Vilfredo Pareto
Vilfredo Pareto è il maggiore economista che l’Italia abbia espresso, e tra i pochi grandi nella storia del pensiero economico. Grande soggettivamente (per la genialità dell’uomo) e oggettivamente, per l’influsso, enorme, che ha esercitato e ancora esercita sulla scienza economica contemporanea. Fu un grandissimo economista perché non fu solo economista. Infatti è uno dei pochi scienziati sociali considerato un classico in più ambiti delle scienze sociali: oltre che dell’economia è un classico della sociologia, della scienza politica e della statistica e questa straordinaria combinazione di qualità ne fa un autore unico in tale panorama di studi.
Vilfredo Pareto nasce il 15 luglio 1848 a Parigi, dove si era rifugiato nei primi anni Trenta suo padre Raffaele (1812-1888), nobile genovese, esperto di ingegneria idraulica e mazziniano, personaggio dalla ricca e poliedrica personalità che ebbe un ruolo importante nell’educazione scientifica del figlio. Autore di scritti di ingegneria, arte, restauro, matematica, si interessò infatti anche di economia, recensendo sul finire degli anni Cinquanta il Dizionario di economia politica di Gerolamo Boccardo, il quale non aveva mancato di citare i lavori di ingegneria e di idraulica dello stesso Raffaele Pareto. La madre Marie Métenier (1813-1889) era invece francese.
Ancora bambino, Vilfredo torna a Genova (probabilmente nel 1854) e, a Casale Monferrato prima, a Torino poi, frequenta l’istituto tecnico nella sezione industriale. Quindi, sempre a Torino, si iscrive alla facoltà di Scienze, e quindi alla Scuola di applicazione per ingegneri, dove nel 1870 ottiene a pieni voti il diploma di ingegnere. Dalla laurea fino al suo trasferimento a Losanna, avvenuto nel 1893, Pareto fa l’ingegnere in grandi imprese italiane, prima a Firenze, dove risiedeva anche parte della sua famiglia natale e dove lavora nella Società anonima delle strade ferrate, e, dal 1873, a San Giovanni Valdarno nella Società per l’industria del ferro, dove è dapprima ingegnere e dirigente, e, dal 1880, direttore generale della nuova Società delle Ferriere Italiane.
In questi primi venti anni di lavoro in Toscana, Pareto si convince sempre più che tra le azioni dei tecnici che egli aveva modo di osservare nelle sue imprese, e che erano tese a ottimizzare la produzione, e le azioni dei politici e dei riformatori sociali vi è una sostanziale differenza. Le prime sono ispirate e guidate dalla scienza, dalla ragione scientifica e sperimentale, mentre le seconde sono mosse normalmente da passioni, da interessi, da istinti, ma rivestiti di logicità. Sarà questa l’idea base della sua teoria sociale, soprattutto nell’età matura, in cui prese le distanze dalla fase giovanile toscana, quando egli stesso, anche sotto l’influsso del padre mazziniano, era stato mosso da sentimenti umanitari.
Nel 1889 si sposa con Alessandra Bakounine (Dina), figlia di un diplomatico russo, che lo lascerà nel 1901, durante un’assenza del marito per un corso di lezioni a Parigi, fuggendo con il cuoco di famiglia. Così Pareto scrive all’amico Maffeo Pantaleoni il 29 novembre 1901: «Un fatto doloroso mi è capitato. Mia moglie è andata via col mio cuoco. Non si fa duello col proprio cuoco; onde mi rimane solo da provvedere legalmente» (cit. in Vilfredo Pareto (1848-1923). L’uomo e lo scienziato, 2002, p. 87). Nel 1902 Pareto conosce, in seguito a un annuncio su un giornale, Jeanne Régis, che sposerà solo nel 1923, a Fiume, poco prima di morire nella sua villa Angora di Céligny (la villa prese il nome dalla razza di gatti molto amata da Pareto, dai quali era circondato), sul lago di Ginevra, il 19 agosto 1923. La sua tomba è ancora presente, sebbene dimenticata, nel locale piccolo cimitero.
Pareto aveva sempre avuto interessi per la politica economica e anche per la teoria pura. Conosceva Léon Walras e l’economia pura già prima degli anni Novanta, come si può evincere dalla sua ricchissima corrispondenza del periodo fiorentino. In seguito all’incontro con l’economista italiano Pantaleoni, Pareto però rilegge l’economia matematica, e riscopre l’economia di Walras. Nel 1891 scrive i primi articoli di economia matematica pura pubblicati nel «Giornale degli economisti», e solo dopo due anni succederà a Walras, anche grazie alla mediazione di Pantaleoni, a Losanna, in una delle cattedre più importanti della nuova economia. Nel 1897 l’Università di Losanna gli affida un corso di sociologia, un incarico che lo costringe a studiarla sistematicamente, e nel 1898, grazie a una grossa somma ereditata da uno zio paterno (Domenico, deceduto in quello stesso anno senza prole), può congedarsi gradualmente dall’insegnamento universitario e dedicarsi a tempo pieno alla composizione delle sue grandi opere, in particolare al Manuale di economia politica (1906) e poi al Trattato di sociologia generale (prima edizione 1916, seconda e definitiva nel 1923), lavoro che lo occuperà a tempo pieno negli ultimi quindici anni della sua vita.
