Abstract
Nell’ambito del procedimento di riscossione dei tributi un ruolo prevalente viene assegnato ai versamenti diretti del contribuente. Adempimenti che, per i tributi più complessi, implicano la presentazione della dichiarazione tributaria. I versamenti diretti possono essere effettuati anche al netto di eventuali crediti di imposta, in applicazione della “compensazione fiscale”, istituto ispirato all’esigenza di coordinare i diversi prelievi dovuti periodicamente dal contribuente. A presidio dell’adempimento dell’obbligo di effettuare i versamenti diretti, oltre l’esistenza di specifiche procedure di controllo del Fisco, sono previste apposite sanzioni amministrative e, in casi particolarmente gravi, sanzioni penali.
Il procedimento di riscossione dei principali tributi del sistema fiscale ha subito nel corso del secolo passato una netta evoluzione. Si è passati, infatti, da un modello caratterizzato dalla richiesta del tributo da parte degli Uffici fiscali ad un modello incentrato sull’adempimento spontaneo dei contribuenti.
Vari fattori hanno indotto il legislatore a devolvere al contribuente attività tradizionalmente espressione del potere impositivo dello Stato. Fra questi va certamente ricordato l’avvento della cd. “fiscalità di massa”, cioè il coinvolgimento di un numero elevatissimo di contribuenti nell’adempimento fiscale, determinato dalla sempre maggiore rilevanza assunta dell’imposizione reddituale. Vi è anche chi ha osservato che il trasferimento di compiti dall’Amministrazione al contribuente, pur determinando una razionalizzazione del prelievo, è stato un modo per supplire alla conclamata inefficienza della Pubblica amministrazione (Basciu, A.-Nuzzo, E., Autoliquidazione del tributo, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988).
L’attività di riscossione dei tributi è caratterizzata dalla tipicità e dalla tassatività dei procedimenti espletati dagli Uffici e degli adempimenti addossati al contribuente. Tale fase del procedimento impositivo è disciplinata dal d.P.R. 29.9.1973, n. 602, per le imposte sui redditi, e dalle leggi istitutive dei singoli tributi. Le norme civilistiche sull’adempimento dell’obbligazione non trovano applicazione alla materia tributaria.
Orbene, nell’ambito delle imposte dirette, dell’IVA e dell’IRAP, vige la regola della cd. “autoliquidazione del tributo”, la quale consiste nell’obbligo imposto ai contribuenti di quantificare la base imponibile, applicare l’aliquota e versare il quantum dovuto. Questa attività riveste un carattere di “provvisorietà”, in quanto può essere oggetto di rettifica a seguito del controllo degli Uffici finanziari (Basilavecchia, M., Riscossione delle imposte, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 1191). L’intervento dell’Ufficio si registra non solo in relazione alla richiesta di maggiori imposte rispetto a quelle autoliquidate, ma anche nelle ipotesi di mera omissione del versamento. Segnatamente, l’omesso o insufficiente versamento diretto dei tributi dichiarati viene contestato dall’Ufficio fiscale tramite una procedura di controllo della dichiarazione denominata “liquidazione delle imposte”, disciplinata dagli artt. 36 bis, d.P.R. 29.9.1973 n. 600 e 54 bis, d.P.R. n. 26.10.1972, n. 633, che si sostanzia nell’invio di una comunicazione di irregolarità con richiesta del pagamento ed in caso di inerzia nell’iscrizione a ruolo del tributo.
Nell’ambito dell’imposta di registro, salvo l’ipotesi della tassazione dei contratti di locazione di immobili, non vige il principio dell’autoliquidazione. L’Ufficio, infatti, provvede a quantificare l’imposta dovuta sull’atto che si sottopone alla registrazione, senza tuttavia formalizzare tale attività in un atto da notificare al contribuente. Il contribuente deve versare l’imposta liquidata dall’Ufficio prima della registrazione dell’atto. Pertanto, l’omesso versamento dell’imposta di registro può configurarsi solo qualora il contribuente non provveda alla registrazione dell’atto; circostanza da cui scaturisce la registrazione d’ufficio, che è preceduta dalla notifica di un avviso di liquidazione, contenente l’invito ad effettuare entro sessanta giorni il versamento dell’imposta, degli interessi e delle sanzioni.
