Vezio Crisafulli
Crisafulli, con Carlo Esposito e Costantino Mortati, è stato tra i più grandi costituzionalisti, e ha offerto a tutta la cultura giuridica del nostro Paese (non solo, quindi, agli studiosi di diritto positivo) un contributo notevole, che presenta tratti di profonda attualità. Non potendo in poco spazio esaminare i diversi aspetti del suo pensiero e delle complesse implicazioni teoriche, si darà conto di quello che a chi scrive sembra il momento centrale e comunque il filo conduttore della sua riflessione: l’indagine su quella zona grigia che si colloca agli estremi confini tra diritto e politica o, detto in altri termini, la problematica relativa alla necessità di dare sistemazione, grazie al diritto, a tutta una vasta area che rischierebbe altrimenti di rimanere nell’ambito della discrezionalità, o dell’arbitrio, della politica.
Crisafulli nacque a Genova il 9 settembre 1910. Conseguì la laurea in giurisprudenza a Roma nel 1932, con una tesi in filosofia del diritto dal titolo La norma giuridica, relatore Giorgio Del Vecchio. Dal 1933 al 1939 lavorò presso l’Ufficio legislativo del ministero di Grazia e Giustizia, iniziando nel frattempo la collaborazione universitaria presso la cattedra di diritto costituzionale di Santi Romano e di dottrina dello Stato di Sergio Panunzio. Insegnò a Urbino, Trieste, Padova e Roma.
Dopo l’esperienza come componente della segreteria particolare del ministro della Giustizia Dino Grandi, partecipò alla Resistenza, e dopo la Liberazione fu nominato esperto del Partito comunista italiano (PCI) per i temi istituzionali. Non partecipò, per decisione del partito, all’Assemblea costituente. Insieme a un gruppo di intellettuali abbandonò il PCI nel 1956, in seguito all’invasione sovietica dell’Ungheria.
Diresse le riviste «Giurisprudenza costituzionale» e «Diritto e società», e la sezione Diritto costituzionale dell’Enciclopedia del diritto.
Nel 1968 fu nominato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Morì a Roma il 21 maggio 1986.
Molti i suoi allievi (alcuni dei quali sono stati anche allievi di Esposito): Livio Paladin, Franco Modugno, Damiano Nocilla, Lorenza Carlassare, Pierfrancesco Grossi, Sergio Bartole, Giuseppe Ugo Rescigno, Antonio Cervati, Antonio D’Atena, Alessandro Pace, Antonio Baldassarre, Augusto Cerri, Federico Sorrentino, Claudio Chiola.
Già dalla sua prima opera, Sulla teoria della norma giuridica (1935), Crisafulli, che ancora risente dell’influenza del suo primo maestro, Del Vecchio, cerca di pervenire a una nozione più complessa del fenomeno giuridico; anticipa, seppur in forma embrionale, tutta una serie di temi che troveranno spazio, da altra prospettiva, nella riflessione degli anni seguenti e, cogliendo i fermenti del tempo, prende posizione sulle principali questioni dell'epoca.
Sul piano filosofico generale dominava la corrente idealista in senso ampio (hegeliana, fichtiana, kantiana), intesa come reazione al positivismo ottocentesco, che nella teoriia giuridica comportava una serie di corollari, tutti presenti (da qui l’accusa di eclettismo) nel giovane Crisafulli: la considerazione del diritto come attività del soggetto inteso come «espressione dello spirito hegeliano o della Ragione kantiana»; la concezione formale del diritto; l’idea del diritto quale prodotto di una volontà.
Crisafulli dimostra di avere consapevolezza che il diritto è realtà più complessa di quanto il normativismo non riuscisse a cogliere. Ecco perché la sua definizione della giuridicità accoglie elementi di concezioni, come quelle attivistiche, che rappresentano, in quegli anni, la reazione al positivismo giuridico. La norma resta sempre la grande protagonista del mondo del diritto, ma la realtà giuridica è considerata più profondamente, come
un momento logicamente e gnoseologicamente necessario ed immanente dello spirito umano […] è un fenomeno storicamente inseparabile dalla vita umana qualunque essa sia: coevo e coesistente con l’umanità (Sulla teoria, cit., p. 18).
Da qui anche l’idea della socialità del diritto, e il confronto continuo e dialettico con le tesi di Romano.
Nelle opere giovanili, dimostrando una posizione più personale e libera da tributi all’idealismo, Crisafulli elabora la sua riflessione più originale, che troverà definitiva sistemazione, a partire dal 1961, nelle diverse edizioni delle Lezioni di diritto costituzionale, dove, come ha scritto Modugno, la chiarezza espositiva e l'approfondimento problematico (fino talora allo scavo minuto, ma pur sempre limpido) raggiungono molto spesso la perfezione.
