava. Perciò il lavoro della Conferenza andò avanti in gran parte a caso.
A indirizzarla su questa via contribuirono anche tutti i problemi nuovi ai quali si dovette far fronte. Gli armistizî non avevano fatto deporre definitivamente le armi. Mentre la Conferenza attendeva all'opera di pace, in molti punti scoppiavano conflitti armati. Al margine dell'impero russo, dal Caucaso fino a Vladivostok, dall'Ucraina al Baltico, e perfino nell'estremo nord, sulla costa murmana, truppe bolsceviche combattevano contro altre truppe russe o alleate. Qua e là, in altri punti d'Europa, si facevano tentativi di precedere e magari determinare le decisioni della Conferenza con l'occupazione dei territorî desiderati, così al vecchio confine russo-tedesco corpi di volontarî polacchi volevano stabilire con la forza i nuovi confini della Polonia; lo stesso facevano dalla parte dell'Ucraina; le truppe romene oltrepassavano il confine ungherese e occupavano regioni prettamente magiare; quelle slave entravano in conflitto armato con quelle austriache per il bacino di Klagenfurth. Fra gli stessi Alleati sorgevano conflitti: così fra la Polonia e la Cecoslovacchia per Teschen, fra la Romania e la Iugoslavia per il banato di Temesvár. Di fronte a questi fatti non bastava che la Conferenza ammonisse solennemente che la ragione delle armi non avrebbe prevalso, ma doveva ricorrere all'invio di truppe per fare rispettare la sua volontà. Ma più grave ancora era la preoccupazione suscitata dal pericolo dell'estendersi dell'incendio bolscevico specie negl'Imperi Centrali. Tale eventualità era favorita dagli effetti del blocco che aveva impoverito la Germania, e poteva far compiere un atto disperato alla sua popolazione. Occorreva quindi provvedere, e al più presto, alla sua alimentazione e al rifornimento di materie prime per evitare che le masse disoccupate aumentassero il numero dei malcontenti. D'altra parte, specie i Francesi, temevano di fornire i mezzi per la resistenza o per una ripresa. Ma non solo l'Europa centrale, anche i paesi alleati avevano urgente bisogno di approvvigionamenti di ogni genere. La Conferenza perciò dovette pensare a tutto questo e diventò così anche una specie di supergoverno europeo, il che aumentò e complicò il suo compito.
La Conferenza, come si è detto, fu inaugurata ufficialmente il 18 gennaio 1919 con un discorso del presidente della repubblica francese, Poincaré, il quale, ricordando soprattutto i grandi sacrifici fatti dalla Francia, l'aggressione degl'Imperi Centrali e la completa vittoria degli Alleati, voleva anche indicare a quali direttive avrebbe dovuto ispirarsi l'opera di pace. Eletto come presidente Clemenceau e approvata l'organizzazione stabilita dal Consiglio dei Dieci per la prossima riunione, fu posta all'ordine del giorno la questione della Lega delle nazioni. Il 25 gennaio si ebbe la seconda seduta, nella quale furono approvate le decisioni già prese dal Consiglio dei Dieci e furono nominate cinque commissioni sulla responsabilità e sui colpevoli della guerra, sulle riparazioni, sui porti, vie d'acqua e ferrovie, sul lavoro e sulla Lega delle nazioni. A queste ne seguivano presto altre: quella per gli affari economici (23 gennaio), quella per le finanze (27 gennaio), e dal 1° febbraio in poi tutta la serie delle Commissioni territoriali, il cui lavoro doveva essere coordinato da una commissione territoriale centrale (27 febbraio). Il 23 gennaio era stato deciso che tutte le nazioni che avevano rivendicazioni territoriali le presentassero per scritto. Ma quando il 1° febbraio si constatò che nessuno lo aveva fatto, furono nominate le commissioni apposite. Questo metodo che faceva precedere le deliberazioni dallo studio era certamente il più indicato per arrivare a decisioni ponderate e possibilmente giuste, tanto più che in genere nelle commissioni entravano i più competenti in materia; purtroppo, però, mancò ad esse la direttiva precisa e uniforme che indirizzasse e coordinasse utilmente il loro lavoro.