La vita e l’opera di Pareto possono essere, quindi, suddivise in tre periodi: 1) l’ingegnere, 2) l’economista, 3) il sociologo, sebbene in tutte le fasi ritroviamo, in proporzioni variabili, i tre Pareto. Va poi detto che in tutta la sua opera scientifica si può individuare un filo rosso che attraversa e dà continuità all’intera sua teoria: l’unico modo scientifico di avvicinarsi alla realtà è attenersi ai nudi fatti; questi nudi fatti, però, nel mondo delle azioni umane non si svelano senza un approccio interdisciplinare, sociologico in modo particolare. Questa convinzione, quasi una fede, sebbene non percepita da lui come tale, resterà incrollabile dall’inizio alla fine della sua vicenda scientifica.
Pareto inizia a occuparsi di economia fin dagli anni giovanili. Non è da escludere l’influenza del padre Raffaele in questi suoi primi interessi. Vilfredo si interessa soprattutto di economia applicata, di questioni di politica economica, di dazi, di protezionismo e di liberismo, di ferrovie, di economia industriale e così via. Dure le sue polemiche pubbliche in questi anni, quando interviene sui giornali in difesa del liberismo, mettendosi subito in evidenza per l’acuta intelligenza e la capacità di analisi. Il carattere aspro, duro, onesto e severamente polemico quando si trattava di dire la verità su persone o fatti, si evidenzia già nei primi anni toscani, e lo accompagnerà per tutta la vita.
Frequenta a Firenze la vita politica e culturale introdottovi da Emilia e Ubaldino Peruzzi di cui fu amico intimo. Partecipa alle attività dell’Accademia dei Georgofili, di cui fu dal 1874 socio. Legge John Stuart Mill, che lo influenza molto sia in tema di libertà sia di metodologia, le teorie evoluzioniste di Herbert Spencer e Charles Darwin, la logica di Alexander Bain, la nascente psicologia sperimentale, e anche alcuni scritti e manuali di economia politica, soprattutto quelli francesi di Gustave De Molinari e di Yves Guyot. Pareto, infatti, ha sempre guardato con attenzione alla cultura d’oltralpe, grazie al fatto, importantissimo per la sua storia, di essere di madre lingua francese. In quegli anni legge anche gli Éléments d’économie politique pure di Walras, ma non ne resta affascinato.
La conversione alla nuova economia, quella matematica e marginalista, è legata all’incontro con Pantaleoni, un incontro avvenuto probabilmente durante un viaggio in treno nel 1890, che si trasformerà subito in una profonda e sincera amicizia.
Pantaleoni era l’economista italiano più originale del periodo (prima dell’arrivo di Pareto), il «principe degli economisti italiani», come lo definì Piero Sraffa e dopo di lui molti altri economisti del Novecento. Il rapporto con Pantaleoni sarà fondamentale per lo sviluppo della teoria economica di Pareto, e anche per la sua vita in generale. Pantaleoni colse subito la genialità di Pareto e, con quell’umiltà che solo alcuni grandi uomini hanno, fece di tutto perché quel genio venisse valorizzato e riconosciuto, sebbene fosse ben conscio che l’emergere dell’economia paretiana avrebbe decretato il declino della propria, come in effetti fu. Pantaleoni accennò a questo passaggio di testimone in una recensione al Cours d’économie politique (1896-97), il primo libro di Pareto, scritta per la «Rivista popolare» di Napoleone Colajanni nel 1897.
Il Cours, infatti, fu la prima opera sistematica di teoria economica scritta da Pareto, che arriva dopo solo 3-4 anni dal suo lavoro sull’economia pura, e dopo una serie di articoli di economia matematica scritti per il «Giornale degli economisti» del suo amico Pantaleoni. Per alcuni (tra cui Luigi Einaudi) il Cours è l’opera migliore di Pareto. È un libro già in piena continuità con l’economia neoclassica, quella walrasiana in particolare, dove, però, all’economia pura si accompagna l’economia applicata, la statistica (vi si trova sviluppata la sua «curva dei redditi», forse il suo contributo più importante alla statistica), la sociologia, la storia.
È un’opera che in seguito egli stesso criticherà (in particolare nel Proemio al Manuale) perché troppo «metafisica» e sentimentale, per l’opzione, esplicita, a favore del libero scambio, e per i molti giudizi di valore in materia di politica economica che vi erano espressi. Con la pubblicazione del Cours, Pareto entra di diritto tra i grandi economisti della sua generazione.
L’opera ebbe anche delle critiche, in particolare quelle di Georges Sorel e dell’economista statunitense Irving Fisher, che posero l’accento sulla non misurabilità dell’utilità (ofelimità), provocando in Pareto una crisi metodologica che lo portò, alcuni anni dopo, a scrivere il Manuale di economia politica (pubblicato nel 1905, con data 1906), dove esporrà la sua «nuova economia» finalmente scientifica.