Uno schema applicativo simile è previsto per l’imposta sulle successioni e donazioni. Il versamento dell’imposta presuppone, infatti, l’attività di liquidazione dell’Ufficio.
Vi sono poi tributi, considerati minori sotto il profilo del relativo gettito, per i quali non è previsto l’obbligo di una dichiarazione o denuncia periodica, ma vige un sistema di riscossione basato sull’autoliquidazione (è il caso dell’IMU). L’eventuale omissione del versamento viene contestata mediante la notifica di un avviso di liquidazione contenente l’invito ad effettuare entro sessanta giorni il versamento dell’imposta, degli interessi e delle sanzioni.
Sulla base del quadro qui sommariamente tracciato, possiamo trarre le seguenti conclusioni: una piena devoluzione al contribuente del compito di versamento diretto del tributo è presente solo per le principali imposte del sistema fiscale; per gli altri tributi aventi un peso minore, e comunque non caratterizzati dalla periodicità, il versamento presuppone l’intervento fisiologico dell’Ufficio con cui si liquida il quantum dovuto sulla base della fattispecie imponibile comunicata dal contribuente. Nonostante in queste ultime ipotesi non si utilizzi l’espressione “versamento diretto”, dobbiamo evidenziare che siamo comunque di fronte a forme di adempimento spontaneo, tant’è che la liquidazione dell’imposta da parte dell’Ufficio non implica la richiesta di sanzioni. Pertanto, le ipotesi di versamento diretto dei tributi non esauriscono la categoria dell’adempimento spontaneo. D’altra parte, qualora viga l’autoliquidazione con conseguente versamento diretto, l’eventuale intervento dell’Ufficio nella procedura di riscossione è da ascrivere ad una situazione patologica, non potendosi configurare un adempimento spontaneo in senso stretto anche qualora il contribuente effettui il pagamento richiesto per evitare di subire la riscossione coattiva.
Prima di occuparci dei versamenti diretti, dobbiamo precisare che, nell’ambito delle imposte sui redditi, la riscossione avviene anche per mezzo della ritenuta diretta. La ritenuta diretta è un metodo di riscossione (a titolo di acconto o a titolo definitivo) che riguarda i redditi erogati dalla Pubblica Amministrazione quali retribuzioni per lavoro dipendente, per lavoro occasionale, per lavoro autonomo, per redditi diversi quali premi e vincite, etc. Secondo una parte della dottrina la ritenuta diretta costituisce un’estinzione del debito tributario per compensazione (Falsitta, G., Riscossione delle imposte dirette, in Nss. D.I., XVI, Torino, 1969, 68); altra dottrina ha evidenziato che la compensazione richiederebbe l’identità tra amministrazione creditrice e debitrice (aspetto che di fatto non sussiste) e per questi motivi ritiene preferibile affermare che essa rappresenti una tipica modalità pubblicistica di riscossione delle imposte (Russo, P., Manuale di diritto tributario, pt. gen., Milano, 2002, 361; Fantozzi, A., Diritto tributario, Torino, 2003, 523).
Va poi menzionata l’iscrizione a ruolo, che rappresenta, salvo qualche eccezione, la forma di riscossione coattiva dei tributi erariali dovuti in relazione alla rettifica della dichiarazione tributaria, in tema di imposte dirette e indirette. A seguito delle innovazioni introdotte dall’art. 29, d.l. 31.5.2010, n. 78 (cd. concentrazione della riscossione nell’accertamento), l’iscrizione a ruolo risulta avere una rilevanza marginale anche nell’ambito della riscossione coattiva. Per le principali imposte del sistema la citata normativa prevede, infatti, che l’atto di accertamento funga anche da titolo esecutivo e quindi legittimi l’esecuzione forzata da parte dell’Agente della riscossione. La graduale soppressione dell’iscrizione a ruolo e della connessa notifica della cartella di pagamento si giustifica per esigenze di semplificazione amministrativa e di anticipazione dei tempi di riscossione.
I versamenti diretti, quale momento finale dell’autoliquidazione del tributo, riguardano in particolare: a) le ritenute alla fonte effettuate dai sostituti di imposta; b) l’imposta in acconto e a saldo sul reddito delle società; c) l’imposta in acconto e a saldo sul reddito delle persone fisiche; d) l’imposta sul valore aggiunto liquidata mensilmente, trimestralmente o annualmente, nonché quella dovuta a titolo di acconto; e) l’imposta regionale in acconto e a saldo dovuta per l’esercizio di attività produttive (IRAP); f) l’imposta municipale sugli immobili; g) le imposte sostitutive delle imposte sui redditi. Tali ipotesi, per esigenze meramente descrittive, possono racchiudersi in due gruppi: versamenti effettuati dal soggetto passivo dell’adempimento; versamenti effettuati dal sostituto d’imposta.