Intanto la Lega diventava l'argomento principale del primo periodo della Conferenza fino alla partenza di Wilson. Questi vedeva in essa l'unico mezzo per assicurare la futura pace. Infatti solo un organismo fondato sulla cooperazione internazionale avrebbe eliminato in futuro ogni causa di guerra col mezzo della revisione dei trattati; avrebbe sostituito la garanzia dell'assistenza reciproca a quella dei confini strategici o misure di altro genere, che, violando il principio dell'autodecisione e dell'indipendenza dei popoli, costituivano una delle più frequenti cause di guerra. Inoltre ad esso si potevano rimandare molte questioni la cui soluzione per il momento avrebbe necessariamente risentito di tutte le passioni di guerra. Quindi Wilson fino dal suo primo arrivo in Europa aveva fatto capire che la Lega doveva essere al centro della Conferenza. Del resto già tutti conoscevano abbastanza i suoi propositi, quindi non trovò opposizione quando chiese che essa venisse inclusa nel trattato o nei trattati di pace. Nominata la commissione apposita, Wilson ne volle far parte e quindi ne ebbe anche la presidenza. Ma prima occorreva uno schema sul quale lavorare. Questo venne preparato negli ultimi giorni di gennaio e fu tratto dai numerosi progetti inglesi, americani e dello stesso Wilson, progetti elaborati e modificati successivamente dalla primavera del 1918 in poi. Avuto lo schema (3 febbraio) la commissione si mise al lavoro e lo continuò indefessamente per dieci giorni riuscendo a preparare una serie di 26 articoli, che, salvo qualche modificazione, passarono nel Trattato. Questo lavoro non fu senza contrasti, sorti fra le due concezioni, quella anglo-americana d'una garanzia generica e quella francese che voleva garanzie militari. Anche da parte francese era stato preparato un progetto di Lega, che in fondo non era altro che un'alleanza militare, con un esercito internazionale al quale la Francia avrebbe dato soprattutto il comando e lo Stato maggiore. L'urto fra le due concezioni avvenne a proposito del disarmo, il quale costituiva un elemento fondamentale per il successo della Lega, e al quale la Francia si opponeva in modo assoluto. Le discussioni durarono diversi giorni e talvolta assunsero un tono così aspro che l'11 febbraio Wilson fuori di sé abbandonò l'aula delle riunioni. Il pericolo che l'America abbandonasse la Conferenza indusse i Francesi ad accettare un compromesso, cioè quello di affidare alla Lega stessa il compito di studiare ed effettuare il disarmo. E così il 14 febbraio la Commissione poté presentare il suo progetto, approvato all'unanimità.
Ma anche altre questioni nel frattempo avevano sollevato forti contrasti, cioè quella delle colonie, e quella del rinnovamento dell'armistizio. Per quanto la prima figurasse all'ultimo posto dell'ordine del giorno di Wilson, accettato da tutti il 13 gennaio, tuttavia essa costituiva il punto principale delle rivendicazioni dell'Inghilterra e dei suoi dominî, e quindi Lloyd George desiderava che fosse risolta subito, anche prima della Lega, mentre Wilson con la teoria dei mandati, presa dal progetto Smuts, ne faceva uno dei compiti principali della Lega stessa. La questione posta sul tappeto all'improvviso e in modo alquanto teatrale da Lloyd George, colse alla sprovvista Wilson il quale perciò acconsentì a che le colonie tedesche non tornassero alla Germania. Ma da parte inglese si voleva addirittura l'annessione, il che portò in qualche momento quasi alla rottura. Il 30 gennaio il presidente americano minacciò senz'altro di esporre pubblicamente la cosa, e allora Lloyd George accettò il principio dei mandati e cioè che i territorî abitati da popolazioni non civili fossero affidati da amministrare alle nazioni civili, fino al momento in cui avessero progredito fino al punto di potersi amministrare da sé, e quindi ottenere l'indipendenza. Dei mandati vennero fatte tre categorie, a seconda del livello di civiltà dei varî territorî. E così per la terza categoria, alla quale appartenevano le colonie tedesche che andarono ai dominî britannici o al Giappone, il mandato era in realtà una velata annessione. La soluzione dei mandati fu accettata da tutti, anche perché così le colonie non venivano accreditate alla Germania in conto riparazioni.
