Vicino Oriente antico. Introduzione
Introduzione
Con l'espressione 'Vicino Oriente antico' ci si riferisce a un insieme di ambiti culturali e di formazioni politiche che sorsero e si svilupparono nell'area compresa tra il Mediterraneo e l'altopiano iranico, dalla fine del IV millennio alla fine del I millennio a.C. Il termine iniziale è dato dalla cosiddetta 'rivoluzione urbana' (il termine risale a Gordon Childe e agli anni Quaranta) che culminò coi secoli XXXV-XXXI a Uruk nella bassa Mesopotamia (donde la definizione 'cultura/periodo di Uruk') introducendo elementi sociopolitici e culturali di forte stacco rispetto alle precedenti culture neolitiche: urbanizzazione, edilizia pubblica, inizio della scrittura, formazione dello Stato burocratico, rilevante stratificazione sociale, accentuata specializzazione tecnica. Si tratta ovviamente di una 'rivoluzione' lenta e progressiva, per cui oggi si preferisce parlare di 'transizione' verso la complessità sociale; è certo comunque che tale periodo fortemente innovativo segnò i caratteri delle società antico-orientali per oltre tre millenni. Il termine finale è poi segnato dal dissolversi delle culture antico-orientali nel mondo ellenistico a partire dalle conquiste di Alessandro negli anni 336-330 e poi nella loro gravitazione da un lato nell'Impero romano e dall'altro in quello iranico.
S'intende che tre millenni di storia, su un'area vasta (grosso modo quanto l'Europa) e assai diversificata dal punto di vista ambientale, comportano al loro interno mutamenti diacronici e varietà regionali che non devono essere sottovalutati. Nei capitoli che seguiranno si è tentata una difficile conciliazione tra l'individuazione, da un lato, di linee portanti e di generalizzazioni unificanti e, dall'altro lato, la sottolineatura delle diversità sia diacroniche sia regionali. Senza dubbio l'area vicino-orientale è segnata dalla centralità della Mesopotamia, che in molti casi funge da centro propulsore e dalla quale proviene la grande maggioranza dei documenti utilizzabili. La diffusione della scrittura 'cuneiforme' dalla Bassa Mesopotamia alle regioni circostanti e poi (soprattutto nel I millennio a.C.) l'unificazione politica negli imperi assiro e babilonese ne sono espressioni vistose e tutt'altro che estrinseche. Ma il configurare le regioni iranica, anatolica e siro-palestinese come semplici 'periferie' della Mesopotamia porterebbe a fraintendere i diversi 'caratteri originali' delle varie regioni e a sottovalutare la loro dinamicità.
In termini di sommaria periodizzazione, e utilizzando la terminologia archeologica (meglio applicabile di quella politica all'area vicino-orientale nel suo complesso), si debbono tenere presenti almeno le seguenti fasi:
a) la 'fase Uruk' (seconda metà del IV millennio), a forte accentramento mesopotamico e caratterizzata dalla prima messa a punto degli strumenti culturali di base (scrittura e calcolo, scuola e archivio, liste);
b) la 'fase del Bronzo Antico', grosso modo corrispondente al III millennio, con le città-Stato sumeriche nel Sud mesopotamico, la cultura protoelamica nella Susiana e quella di Ebla in Siria cui poi seguono gli 'imperi' di Akkad e della III dinastia di Ur;
c) la 'fase del Bronzo Medio' (XIX-XVII sec.), con le culture paleobabilonese nella Bassa Mesopotamia, paleoassira nell'Alta Mesopotamia, anticoelamica nell'Iran, anticohittita nell'Anatolia, paleosiriana in Siria-Palestina;
d) la 'fase del Bronzo Tardo' (XVI-XIII sec.), caratterizzata dal venir meno della centralità bassomesopotamica e dalla costituzione di un 'sistema regionale' in equilibrio, composto dai regni degli Hittiti, degli Hurriti (Mitanni) e poi degli Assiri (Medio Regno), dei Cassiti (in Babilonia) e dell'Elam (periodo medioelamico), e fortemente integrato anche con l'Egitto (Nuovo Regno) e col Mediterraneo orientale (Micenei);
e) la fase della 'Prima Età del Ferro' (XII-IX sec.), caratterizzata dall'emergere di nuovi sistemi sociopolitici di origine tribale, da un deciso ampliamento degli orizzonti territoriali, da innovazioni tecnologiche fondamentali (utilizzazione del cammello, alfabeto, ferro);
f) infine, il periodo dei grandi imperi: neoassiro (IX-VII sec.), neobabilonese o caldeo (VI sec.), persiano o achemenide (VI-IV sec.).
Questo blocco storico-culturale così ampio e variegato gioca un ruolo di primo piano nella grande vicenda storica del vecchio mondo: è all'interno di questo blocco (nonché dell'Egitto, peraltro dotato di minore apertura verso l'esterno) che sono messi a punto gli strumenti fondamentali della conoscenza e della sua registrazione, della trasmissione culturale, delle principali tecniche specialistiche. La sua influenza s'irradia da un lato verso la Grecia, il Mediterraneo e l'Europa, dall'altro verso la Valle dell'Indo e l'Asia centrale (che poco contribuiscono, per motivi meramente documentari, al tema di quest'opera).
In particolare, è da ricordare che la Grecia (prima minoica e micenea, poi 'omerica' e 'geometrica', 'orientalizzante' e arcaica) rimase a lungo una sorta di vivace ma periferica appendice delle civiltà vicino-orientali, dalle quali ricevette stimoli, istituzioni e nozioni, restando sempre pienamente consapevole di questo enorme serbatoio di sapienza tradizionale, di ricchezza e di potere che si trovava a ridosso delle coste mediterranee. È solo col periodo 'classico' (in sostanza, con le guerre persiane) che la Grecia decolla pienamente e diviene interlocutrice e rivale del Vicino Oriente, consegnando alla successiva storiografia europea quelle coppie contrastive di democrazia e dispotismo, di razionalità e magia, di dinamismo e stagnazione, che compongono la contrapposizione tra Oriente e Occidente, ma che applicate retrospettivamente all'Età del Bronzo e del Ferro non hanno alcuna validità storica o funzionalità storiografica.