Al centro dell'interesse di Crisafulli ci sono sempre più le norme, considerate «giudizi su contegni umani […] cui conferiscono una specifica rilevanza, con il ricollegarvi conseguenze giuridiche determinate» (Lezioni di diritto costituzionale, 2° vol., t. 2, 19845, p. 21). Dell’imperativismo, criticato per la problematica individuazione dei soggetti destinatari della norma e per la irriducibilità della norma ai comandi, egli accetta solo l’idea che le norme sono vincolanti per tutti coloro che sottostanno all’ordinamento. Si tratta di una posizione vicina a quella di Hans Kelsen, che configura la norma come giudizio ipotetico esprimente la doverosità di un atto o di una conseguenza e che riesce, così, ad abbracciare tutti i significati della norma (prescrittivi, permissivi, autorizzativi) che l’imperativismo non riesce a cogliere.
Nel corso degli anni Crisafulli, nel tentativo di individuare i caratteri differenziali del diritto e della norma giuridica, arriva all’idea del carattere generale e astratto come carattere necessariamente inerente alla nozione di norma. Lo schema elementare della norma (se c’è A, ci deve essere B) implica la generalità dell’ordine temporale, «essendovi la conseguenza doverosa ricollegata ad una astratta ipotesi» (Lezioni di diritto costituzionale, 2° vol., t. 2, 19845, p. 21).
Tutto ciò non basta a sostenere la sua adesione al normativismo: in coerenza con i primi lavori, è sempre presente la constatazione delle insufficienze di normativismo e istituzionalismo e della necessità di una loro reciproca integrazione.
Egli si avvicina alle tesi di Romano, soprattutto nel momento in cui sostiene che dal punto di vista delle scienze dogmatiche, le quali hanno a oggetto lo studio di un dato ordinamento, le norme sono certamente il prius: dal punto di vista teoretico il momento genetico di un ordinamento è dato dal gruppo sociale. Ma la distanza resta, perché per Crisafulli è inaccettabile l’equazione romaniana tra diritto e istituzione nel momento in cui essa riduca il diritto al fatto, l’ordine normativo a quello esistenziale.
Il lungo percorso di indagine sulla norma giuridica troverà il suo compimento con la celebre definizione della norma-ordinamento, che rappresenta uno dei momenti più alti della riflessione crisafulliana, con tutte le sue notevoli implicazioni sulla teoria dell’interpretazione, sul concetto di atto normativo, di disposizione e di norma. In definitiva, le norme non sono un elemento dell’atto ma sono entità separate, staccate dalla loro fonte
con un proprio significato, che può in varia misura divergere, e tanto più con l’andar del tempo, da quello originariamente espresso dalle rispettive disposizioni, singolarmente considerate, poiché esso si determina in funzione dell’ordinamento complessivo, e su di esso perciò si riflettono altre norme a questo appartenenti (Lezioni, cit., 1° vol., 19702, p. 41).
La norma ordinamento è la norma vivente, in quanto espressione dell’intero ordinamento nella sua astratta oggettività e nell’effettualità del suo concreto realizzarsi.
Merito di Crisafulli è l’aver affrontato (prima dell’avvento della nostra Costituzione, ma con una riflessione che ne risulta avvalorata) il tema dei principi generali del diritto, all’ordine del giorno per giuristi e filosofi del diritto, superando alcune concezioni restrittive che assegnavano ai principi una funzione meramente integrativa dell’ordinamento giuridico, considerandoli come latenti nel sistema e ricavabili per astrazione e generalizzazione da norme espresse.
Per Crisafulli i principi possono essere sia impliciti sia espliciti, ma soprattutto hanno natura normativa, sono norme giuridiche che presentano tutti i caratteri delle regole di condotta. Si distinguono dalle altre norme non per il carattere strutturale rappresentato da una maggiore generalità dei principi rispetto alle altre norme, ma per un aspetto funzionale, il loro carattere di norme-base e di norme-fondamentali dell’ordinamento giuridico, e soprattutto per un criterio struttural-funzionale che permette di configurare i principi come norme, scritte e non scritte, le quali, con riferimento a un ordinamento giuridico già formato, rappresentano riassuntivamente il significato essenziale di altre norme particolari. Dai principi logicamente derivano le norme particolari, e da queste inversamente essi si ricavano. La conseguenza è il carattere della relatività dei principi, nel senso che una norma può essere configurata sia come semplice norma sia come principio rispetto ad altre norme.