Il rinnovo dell'armistizio apparentemente non avrebbe dovuto offrire difficoltà; ma le autorità francesi, fedeli al loro programma del massimo indebolimento possibile della Germania, tanto politico quanto economico, cercavano sempre d'introdurvi condizioni nuove. A questa tendenza si opposero Americani e Inglesi, i quali, desiderando arrivare al più presto alla smobilitazione, volevano che si stabilissero le condizioni militari definitive. La stessa cosa chiedevano i vinti per evitare la presentazione, ad ogni rinnovo di armistizio, di condizioni nuove. I Francesi invece vi erano contrarî perché temevano che, avvenuta la smobilitazione, mai più sarebbe stato possibile riportare gli eserciti americano e inglese al fianco di quello francese per imporre alla Germania l'accettazione delle dure condizioni di pace, delle quali perciò era prevedibile anche il rigetto.
Contemporaneamente alla questione della Lega e del rinnovo dell'armistizio si doveva risolvere anche quella dell'approvvigionamento dei paesi europei, compresi quelli nemici, minacciati da una terribile carestia. Anche qui i punti di vista anglo-americano e francese erano opposti. I primi ne facevano una questione di umanità, cioè dar da mangiare soprattutto a donne e bambini; i secondi una questione politica, cioè impedire ai nemici, finché non fosse fatta la pace, di ricostituire le loro forze e riprendere la lotta.
Queste varie divergenze giunsero al punto critico alla fine della prima decade di febbraio, e portarono a una risoluta presa di posizione di Clemenceau e a sedute tempestose. Alla fine, mentre rimase fermo sulla questione del blocco, la stretta unione fra Inglesi e Americani lo indusse a cedere sull'armistizio, e ad accettare (12 febbraio) la decisione di preparare un trattato preliminare di pace che contenesse le sole clausole militari.
E così il 14 febbraio Wilson partì per l'America col progetto della Lega già pronto, e, dopo avere riportato un indubbio successo, credeva che l'opera di pace fosse a buon punto. Invece rimanevano ancora da risolvere le questioni più importanti, quelle che più stavano a cuore alla Francia, all'Italia, al Giappone e ai minori alleati, cioè soprattutto l'assetto, ossia la pace effettiva dell'Europa. D'altra parte Wilson partiva senza che si fosse stabilito un programma preciso di lavoro, e senza avere indicato, nemmeno ai suoi collaboratori, come intendeva applicare i suoi Quattordici punti.