Se possiamo in questa sede rinunciare a un'analisi degli aspetti politici, dobbiamo invece dire qualcosa sul presunto contrasto tra un 'pensiero mitico' che sarebbe proprio dell'antico Oriente e un 'pensiero razionale' che costituirebbe l'apporto innovativo e decisivo della Grecia e del mondo occidentale. È infatti evidente che se tale carenza di razionalità fosse provata, essa tenderebbe a tagliar fuori (come non pertinente) l'antico Oriente da una storia della scienza propriamente intesa. Nel corso degli studi sono emerse più volte ‒ dalla metà dell'Ottocento fino almeno agli anni Sessanta del Novecento ‒ alcune proposte esplicite sull'incapacità, da parte delle antiche civiltà orientali, di formulare principî generali e astratti, e ad adottare procedure di ragionamento razionale non inquinato da condizionamenti religiosi o magici o altro. Se tali proposte sono poi di volta in volta cadute, e se oggi si tende piuttosto a correlare i livelli di astrazione e di razionalità coi rispettivi contesti tecnologici e socioeconomici, e insomma a storicizzare e funzionalizzare gli apparati conoscitivi propri di ciascuna cultura, è però da dire che qualche pregiudizio o equivoco è rimasto fortemente sedimentato negli stereotipi correnti.
Nel campo delle culture di livello etnologico, alla definizione della cosiddetta 'mentalità primitiva' come definita da Lévi-Bruhl è seguito il chiarimento di Lévi-Strauss sul 'pensiero selvaggio', cioè non sottomesso a certe norme che sono 'nostre' ma capace di esprimere tassonomie e ragionamenti del tutto funzionali al contesto sociale e culturale di riferimento. Lo stesso è avvenuto, sia pure in forma meno esplicita e senza punti di riferimento altrettanto autorevoli, anche nel campo delle antiche civiltà orientali.
Anche per queste occorre abbandonare ogni equivoco (sia pure implicito o inconsapevole) su una caratterizzazione in qualche misura immutabile e porre decisamente il problema della funzionalità delle forme di classificazione, di registrazione e di elaborazione concettuale rispetto alle esigenze e alle competenze tecniche dell'epoca. La messa a punto di un apparato concettuale in grado di dar ragione del funzionamento del mondo fisico e antropico, è stato un processo assai lungo, lento, faticoso, non univoco né lineare. Alcune tappe importanti sono state coperte nei tre millenni corrispondenti alle civiltà antico-orientali, prima che la cultura greca fornisse i suoi contributi decisivi ma basati in parte proprio sulle precedenti elaborazioni di quelle civiltà. Del resto, la messa a punto degli strumenti del sapere è poi ovviamente continuata anche dopo il 'miracolo greco', che sarebbe anch'esso suscettibile di essere considerato carente se confrontato antistoricamente con gli sviluppi successivi. In un approccio di lunga durata, quel che importa non è una contrapposizione o una valutazione in negativo, o ancora una sottolineatura di incapacità magari considerate congenite (razzialmente o culturalmente tali), quanto piuttosto il fatto che la documentazione antico-orientale fornisce la possibilità di ricostruire un lungo tratto nel difficile processo della progressiva messa a punto di concetti e di procedure logiche.
Il percorso antico-orientale ha avuto senza dubbio i suoi alti e bassi; talvolta ha saputo cogliere successi decisivi e talvolta si è arenato entro sterili vicoli ciechi, ma comunque esso fa parte di diritto di una storia della scienza globalmente intesa come fenomeno mondiale, dalle molteplici radici e dai numerosi percorsi. Se alcuni percorsi sono risultati vincenti, e hanno prodotto un'accelerazione decisiva, non per questo si deve rinunciare alla memoria e alla valutazione di quelli più remoti e magari più tortuosi.
Senza dubbio la documentazione dell'antico Oriente presenta segnali diffusi e inequivocabili di quella che possiamo chiamare 'consapevolezza tecnologica': i procedimenti di trasformazione e di messa in opera dei materiali non soltanto erano praticati, ma erano anche descritti, in termini generali (vale a dire senza riferimento all'occasione specifica), in testi di carattere sostanzialmente didattico. Non sembra invece dimostrabile quella che potremmo chiamare 'consapevolezza scientifica', relativa cioè al fatto che i procedimenti tecnici si fondino su principî teorici e che, quindi, l'approfondimento di questi ultimi possa fornire ricadute applicative nuove. Si deve dunque accettare, a livello empirico, che una trattazione di 'storia della scienza' riguardi in larga misura le tecniche o le scienze applicate anziché quelle 'pure'. Una generalizzazione concettuale non sarebbe stata, peraltro, utilmente trasponibile in testi 'teorici' che non avrebbero potuto avere alcuna concreta funzionalità.
Il rinvio alla funzionalità e alla contestualizzazione rischia di rimanere vago e rituale se qui non si provvederà almeno a fornire alcune indicazioni generali sui principali condizionamenti storico-ambientali che caratterizzano le culture del Vicino Oriente antico. Nei singoli capitoli si troveranno poi indicazioni di volta in volta più concrete e circostanziate.
Un primo condizionamento è di carattere ambientale, relativo in primo luogo alle tecniche produttive di base. La crescita delle grandi civiltà antico-orientali rispetto alle loro premesse neolitiche si verificò soprattutto a seguito della messa a coltura delle grandi vallate alluvionali (donde la teoria oggi desueta dell''origine idraulica' delle civiltà in questione). Ciò comporta senza dubbio un notevole potenziamento delle conoscenze tecnico-scientifiche del terreno e dell'acqua: idraulica, agrimensura e, dunque, geometria piana. Parallelamente, il ciclo stagionale, di capitale importanza nell'agricoltura, è senza dubbio alla base del calendario e dunque delle osservazioni astronomiche.
Un condizionamento di natura ideologica deriva dall'organizzazione della produzione. La 'rivoluzione urbana' si verificò sotto l'egida del tempio; le religioni vicino-orientali continuarono a considerare il lavoro per conto della divinità come la funzione primaria dell'uomo. La formazione delle società complesse ebbe dei costi sociali assai pesanti per mantenere le classi degli specialisti non produttori e le élites dirigenziali. L'ideologia religiosa era l'unica in grado di far sopportare questi costi sociali all'insieme della popolazione. Anche quando la dirigenza si accentrò nel palazzo reale e non più nel tempio, la monarchia 'dispotica' mantenne forti valenze religiose, per gli stessi motivi. Il 'codice' religioso e la spiegazione che rinvia a referenti superumani restarono dunque caratteristici delle civiltà antico-orientali per tutto il corso della loro storia.
Su un piano più strettamente operativo, la centralità del tempio e del palazzo (le 'grandi organizzazioni', secondo l'espressione dell'assiriologo Leo Oppenheim) è soprattutto una centralità di gestione economica: l'immagazzinamento e la ridistribuzione dei beni generano l'amministrazione, e di conseguenza il calcolo matematico e tutto l'ambito della scrittura e della scuola scribale. Amministrazione a parte, gran parte delle tecnologie avanzate trovarono una collocazione privilegiata in ambito templare o palatino, specie nei casi in cui il potere politico e religioso fosse anche il committente principale. L'accentramento 'pubblico' delle attività in senso lato speculative è certamente accentuato dallo stato della documentazione (la stragrande maggioranza dei testi deriva da archivi templari o palatini), ma è anche un dato di fatto incontrovertibile.