Pareto negli anni successivi al Cours scrive poco di teoria economica; intavola però, con Benedetto Croce e Giovanni Vailati, due importanti dialoghi epistolari su temi metodologici, estremamente importanti ai fini della sua maturazione verso la nuova sintesi (Bruni 1999).
Negli anni che separano il Cours dal Manuale, Pareto matura quindi la sua vocazione di scienziato sociale globale, non solo di economista. Ma, possiamo chiederci, cosa cambia nella sua teoria economica e nella metodologia con il passaggio dal Cours al Manuale?
I cambiamenti nel contenuto analitico della teoria economica sono ben individuabili. Pareto volle riformare e completare il Cours, che conteneva una teoria dell’equilibrio economico generale ancora sostanzialmente walrasiana, anche se con importanti innovazioni. Le novità le troviamo, per es., nella teoria dell’impresa e dell’imprenditore (con accenni alla teoria dell’oligopolio), nella teoria dei mercati non perfettamente concorrenziali, nel concetto di ottimo paretiano che già vi si intravede, e nell’introduzione del concetto di ofelimità, un neologismo che Pareto inventa per distinguere l’utilità economica (che chiama appunto ofelimità, dal greco piacevole, ofelimos) dall’utilità intesa come caratteristica che fa di una cosa o di un’esperienza qualcosa di utile, di buono, di vantaggioso.
L’economia si occupa, secondo Pareto, principalmente dell’ofelimità, e l’economista non si chiede se un’azione o una scelta di una persona sia oltre che ofelima (piacevole) anche utile (che gli faccia «bene»). Per la teoria della domanda e dell’equilibrio è sufficiente rilevare che esiste una domanda per questo o quel bene, e non domandarsi se poi l’utilità di chi acquista quel bene aumenta o diminuisce (come nel caso di un consumo eccessivo di alcol): le valutazioni circa l’utilità sono di natura etica o sociale, valutazioni che Pareto rimanda ad altre scienze sociali. L’ofelimità è il primo strumento usato da Pareto per definire il campo di indagine dell’economia, uno strumento che però di fatto abbandonerà nel Cours, ritenendolo ancora poco scientifico (‘come si misura e che cos’è realmente l’ofelimità?’, si domanderà, e gli domanderanno i suoi critici post-Cours).
Nel Cours Pareto è ancora legato a una misurazione cardinale dell’ofelimità. Nel Manuale, perviene a rifondare l’intera teoria economica prendendo le mosse dal «nudo fatto della scelta», grazie allo strumento, mutuato da Francis Y. Edgeworth ma profondamente innovato, delle «curve di indifferenza», che in Pareto rimandano a una teoria dell’utilità non più cardinale (e quindi sottoponibile a somme e sottrazioni, per un individuo e tra individui) ma ordinale (dove la relazione necessaria è solo quella «maggiore o minore di»). Nel pensiero di Edgeworth sono presenti le linee di indifferenza, ma la prima rappresentazione grafica di quella che oggi si chiama la scatola di Edgeworth si trova invece nel Manuale di Pareto (capitolo III, § 116).
Pareto, quindi, mostra che l’intera teoria dell’equilibrio economico può essere costruita facendo a meno della misurazione cardinale dell’utilità (ipotesi essenziale nella prima generazione di economisti marginalisti, da William Stanley Jevons a Edgeworth, a Pantaleoni), e facendo addirittura a meno del concetto stesso di utilità (gli basta, a suo dire, il fatto empirico e osservabile della scelta, che rivela le preferenze o i gusti dei consumatori). In realtà (Bruni 1999), in Pareto permane un’ambivalenza riguardo al concetto di utilità e la sua misurazione cardinale/ordinale, che esprime una tensione tra le sue esigenze scientifico-matematiche di generalizzazione e il suo empirismo e bisogno di misurazione.
Sul piano metodologico i cambiamenti non sono meno radicali e importanti. Quali siano questi cambiamenti, egli stesso lo indica in numerosi scritti, tra cui, e in modo assai efficace, il Proemio al Manuale di economia politica.
Il Pareto del Cours è un economista in continuità con la tradizione ‘normale’ della scienza economica. In quella prima opera è ancora pesante e ben visibile la mano di Pantaleoni, soprattutto nei collegamenti con i classici del pensiero economico, del passato (Adam Smith, David Ricardo, Karl Marx) e contemporanei (Alfred Marshall, Edgeworth, Carl Menger). Sono ancora molto presenti le «passioni» civili e politiche del giovane Pareto, nemico di ogni protezionismo e di ogni monopolio, sdegnato dalla condotta della classe politica italiana (che egli aveva conosciuto da vicino negli anni toscani), osservatore attento dei fatti e soprattutto delle azioni «non logiche» dei suoi contemporanei.