Insieme con la sua, si ebbero anche le assenze di Lloyd George e di Orlando, richiamati nei rispettivi paesi da urgenti questioni interne, e quella di Clemenceau, ferito il 19 febbraio gravemente. Fu così che le trattative rimasero affidate a House e ai ministri degli Esteri, cioè ad uomini di minore autorità e responsabilità, che dovevano rimandare le maggiori decisioni al ritorno di Wilson e degli altri. D'altra parte il ritardo si dovette anche alla circostanza che ora quasi tutto il lavoro era affidato allo studio delle commissioni. Perfino il trattato militare non fece progressi. Infatti i Francesi non si sapevano rassegnare alla smobilitazione senza essersi assicurati anche dell'accettazione delle clausole fondamentali sia economiche sia territoriali, e quindi il 22 febbraio venne deciso d'includere anche queste condizioni nel trattato preliminare. Ciò doveva inevitabilmente ritardare i lavori, nonostante l'ingiunzione alle commissioni di presentare i loro rapporti entro l'8 marzo, salvo quella militare che doveva presentarlo entro il 3 marzo. Invece le clausole sul disarmo tedesco, specie quelle che riguardavano la flotta tedesca, non furono pronte nel tempo stabilito, in seguito diedero luogo a molte discussioni e richiesero delle modifiche, cosicché poterono essere esaminate solo il 17 marzo dopo il ritorno di Wilson. Lo stesso avvenne per le riparazioni e per le clausole territoriali, le quali non fecero un passo avanti data la troppa distanza fra i rispettivi punti di vista. E così quando il 14 marzo Wilson fu di nuovo a Parigi le cose erano press'a poco al punto di prima, salvo il lavoro delle commissioni, e l'idea del trattato preliminare senza Lega delle nazioni fu rifiutata da Wilson e abbandonata.
È a questo punto che si affrontano tutte le questioni in pieno e incomincia il periodo più duro e agitato della Conferenza, che, messa davanti ai problemi più grossi, va incontro ai più forti contrasti.
Il 14 marzo la Francia presentò le sue richieste, cioè, oltre al disarmo della Germania, l'annessione della Saar e la costituzione di una repubblica renana, compresa nell'unione doganale francese. Queste condizioni, che i Francesi ritenevano assolutamente indispensabili alla loro sicurezza, erano in troppo aperto contrasto col principio di nazionalità, e avrebbero costituito una nuova Alsazia-Lorena ingigantita. Nessuno, salvo i Francesi, riteneva possibili simili condizioni. Eppure la resistenza alle richieste francesi non era facile. La forte opposizione che il progetto della Lega aveva incontrato al Senato americano aveva indebolito la posizione di Wilson, e per di più lo aveva posto nell'ingrata situazione di dover chiedere l'inclusione nello statuto della Lega, che in gran parte si doveva a lui, di una riserva per la dottrina di Monroe, riserva che necessariamente doveva indebolire il valore della Lega stessa agli occhi dei Francesi. Non solo, ma Wilson chiedendo concessioni non si poteva rifiutare di farne.
I primi giorni dopo il suo ritorno passarono in discussioni interminabili e sterili. Allora venne deciso di rendere normale il sistema già largamente praticato delle consultazioni e deliberazioni dei quattro capi di governo (escluso il Giappone; 24 marzo). Ma anche così non si fecero grandi progressi. La prima ad essere risolta fu la questione delle riparazioni, nella quale gli Americani, che volevano fissare subito una somma determinata e proporzionata alla capacità di pagamento della Germania, si trovarono soli di fronte agl'Inglesi e ai Francesi, i quali insistevano per rimandare la fissazione della somma e le modalità di pagamento a un secondo tempo quando cioè fossero stati stabiliti i danni subiti. Gli Americani perciò dovettero cedere, ma lo fecero anche per indurre la Francia ad essere arrendevole sulla questione renana. Il 26 marzo incomincia, per iniziativa di Lloyd George, la discussione serrata su questa. Ma Clemenceau è irremovibile, e ha dietro di sé non solo tutta la Francia, e specialmente Foch, il vincitore della guerra, e il presidente della repubblica, Poincaré; ma ha anche a sua disposizione un argomento formidabile fornitogli dall'opinione universale dei popoli dell'Intesa, e ora confermato dal rapporto della commissione apposita, e sul quale nessuno allora dubitava: cioè quello della colpa della Germania nello scoppio della guerra e nell'aggressione alla Francia. Per vincere la resistenza francese, Lloyd