L'accentramento templare o palatino della 'scuola' (funzionale alla formazione degli amministratori pubblici) e il prestigio sociale dello scriba conferirono infine alle attività intellettuali pesanti caratteri di ufficialità, di esclusività e di conservazione. Il modello di riferimento è sempre al passato, la tradizione ha valore in rapporto alla sua antichità. L'innovazione non è di per sé connotata positivamente e per potersi affermare deve inventarsi degli archetipi di riferimento fittizi.
Infine, un indubbio fatalismo, derivante dalla scarsa capacità d'intervento concreto (per es. in campo medico), assume connotati 'magici' nel senso di affidarsi a procedure non efficaci sul piano tecnico, ma peraltro dotate di una loro efficacia a livello mentale. Spesso interventi tecnici e magici sono mescolati tra loro, non perché non se ne avverta la diversa natura, ma perché i primi da soli sarebbero disperatamente inefficaci.
La specializzazione delle competenze, che senza dubbio costituisce un fattore positivo (se non indispensabile) per il progresso dei procedimenti tecnico-operativi e per la riflessione sul loro contesto logico-teorico, è molto avanzata nel Vicino Oriente antico. Sin dalle prime attestazioni scritte (fine del IV millennio) è documentata un'ampia gamma di operatori specializzati. Essi lavorano in parte in proprio, in ambito familiare, e in parte per conto del tempio o del palazzo, che è al tempo stesso datore di lavoro, committente, fornitore delle materie prime. Esistono anche forme miste, con operatori che svolgono parte del loro lavoro in proprio e parte per conto del tempio o del palazzo, oppure settori che comportano sia operatori privati sia operatori inquadrati nei ranghi delle grandi organizzazioni.
Esiste però una specializzazione particolare, quella dello scriba, che è l'unica specializzazione 'intellettuale' prevista. Il lavoro dello scriba è il più impegnativo, nel senso che l'addestramento richiede lunghi anni di dura applicazione a causa dei complessi sistemi logosillabici in uso, ed è anche quello maggiormente valutato dal punto di vista della retribuzione e del rango sociale. In un qualunque campo di competenza tecnico-scientifica, dunque, si assiste a una sorta di divaricazione tra sapere tecnico e sapere teorico, che certamente non ha giovato al sorgere di una speculazione propriamente scientifica.
Si consideri, per esempio, il caso della chimica: procedimenti che comportano la conoscenza delle trasformazioni subite da una sostanza quando è fortemente riscaldata o quando è a contatto con altre sostanze sono applicati nella produzione della ceramica e poi del vetro, nella metallurgia, nella preparazione dei profumi e delle droghe, ecc. Per ciascuna di queste applicazioni esistono i tecnici specializzati, che trasmettono all'interno del loro gruppo, di generazione in generazione (di norma di padre in figlio), nozioni ed esperienze; un'esposizione teorica dei principî potrebbe però avvenire soltanto da parte degli scribi, che monopolizzano l'uso della scrittura e che sono potenzialmente interessati a una concettualizzazione non strettamente legata all'attività produttiva e quotidiana.
Questa trasmissione del sapere tecnico all'ambito degli scribi si palesa solo raramente, e piuttosto per tecnologie nuove che non per quelle tradizionali. Per esempio, sempre nel campo della chimica, questa trasmissione si verifica per la produzione del vetro verso la metà del II millennio, con la compilazione di istruzioni scritte; oppure, nel campo della zootecnia, si verifica per l'allevamento del cavallo, nuova tecnica introdotta anch'essa verso la metà del II millennio, mentre non avviene per l'allevamento di altri animali che faceva parte da tempo ormai remoto delle comuni pratiche e conoscenze. In linea generale, la struttura socioculturale dell'epoca respinge le competenze tecnico-scientifiche verso un ambito di lavoro manuale, non particolarmente apprezzato, mentre riserva agli scribi una competenza generale ma astratta, di gestione e controllo del lavoro altrui.
Allo scriba sono peraltro riservate alcune competenze specialistiche; non a caso, si tratta proprio di quei settori che assumono una configurazione più vicina a quella della 'scienza'. Innanzi tutto gli scribi, in quanto amministratori, sono gli specialisti del calcolo matematico; in effetti, tutto il settore matematico è fra i più sviluppati e fra i più fertili in sperimentazioni e in esemplificazioni astratte (sotto forma di 'problemi'), svincolate dal caso concreto. Inoltre, certe categorie di scribi si specializzano nell'astronomia, altro settore vistosamente avviato verso uno statuto scientifico; sono gli scribi a eseguire le osservazioni celesti, a registrarle per iscritto, a consultare le serie 'canoniche' per la decodifica dei fenomeni. Altre categorie, anch'esse rientranti nel sapere scribale, sono specializzate nella consultazione delle serie mantiche, mediche, magiche e conferiscono a queste tecniche ‒ che per noi sarebbero assai poco scientifiche ‒ uno statuto scientifico secondo i canoni dell'epoca.
Il rapporto tra sapere pratico e riflessione teorica è dunque strettamente collegato al rapporto tra specialisti e scribi, nonché alla posizione sociale e alla funzione di questi ultimi. Il risultato è che certi settori considerati meno prestigiosi sono rimasti tagliati fuori dalla riflessione teorica, mentre questa si è accentrata su settori che proprio per la loro centralità nella 'mappa mentale' del sapere cosmologico mesopotamico erano maggiormente esposti al condizionamento da parte di punti di vista teologici, cosmologici e magici.
L'intera 'visione del mondo' ‒ dalla realtà fisica ai fenomeni antropologici e storici ‒ è dominata da un presupposto di interconnessione che, seppur mai espresso in termini teorici riassuntivi, emerge peraltro con tutta evidenza dal complesso della documentazione. I vari piani e settori della realtà sono collegati tra loro in modo tale che un evento o un fenomeno pertinente a un determinato piano o a un determinato settore corrisponda ad altri eventi o fenomeni pertinenti ad altri piani o settori. Questa interconnessione è particolarmente utile sul piano conoscitivo, in quanto consente di accedere ad aspetti ignoti (perché futuri, o perché difficilmente isolabili) utilizzando come 'segni' gli eventi noti (in quanto presenti, o in quanto evidenti).