I versamenti diretti avvengono attraverso modalità che consentono al Fisco di imputare il pagamento ad un determinato contribuente, per un determinato tributo e per una specifica fattispecie di riscossione. Solo per alcuni tributi minori, attuati con modalità elementari, è previsto il versamento in modo anonimo, senza indicazione del soggetto che lo ha effettuato (ad esempio per l’imposta di bollo). Le divergenti modalità di versamento sono, in buona sostanza, una diretta conseguenza del livello di difficoltà di determinazione della prestazione tributaria.
I versamenti diretti vengono effettuati non presso gli Uffici fiscali (i quali sono sprovvisti di un servizio di cassa), ma avvalendosi di soggetti esterni che gestiscono la riscossione dei tributi. La scelta di delegare la riscossione dei tributi a soggetti esterni rispetto all’Amministrazione finanziaria ha origini risalenti nel tempo, quando vigeva esclusivamente il sistema di “riscossione d’ufficio”. L’esigenza di garantire continuità nell’acquisizione delle entrate tributarie veniva soddisfatta affidando la riscossione ad un soggetto terzo, in grado di anticipare all’Erario le somme affidate (cd. non riscosso per riscosso), così da scaricare su di esso il ritardo dei pagamenti da parte dei contribuenti. L’evoluzione del sistema fiscale verso la sempre più ampia applicazione dell’autoliquidazione del tributo ha messo in crisi l’affidamento a terzi del servizio di riscossione, essendosi determinata l’esigenza di ottenere non una “pronta”, ma una “sicura” riscossione (Lupi, R., Problemi generali della nuova disciplina, in La nuova disciplina della riscossione dei tributi, a cura di L. Tosi, Milano, 1996, 33). In quest’ottica, si è lentamente passati dalla figura dell’Esattore (rimasto fino agli anni Ottanta), al Concessionario della riscossione ed infine, a decorrere dal 2005, all’Agente della riscossione (Equitalia Spa). Mentre l'Esattore ed il Concessionario erano soggetti del tutto estranei all’Amministrazione finanziaria, Equitalia, pur rivestendo la natura giuridica di società per azioni, può considerarsi un soggetto avente “un’anima pubblica”, in quanto il suo capitale è detenuto dall'Agenzia delle entrate e dall'INPS. Posto che le vecchie società concessionarie sono state assorbite da Equitalia, la soluzione da ultimo adottata ha consentito, da un lato, di far rientrare sostanzialmente nella “mano pubblica” il servizio di riscossione e, dall’altro, di non disperdere il know how acquisito.
Nell’ambito dei soggetti coinvolti nella riscossione dei tributi, dobbiamo, però, evidenziare anche il ruolo assunto dalle aziende di credito convenzionate e da Poste Italiane spa. Il d. lgs. 9.7.1997, n. 241, ha, infatti, generalizzato l’utilizzo della delega irrevocabile alle aziende di credito ed a Poste italiane spa per l’effettuazione dei versamenti diretti.
L’Agente della riscossione può ricevere i versamenti diretti, ma la limitata presenza di sportelli nel territorio ha indotto i contribuenti a rivolgersi alle banche convenzionate e agli uffici postali, facendo sì che l’attività di Equitalia finisca di fatto per circoscriversi alla riscossione su impulso d’ufficio, anche mediante la procedura di espropriazione forzata.
La delega di pagamento dei tributi viene conferita dal contribuente utilizzando un modello “unitario” approvato dal ministero, valido per le imposte dirette, l’IVA, le ritenute d’acconto, alcuni tributi locali, i diritti camerali, nonché per i contributi previdenziali e assistenziali dovuti da coloro che sono iscritti all’INPS e all’INAIL (cd. Mod. F 24); per il versamento delle imposte indirette si utilizza un differente modello (cd. Mod. F 23).