George il 27 marzo offre la garanzia dell'Inghilterra e dell'America per la frontiera francese. Clemenceau risponde che gli eserciti inglesi e americani non esistono e il giorno in cui essi saranno formati e portati in Francia, questa sarà già invasa dai Tedeschi; quindi gli occorrevano garanzie più sicure. Allora il 28 marzo Wilson offre la smilitarizzazione del Reno. Anche questa non basta e si arriva senz'altro a una crisi. Clemenceau indignato si ritira. Passano alcuni giorni di trattative indirette e di tentativi che non approdano a nulla, finché Wilson comincia a pensare anche lui a ritirarsi. Il 7 aprile viene annunciato pubblicamente l'ordine al George Washington - la nave presidenziale - di recarsi a Brest e rimanere lì pronta. Questo annuncio fece decidere Clemenceau, il quale del resto era già persuaso che alla sicurezza francese era assolutamente indispensabile l'appoggio dell'Inghilterra e dell'America, e lo indusse ad accettare il compromesso che gli veniva offerto da Wilson. Superato l'ostacolo più forte, dall'8 al 13 aprile furono risolte rapidamente le questioni sulle riparazioni, sulla Renania e sulle modifiche alla Lega. Rimanevano da stabilire particolari di secondaria importanza, e così il 13 aprile i Tedeschi furono invitati a Versailles.
Ma non tutte le questioni difficili erano risolte: rimanevano ancora quelle dell'Adriatico e dello Shantung. Più volte gl'Italiani, mentre si discutevano le questioni tedesche, avevano chiesto che contemporaneamente si fissassero anche le condizioni con l'Austria, cioè anche i confini italiani; ora di fronte alla convocazione dei Tedeschi Orlando insistette per una decisione immediata. L'esame venne fatto dal Consiglio dei quattro dal 19 al 23 aprile. La difficoltà veniva dalla richiesta italiana di Fiume, che era esclusa dal Trattato di Londra; mentre Francia e Inghilterra dichiaravano di mantenersi fedeli a quel trattato, compreso quanto riguardava quella città. Wilson poi, non legato ad alcun impegno, rimaneva sulla negativa tanto per la Dalmazia, quanto per Fiume e la parte orientale dell'Istria, ed era fisso su un confine che tagliava in mezzo l'Istria. La delegazione italiana non si rifiutava a concessioni in Dalmazia purché avesse ottenuto qualche cosa per Fiume. Queste le varie posizioni e poiché Wilson si rifiutò ostinatamente di muoversi di un millimetro dalla sua, tutti i progetti e compromessi furono vani. Il presidente americano, nonostante l'appoggio avuto da Orlando nella discussione sulle modifiche allo statuto della Lega, volle rifarsi sulle richieste italiane delle capitolazioni verso gli altri e resistette; e in ciò fu incoraggiato anche dall'atteggiamento della Francia e dell'Inghilterra, contrarie alle rivendicazioni adriatiche dell'Italia le quali avrebbero dato a questa completa sicurezza in quel mare, e con ciò maggior libertà d'azione nel resto del Mediterraneo. Le discussioni furono troncate il 23 aprile, quando Wilson ricorse a quello che aveva minacciato, cioè un appello all'opinione pubblica, specialmente dell'Italia, che egli credeva contraria alla delegazione.
L'appello provocò il ritiro momentaneo di questa, che il 24 aprile lasciò Parigi per poter deliberare sulla situazione con gli altri ministri e per prendere contatto con il parlamento e l'opinione pubblica. Nella seduta del 29 aprile, il Senato all'unanimità si dichiarava del tutto solidale col governo e gli riaffermava la piena fiducia per far valere i diritti dell'Italia; il giorno dopo anche la Camera votava la fiducia con 382 voti favorevoli e 40 contrarî. In seguito a ciò e in considerazione che l'assenza dei delegati italiani non giovava alla causa dell'Italia e lasciava il campo libero ai suoi avversarî e alla propaganda iugoslava; per evitare una rottura con gli Alleati, il conseguente isolamento dell'Italia e la perdita dei vantaggi che le derivavano dal trattato con la Germania; per non romperla definitivamente con Wilson e provocare le sue rappresaglie economiche e finanziarie che avrebbero aggravato la situazione interna italiana; e infine per prendere parte alle trattative di pace con l'Austria, invitata dagli Alleati, proprio durante l'assenza di Orlando e Sonnino da Parigi, a inviare i proprî delegati per il 12 maggio (v. saint-germain, XXX, p. 466) la delegazione decise il ritorno a Parigi, dove arrivò il giorno stesso della consegna del trattato alla delegazione tedesca (7 maggio).