Per fare un esempio particolarmente chiaro, consideriamo il medico che nel recarsi alla casa di un malato osservi strada facendo alcuni segni che lo mettono in grado di formulare la sua diagnosi già prima di aver preso contatto con i sintomi specifici del male, il quale ultimo, del resto, sarebbe stato ben più difficile da diagnosticare, e men che meno da curare, sulla base dei sintomi specifici:
Quando un āšipu (medico/esorcista) si reca alla casa del malato, se per strada vede un coccio conficcato, il malato non dovrà preoccuparsi. Se la porta della casa dove giace il malato cigola, il malato morrà. Se vede un maiale nero, il malato morrà [oppure] guarirà dopo atroci sofferenze. Se vede un maiale bianco, il malato guarirà [oppure] lo coglierà l'affanno […]. (Labat 1951, pp. 2-3)
Il coccio o il cigolio non sono la 'causa' del male, ne sono però un 'segno', né più né meno come quelli che noi intenderemmo come veri e propri 'sintomi'. Per esempio: "Se ha caldo alla testa, e la punta del naso, le mani e i piedi sono freddi: l'ha preso la febbre di montagna, oppure un sortilegio […]" (Labat 1951, pp. 24-25).
La differenza tra le deduzioni contenute nei due passi ora citati è che nel primo caso il segno è estrinseco rispetto alla condizione fisica del malato, nel secondo caso è invece pertinente. Tale differenza non poteva non essere avvertita (allora come oggi), ma la validità del segno estrinseco era assicurata da quella caratterizzante 'interconnesione' globale cosmica da cui siamo partiti.
Quest'utilizzazione conoscitiva dei 'segni' (in parallelo o in sostituzione dei veri e propri sintomi) non riguarda soltanto il settore medico: è assolutamente generalizzata e, inoltre, non si limita a segni spontanei, ma mette a punto tecniche di vera e propria produzione di segni. Così, la preparazione di una campagna militare non comporta soltanto l'approntamento dei mezzi tecnici conoscitivi (informatori) e operativi (armamenti, logistica), ma anche la simulazione 'a tavolino' da sottoporre alla convalida divina mediante operazioni mantiche:
Io ti chiedo, o Shamash, grande signore, se un esercito di Esarhaddon, re d'Assiria, debba andare a conquistare Dur-Enlil, fortezza ai confini della Mannea, e se la fortezza di Dur-Enlil cadrà in loro mano. Sii presente in questo caprone [sacrificale], metti [nelle sue viscere] un segno inequivocabilmente affermativo, una configurazione favorevole, un presagio favorevole, per ordine della tua grande divinità, cosicché io possa vederlo. (Starr 1990, p. 36)
Passando poi dalla diagnosi conoscitiva all'intervento operativo, il principio è lo stesso per segni e per sintomi, ed è quello della rimozione. Si può tentare di rimuovere la causa, operando sui sintomi pertinenti, oppure si può rimuovere il segno mediante rituali profilattici che annullino il suo potere o che lo deviino in una direzione non dannosa per il soggetto.
Non si tratta qui di una confusione concettuale tra segno e causa, ma piuttosto della convinzione che se l'interconnessione è valida si può operare sulla realtà per via indiretta: lo spostamento dei rapporti esistenti sul piano estrinseco produrrà necessariamente uno spostamento parallelo sul piano pertinente. Evidentemente l'interconnessione è assicurata a un livello superiore, di volontà divina: e dunque l'intervento di tipo magico è indirizzato a convincere la divinità a eseguire lo spostamento desiderato.
La pervasiva presenza del concetto di interconnessione fa sì che la 'forma mentale' del ragionamento sia di norma quella del periodo ipotetico 'se… allora…'. Questo schema, mentale ma anche banalmente sintattico, è utilizzato non soltanto per tutte le raccolte di 'segni' e di 'presagi', ma anche per le raccolte di diagnosi mediche, e perfino di norme giuridiche, dove serve a collegare infrazione e punizione.
Un'analisi complessiva delle raccolte di presagi mostra che la connessione tra protasi e apodosi, vale a dire tra segno e conseguenza, ha origine per lo più da associazioni di idee o di immagini, o anche da giochi di parole, su cui si esercita poi pesantemente l'effetto moltiplicatore dell'analogia e del capovolgimento. La teoria antica prospetta però un'origine 'storica' delle connessioni tra segno e presagio: ci si rifà in sostanza a un caso 'primo' in cui la connessione è stata osservata e se ne deduce che, anche in seguito, alle stesse premesse dovranno seguire le medesime conseguenze. Per quanto artificiosa, questa teoria è interessante perché pone in rilievo il ruolo dell'esperienza e, in qualche caso, dell'esperimento. La conoscenza dell'esito futuro si basa sulla registrazione dei casi passati e questo vale per il rapporto di causa-effetto nel campo tecnologico (se si riscaldano assieme certi materiali ne uscirà una pasta vitrea di un certo colore) o nel campo diagnostico (se il malato presenta certi sintomi, morrà); essa vale anche per la normativa sociale (se un uomo commette un certo delitto, gli sarà inflitta una data punizione) ed è vera nello stesso modo anche per il rapporto segno-previsione (se il fegato ha una certa configurazione, si verificherà un disastro, perché questa configurazione è stata osservata in occasione di un celebre disastro 'storico').
Il passaggio dall'esperienza all'esperimento non è difficile nel campo tecnologico: se l'operatore prova ad aumentare o diminuire un componente della miscela di materiali, come muterà il colore della pasta vitrea? Basta provare per saperlo. L'esperimento diventa però impraticabile nel rapporto tra segno e previsione basato sulla teoria generale dell'interconnessione: il segno, spontaneo o provocato che sia, è comunque 'dato' e non può essere mutato. Non resta dunque che cumulare esperienza su esperienza, sperando di coprire tutto il campo delle possibilità. Evidentemente, tuttavia, dalla giustapposizione di tante esperienze non può risultare una spiegazione simile a quella che risulterebbe da una pratica di esperimenti mirati. La scomposizione di una miriade di casi in poche leggi generali che diano ragione di ciascuno di essi, non è stata perseguita: si è andati semmai nella direzione opposta, quella cioè di suddividere ogni caso in vari sottocasi aggiungendo precisazioni di dettaglio.