L’aver individuato la normatività dei principi generali consente la loro utilizzazione al di là del semplice momento integrativo dell’ordinamento. La vera funzione diventa quella costruttiva: i principi diventano essenziali nella dinamica dell’ordinamento, determinando il suo modo di essere.
La riflessione sui principi generali trova un necessario sbocco nella teoria della Costituzione. L’avvento della Costituzione repubblicana rappresenta, per Crisafulli, la conferma delle sue tesi; tutto il discorso che porterà avanti con estrema coerenza sulle disposizioni di principio e sulle norme programmatiche, dal punto di vista teorico, trova ancoraggio negli scritti sui principi. La Costituzione è come qualsiasi altra legge, nel senso che tutte (o quasi) le sue disposizioni devono essere intese come disposizioni normative. Nel suo celebre La Costituzione e le sue disposizioni di principio (1962) troviamo chiaramente esposta la sua tesi principale:
Una Costituzione deve essere intesa ed interpretata, in tutte le sue parti, magis ut valeat, perché così vogliono la sua natura e la sua funzione, che sono e non potrebbero non essere […] di atto normativo, diretto a disciplinare obbligatoriamente comportamenti pubblici (p. 11).
Si tratta di una tesi di straordinaria portata innovativa, che ebbe notevole influenza sul dibattito del tempo, nel momento in cui le incertezze generate dalla nuova Costituzione, con le sue diposizioni di principio e programmatiche a cui molti negavano natura normativa, portava paradossalmente a scartare dall’ambito della giuridicità questo gruppo di disposizioni, con la conseguente mutilazione di una parte essenziale del testo costituzionale.
Un altro momento significativo del pensiero di Crisafulli, nella direzione accennata della ricerca dell’equilibrio tra diritto e politica, è quello dedicato allo studio dell’indirizzo politico. Anche in questo ambito le sue posizioni, insieme a quelle di Mortati, segnano il passaggio a un nuovo modo di intendere l’attività di governo. L’attenzione per l’indirizzo politico serve a far emergere un'attività specifica ed essenziale all’interno dello Stato, a cui tradizionalmente non si riconosceva autonomia. Crisafulli e Mortati configurano invece l’indirizzo politico come una specifica attività, che non si riduce e non si risolve nell’esercizio delle tradizionali funzioni e che in qualche modo viene ricondotta nel campo della scienza giuridica. Siamo infatti, come ammette Crisafulli, ai confini tra diritto e politica, nella nebulosa da cui nasce il diritto.
L’attività di governo non si manifesta solo in una funzione di impulso e di coordinamento, ma si presenta soprattutto come indirizzo, e quindi come attività che precede logicamente e che prevale sulle altre. La rottura con il modello ottocentesco, che tematizzava l’indirizzo nell’ambito del diritto amministrativo, è netta; così com'è netta la rottura con il modello legalistico dello Stato di diritto:
Non si intende qui negare la supremazia della legge, che è uno dei principi caratteristici informatori dell’ordinamento dello Stato moderno, in quanto Stato di diritto; si vuole soltanto affermare che, prima ancora della stessa legislazione, vi è un momento dell’attività statale nel quale si opera la scelta delle finalità da conseguire e, nelle linee più generali, dei mezzi a ciò reputati più idonei, momento che può dirsi pertanto, in questo senso e sotto questo aspetto, prelegislativo (Per una teoria giuridica dell'indirizzo politico, 1939, p. 44).
Carattere prelegislativo non significa irrilevanza giuridica, perché la mediazione tra diritto e politica operata dall’indirizzo politico consiste nella scelta delle finalità politiche da raggiungere e nella loro assunzione quale fine e contenuto dell’attività legislativa ed esecutiva dello Stato.
Per Crisafulli, l’indirizzo politico dimostra che non tutta l’attività dello Stato è intrinsecamente giuridica, ma spetta alla politica dire verso quali finalità dev'essere indirizzata l’azione dei pubblici poteri nella prospettiva dell’unità dello Stato.
Da qui la sua attenzione per il programma politico e successivamente, negli anni della delusione, per i partiti politici (Sirimarco 2003).
Nella ricerca sulle fonti, sospesa tra filosofia del diritto, teoria generale e trattazione positiva, la riflessione crisafulliana raggiunge il massimo della sistemazione.