L'altra questione fu sollevata dai Giapponesi, i quali chiedevano la cessione dei diritti dei Tedeschi nello Shantung. Gli Americani non ne volevano sapere, ma oltre che ai Giapponesi non era stata fatta alcuna concessione sulla questione dell'eguaglianza delle razze, il loro ritiro, dopo quello italiano, avrebbe minacciato la Conferenza stessa; quindi, dietro la loro assicurazione che essi nello Shantung perseguivano esclusivamente rivendicazioni economiche, e che non si opponevano al suo ritorno alla Cina, qualora questa avesse potuto rimborsare le spese fattevi, Wilson cedette (29 aprile). Il 28 aprile una seduta generale della Conferenza approvò lo statuto della Lega. A un'altra del 6 maggio venne presentato il riassunto del Trattato con la Germania, contro il quale si ebbe un'appassionata protesta di Foch. Il giorno dopo il trattato stesso venne consegnato solennemente alla delegazione tedesca. Escluse tutte le discussioni orali, furono ammesse le osservazioni per iscritto, per le quali venne dato un termine di 15 giorni, termine poi prorogato. Brockdorf-Rantzau, capo della delegazione tedesca, ricevette il trattato, osservando che solo una pace basata sulla giustizia avrebbe evitato il ritorno di nuovi conflitti, e che sulle sue labbra sarebbe stata una menzogna l'ammissione dell'esclusiva responsabilità degl'Imperi Centrali nello scoppio della guerra. Nei giorni successivi, mentre la Conferenza si occupava degli altri trattati, la delegazione tedesca si sottopose a un lavoro enorme per fare le osservazioni al trattato - di 440 articoli, oltre gli annessi, e di 80 mila parole circa - e quasi immediatamente cominciò la lunga serie di note, nelle quali tutte le disposizioni - Lega delle nazioni, disarmo, colonie, Renania, Saar, Danzica, Slesia, riparazioni, responsabilità della guerra, ecc. - furono sottoposte a una critica minuta e radicale, riassunta definitivamente nelle ultime risposte del 28 e 29 maggio, nelle quali la delegazione tedesca, partendo dall'osservazione fondamentale che il Trattato avrebbe dovuto corrispondere all'impegno del 5 novembre, e cioè essere informato ai principî wilsoniani, dimostrava che quei principî erano stati sistematicamente violati e faceva le sue controproposte.