Si obietta spesso che le previsioni basate su segni arbitrari, e dunque destinate a non attuarsi (se non in termini di probabilità statistica), dovrebbero essere ben presto scartate in quanto inaffidabili. La fiducia nelle previsioni epatoscopiche, astrologiche o mantiche in generale, sembra invece incrollabile. A parte la vaghezza di certe previsioni, che solo a posteriori divengono chiare, il principale elemento di complicazione è dato dalla prassi di far seguire alla previsione negativa un intervento correttivo, cioè un rituale profilattico. Una volta eseguito il rituale, se la previsione negativa non si avvera si dimostra non già l'inaffidabilità del segno premonitore, bensì l'affidabilità del rimedio; se poi la previsione negativa si avvera nonostante l'intervento profilattico, vorrà dire che qualcun altro ha eseguito un controintervento più efficace ancora. Insomma, non è l'affidabilità del meccanismo di previsione a essere posta in questione, ma piuttosto il gioco di mosse e contromosse che seguono. Il segno non è una causa, la conseguenza non è inevitabile: nell'intervallo tra segno premonitore ed evento si situano gli interventi correttivi che rendono in ultima analisi impossibile verificare in seguito l'attendibilità dei segni.
Infine, c'è la procedura al rovescio: dato un certo esito, specie se imprevisto e disastroso, si cerca di risalire alla causa. Prescindiamo qui dalla ricerca della causa immediata, occasionale, che non presenta problemi. Ciò che soprattutto importa è individuare la causa ultima, che si colloca in campi difficilmente esplorabili coi mezzi empirici, o perché pertinenti alla sfera divina, o perché umani ma inconoscibili. La ricerca della causa ultima avviene perciò inevitabilmente mediante procedure di tipo per noi arbitrario, cioè pertinente al campo dell'intervento magico o della colpa rituale o altro. Così, la morte di Sargon II d'Assiria sul campo di battaglia porta all'inchiesta su quale fosse stato il suo 'peccato', che era necessario postulare per dar ragione di un evento talmente tremendo. Analogamente, la pestilenza introdotta in Anatolia dagli eserciti hittiti di ritorno dalla guerra porta all'inchiesta su quale fosse stato il 'peccato' del re Shuppiluliuma, pur vittorioso ma evidentemente colpevole.
Anche a livello individuale e privato, ogni malessere o infortunio porta immancabilmente a postulare una 'fattura' magica, a opera di ignoti, contro cui si reagisce con una controfattura. Si decide insomma di 'saltare' un'eventuale causa diretta e coerente, in quanto ovvia e banale, irrilevante e strumentale, per puntare direttamente alla causa prima e significativa, che inevitabilmente si colloca in un ambito ignoto, sondabile mediante procedure a esso appropriate.
L'approccio tipico del Vicino Oriente antico alla sistemazione del sapere è di tipo cumulativo, corrispondente a un ideale di tipo quantitativo e non qualitativo, nozionistico e non esplicativo. Nell'enorme e apparentemente incontrollabile serbatoio di entità diverse che costituisce il mondo, l'unica via che s'individua per controllarlo è quello di elencare le diverse entità, cercando di raggiungere la completezza per via sommatoria. La forma caratteristica del sapere è la lista: precisamente, la lista che contiene 'tutti' i nomi delle entità rientranti in una data categoria. Così, il sapere zoologico si materializza in una lista di animali, il sapere botanico in una lista di piante, il sapere giuridico in una lista di casi, e così via. All'interno della lista si ha apparentemente una suddivisione in sottoinsiemi, ma in realtà si tratta di raggruppamenti dei singoli termini a seconda del segno iniziale (che di norma, in sumerico, è un indicatore di categoria). Così, per esempio, gli animali sono suddivisi in ovini e caprini, in bovini, in equidi, in canidi, ecc., a seconda di come rientrano in sottoinsiemi terminologici. Questo porta, a grandi linee, a una classificazione gerarchica (del tipo: animale/canide/lupo) ma non evita certi dislocamenti del tutto abnormi.
L'ideale della sapienza onnicomprensiva (Salomone conosceva tutti i nomi delle piante, dal cedro all'issopo) trova un campo di applicazione collaterale ma assai significativo nei testi magici. Quando si tratta d'individuare il responsabile di una fattura o il destinatario di un rituale profilattico, oppure quando si tratta di dichiarare una colpa sconosciuta o invocare il dio irato (anch'esso sconosciuto), è indispensabile coprire l'intero campo delle possibilità.
La lista 'aperta' non dà garanzie, mostra i suoi limiti: è sempre possibile aggiungervi un elemento precedentemente ignoto o dimenticato o comunque omesso. Si ricorre a due soluzioni integrative: la prima è la soluzione 'eccetera', che chiude la lista analitica con una definizione più generale o residuale, e la seconda è la soluzione 'binaria' che cerca di raggiungere la totalità per mezzo di una bipartizione. Riportiamo qui un passo da un testo magico, che esprime entrambi i procedimenti:
Il peccato del padre o della madre,
il peccato del nonno o della nonna,
il peccato del fratello o della sorella,
il peccato dell'amico o del compagno,
il peccato del parente o del congiunto,
il peccato dei discendenti o dei lattanti,
il peccato del morto o del vivo,
il peccato del danneggiato o della danneggiata,
il peccato conosciuto o sconosciuto. (Reiner 1958, p. 24)
Il procedimento 'binario' trova poi moltissime applicazioni in qualunque tipo di contesto; basti pensare alle titolature regie che intendono esprimere il concetto di un potere universale con espressioni quali "dal mare inferiore al mare superiore", "di sopra e di sotto", "montagne e pianure". Tutti abbiamo presenti alcuni celebri passi biblici in cui questo procedimento è applicato: "All'inizio [meglio sarebbe tradurre: per prima cosa] Dio creò il cielo e la Terra" significa che creò il mondo intero, e nel giardino dell'Eden l'albero "della conoscenza del bene e del male" allude alla conoscenza dei principî morali nel loro complesso.
Anche il procedimento 'eccetera' trova applicazioni diffuse: per esempio la tipica sequenza dei colori 'bianco-nero-rosso-verde-multicolore' è applicata per mania di completezza anche a entità che non possono essere verdi o che non possono essere multicolori.
Esiste poi anche un terzo procedimento logico che cerca di conferire alla lista 'aperta' una sua coerenza e una sua completezza, ed è l'ordinamento progressivo tra due estremi opposti. Il già citato passo su Salomone non a caso dice "dal cedro che cresce sul Libano all'issopo che cresce sui muri", ordinando le piante dalla più grande alla più piccola. In altri casi è presente un ordinamento spaziale, con liste di toponimi dal più occidentale al più orientale.
