GENUINO, Vespasiano
, Nacque a Gallipoli, nel Salento, il 25 sett. 1552, da Sebastiano, di famiglia probabilmente originaria del Napoletano, e Antonia Scrascia (Vaccari, p. 99).
Scarse sono le notizie sulla vita di questo scultore, attivo perlopiù nel Salento, del quale sono note quasi esclusivamente opere in legno. Il 10 sett. 1584 divenne decurione della sua città e intorno al 1597 sposò Giulietta D'Aci, dalla quale ebbe cinque figli fra i quali Giovanni Bernardino che fu poi religioso teatino e architetto della cattedrale di Gallipoli (Foscarini, 1925). Secondo Paone Giovanni Berardino sarebbe nato tuttavia da un precedente matrimonio del G. (Paone - Liaci, pp. 409 s. n. 17 bis).
La prima opera del G. di cui si hanno notizie certe è il fonte battesimale scolpito nel 1588 per la cattedrale di Gallipoli su ordine del vescovo della città, lo spagnolo Sebastiano Quintero Ortis. Il fonte, conservato attualmente nella chiesa di S. Maria dell'Allizza a Alezio, rappresenta l'unico lavoro in pietra conosciuto del G. e reca scolpiti sui lati Scene dell'Antico e del Nuovo Testamento e Santi.
Tra la fine del XVI secolo e la prima metà del successivo, il G. lavorò soprattutto a Lecce. Intorno all'ultimo decennio del Cinquecento vanno datati il Crocifisso e i rilievi del soffitto raffiguranti l'Immacolata e la Trinità che incorona la Vergine per la chiesa di S. Maria delle Grazie.
Come sostiene Vaccari (pp. 99 s.), il Crocifisso, ancora abbastanza rozzo nella resa anatomica, dimostra già una notevole attenzione verso quel "realismo a forti tinte", che sarà caratteristica costante di tutta l'opera dello scultore; il soffitto al contrario, denota, secondo Casciaro (p. 146), una notevole eleganza di stile, in cui a movenze ancora tardogotiche si sovrappongono gli echi della cultura tardomanieristica Cinquecentesca.
All'inizio del XVII secolo si data con probabilità il Crocifisso eseguito dal G. per S. Francesco della Scarpa (Infantino, p. 50), e attualmente in collezione privata (Vaccari, fig. 49). In quest'opera, per quanto mutila di entrambe le braccia, il modellato appare più sviluppato rispetto all'esemplare di S. Maria delle Grazie, così come sembra rivelarsi una più marcata attenzione nei confronti della rappresentazione della sofferenza umana del Cristo. Alla piena maturità stilistica del G. appartiene il Cristo alla colonna, datato 1618 (Infantino, p. 44; Vaccari, p. 100), conservato nella chiesa del Carmine.
La figura del Cristo, a grandezza naturale, è rappresentata con toni di intensa drammaticità: il corpo, nel quale spicca la torsione del busto, è scarno, e il volto, reclinato, appare segnato da un'espressione di profondo dolore. Agli echi stilistici della cultura manieristica cinquecentesca viene a aggiungersi un nuovo, dirompente realismo e "il modello formale del corpo del Cristo è ormai definitivamente lontano dall'integra bellezza della concezione umanistico-rinascimentale" (Galante).
Secondo Paone (1979), potrebbe spettare al G. anche il Crocifisso della chiesa di S. Irene di Lecce. Tale statua, tuttavia, non risulta tra le opere nominate da Infantino e potrebbe più probabilmente essere opera di un artigiano anonimo attivo nella cerchia dello scultore (Vaccari, p. 102).
A Martina Franca, secondo quanto riportato in un'anonima cronaca locale del XIX secolo, il G. scolpì, intorno al 1630, il Crocifisso nella chiesa del Carmine e, nella collegiata, il Cristo alla colonna, entrambi ancora in loco. La cronologia tarda di queste opere è stata suffragata anche da Vaccari (p. 100) che ne pone in evidenza il modellato più robusto e vigoroso di quello delle sculture precedenti.