Il confronto con il normativismo kelseniano diventa estremamente dialettico. Se, per sua stessa ammissione, Crisafulli era arrivato a configurare la norma giuridica in modo molto vicino a Kelsen (anche se non accetta tutto il discorso sulla sanzione), nella teoria delle fonti la sua prospettiva è diversa e la sua visione degli atti e dei fatti normativi è più rigorosa, non lasciando «spazio alla giurisprudenza in genere (sia pure elevata a ‘diritto vivente’), né alla stessa giustizia costituzionale» (Paladin, in Il contributo di Vezio Crisafulli alla scienza del diritto costituzionale, 1994, p. 5).
Tra i diversi punti di divergenza con Kelsen c’è la concezione dell’ordinamento giuridico, la sua costruzione, il ruolo delle norme sulla produzione. Ma soprattutto Crisafulli ripensa la struttura gradualistica nel momento in cui introduce (riprendendo un’intuizione di Esposito) il criterio della competenza quale criterio per la risoluzione delle antinomie e quale criterio per l’analisi di tutte le fonti positivo-pattizie e soprattutto di quelle che si affiancano alla legge:
La comune subordinazione di tutte le fonti, a cominciare dalla stessa legge formale, alla costituzione rigida può implicare – ed effettivamente implica, oggi, in Italia – che al criterio gerarchico si accompagni, ora sostituendolo del tutto, ora integrandolo e limitandone la portata, un diverso criterio di ripartizione delle fonti e delle norme, che può dirsi […] della competenza (V. Crisafulli, Lezioni, cit., 1° vol., 19702, p. 200).
La portata innovativa di questa tesi è notevole, perché non si tratta solo di sostituire un criterio con un altro o di mescolarli variamente, ma di mettere in discussione
la stessa idea che il sistema si configuri come un universo retto da equilibri fissi, nel quale, dalla collocazione di ogni singola fonte possa meccanicamente dedursi l’intero spettro dei rapporti dalla stessa intrattenuti con tutte, indistintamente, le altre (D’Atena, in Il contributo di Vezio Crisafulli alla scienza del diritto costituzionale, 1994, p. 98).
Molti dei temi accennati confluiscono nella riflessione sull’interpretazione. Le norme giuridiche vivono nella loro applicazione, che presuppone, a dispetto della massima in claris non fit interpretatio, l’interpretazione concepita come un’operazione logica grazie alla quale l’interprete ricostruisce la volontà legislativa. Questa operazione non è compiuta solo dagli organi giurisdizionali, ma da tutti i destinatari: l’applicazione è un atto di volontà con cui viene individualizzata, o posta in concreto la norma. I due momenti non sono facilmente distinguibili e separabili:
Non soltanto, infatti, l’atto del conformare concretamente il rapporto alla norma (applicazione in senso stretto) implica necessariamente l’interpretazione della norma, e non di rado quasi si compenetra e si confonde con essa, ma anche nella ricerca preliminare della norma regolatrice di un dato rapporto, il momento dell’interpretazione è, di regola, imprescindibile, perché è soltanto attraverso l’interpretazione che si può accertare se una determinata norma valga a disciplinare il rapporto di che trattasi o se questo invece ne rimanga escluso, per modo che si debba inquadrarlo in una diversa norma ovvero ricorrere all’analogia od ai principi generali del diritto (V. Crisafulli, I principi costituzionali sull’interpretazione e applicazione della legge, 1940, pp. 671-72).
È per questo che la teoria dell’interpretazione rientra nella teoria delle fonti e quindi nel diritto costituzionale e nella scienza del diritto costituzionale, e che la sua disciplina va ricollegata ai principi costituzionali. In Crisafulli è forte la preoccupazione di tenere distinti i momenti dell’interpretazione-applicazione e della produzione del diritto. Ecco perché, pur accogliendo la tesi estensiva circa la legittimità di un’interpretazione sistematica, egli sostiene il carattere giuridico delle norme disciplinanti l’interpretazione, che quindi dev'essere disciplinata, oltre che dalle regole logiche ed ermeneutiche, da norme di diritto positivo per garantire la distinzione rispetto alla posizione del diritto e per assicurarne la conformità ai «principi essenziali informatori dell’ordinamento» (p. 676).
Nella sua voce Disposizione (e norma) nell'Enciclopedia del diritto (13° vol., 1964), con la ben nota distinzione tra disposizione-norma e norma-vivente (o norma ordinamento), Crisafulli sembra pensare a una possibile estensione dell’ambito di discrezionalità giurisdizionale, tanto da far dire che, proprio partendo dagli studi crisafulliani,
studiosi di diritto e giurisprudenza hanno assunto in tempi più recenti atteggiamenti in materia di interpretazione/applicazione della legge che sembrano aprire la strada ad una sorta di formazione giudiziale del diritto (Bartole, in Il contributo di Vezio Crisafulli alla scienza del diritto costituzionale, 1994, p. 16).