Il Cours, dunque, è un’opera nella quale l’analisi pura e distaccata dello scienziato si mescola alle passioni civili, dove il descrittivo si intreccia con il normativo e dove, quindi, l’interlocutore non è solo lo scienziato ma anche il cittadino, l’imprenditore e, magari, il politico, forse con la giovanile speranza, troppo umanitaria e sentimentale per il secondo Pareto, di «convertirli» al corretto uso della ragione, alla scienza.
Il Manuale è proprio l’abbandono di tutto ciò, con il sentimento esplicito di chi si è poi pentito di un peccato commesso in gioventù (è questo il tono del Proemio). Al Pareto passionale subentra il Pareto botanico ed etologo, che tratta delle azioni degli uomini come trattasse di erbe o di funghi, che studia gli uomini, come dirà in più occasioni, «come fossero formiche». Ogni sentimento è espulso dalla teoria pura, ogni considerazione che non si limiti a descrivere asetticamente i fatti sperimentali è bocciata come «metafisica».
Tutta questa impalcatura metodologica è sostenuta da una intuizione: la distinzione, cui abbiamo già accennato, tra le azioni logiche e le azioni non logiche, un’idea che ebbe già nel 1897, ma che svilupperà solo dopo il 1900. Le azioni logiche sono quelle dove il mezzo è adeguato al fine sia soggettivamente (per colui che le compie) sia oggettivamente (per un osservatore esterno correttamente informato, cioè per lo scienziato). Le azioni non logiche, invece, sono quelle nelle quali mancano entrambe queste condizioni, o almeno manca la seconda: l’oggettività. Infatti ‘logica = oggettività’, distinta e opposta alla soggettività, sarà un’equivalenza che si ritroverà in tutto il pensiero di Pareto.
Più volte Pareto preciserà che non logico non significa illogico (cioè mancante di ogni logica), ma soltanto un nesso mezzi-fini non scientifico perché non oggettivo e verificabile empiricamente. Lo studio di questa diversa forma di logica sarà l’oggetto dei suoi studi sociologici. Un’altra idea si staglia subito nelle prime riflessioni sociologiche: le azioni logiche rappresentano solo una minima parte delle azioni umane. Gli uomini, però, hanno una tendenza profonda a conferire una vernice logica alle proprie azioni non logiche, data la loro natura di animali ideologici, come dirà Norberto Bobbio (1996). Da questa premessa epistemologica discende che, per Pareto, l’economia è una scienza semplice, perché studia azioni prevedibili, regolari, in quanto azioni logiche. Il difficile delle scienze sociali inizia allora con la sociologia, scienza del non logico.
L’economia viene così ridotta da Pareto allo studio delle sole azioni logiche che gli esseri umani pongono in essere per soddisfare al meglio i propri interessi. L’unica forma di razionalità consentita all’homo oeconomicus è dunque quella strumentale; l’unico paradigma da prendere a riferimento è quello della fisica newtoniana (mentre nel Cours vi erano ancora, sotto l’influenza di Pantaleoni e di Marshall, accenni alla biologia e alla teoria evolutiva). L’essere umano, nel Cours ancora guardato come uomo in «carne ed ossa», nel Manuale (cap. 3) diventa un «punto materiale», che può anche scomparire una volta lasciataci la sua «mappa d’indifferenza».
È vero che Pareto ripete in tutti i modi, e in tutte le sue opere, che l’uomo reale non è l’homo oeconomicus; ma tutta la storicità e la «carnalità» dell’essere umano rimanda alla sociologia, soprattutto alla sua sociologia del Trattato di sociologia generale.
Il dialogo con Croce culmina in una polemica pubblica, ospitata sul «Giornale degli economisti» nel 1900-1901, attorno al «principio» e al «fenomeno» economico. Quello con Vailati resterà sempre in forma privata, ma non per questo appare meno importante. Benedetto Croce non necessita di introduzioni, data la sua preminenza nel panorama culturale e filosofico della prima metà del 20° secolo. Giovanni Vailati, meno noto, fu anch’egli un pensatore di prim’ordine. Matematico, logico, filosofo della scienza, fu colui che fece conoscere in Italia il pragmatismo di Charles Peirce. Questi due filosofi non influenzarono direttamente il pensiero economico di Pareto, ma posero domande importanti sui fondamenti della scienza economica che lo costrinsero a scavare più in profondità, per cercare risposte che convincessero i suoi interlocutori e se stesso.
Il tema al centro del dialogo con Croce è il ruolo dei «fatti» nella scienza economica. L’economia «sperimentale» di Pareto si fonda sui fatti, considerati più affidabili, dal punto di vista epistemologico, delle categorie di «utilità» o «valore» che riscontrava nella scienza economica del tempo. Croce, dalla sua prospettiva idealista, cercò in quegli anni di mostrargli che i fatti, in realtà, sono meno semplici di quanto Pareto (e i positivisti) pensassero: i fatti hanno bisogno di categorie pre-empiriche che li possano far «parlare», altrimenti sono spesso muti e sempre equivoci. In particolare, Croce cercò di mostrare che sotto questa fede nei fatti si nasconde una religione, una metafisica: quella positivista. Un corollario di questa fede consiste nel considerare i fatti dell’uomo non sostanzialmente diversi dai fatti della natura, un assunto chiave di Pareto e di tutti i monisti metodologici. Le domande di Croce non convertirono Pareto, lo portarono piuttosto a una fede positivista ancor più radicale; un effetto però lo determinarono, e cioè la maggiore avvedutezza metodologica che costituirà una delle differenze sostanziali tra il Cours e il Manuale (e che caratterizza soprattutto i primi due capitoli di quest’ultimo, i quali non sarebbero stati così sviluppati e ricchi senza quel dialogo difficile e aspro).