Compilando la delega in questione, il contribuente, previa costituzione della provvista, conferisce il “mandato irrevocabile” di provvedere al pagamento dei tributi ivi indicati. Il soggetto delegato, al quale spetta un compenso per ogni delega ricevuta, deve riversare le somme riscosse alla Tesoreria dello Stato entro il quinto giorno lavorativo successivo a quello di ricevimento della delega.
Il rapporto tra contribuente e azienda bancaria o Poste è stato inquadrato dalla giurisprudenza nell’ambito dell’istituto civilistico della delegazione di pagamento (art. 1269 c.c.), con effetto liberatorio per il soggetto delegante (Cass., 29.10.1983, n. 6417). Il rapporto tra soggetto delegato ed Erario è stato, invece, qualificato come un rapporto di servizio, in quanto l’istituto bancario, stipulando l’apposita convenzione, svolge una funzione strumentale all’esercizio dell’attività di riscossione dei tributi (Cass., 9.3.1995, n. 5303). Pertanto, la convenzione rende l’istituto bancario un soggetto della riscossione; la banca, peraltro, provvede anche ad effettuare un controllo sulla completezza dei dati esposti nella delega (Cass., 15.5.1995, n. 5295).
Il versamento delle imposte può avvenire in denaro contante, con assegni di conto corrente, con carte di credito e con altri strumenti elettronici. Va, inoltre, menzionata la possibilità di effettuare il pagamento di alcuni tributi, tra cui le imposte sui redditi (con esclusione delle ritenute versate dal sostituto di imposta) e l’imposta di successione e donazione, mediante cessione dei beni culturali; tale tipologia di pagamento presuppone la presentazione di una proposta di cessione, che non sospende i termini del versamento, e quindi, ove venga accolta, il contribuente può chiedere a rimborso le imposte versate nell’arco temporale che intercorre tra la presentazione dell’istanza e la consegna dei beni (art. 28 bis, d.lgs. n. 602/1973; art. 39, d.lgs. 31.10.1990, n. 346).
I soggetti titolari di partita Iva devono effettuare i versamenti diretti delle imposte esclusivamente con modalità telematiche, cioè utilizzando i sistemi di home banking, ovvero attraverso i “canali” Entratel o Fisconline. A decorrere dal 1° ottobre 2014, tale obbligo è esteso a tutti i contribuenti, qualora l’ammontare dei tributi da versare sia superiore a mille euro. L’ampliamento dell’utilizzo delle predette modalità di pagamento si giustifica nell’ottica di dar preferenza ai sistemi che consentano una immediata tracciabilità. Rileva, inoltre, l’obbiettivo di contenere i costi della riscossione dei tributi per lo Stato; qualora, infatti, il pagamento dei tributi avvenga mediante i canali telematici dell’Agenzia delle Entrate, si ottiene un risparmio sul compenso di riscossione che verrebbe altrimenti concesso ad Equitalia, alle aziende di credito o a Poste italiane spa.
Va menzionato, infine, il cd. “conto fiscale”. Tale conto è previsto per i soggetti titolari di partita Iva ed è aperto d’ufficio dall’Agente della riscossione competente per territorio in relazione al domicilio fiscale (art. 78, co. 27, l. 30.12.1991, n. 413). Si tratta di uno strumento che persegue finalità di trasparenza dei rapporti tra l’Agente della riscossione e i contribuenti, nonché di velocizzazione delle procedure di rimborso. In particolare, l’Agente della riscossione registra nel conto fiscale tutti i versamenti effettuati per le imposte sui redditi e per l’IVA; inoltre effettua i rimborsi delle suddette imposte prelevando le somme dai fondi per la riscossione. Quest’ultima possibilità rappresenta l’innovazione più significativa apportata dal conto fiscale, in quanto ha consentito di superare il problema delle lunghe attese per l’erogazione dei rimborsi da parte degli Uffici impositori; l’Agente della riscossione deve, infatti, provvedere al rimborso entro sessanta giorni dalla richiesta, direttamente sul conto corrente bancario del contribuente, utilizzando i fondi riscossi e non ancora versati all’Erario. L’erogazione del rimborso, qualora è di ammontare superiore al dieci per cento dei versamenti effettuati nei due anni precedenti, è subordinata alla presentazione di una garanzia quinquennale. L’Ente impositore, successivamente all’erogazione del rimborso, effettua i controlli, chiedendo la restituzione del rimborso in caso di inesistenza del credito.