L'impressione suscitata da queste critiche fu grande. In America e in Inghilterra la sorte della Germania suscitò compassione; nello stesso personale delle delegazioni si manifestarono solidarietà col punto di vista tedesco e alcuni si dimisero. Il gen. Smuts capo della delegazione del Sud-Africa dichiarò che non avrebbe firmato quel trattato. Allora Lloyd George, nel timore anche che le simpatie che riscuotevano i Tedeschi li inducessero a non firmare, propose delle modifiche. La prima decade di giugno vide ripetersi così le vive e talvolta agitate discussioni dei periodi più critici della Conferenza. Ma troppe forze si opponevano a qualsiasi modifica. Anzitutto lo stesso Lloyd George, che, se criticava aspramente le clausole territoriali, non voleva sentire attaccare quelle sulle riparazioni e le colonie; poi Wilson, che si sentiva punto nel suo amor proprio dall'accusa di essere venuto meno così palesemente ai suoi principî; infine Clemenceau il quale nella sua tenace resistenza sapeva di combattere per l'unità degli Alleati e per quello che essi avevano fatto in comune durante la guerra e alla Conferenza. E il suo punto di vista la vinse. L'unica modifica accettata fu quella del plebiscito nell'Alta Slesia. Il 16 giugno fu consegnato alla Germania un ultimatum, col quale le si intimava di accettare o rifiutare in blocco il trattato entro 7 giorni, e intanto si prendevano le disposizioni perché Foch potesse imporre il trattato con la forza. La delegazione e il governo tedesco diedero le dimissioni, però non vi era altra alternativa che quella di accettare; questa decisione fu presa dalla stessa assemblea costituente di Weimar e notificata agli Alleati il 23 giugno. Il 28 giugno nella Galleria degli specchi del Castello reale di Versailles, in quella stessa sala nella quale nel 1871 era stato proclamato l'impero tedesco, veniva firmato il Trattato.
Disposizioni del Trattato: Parte I. - Statuto della Lega delle nazioni (articoli 1-26). - Stabilito che il compito della Lega è quello di rispettare e preservare contro ogni aggressione esterna l'integrità territoriale e l'indipendenza politica dei suoi membri (art. 10), viene fissata la sua organizzazione, gli organi deliberativi (Assemblea), ed esecutivi (Consiglio), la procedura e i mezzi d'azione. Alla Lega veniva assegnato altresì il compito della sorveglianza sui mandati, della revisione dei trattati e del disarmo.
Parte II. - Confini della Germania (articoli 27-30). - Nel fissare i nuovi confini veniva implicitamente consacrata la cessione dell'Alsazia-Lorena alla Francia; dei distretti di Eupen e Malmedy al Belgio; della Posnania e di una striscia di territorio - il corridoio polacco - fino allo Stato libero di Danzica, alla Polonia, separando così la Prussia orientale dal resto del territorio germanico; dei territorî di Danzica e Memel che venivano proclamati città libere.
Parte III. - Clausole politiche dell'Europa (articoli 31-117). - Venivano stabilite tutte le condizioni per il passaggio dei territorî ceduti, per la sistemazione delle loro proprietà, per le relazioni commerciali, ecc.; la smilitarizzazione dei territorî germanici sulla sinistra del Reno, e di una striscia di 50 km. sulla destra. In questi territorî alla Germania era vietato di mantenere o costruire qualsiasi fortificazione e di stanziarvi anche temporaneamente forze armate, all'infuori di quelle di polizia. Seguivano le disposizioni per il bacino della Saar, per il suo regime politico e per il plebiscito dopo 15 anni; la Germania inoltre rinunciava all'annessione dell'Austria (art. 80) senza il consenso del Consiglio della Lega. Venivano altresì stabiliti lo statuto di Danzica, il plebiscito nello Schleswig e infine la smilitarizzazione delle isole di Helgoland.
Parte IV. - Interessi e diritti tedeschi fuori di Germania (articoli 118-158). - Veniva stabilita la cessione da parte della Germania di tutti i diritti, crediti e privilegi d'ogni genere sopra i territorî suoi o dei suoi Alleati fuori d'Europa, e di quelli che aveva verso gli Alleati, e più specialmente la rinuncia alle colonie, a tutti i beni mobili e immobili, impianti, edifici pubblici, ecc., fatti in esse; ai privilegi e diritti acquistati in Cina, Siam, Liberia, Marocco, Egitto, Turchia e Bulgaria, Shantung.