Infine, c'è un completamento per via di buon senso, o di prevedibilità pratica. Un esempio molto indicativo è nella lista di presagi su nascite abnormi (Šumma izbu). Volendosi prevedere parti gemellari si potrebbe andare avanti all'infinito prevedendo un numero progressivamente grande di gemelli, senza raggiungere un numero 'massimo' che chiuda la sequenza. Il passo in questione è assai poco rigoroso, non riuscendo a organizzare le molteplici variabili: numero di gemelli, sesso, sopravvivenza. All'inizio si omettono i due gemelli in quanto abbastanza normali da esser considerati poco 'ominosi'; verso la fine poi la casistica si dirada per esaurirsi quando si raggiungono cifre che l'esperienza dimostra improbabili:
Se una donna partorisce tre gemelli/ tre gemelle/ tre gemelle siamesi/ quattro gemelli/ quattro gemelli che sopravvivono/ quattro gemelli che muoiono/ quattro gemelli, due maschi e due femmine/ due, tre, o quattro gemelli/ quattro gemelle che sopravvivono/ quattro gemelle che muoiono/ quattro o cinque gemelli/ quattro o cinque gemelle/ cinque gemelli, tre maschi e due femmine/ cinque gemelli, due maschi e tre femmine/ cinque o sei gemelli/ cinque o sei gemelle/ sei gemelli/ sette gemelli/ otto o nove gemelli. (Leichty 1970, pp. 43-44)
La giurisprudenza è un altro settore nel quale il tentativo di coprire la totalità dei casi possibili ha una sua precisa funzione. Ovviamente si procede cumulando caso su caso; ma in molti casi il procedimento della partizione binaria aiuta a suddividere una casistica generale in fattispecie sempre più specifiche a seconda del sussistere o meno di un qualche fattore classificatorio secondario.
Senza dubbio la lista 'aperta' resta lo strumento di classificazione più caratteristico e praticato in maniera più vistosa. Peraltro, quando, nella Grecia arcaica, Eraclito suggerirà esplicitamente di sostituire a una classificazione cumulativa una classificazione binaria, non soltanto la sua polemica diretta contro altri filosofi greci ("Il saper tante cose [polymátheia] non insegna la sapienza, altrimenti l'avrebbe insegnata a Esiodo e a Pitagora, a Senofane e a Ecateo", DK 22 B 40) avrebbe potuto essere diretta in maniera assai appropriata contro la sapienza orientale, ma avrebbe dovuto tenere conto anche del fatto che il principio binario da lui propugnato, e così risolutivo nella sua elementare chiarezza, aveva avuto nel Vicino Oriente ben più che un maldestro e occasionale preludio.
Ci siamo già soffermati, dapprima a proposito dello schema del presagio ('se ... allora ...') e poi a proposito delle 'liste' lessicali, sulle forme basilari della registrazione del sapere. Altre forme caratteristiche sono il problema e l'istruzione.
Il problema è caratteristico del settore matematico, sia esso aritmetico oppure geometrico: dati certi elementi noti, come si arriva a determinare il valore di un elemento incognito? Ovviamente, i testi che raccolgono assieme numerosi problemi tendono ad assumere un andamento analogo a quello delle liste o delle raccolte dei presagi, con gli stessi inconvenienti relativi ai criteri tassonomici per analogia tematica o per associazione di idee.
A questo punto occorre però fornire alcune indicazioni sui condizionamenti che l'espressione del pensiero scientifico riceve dal contesto culturale dell'epoca. Il primo condizionamento è di natura strettamente materiale, strumentale. La registrazione scritta su tavoletta d'argilla con caratteri incisi mediante uno stilo copre tutta la storia mesopotamica dalla fine del IV millennio fin oltre l'avvento dell'ellenismo e tutta l'Età del Bronzo (III e II millennio) per le regioni circostanti (Anatolia, Siria-Palestina, Iran occidentale). Questo strumentario scribale è soprattutto adatto alla registrazione di parole e di cifre su testi di limitata estensione, risultando invece assai malagevole per registrare disegni e grafici, che in effetti sono rarissimi e mai complessi. Questo inconveniente limita fortemente lo sviluppo della cartografia e dunque della conoscenza geografica; esso si risente anche nella medicina, nella zoologia e nella botanica. Anche l'astronomia, pur sviluppatissima, deve ricorrere a espedienti che suppliscano all'assenza di una registrazione che simuli la disposizione spaziale. Nel campo matematico si ha qualche disegno schematico di geometria piana, ma la raffigurazione di elementi tridimensionali rimane un grave problema irrisolto. Nello stesso settore dell'amministrazione contabile, di pratica quotidiana, la messa in pagina dei dati è spesso carente, farraginosa e ripetitiva, almeno per tutto il III millennio. In età paleobabilonese s'inizia a praticare una messa in pagina basata sull'intersezione tra colonne verticali e sezioni orizzontali, che poi si svilupperà maggiormente nell'età cassita.
Da questo punto di vista la scrittura su papiro offre una maggiore disponibilità, come ben si vede dal caso degli Egizi, presso i quali disegni e tabelle sono di utilizzazione corrente e, in aggiunta, si possono usare inchiostri di colore rosso e nero coordinati per esprimere livelli diversi di registrazione. Purtroppo gli scritti su papiro, introdotti anche nel Vicino Oriente in connessione con la scrittura alfabetica, non si sono di norma conservati. Le registrazioni alfabetiche su óstraka (le uniche conservate) presentano problemi di spazio anche maggiori di quelli relativi alle tavolette cuneiformi.
Per la redazione di testi lunghi, che superino l'ampiezza di una tavoletta, si ricorre ovviamente a serie di tavolette, ordinate e collegate tra loro da colophon (o dalla semplice ripetizione dell'ultima riga di una tavoletta sulla prima della seguente). In questo modo si possono mettere assieme testi anche molto lunghi: alcune serie mantiche comprendono decine di tavolette (la serie Šumma ālu ne comprende almeno 107, la serie epatoscopica Bārûtu circa 100, la serie astrologica Enūma Anu Enlil 70); lo stesso vale per le serie 'storiografiche' della Cronaca Babilonese e per i Diari astronomici (forse diverse centinaia di tavolette). Relativamente più modeste erano le serie lessicali (ḪAR-ra=ḫubullu ha 24 tavolette). Ovviamente, la natura fisica delle tavolette fa sì che una serie assuma piuttosto l'aspetto di uno schedario che non quella di un volume.
Un altro condizionamento deriva dall'ambientazione scolastica e dalla funzione didattica dei testi di valenza scientifica. Ciò spiega facilmente la forma della 'lista', dalle più banali liste di segni fino alle più complesse liste tassonomiche, tutte concepite quale sussidio per l'apprendimento della scrittura, della terminologia e della fraseologia; spiega anche la forma del 'problema', la cui collocazione in ambito scolastico è del tutto evidente, e, infine, la forma dell''istruzione', comunicata dal padre al figlio o dal maestro all'allievo, che rinvia a un contesto strettamente scolastico o almeno di trasmissione del sapere.