Einaudi (1980) esprime bene il senso del rapporto tra questi due protagonisti della cultura italiana:
Un’altra volta il pericolo della deviazione sorse sull’orizzonte; e fu quando un altro economista, forse il maggiore di tutti, Vilfredo Pareto, stanco di meditare sui terreni fondamentali della scienza pura e disperato di non potere fare in questa un passo decisivo oltre la meta già raggiunta, si volse alla sociologia e sperò di costruire su basi da lui dette sperimentali una scienza della società tanto rigorosa come quella astratta economica che egli aveva portato a così grande altezza. Invano Croce lo aveva ammonito. […] Il Pareto non badò al Croce e scrisse il Trattato di Sociologia Generale, applicando allo studio delle leggi le quali governano le società umane un metodo di classificazioni in tipi e sottotipi […] profondamente ripugnante a chi sia fornito di quel minimo di istinto storico (p. 97).
Con Vailati l’oggetto del confronto concernette direttamente la teoria dell’azione e lo statuto epistemologico della scienza economica. Vailati era un conoscitore di scienze economiche, anche se mai scrisse di teoria economica, né si considerava un economista. Aveva dimestichezza con la tradizione della scienza economica, dai classici ai suoi contemporanei; fu amico personale dell’economista italiano Umberto Ricci e di Einaudi; conosceva, anche per la sua formazione matematica, l’economia neoclassica (soprattutto le teorie di Walras e Marshall), e dialogò con Pareto sui temi non solo di metodo ma anche di teoria economica.
Un momento importante nel dialogo tra Vailati e Pareto rimane la recensione dei Sistemi socialisti (1901-1902) di Pareto che Vailati scrisse, su richiesta di Einaudi, per «La riforma sociale»: in tale contributo si concentrarono molti dei dissensi metodologici tra i due autori. I Sistemi socialisti sono la prima opera sistematica posteconomica di Pareto che annuncia il cambiamento di rotta che la sua teoria stava prendendo. Si possono considerare l’opera-ponte tra il Cours e il Manuale.
In una lettera di Vailati a un collega troviamo esposta la principale ragione di dissenso rispetto all’opera di Pareto:
Quanto al libro del Pareto, pare anche a me che esso sia purtroppo infettato “dall’influenza dei sentimenti”, nel peggiore dei due sensi di tal frase. Dico “purtroppo” perché tale inquinamento fa sì che il lettore, se non condivide i sentimenti dell’autore, s’indisponga e perda la buona disposizione ad apprezzare anche quelle molti parti del libro che sono libere da tale infezione […]. Che il Pareto sia convinto di aver scritto un’opera eminentemente imparziale […] mostra solo che egli è troppo profondamente convinto delle sue idee per poter credere, o anche solo dubitare, che si possa imparzialmente averne delle altre diverse (G. Vailati, Epistolario, 1971, p. 212).
I Sistemi socialisti sono un’opera che può essere definita una lunga esercitazione monografica sulla nuova sociologia che Pareto stava in quegli anni maturando. È una storia e una critica dei vari sistemi socialisti, dove però troviamo già le grandi idee del ‘secondo’ Pareto: la teoria delle azioni logiche e non logiche, un abbozzo della teoria delle «derivazioni» sviluppata poi nel Trattato di sociologia, e anche la teoria della «circolazione delle élites», che lo ha reso famoso tra gli scienziati politici, procurandogli però anche un’accusa, più o meno esplicita, di plagio (nei confronti di Gaetano Mosca) di cui ancora oggi si sente l’eco – anche perché Pareto avrebbe dovuto riconoscere in maggior misura i meriti di Mosca, uno degli intellettuali più importanti e originali che l’Italia abbia conosciuto, un autentico fondatore della scienza politica contemporanea.