La procedura di rimborso mediante conto fiscale è stata largamente utilizzata sino all’introduzione della possibilità di compensare i crediti risultanti dalle dichiarazioni. Come diremo meglio in seguito, la compensazione fiscale consente immediatamente di disporre dei crediti di imposta risultanti dalle dichiarazioni.
L’introduzione del modello unitario di versamento ha consentito di unificare i termini di pagamento dei tributi allineandoli al giorno sedici del mese di scadenza, salvo che per il mese di agosto la cui scadenza è fissata per il giorno ventiquattro (qualora il giorno di scadenza del versamento coincida con il sabato o con un giorno festivo, esso viene prorogato al primo giorno lavorativo successivo). Prima dell’introduzione del modello unitario, erano previsti differenti termini di versamento dei vari tributi pur se in scadenza all’interno di uno stesso mese.
Dobbiamo evidenziare che l’effettuazione del versamento dei tributi non presuppone necessariamente la presentazione della dichiarazione, né la compiuta realizzazione del presupposto del tributo. A decorrere dalla fine degli anni Settanta, infatti, il legislatore ha previsto l’obbligo dei versamenti in acconto per le imposte sui redditi; obbligo in seguito esteso anche per l’IVA.
La previsione degli acconti, pur rappresentando una forma di tassazione anticipata rispetto alla compiuta manifestazione del presupposto del tributo, non è lesiva dell’art. 53 Cost. per un duplice ordine di ragioni: per lo stretto collegamento che vi è tra il pagamento provvisorio e la realizzazione del presupposto del tributo; per l’immediata possibilità di utilizzare eventuali crediti di imposta attraverso l’istituto della compensazione.
I termini di versamento connessi al modello di dichiarazione cd. Unico (saldo dell’anno precedente e primo acconto), sono fissati ordinariamente nel mese di giugno; essi sono, tuttavia, spesso oggetto di proroga. Il pagamento dei predetti tributi può essere rateizzato mensilmente (con scadenza giorno sedici di ciascun mese per i titolari di partita Iva o entro la fine del mese per gli altri soggetti) non oltre il mese di novembre con applicazione di un tasso di interesse fissato dalla legge. I versamenti del secondo acconto delle imposte sui redditi, da effettuare entro la fine del mese di novembre, e dell’acconto IVA, da effettuare entro il ventisette dicembre, non possono essere rateizzati.
I versamenti diretti possono essere effettuati anche al netto di eventuali crediti risultanti dalla dichiarazione, in applicazione della cd. “compensazione fiscale”. La compensazione va distinta in “verticale” e “orizzontale”. La prima si sostanzia nel “riporto in avanti” del credito di imposta risultante dalla dichiarazione, al fine di ridurre il debito a saldo per la medesima imposta relativo al periodo successivo. La seconda consente di ridurre o azzerare il versamento connesso a un determinato debito tributario, utilizzando crediti relativi a tributi differenti.
Le predette compensazioni implicano differenti modalità attuative: quella verticale viene evidenziata nella dichiarazione tributaria (nell’ipotesi in cui il credito venga utilizzato per ridurre gli acconti è, invece, necessaria la sua evidenziazione nel modello di pagamento); quella orizzontale viene effettuata sempre nel modello di pagamento, che riporta una saldo pari a zero. La compilazione e presentazione del modello, senza che vi sia una effettiva corresponsione di somme di denaro, si giustifica per consentire al Fisco di controllare l’avvenuto pagamento del debito e la contestuale riduzione del credito. A decorrere dal 1° ottobre 2014, i modelli di pagamento che evidenziano le compensazioni devono essere presentati esclusivamente attraverso i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate.
La compensazione verticale è disciplinata nell’ambito della legislazione istitutiva dei tributi periodici, specificamente nelle norme dedicate al procedimento di quantificazione del debito d’imposta (si vedano in particolare gli artt. 22 e 80, d.P.R. 22.12.1986, n. 917 per l’IRPEF e l’IRES, nonché l’art. 30, d.P.R. n. 633/1972, per l’IVA).
La compensazione orizzontale (introdotta limitatamente alle imposte sui redditi dall’art. 2 del d.l. 31.12.1991, n. 417) è disciplinata dall’art. 17, d.lgs. n. 241/1997, secondo cui tutti i tributi che devono essere versati con il modello unitario di pagamento possono essere compensati con crediti risultanti dalla dichiarazione. L’estensione dell’ambito di applicazione della compensazione orizzontale si giustifica anche nella prospettiva di attenuare le distorsioni dovute alla sempre maggiore incidenza del fenomeno dell’anticipazione del prelievo (acconti d’imposta).