Il fatto è che al di fuori della scuola si trovano soltanto registrazioni funzionali (in sostanza amministrative), relative a casi concreti e dunque semmai applicative di criteri generali dati per scontati. Nell'ambito scolastico, invece, si formulano sia casi fittizi e in qualche caso abnormi (per es., problemi con dati quantitativi irrealistici), sia procedure generali (è il caso delle istruzioni), sia infine repertori di supporto (è il caso delle liste e delle raccolte di presagi) che tendono alla copertura completa della casistica possibile.
I pregi, ma al tempo stesso i limiti, della scienza dell'antico Vicino Oriente sono due: l'accumulo enorme di dati e la loro prolungata trasmissione nel tempo. Il pregio di carattere quantitativo trova evidentemente il suo limite nella scarsa valutazione critica: l'accumulo prevale sullo scarto, l'esperienza acquisita sull'innovazione, la giustapposizione di varianti sull'enucleazione del tipo. La collocazione scolastica contribuisce senza dubbio a conferire valore aggiuntivo alle conoscenze acquisite e consolidate, a stimare positivamente l'antichità dell'acquisizione e l'autorevolezza del suo autore.
La concezione prevalente è quella della progressiva acquisizione di istituzioni o conoscenze che una volta acquisite restano immutabili in quanto dotate di una validità assoluta, quasi oggettuale; manca invece, o almeno resta piuttosto carente, la concezione dinamica del sapere come fatto non solo di acquisizioni ma anche di scarti, e come suscettibile di critica, di modifica, di aggiustamento o revisione anche radicale. Le strutture fondamentali del Cosmo sono state stabilite una volta per tutte dalla divinità al momento della creazione (che è in realtà un atto di organizzazione); i saperi basilari sono stati poi introdotti da 'eroi fondatori' in un passato remoto; infine, ulteriori aggiustamenti possono essere stati ancora introdotti, per lo più da re o da sapienti (ovviamente scribi). È la concezione del prótos heuretḗs, con tutto quanto comporta di fondazione mitica di una realtà che è quella esistente, considerata tale non in quanto occasionale o mutabile ma in quanto ovvia e definitiva.
A livello testuale questa concezione conduce a processi di 'canonizzazione', all'individuazione di 'autori' (almeno per i testi letterari più famosi) remoti come anche alla 'costruzione' di 'antenati tecnologici' per certe attività artigianali. Ciò non toglie tuttavia che sul testo canonico e autorevole si possa anche intervenire a piacimento, con scarsissimo rispetto per la redazione originale, in un continuo susseguirsi di varianti minori nell'ambito di una fissità di base. Alla tradizione scritta e canonica s'affianca talvolta la tradizione orale; quando gli astrologi della corte assira, dovendo comunicare al re il significato di un segno celeste, non trovano nelle serie canoniche una decodifica appropriata, ricorrono al parere orale di un esperto (ina pî ummāni "secondo l'affermazione di un sapiente"), ma sorge il dubbio legittimo che il parere orale sia meno controllabile e quindi sia suscettibile di manipolazioni di comodo.
Resta comunque la straordinaria profondità diacronica della trasmissione del sapere nell'antica Mesopotamia (le altre zone hanno una continuità senz'altro minore). Le prime liste lessicali compilate all'epoca di Uruk sono trasmesse pressoché invariate per tutto il periodo protodinastico: il confronto tra manoscritti distanti tra loro oltre mezzo millennio mostra la stretta coincidenza, segno per segno, fatta salva soltanto l'evoluzione paleografica. Ancor maggiore è la durata delle liste lessicali 'classiche', che in genere hanno prototipi paleobabilonesi, assumono forma canonica in età cassita, sono poi trasmesse per tutta l'età neoassira e neobabilonese e sono ancora utilizzate e ricopiate in piena età ellenistica, concretizzando una trasmissione canonica che abbraccia quasi per intero due millenni. Anche certi testi letterari hanno una trasmissione del tutto analoga (si veda il caso del poema Gilgamesh com'è presentato nel cap. X, par. 1).
Per fare un caso diverso, alla metà dell'VIII sec., sotto il re babilonese Nabu-nasir (il Nabonassar di Beroso) inizia a quanto pare la redazione sia delle Cronache Babilonesi sia dei Diari astronomici che del resto ne costituiscono la base documentaria. La redazione dei Diari astronomici, ossia la consapevole operazione di registrare notte dopo notte la posizione delle stelle e il verificarsi di congiunzioni ed eclissi, e di registrare in parallelo prezzi, livello del fiume, eventi storici e vari, va avanti per secoli e secoli, in una serie di tavolette, l'una aggiungentesi all'altra, che è ancora attivamente aggiornata nel I sec. a.C. Di questa serie restano parti sostanziose, relative soprattutto ai secoli IV-II, che fanno immaginare facilmente come l'opera completa dovesse essere e apparire un impressionante lavoro collettivo di generazioni e generazioni di scribi e di astronomi quotidianamente impegnati nell'accumulare dati, imperturbabili agli eventi del mondo circostante, al fine di dotare di una base documentaria ampia e certa la teoria dell'interconnessione tra segni astrali ed eventi terreni.
L'approccio necessariamente sintetico adottato in questa introduzione può ingenerare l'equivoco che i tre millenni di storia dell'antico Vicino Oriente possano essere considerati come un insieme statico: equivoco tanto più pericoloso in quanto andrebbe ad alimentare perduranti pregiudizi su un Vicino Oriente stagnante e incapace di evoluzione per sua dinamica interna, fecondato soltanto tardivamente dall'intervento greco e dunque dall'unico mondo dinamico e progressivo, quello occidentale. In realtà i tre millenni di storia dell'antico Vicino Oriente comportano decise linee di sviluppo, che sono lente soltanto se confrontate a fasi posteriori di mutamento più rapido. Com'è stato già affermato, il processo di messa a punto delle forme del pensiero e della registrazione scientifica è indubbiamente faticoso, ma comporta alcuni passaggi di rilevanza decisiva.
Il primo periodo di vivace innovazione è quello della 'rivoluzione urbana' (fine del IV millennio), quando sono messi a punto il sistema di registrazione scritta (scrittura protocuneiforme e sistemi di numerazione) con i primi strumenti di ausilio per scrivere (liste), soprattutto in funzione dei bisogni delle prime amministrazioni templari di carattere spersonalizzato. È questo il periodo in cui anche la specializzazione lavorativa acquista maggiore rigore e richiede meccanismi di conversione dei valori delle varie merci, del lavoro, dei beni fondiari. Se non c'è ancora un'attività scientifica vera e propria se ne gettano però le basi operative, a livello di ordinamento convenzionale dell'infinito universo di entità e di valori. La stessa introduzione della registrazione scritta comporta una decisiva sistemazione del sapere in un ristretto numero di unità classificatorie a scopo eminentemente amministrativo.