Nei Sistemi socialisti Pareto sviluppa quindi la sua versione della teoria delle élites, che aveva già accennato in alcuni articoli precedenti: le società sono sempre state governate non dalla maggioranza, ma da una élite, quella che Mosca aveva chiamato la classe politica; una tesi vera anche nelle democrazie, che non sono governate dal popolo, ma sempre da una élite (di politici e/o di tecnici). Questa tesi era stata già enunciata da molti autori antichi e moderni, come dirà esplicitamente nell’edizione francese del Manuale, nel 1909, anche per difendersi dall’accusa di Mosca: «il principio che è la minoranza che governa è noto da gran tempo» (Manuale di economia politica, a cura di A. Montesano, A. Zanni, L. Bruni, 2006, p. 301, nota 2), e quindi cita autori nelle cui opere si trovano intuizioni di quella legge, come Alain Fournier, Honoré de Balzac, Henry Sumner Maine, Gabriel Tarde e persino il poeta italiano Giuseppe Giusti. Pareto, però, sviluppa un aspetto particolare di questa tesi, vale a dire il meccanismo di «circolazione», cioè la dinamica che porta al declino di un’élite e all’ascesa di un’altra, e i relativi confini:
In tutte le società umane, persino in quelle ordinate a caste, la gerarchia finisce col mutare; la differenza principale tra le società stando in ciò, che quel mutamento può essere più o meno lungo. Il fatto, già molte volte rammentato, che le aristocrazie non durano, impronta tutta la storia della nostre società. […] La storia della società umana è, in gran parte, la storia dell’avvicendarsi delle aristocrazie (pp. 301-02).
La teoria delle élites diventerà negli anni un elemento centrale nel pensiero di Pareto, in quanto strumento per sostenere la sua tesi. La struttura elitaria la si ritrova infatti in tutti gli ambiti della vita, dalla distribuzione del reddito (una delle sue prime teorie di fine Ottocento), all’intelligenza, alla politica, alle organizzazioni, alle religioni. La teoria delle élites è dunque sia una teoria sociologica sia una teoria politica sulla selezione delle minoranze che formano la classe politica e dominante. In Pareto, questa posizione ideologica elitaria e sempre più critica delle masse e del consenso popolare con il passare degli anni si accentuerà, al punto che egli diverrà uno dei teorici che giustificarono e approvarono l’emergere del fascismo (sebbene questa tesi sia in parte errata e ingenerosa, anche perché Pareto morì nel 1923).
Ma nei Sistemi socialisti è chiaramente espressa la svolta metodologica paretiana: l’economia confinata allo studio di poche e semplici azioni (perché «logiche»), e tutte le altre affidate alla sociologia. Inoltre l’idea che ispira il libro è che dietro le ideologie socialiste, dietro tutte le ideologie, ci sono interessi di gruppi ‘mascherati’ mediante argomentazioni morali, religiose o sociali. Anche la teoria della circolazione delle élites è esposta da Pareto come la spiegazione dell’azione di gruppi mossi unicamente dall’amore per il potere e per il denaro, che però viene nascosto da argomentazioni logiche circa il «bene comune», una teoria in linea con l’attuale approccio economico alle scelte politiche.
Vailati era invece orientato verso un’analisi complessa delle motivazioni umane, non tutte riconducibili a coperture di ‘interessi’ materiali. Vailati, inoltre, muove una seconda critica al
modo in cui egli [Pareto] talvolta adopera le parole “spogliare”, “spogliazione”, ecc., detorcendole dal loro significato ordinario e applicandole invece per designare qualunque modificazione, comunque arrecata, a quel modo di ripartizione della ricchezza, o dei prodotti del lavoro, che risulterebbe dal libero giuoco dei contratti individuali in un regime di libera concorrenza (Epistolario, cit., p. 472).
Per l’economista puro Pareto, ogni intervento regolatore dello Stato è dunque una «espropriazione di beni altrui» (p. 472): la sua scienza economica è come la scienza botanica o la chimica; tutte le considerazioni sul piano della giustizia o della felicità pubblica, sono per Pareto «metafisica» o, nella migliore delle ipotesi, qualcosa da rimandare a qualche «successiva» e non precisata «approssimazione».
Vailati, al contrario, propendeva per un approccio metodologico dove l’analisi delle passioni, dei sentimenti, degli ideali, non fosse rimandata al momento «sintetico» o a una seconda approssimazione, ma inserita già nell’economia pura: come per Marshall o per Pantaleoni, autori che Pareto sentiva metodologicamente distanti.
Il metodo che Pareto segue nello studio della società, fin dai primi lavori, è quello milliano: analisi e sintesi. La realtà è complessa, non è possibile studiarla senza prima separare e distinguere i vari elementi di cui essa si compone. Ogni scienza speciale si ritaglia una «fetta» (come dirà a Croce nel 1900) del reale, astraendo dalle altre parti. Solo dopo le analisi che le singole discipline compiono indipendentemente le une dalle altre, arriva la sintesi. Per Pareto è la sociologia la scienza deputata alla sintesi, che analizza l’interdipendenza tra le varie dimensioni dei fenomeni. La scienza economica studia l’uomo economico, l’etica l’uomo etico, la psicologia l’uomo psicologico: la sociologia rimette assieme i pezzi, ne mostra l’interdipendenza, e arriva all’uomo reale; come nella fisica, dove possiamo studiare scientificamente il moto di un grave solo dopo aver separato, e quindi ricomposto, le differenti forze operanti (attrito, gravità ecc.).