Gli scritti sullo Stato e la sua crisi, dove passione politica e rigore scientifico si mescolano alla perfezione, rappresentano un altro momento importante della riflessione crisafulliana: la necessità di prendere sul serio il principio della sovranità popolare; la distinzione tra Stato-governo e Stato-comunità; le considerazioni sulla forma di governo parlamentare, le sue possibili deviazioni e il ruolo che in essa giocano da una parte la Corte costituzionale, con la sua finalità garantista, e, dall’altra il presidente della Repubblica, i cui poteri vengono interpretati estensivamente (sarebbe estremamente interessante rileggere oggi quelle pagine, che non trovarono grande seguito nella dottrina del tempo); il problema della continuità dello Stato; il ruolo dei partiti politici.
In questi scritti emerge però un forte pessimismo: la visione della crisi è lucida, ancora attuale, il grido di allarme accorato. Crisafulli vede il pericolo causato dalla confusione tra pubblico e privato, della pubblicizzazione dell’economia, per effetto dell’interventismo statale e della privatizzazione surrettizia della politica. Constata il venir meno del senso di responsabilità, per cui
la società attuale […] da un lato, molto chiede e si attende dallo Stato, ma dallo Stato (oltre che garante di un minimo di sicurezza della convivenza contro la delinquenza) dispensatore di benefici, sovvenzioni, finanziamenti […] ma, dall’altro lato, esprime sia pure confusamente il rifiuto dello Stato (dello Stato come valore etico, come potere unitario ed unificante, che sia in grado, nelle forme di volta in volta consentite dall’ordinamento giuridico, di dire la parola definitiva, facendo prevalere l’interesse generale (V. Crisafulli, Stato popolo governo, 1985, p. 338).
Ad acuire questa crisi contribuiscono i partiti politici che perdono di vista il loro impegno essenziale, quello della mediazione politica degli interessi allo scopo di decantare «la grezza immediatezza degli interessi particolari» (p. 210), e diventano parte del processo degenerativo. Il rischio, per Crisafulli, è che la crisi dei partiti si riverberi sugli istituti tradizionali della rappresentanza, con la conseguenza di un nefasto impoverimento politico se non addirittura di un tramonto della politica nella prospettiva di una società tecnocratica affidata agli specialisti.
Per una teoria giuridica dell’indirizzo politico, «Studi urbinati», 1939, 1-2, pp. 53-171.
I principi costituzionali sull’interpretazione e applicazione della legge, in Studi in onore di Santi Romano, Padova 1940, pp. 665-703.
Per la determinazione del concetto dei principi generali del diritto, «Rivista internazionale di filosofia del diritto», 1941, pp. 41-63, 157-81, 230-64.
La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano 1952.
Lezioni di diritto costituzionale, 1° vol., Padova 19702, 2° vol., Padova 19764.
Stato popolo governo. Illusioni e delusioni costituzionali, Milano 1985.
F. Modugno, In memoria di Vezio Crisafulli, «Diritto e società», 1990, 1, pp. 141-56.
D. Nocilla, Forma di Stato e forma di governo nell’opera giuridica di Vezio Crisafulli, «Giurisprudenza costituzionale», 1994, 5, pp. 3251-86.
Il contributo di Vezio Crisafulli alla scienza del diritto costituzionale, Atti delle giornate di studio, Trieste 1-2 ottobre 1993, Padova 1994 (in partic. L. Paladin, Gli anni della formazione, pp. 27-46; A. D'Atena, Teoria delle fonti, teoria dell'atto e problematicismo nel pensiero di Vezio Crisafulli; F. Modugno, La teoria delle fonti del diritto nel pensiero di Vezio Crisafulli; S. Bartole, Introduzione al Convegno, pp. 15-24).
L’opera di Vezio Crisafulli fra diritto e politica, Quaderni del dipartimento di Scienze giuridiche dell'Università di Trieste, 2001.
M. Sirimarco, Vezio Crisafulli. Ai confini tra diritto e politica, Napoli 2003 (al quale si rinvia anche per una più ricca bibliografia dell’autore e sull’autore).
La sovranità popolare nel pensiero di Esposito, Crisafulli e Paladin, Atti del convegno di studio per celebrare la casa editrice CEDAM nel 1° centenario della fondazione 1903-2003, 19-21 giugno, a cura di L. Carlassare, Padova 2004.
A. D'Atena, Vezio Crisafulli e la giurisprudenza sulla giustizia costituzionale, «Diritto e società», n.s., 2011, 2-3, pp. 193-208.