Tutto il III millennio non fa che elaborare ulteriormente le indicazioni della fase formativa, diffondendola anche alle regioni circostanti: in particolare, si sviluppa la letteratura scolastica delle liste, si mettono a punto le tecniche di più stretta attinenza amministrativa nei settori della geometria (per la gestione delle terre), della tecnologia specializzata, del calcolo matematico. Si noti che per tutto il III millennio l'interconnessione dio/uomo/Natura e il ricorso all'intervento magico sono sì attestati, ma non hanno ancora assunto quell'ossessività che caratterizzerà le fasi successive. Non si hanno ancora raccolte di presagi a scopo di consultazione e di trasmissione del sapere.
Una seconda fase innovativa è quella paleobabilonese (specie i secoli XVIII-XVII), che è la fase 'classica' della cultura mesopotamica. Il subentrare del babilonese al sumerico comporta un notevole lavoro nel campo della traduzione, e conseguentemente della classificazione del sapere in liste. Si ha il primo 'manuale' di esplicito tono didascalico, in un settore di conoscenza tradizionale (le istruzioni agricole). Si ha l'esplosione del genere (legato alla scuola) dei 'problemi' nel settore matematico. Si hanno le prime sistemazioni in campo medico e in campo astronomico, e le maggiori in campo giuridico. Si hanno le prime raccolte di materiali storiografici (lista reale sumerica, raccolte di iscrizioni reali accadiche, raccolte di lettere reali neosumeriche) e le prime formulazioni storiografiche basate sul rapporto tra modello e attualizzazione. Si ha soprattutto l'esplosione della letteratura dei presagi, in particolare di quelli epatoscopici, con tutto quello che ciò comporta per la più generale visione mesopotamica del mondo.
Verso la metà del II millennio un ruolo particolare è esercitato dall'introduzione, o dalla più precisa messa a punto e più ampia diffusione, di tecniche nuove, dall'addestramento del cavallo alla fabbricazione del vetro. Ciò stimola la redazione di 'manuali' tecnici, legati alla trasmissione non più nell'ambito familiare (di padre in figlio) ma in quello di gruppi di competenza specifica. Si hanno così manuali ippici e ippiatrici, manuali per la fabbricazione del vetro, dei profumi e delle droghe. Questi stimoli innovativi sono maggiormente diffusi negli ambienti periferici (Alta Mesopotamia, Siria, Anatolia); nel vecchio centro bassomesopotamico subentra una tendenza alla codificazione e sistemazione del sapere acquisito. Le già vecchie serie lessicali paleobabilonesi ricevono una forma che diventerà appunto canonica (e si trasmetterà per tutto il I millennio); lo stesso avviene nel campo della letteratura sapienziale, delle raccolte di presagi, e altro.
Sullo scorcio del II millennio questa divaricazione tra una Babilonia tradizionale e una periferia innovativa è accentuata dall'introduzione della scrittura alfabetica che comporta, nonostante alcune valutazioni riduttive, un passaggio logico di grande rilievo: quello della riduzione dell'infinito repertorio di registrazioni logografiche in un sistema basato sull'individuazione di pochi fonemi distintivi. In prospettiva di tempo, poi, l'alfabeto porterà a una maggiore diffusione (e 'democratizzazione') dell'accesso alla scrittura, e dunque dell'accesso a un sapere che non sia solo familiare e tradizionale.
La prima metà del I millennio è caratterizzata in Mesopotamia da un grande tradizionalismo: ne è espressione significativa la biblioteca di Assurbanipal, che intende raccogliere esemplari di tutti i testi prodotti in Babilonia, registrati nella loro forma classica. Lo stesso periodo è caratterizzato anche da una grande innovazione: nel campo dei presagi l'egemonia dell'osservazione epatoscopica lascia il campo all'egemonia dell'osservazione astrale. I due sistemi non sono semplici varianti tecniche di uno stesso principio, ma sono invece espressione di due sistemi mentali diversi. La vecchia epatoscopia (e gli altri sistemi paleobabilonesi di presagi basati sull'osservazione di fatti accidentali, spontanei o provocati) si componeva di osservazioni occasionali, che non davano origine a un sistema coerente, e che lasciavano largo campo al caso e al controintervento magico. Invece il sistema astrologico, basato sull'individuazione di moti regolari di corpi celesti e di fenomeni naturali ricorrenti, incardina, per così dire, tutti gli eventi del continuum temporale (teoricamente indietro all'infinito nel passato, e avanti all'infinito nel futuro) in un sistema rigido ed esattamente conoscibile e prevedibile. In connessione con ciò, l'inizio (750 a.C. ca.) della quotidiana registrazione delle posizioni di astri e dei fatti della vita umana, in una serie continua che continuerà a essere aggiornata per otto secoli, costituisce il prodotto più vistoso della conoscenza cumulativa e al tempo stesso del condizionamento astrale, i due tratti caratterizzanti della scienza babilonese. Anche nel campo meno sviluppato della scienza geografica, si avrà nel VII sec. un primo tentativo di descrizione globale dell'ecumene, e poi nel IV sec. un tentativo di sistemazione geometrico-astrale del mondo.
Benché meno facilmente ancorabile a una cronologia precisa, è però anche da segnalare un processo di enucleazione di principî logici che servano a mettere ordine nell'universo delle conoscenze. Abbiamo già detto dell'importanza del passaggio dalla scrittura logografica a quella alfabetica; parallelo è il passaggio da una tassonomia puramente cumulativa a una basata sull'individuazione di contrapposizioni binarie. Nello stesso ambito concettuale si collocano l'introduzione di una moneta come strumento unico del computo comparato dei valori (rispetto a un sistema di correlazioni molteplici) e i passi compiuti verso il valore posizionale delle cifre ‒ dove anche l'esito finale sarà in qualche modo analogo all'alfabeto, con l'introduzione di pochi simboli distintivi al posto di quelli cumulativi (per es., con la scrittura '7' invece di '1111111').
L'interpretazione tradizionale vuole che l'antico Oriente abbia contribuito al sorgere della scienza soltanto mediante un accumulo abnorme di dati, che l'intervento del più rigoroso pensiero greco riuscirà poi da un lato a ricondurre a pochi principî distintivi, e dall'altro a rendere razionale sottraendolo alla negativa ipoteca del presupposto magico-religioso. È invece da ritenere che l'antico Oriente abbia contribuito ‒ sia pur faticosamente, seguendo percorsi tortuosi e non sempre consapevoli ‒ anche alla messa a punto di questi principî logico-razionali, cui poi il pensiero greco conferirà una veste senza dubbio più organica e più rigorosa.
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