In realtà, la sociologia di Pareto è più del lavoro di sintesi, di «composizione delle forze», che, in nome della sua dichiarata metodologia, avrebbe voluto fare. Il Trattato di sociologia generale è soprattutto un’indagine, un poco disordinata, del mondo delle passioni e dei sentimenti umani, di quelli che egli chiamò residui (gli elementi costanti e stabili dei fenomeni sociali e soprattutto delle loro rappresentazioni umane e culturali), e derivazioni (le spiegazioni che gli uomini danno di quei residui e dei rapporti tra di loro, e tra questi e il mondo). La teoria dei residui e delle derivazioni è essenzialmente, come messo in luce da Bobbio nel suo ancora classico lavoro (1973) su Pareto, una teoria delle ideologie, di come nascono e durano nel tempo. Trovare le leggi (le regolarità) della dinamica sociale divenne il suo principale, e a tratti compulsivo, obiettivo.
La sua sociologia è così, al tempo stesso, il risultato di due studi paralleli: la scienza speciale dell’«uomo sociologico» (lo studio delle leggi della società), e, sempre più sullo sfondo con il passare degli anni e con il diminuire delle forze, la «superscienza» della sintesi finale degli studi sulla società. Lo studio delle azioni non logiche ha reso consapevole Pareto che quella sintesi, operata alla maniera della fisica, era tremendamente complicata, e forse impossibile a farsi. E infatti il Trattato non è in realtà un’opera di sintesi: è soprattutto ed essenzialmente ancora analisi, con alcuni brevi brani di sintesi, relativi ad alcuni, e tutto sommato semplici, temi economici, come la valutazione del liberismo e del protezionismo.
Per questa ragione negli ultimi anni della sua vita (dopo il 1916) Pareto ridimensiona il suo progetto di sintesi: invece della sintesi globale dello studio della società, rivelatosi con gli anni troppo complesso e ambizioso, inizia a progettare un nuovo trattato di economia sintetica, nato originariamente come seconda edizione del Cours, e diventato con il tempo un obiettivo di sintesi considerato da Pareto maggiormente percorribile. Dopo la conoscenza della complessità dell’azione umana, Pareto sogna di ritornare all’azione economica al fine di comprenderla in tutte le sue dimensioni, per poter così passare, almeno sul terreno a lui più familiare, dall’homo oeconomicus all’uomo reale. Ma neanche questo progetto ridotto di sintesi vede la luce. Pareto giustifica l’insuccesso con l’età avanzata e la salute cagionevole. Probabilmente le ragioni sono più profonde, e risiedono nei limiti di un metodo positivista applicato alle azioni umane, troppo complesse rispetto al comportamento delle formiche o dei gravi, per essere studiate alla stessa stregua e condurre a buoni risultati.
Come valutare oggi l’opera di Pareto, almeno la sua opera economica? Buona parte del Novecento è stato il secolo di Pareto. L’impostazione della microeconomia che ancora oggi si insegna nelle università di tutto il mondo si basa esplicitamente sulla teoria paretiana: curve di indifferenza, utilità ordinale e ottimo paretiano sono i tre pilastri della teoria del consumatore, il cuore della scienza economica contemporanea.
Al successo di Pareto hanno contribuito il suo genio ma anche il clima culturale del neopositivismo logico che, in Occidente, ha dominato la prima parte del 20° sec., interpretato in economia dai paretiani John Hicks, Roy George Douglas Allen o Paul Samuelson che, però, anche per statura intellettuale e per genialità certamente minori del maestro, hanno raccolto solo la parte ‘logica’ dell’economia paretiana, non l’intero messaggio, che Pareto aveva in buona parte affidato alla sua sociologia.
Pareto, infatti, sebbene sembrerebbe non aver seguito il suo amico Pantaleoni sui sentieri dell’economia impura, in realtà è molto distante dall’economista che il Novecento ci ha mostrato. Ed è qui che si ritrova in Pareto una certa eredità della tradizione civile italiana. In Pareto l’economia pura esiste, ma è una piccola parte dello studio della società, anche dello studio dei soli fenomeni economici (che è pieno di azioni non logiche, dagli imprenditori agli speculatori). Il Pareto del Cours è senz’altro un economista impuro, ma lo è anche quello del Manuale, il libro che ha fondato l’economia pura del Novecento, poiché nonostante i suoi intenti metodologici di volersi concentrare sull’homo oeconomicus, più della metà del volume è dedicato ad analisi extraeconomiche, dalla sociologia alla filosofia, dalla popolazione alla teoria delle élites. I paretiani italiani (Luigi Amoroso, Alfonso De Pietri Tonelli, Guido Sensini, Ricci, Pasquale Boninsegni) tentarono, in diversi modi, di sviluppare l’intero progetto paretiano, nel quale l’economia era solo una parte del discorso sociale più complesso, ma con successi limitati nello spazio (alla sola Italia, con qualche espressione nella cultura francese) e nel tempo (la scuola paretiana in Italia terminò con la morte della generazione dei diretti discepoli di Pareto, anche se fino alla generazione di economisti che ha appena passato il testimone, quella dei Fuà o dei Becattini, l’eco di Pareto, e di Pantaleoni, era ancora ben viva e operante).