Di incerta attribuzione sono invece le statue, vestite di stoffa e con i capelli di stoppa, dei due Ladroni crocifissi, appartenenti a una perduta Crocifissione, nella chiesa di S. Francesco a Gallipoli, alle quali è tradizionalmente legata la fama dell'artista; di rude stampo popolare, è assai probabile che tali statue appartengano a un omonimo del G. vissuto nel XVIII secolo (Casciaro, p. 145), del quale nella stessa chiesa è conservata la statua dell'Immacolata firmata e datata "di Vespasiano Genuino… nell'anno 1725". Anche la statua di S. Antonio da Padova, conservata nella stessa chiesa, e ritenuta a lungo opera del G. (Bonaventura da Lama), è stata attribuita da Paone (Paone - Liaci, p. 411 n. 22) a questo secondo artista.
Spetterebbe alla mano del G., come afferma Boraccesi (p. 395), il Crocifisso nel convento dei padri cappuccini di Rutigliano, nei pressi di Bari, acquistato forse dai religiosi in seguito a un evento miracoloso; l'opera, destinata in un primo tempo a un "castellano di Spagna", costituisce un'interessante testimonianza della nutrita schiera di opere d'arte che dal Salento prendevano la via della Spagna.
Vaccari e Casciaro sottolineano l'importanza dell'influsso culturale spagnolo sull'opera del G. dovuta alla particolare situazione storica del Salento e, in particolare, di Gallipoli, i cui vescovi, di nomina regia, dalla seconda metà del XVI secolo fino al 1650 furono sempre spagnoli. L'interesse naturalistico che caratterizza tutta l'opera del G. ben si accordava oltre che con "la nuova sensibilità pietistica di impronta spagnola" (Casciaro, p. 163), anche con le precise esigenze della Chiesa locale e dei numerosi ordini religiosi presenti in terra pugliese.
In base a una serie di notazioni stilistiche, al catalogo delle opere del G. si può anche aggiungere un gruppo di statue lignee, tutte conservate in chiese del Salento; si tratta della Pietà della cattedrale di Ugento, del gruppo raffigurante la Passione di Cristo (Cristo coronato di spine, Cristo alla colonna, Cristo crocifisso) nella chiesa parrocchiale di Gagliano del Capo (Galante, p. 531 n. 51; Casciaro, p. 145), dei Crocifissi dell'arcipretale di Tricase (Boraccesi, p. 396), di Campi Salentina (Paone, 1963), di Squinzano (Paone - Liaci, p. 410; Boraccesi, p. 398).
Non si conosce la data di morte del G. avvenuta probabilmente poco dopo il 1° maggio 1637, giorno in cui risulta fare testamento (Vaccari, p. 99).
Fonti e Bibl.: G.C. Infantino, Lecce sacra, Lecce 1634, pp. 44, 50; Bonaventura da Lama, Cronica de' minori osservanti riformati della provincia di S. Nicolò, Lecce 1724, p. 141; Lecce, Biblioteca provinciale, ms. n. 46: Continuazione della Istoria della Franca Martina (sec. XIX), capp. XXVI, par. 34; XXXII, par. 5; Ibid., ms. n. 329: A. Foscarini, Artisti salentini (sec. XX), pp. 193 s.; C. Foscarini, V. G. architetto e scultore, in Fede, III (1925), p. 136; M. Paone, Sculture del G. e dipinti dell'Elmo e del Tiso in Lecce ed in Campi, in Studi salentini, XVI (1963), p. 391; M. Paone - V. Liaci, L'antico fonte battesimale del duomo di Gallipoli, in La Zagaglia, V (1963), pp. 408-412; L. De Simone, Lecce ed i suoi monumenti, a cura di N. Vacca, Lecce 1964, pp. 206, 494; M. Paone, Chiese di Lecce, II, Galatina 1979, p. 48; M.G. Vaccari, Appunti per lo scultore V. G., in Itinerari. Contributi alla storia dell'arte in memoria di M.L. Ferrari, I, Firenze 1979, pp. 99-103; L. Galante, Aspetti dell'iconografia sacra dopo il concilio di Trento nell'area pugliese, in Ordini religiosi e società nel Mezzogiorno moderno. Atti del Seminario di studio, Lecce 1996, a cura di B. Pellegrino - F. Gaudioso, II, Galatina 1987, p. 531; G. Boraccesi, Una scultura di V. G. in Terra di Bari, in Itinerari di ricerca storica, Galatina 1990, pp. 395-398; R. Casciaro, La scultura, in Il barocco a Lecce e nel Salento (catal., Lecce), a cura di A. Cassiano, Roma 1995, pp. 144-146, 163; M. Paone, Gallipoli. I tre secoli della cattedrale. 1696-1996, Lecce 1996, pp. 21-25; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, p. 418.