Con l’introduzione dello Statuto dei diritti del contribuente, la possibilità di corrispondere i tributi previa compensazione è divenuta una regola generale del diritto tributario (art. 8, l. 27.7.2000, n. 212). Tale norma, a prescindere dal fatto che di per sé offre immediata possibilità al contribuente di eccepire la compensazione, ha avuto il pregio di stimolare successive innovazioni legislative con cui si è ulteriormente ampliato lo spettro applicativo dell’istituto in questione. La compensazione fiscale può, infatti, avvenire anche tra crediti certi, liquidi ed esigibili, vantati a qualsiasi titolo nei confronti della Pubblica amministrazione, risultanti da apposita certificazione, e debiti di natura tributaria connessi ad accertamenti esecutivi o iscrizioni a ruolo, nonché dovuti in relazione ad istituti definitori della pretesa e deflatori del contenzioso (artt. 28 quater e 28 quinques, d.P.R. n. 602/73; d.m. 14.1.2014). Non è escluso che in futuro il legislatore intervenga per disciplinare espressamente la possibilità di utilizzare i crediti vantati nei confronti della Pubblica amministrazione per effettuare i versamenti dovuti sulla base della dichiarazione tributaria, nonché la possibilità di utilizzare in compensazione anche i crediti risultanti da sentenze tributarie.
Occorre, però, sottolineare che di recente, per contrastare i sempre più frequenti casi di compensazione di crediti inesistenti, sono stati previsti limiti (inizialmente riguardanti l’IVA, poi estesi alle imposte sui redditi dall’art. 1, co. 574, l. 27.12.2013, n. 147) alla compensazione di crediti e debiti risultanti dalle dichiarazioni. Ed infatti, qualora la compensazione superi l’importo di diecimila euro, bisogna preventivamente presentare la dichiarazione dalla quale emerge il credito oggetto di compensazione (limite riguardante solo la compensazione di crediti IVA); qualora superi l’importo di euro quindicimila, occorre l’apposizione sulla dichiarazione tributaria del cd. visto di conformità. Un’ulteriore limitazione riguarda i soggetti che abbiano debiti tributari scaduti risultanti da atti impositivi esecutivi (iscrizione a ruolo/accertamento esecutivo) di importo superiore a euro millecinquecento: la possibilità di effettuare compensazioni è subordinata al pagamento del debito (art. 31, d.l. n. 31.5.2010, n. 78).
Va detto, infine, che la compensazione fiscale delineata dall’art. 17, d.lgs. n. 241/1997, presenta delle peculiarità tali da distinguerla dalla compensazione civilistica di cui all’art. 1241 c.c. (Russo, P., La compensazione in materia tributaria, in Rass. trib., 2002, 1856). Ci limitiamo in questa sede a segnalare che la compensazione civilistica presuppone l’identità fra i soggetti che assumono le contrapposte posizioni debitorie, mentre la compensazione fiscale orizzontale, come evidenziato in precedenza, involge, oltre il contribuente, soggetti diversi, quali l’Erario, gli Enti locali, l’Inps, le Camere di commercio, etc. La compensazione fiscale è, invero, un istituto di matrice pubblicistica che riguarda la riscossione dei tributi, ispirato all’esigenza di coordinare i diversi prelievi dovuti periodicamente dal contribuente. In particolare, la compensazione fiscale determina una immediata attribuzione figurativa degli importi a credito evidenziati nella dichiarazione, da destinare appunto al pagamento di debiti fiscali (Messina, M., La compensazione nel diritto tributario, Milano, 2006). La compensazione disciplinata dall’art. 8 del citato Statuto del contribuente (l. 27.7.2000, n. 212) può, invece, essere accostata alla compensazione legale civilistica (Girelli, G., La compensazione tributaria, Milano, 2010, 254).
L’omesso versamento diretto dei tributi, oltre la corresponsione degli interessi, determina conseguenze sanzionatorie di tipo amministrativo e, in casi particolarmente gravi, anche penali.