Parte V. - Clausole militari, navali e aeree (articoli 159-213). - In questa parte veniva fissato il disarmo della Germania. Il suo esercito era limitato a 100 mila uomini, reclutati col sistema del volontariato e con una ferma di 12 anni. Inoltre veniva imposto lo scioglimento del Grande Stato maggiore, il limite massimo dell'armamento; la consegna agli Alleati di tutto quello che sorpassava questo massimo; la proibizione dell'importazione di armi, munizioni e ogni altro materiale di guerra; e la proibizione della fabbricazione dei gas asfissianti, di carri armati e tanks, e dell'istruzione militare sia nell'ambito delle società sportive sia in quello delle scuole. Tavole apposite indicavano la formazione delle divisioni di fanteria e cavalleria, del loro armamento e dei depositi. Nelle clausole navali era stabilito che il totale del tonnellaggio della flotta tedesca fosse di 108 mila tonnellate, che non potesse avere più di 6 incrociatori da 10 mila tonnellate l'uno, ed erano vietati i sottomarini. Infine le veniva vietata del tutto l'aviazione militare.
Parte VI. - Prigionieri di guerra (articoli 214-226). - Contiene le disposizioni per il loro rimpatrio.
Parte VII. - Pene (articoli 227-30). - Viene stabilito che dei tribunali appositi costituiti dagli Alleati giudicheranno l'imperatore Guglielmo II e tutti gli altri che avessero offeso la morale internazionale, la santità dei trattati, e le leggi e i costumi di guerra.
Parte VIII. - Riparazioni (articoli 231-247). - Questa parte incomincia col riconoscimento da parte della Germania di essere colpevole dell'aggressione contro gli Alleati (art. 231) e quindi dell'obbligo delle riparazioni. Poiché per il momento gli Alleati non erano in grado di fissare i danni sofferti, così veniva affidato a una Commissione delle riparazioni il compito di stabilire il loro ammontare e le quote annue che la Germania avrebbe dovuto pagare per un periodo di 30 anni a cominciare dal 1° maggio 1921. Prima di questo termine avrebbe dovuto pagare, in danaro o in merci, 20 miliardi di marchi oro. Veniva anche stabilita la restituzione di tutto quello che aveva sequestrato o requisito durante la guerra, e veniva pure stabilito che dovesse sostenere le spese del corpo di occupazione e consegnare quegli approvvigionamenti o materie prime che gli Alleati avrebbero stabilito e che sarebbero state computate in conto riparazioni.
Parte IX. - Clausole finanziarie (articoli 248-263). - Contiene le diverse disposizioni relative al modo di pagamento.
Parte X. - Clausole economiche (articoli 264-312). - Riguarda le relazioni commerciali, dogane, navigazione, dumping, il trattamento da farsi ai cittadini dei paesi alleati, l'applicazione di trattati e convenzioni economiche, le comunicazioni postali e telegrafiche, i debiti, le proprietà, i diritti e interessi di cittadini alleati in Germania, i contratti, le prescrizioni, le assicurazioni, la proprietà industriale, ecc.
Parte XI. - Navigazione aerea (articoli 313-320). - Stabilisce le condizioni della navigazione aerea delle nazioni alleate sul territorio tedesco.
Parte XII. - Porti, vie fluviali e ferrovie (articoli 321-386).
Parte XIII. - Lavoro (articoli 387-427). - Stabilisce l'organizzazione e la disciplina internazionale del lavoro, e l'istituzione di un ufficio apposito presso la Lega delle nazioni.
Parte XIV. - Garanzie (articoli 428-433). - Stabilisce a garanzia dell'esecuzione del Trattato l'occupazione per 15 anni da parte delle truppe alleate del territorio tedesco sulla sinistra del Reno e delle tre teste di ponte di Colonia, Coblenza e Magonza, e la modalità della loro evacuazione. In caso di inadempienza da parte della Germania l'evacuazione poteva essere ritardata oppure potevano essere occupate nuovamente le zone già evacuate, e anche altri territorî, senza che il governo tedesco potesse considerare ciò come atto di guerra. Infine la Germania accettava l'abrogazione definitiva dei trattati conclusi con il governo bolscevico russo.
Parte XV. - Varie (articoli 434-440).
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