Con l’affermazione della versione angloamericana della teoria paretiana, che continuò e in parte tradì il progetto globale paretiano, si consuma anche nelle scienze sociali un netto divorzio tra discipline e i rispettivi oggetti di analisi: motivazioni intrinseche, razionalità non strumentale, emozioni, fiducia, felicità, intenzioni, sono parole che negli ultimi anni stanno entrando in modo crescente nel modo ordinario di fare teoria economica. La scienza economica del «punto materiale», ancorata alla meccanica netwnoniana, sta ormai decisamente cedendo il posto a un paradigma più relazionale, interdisciplinare, dove i confini tardo-ottocenteschi tra discipline non reggono più. L’economista è sempre più in dialogo con temi fino a tempi recenti relegati ad altre discipline. La teoria dei giochi offre una grammatica universale dell’azione umana, sia essa mossa da una razionalità olimpica o da quella limitata, da una logica strumentale o espressiva.
Per concludere, alcuni brani di una lettera privata di Pareto, lettera di un vecchio professore a un giovane studente, esprimono con efficacia l’evoluzione e i contenuti del suo pensiero:
L’opera mia ha avuto un’evoluzione che l’ha trasformata, dai primi miei scritti agli ultimi. […] Principia collo studiare l’economia politica, accettando ad occhi chiusi i concetti morali e sociali che avevano corso nella società in cui vivevo. […] In quel tempo ero un credente del “liberismo” e dell’“individualismo”; e chi si riferisce a quel tempo suppone in me una fede che da parecchi anni non ho più. Innovai nell’Economia Politica, senza occuparmi di morale e di altri fenomeni sociologici. Effetto di tale innovazione fu il Cours. […] Ma col proseguire gli studi, m’accorsi che somigliavo a quel celebre padre Zapata, il quale predicava bene e raspava male. Che c’era di sperimentale nei principi morali ed in altri che avevo accettato? […] era persino ridicolo che, dopo aver tanto insistito nel Cours sulla mutua dipendenza dei fenomeni economici, trascurassi quella che avevano con gli altri fenomeni sociali. Ma per conoscere tale interdipendenza occorreva conoscere la teoria di questi fenomeni. […] Ero come un legnaiolo che ha bisogno di uno scalpello, e che, non trovandolo sul mercato, deve farselo. E per farmelo mi furono necessari circa sedici anni! Altri avrebbe forse fatto più presto; ma ognuno fa ciò che può (cit. in Vilfredo Pareto (1848-1923). L’uomo e lo scienziato, 2002, pp. 389-90).
Di Pareto esiste una monumentale Opera omnia, a cura di G. Busino (Genève), giunta al 32° vol. (a cura di Fiorenzo Mornati, 2005).
Nel saggio si è fatto riferimento alle seguenti edizioni delle opere di Pareto citate:
Cours d’économie politique professé à l’Univérsité de Lausanne (1896-97), in Id., Œuvres complètes, 1° vol., Genève 1964 (ed. italiana Torino 1942; dell’edizione francese originale, pubblicata a Losanna, esiste, sebbene in poche copie olografe, anche un’edizione italiana artigiana, stampata sempre a Losanna).
Sul fenomeno economico. Lettera a Benedetto Croce, «Giornale degli economisti», 1900, 21, pp. 139-62.
Sunto di alcuni capitoli di un nuovo trattato di economia politica del prof. Pareto, «Giornale degli economisti», marzo 1900, 10, pp. 216-35; giugno 1900, pp. 511-49.
Ancora sul principio economico, «Giornale degli economisti», 1901, 23, pp. 131-38.
Les systèmes socialistes (1902), in Id., Œuvres complètes, 5° vol., Genève 1965.
Manuale d’economia politica con una introduzione alla scienza sociale, Milano 1906 (edizione francese 1909; edizione critica a cura di A. Montesano, A. Zanni, L. Bruni, Milano 2006).
Trattato di sociologia generale, Firenze 1916 (2a ed. rivista 1923, edizione francese 1917).
Fatti e teorie, Firenze 1920.
Trasformazione della democrazia, Milano 1921.
Lettere a Maffeo Pantaleoni, a cura di G. De Rosa, 3 voll., Roma 1960.
Scritti sociologici minori, a cura di G. Busino,Torino 1980.
Opere politiche, 1° vol. I sistemi socialisti, 2° vol., Scritti politici, tt. 1 e 2, Relazione, libertà, fascismo (1896-1923), a cura di G. Busino, Torino 1987.
O. Effertz, Les antagonismes économiques, Paris 1906.
N. Bobbio, Pareto e il sistema sociale, Firenze 1973.
L. Einaudi, La scienza economica. Reminiscenze. Lo sviluppo del capitalismo (1872-1895), in Il pensiero economico italiano 1850-1950, a cura di M. Finoia, Bologna 1980.
L. Bruni, Vilfredo Pareto. Alle radici della scienza economica del Novecento, Firenze 1999.
L. Bruni, Vilfredo Pareto and the birth of the modern microeconomics, Cheltenham 2002.
Vilfredo Pareto (1848-1923). L’uomo e lo scienziato, a cura di G. Manca, Milano 2002.