La sanzione amministrativa per omesso versamento dei tributi, prevista dall’art. 13, d.lgs. 18.12.1997, n. 471, con riguardo alle imposte sui redditi ed all’IVA, è stabilita nella misura del trenta per cento del tributo non versato; analoga sanzione si applica nei casi di tardivo versamento. Anche con riferimento agli altri tributi indiretti e locali è generalmente prevista una sanzione per l’omesso o ritardato versamento nella misura del trenta per cento.
Va precisato, però, che la sanzione in questione riguarda solo l’omesso versamento di tributi dovuti in acconto o a saldo sulla base di una dichiarazione regolarmente presentata. Nel caso in cui il contribuente abbia omesso di presentare la dichiarazione, o la abbia presentata indicando solo una parte dei fatti fiscalmente rilevanti realizzati, viene applicata dall’Ufficio impositore esclusivamente la ben più grave sanzione per omessa o infedele dichiarazione.
La fattispecie sanzionatoria di cui all’art. 13, d.lgs. n. 471/1997, si può configurare anche a seguito dell’effettuazione di una compensazione indebita, cioè attuata in mancanza del credito, cd. “compensazione di crediti inesistenti”, ovvero in violazione dei limiti previsti all’utilizzo di crediti esistenti, cd. “compensazione irregolare”.
Va, però, considerato che l’art. 27, d.l. 29.11.2008, n. 185, ha modificato il regime sanzionatorio relativo alla compensazione di crediti inesistenti, fissando una sanzione nella misura variabile dal cento al duecento per cento delle somme indebitamente compensate, in linea con quella prevista per la dichiarazione infedele. L’applicazione della sanzione più grave prevista dal citato art. 27, tuttavia, presuppone accertamenti particolarmente complessi per l’Ufficio; circostanza che si verifica in quelle limitate ipotesi in cui il credito oggetto di compensazione non scaturisce dalla dichiarazione (es. il credito d’imposta per le imprese ubicate nelle Zone Franche Urbane). Se l’invalidità della compensazione consegue al disconoscimento di un credito esposto in dichiarazione (disconoscimento che peraltro avviene con le procedure di controllo ex artt. 36 bis e 36 ter d.P.R. n. 600/1973), si continua ad applicare il regime sanzionatorio ordinario dell’omesso versamento di cui all’art. 17 (v. Circ. 10.5. 2011, n. 18/E).
L’omesso versamento diretto di tributi dichiarati è di recente divenuto una fattispecie avente, in determinati casi, rilevanza penale. In precedenza, il comportamento ritenuto particolarmente offensivo per l’Erario, e quindi da sanzionare penalmente, era essenzialmente quello della presentazione della dichiarazione con indicazioni di imponibili inferiori a quelli effettivi attraverso comportamenti fraudolenti o meno, caratterizzati dal dolo specifico. L’omesso versamento dei tributi dichiarati era, invece, considerato una conseguenza dell’indisponibilità di risorse finanziarie, per cui si riteneva ragionevole applicare una sanzione amministrativa.
La crescita del fenomeno dell’evasione da riscossione ha indotto il legislatore ad un ripensamento. Sono state così previste due fattispecie di reato: la prima, relativa al sostituto di imposta, consistente nell’omesso versamento di ritenute risultanti dalla certificazioni rilasciate ai sostituiti per un importo superiore a € 150.000 (art. 10 bis, d.lgs. 10.3.2000, n. 74); la seconda riguardante i soggetti titolari di partita Iva, consistente nell’omesso versamento dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale per un importo superiore a € 250.000 (art. 10 ter, d.lgs. n. 74/2000). Costituisce, inoltre, fattispecie penalmente rilevante la compensazione di crediti non spettanti o inesistenti attraverso la procedura di cui all’art. 17, d.lgs. n. 241/1997 (art. 10 quater, d.lgs. n. 74/2000), per un importo superiore a € 50.000.
Artt. 3, 28 bis, 28 quater e 28 quinques, d.P.R. 29.9.1973, n. 602; art. 17, d.lgs. 9.7.1997, n. 241; art. 78, l. 30.12.1991, n. 413; art. 36 bis, d.P.R. 29.9.1973, n. 600; art. 54 bis d.P.R. 26.19.1972, n. 633; art. 39, d.lgs. 31.10.1990, n. 346; art. 13, d.lgs. 18.12.1997, n. 471; art. 10 bis, art. 10 ter, art. 10 quater, d.lgs. 10.3.2000, n. 74.
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