Vilfredo Pareto
Vilfredo Pareto è probabilmente l’economista e il sociologo italiano più originale nel panorama mondiale tra fine Ottocento e inizio Novecento. Uno scienziato tanto importante quanto ostico, difficile e contraddittorio come intellettuale e come uomo. Spirito realista e pessimista, sarcastico dissacratore delle ingenue visioni di una storia in perenne progresso, ha svolto per molti, come ha notato Ernesto Rossi, una funzione intellettuale di iniziazione al metodo sperimentale, di pulizia del «cervello dai molti falsi problemi» (cit. in G. Fiori, Una storia italiana. Vita di Ernesto Rossi, 1997, pp. 37-38). Come economista si colloca, nel solco aperto dall’«economia pura» di Léon Walras, tra i maggiori esponenti della scuola economica neoclassica italiana ed europea a fianco di Maffeo Pantaleoni e di Enrico Barone. Nell’ambito della sociologia e della scienza politica, è stato con Gaetano Mosca e Roberto Michels l’iniziatore della dottrina dell’elitismo, configurante il ruolo sociale delle élites politiche governanti selezionate attraverso lotte che le vedono primeggiare e poi decadere. Pareto ritenne corroborate le proprie teorie nel corso della guerra che oppose prima i socialisti contro i liberali, poi i fascisti contro i socialisti e i comunisti. Pur se, dopo la sua riscoperta da parte del grande sociologo americano Talcott Parsons, fin dagli anni Trenta del Novecento gli sono stati dedicati numerosi studi anche in Italia e in Europa, insieme alle molte riedizioni delle opere, non è però ancora stata scritta una monografia capace di restituire il profilo a tutto tondo che gli spetterebbe sul piano biografico, scientifico e politico.
Vilfredo Pareto nacque il 15 luglio 1848 a Parigi, figlio del marchese Raffaele (1812-1882), ingegnere e cospiratore mazziniano genovese costretto all’esilio in Francia dal governo reazionario sabaudo dopo la repressione dei moti del 1830-31, e della francese Marie Meténier (1813-1889). Con la famiglia ritornò nel 1854 nel Regno sardo ormai acquisito alla causa dell’indipendenza e del costituzionalismo monarchico-liberale. Assolti brillantemente gli studi secondari presso l’Istituto Leardi di Casale Monferrato e nel Regio istituto tecnico di Torino, nel 1870 si laureò ingegnere nella Scuola di applicazione (il futuro Politecnico) torinese, avendo già conseguito nel 1867 la licenza universitaria in scienze matematiche, e ottenne subito il primo impiego presso gli uffici fiorentini della Società anonima delle strade ferrate romane. Ma l’ambiente corrotto e inefficiente di questa società gli fu ostile.
Dimessosi dalle Strade ferrate nel 1873 dopo astiosi scontri con la dirigenza, grazie all’appoggio del più volte ministro e senatore Ubaldino Peruzzi (all’epoca uomo d’affari e sindaco di Firenze) fu nominato nell’ottobre dello stesso anno ‘signore incaricato’ del reparto siderurgico della Società dell’industria del ferro di San Giovanni Valdarno (poi Società delle Ferriere italiane di cui, dal 1880, fu direttore generale). Si consolidò così il rapporto organico con il circolo dell’importante uomo politico toscano della destra moderata e liberista. Pareto divenne frequentatore assiduo del ‘salotto’ fiorentino della signora Emilia Peruzzi, destinataria di una sua fitta corrispondenza, e collaboratore delle istituzioni culturali e politiche dai Peruzzi promosse insieme a economisti del calibro di Francesco Ferrara (1810-1900), da Pareto considerato il maggiore del suo tempo, quali la Società Adamo Smith e l’Accademia dei Georgofili.
Negli anni successivi l’inquieto giovane ingegnere si mise vieppiù in luce anche nel campo degli interventi molto critici nei confronti dei governi della Sinistra su periodici e giornali (tra i più importanti l’«Economista», la «Révue des deux mondes», «L’Italia», il «Journal des économistes», «Il Resto del Carlino», «Il Secolo», «La Tribuna», «La Capitale», «The Speaker», «Pall Mall Gazette») e degli studi sull’economia «pura» marginalistica. Si candidò alle elezioni del 1880 e del 1882 come deputato nei collegi di Montevarchi e di Pistoia-Prato, senza successo. Nel 1889 sposò Alessandra Bakunin. Grazie all’interessamento e all’amicizia di Pantaleoni, suo fedele corrispondente dal 1890, a seguito della pubblicazione dei primi importanti lavori teorici gli fu proposto nel 1892 dalle autorità del Cantone di Vaud e dal rettore dell’Università di Losanna di occupare in questo ateneo la cattedra di economia politica tenuta fino allora da Walras. Di qui il trasferimento nel 1893 in Svizzera e, nel 1901, l’insediamento nella Villa Angora nei pressi di Céligny, in cui risiedette – dopo l’improvviso abbandono della moglie – insieme alla nuova compagna Jeanne Régis, sposata infine alla vigilia della morte avvenuta il 19 agosto 1923.
Una fresca testimonianza degli ultimi anni di vita del Pareto si deve alla penna di Manon Michels Einaudi, figlia del sociologo italo-tedesco Roberto Michels (a sua volta professore di economia politica a Basilea, divenuto amico di Pareto durante la Prima guerra mondiale e organizzatore nel 1917 dei festeggiamenti in onore del suo venticinquennale giubileo accademico-scientifico tenuti a Losanna). La giovane Manon ci restituisce con immediata concretezza i tratti, i luoghi, le giornate di Pareto nelle vesti di «solitario di Céligny». Se ne ricava un quadro che, senza tradire l’immagine complessa del Pareto liberale conservatore, fa riscoprire alcuni valori e suggestioni attuali anche ai nostri giorni: l’apprezzamento della libertà individuale, la radicalità nel pensiero e nei comportamenti conseguenti anche al prezzo dell’isolamento, l’autonomia del giudizio personale, la fede nella validità della ricerca della verità sperimentale vista come scopo centrale della vita scientifica.
I passaggi più piacevoli del manoscritto riguardano Pareto che appare alla fanciulla imponente nell’aspetto aristocratico benché malato, gelidamente distaccato eppure sprizzante curiosità e partecipazione e pronto a sciogliersi d’affetto mostrando agli ospiti le sue due dozzine di gatti d’Angora. Lo stesso amore Pareto portava per gli altri animali che popolavano il parco di Villa Angora: del resto, una sensibilità etologica ed ecologica ante litteram emerge da molte argomentazioni presenti nel suo Trattato di sociologia.
Già fortemente interessato alle questioni economiche dal punto di vista liberista e marginalista, dopo l’incontro con Pantaleoni Pareto maturò una vocazione scientifica che lo portò a diventare uno dei maggiori pensatori neoclassici della seconda generazione, in collegamento con la dottrina walrasiana dell’economia pura, grazie a opere come il Cours d’économie politique (2 tt., 1896-1897) e il Manuale di economia politica (1906). I suoi contributi alla ‘scuola di Losanna’ ribadiscono la valorizzazione dell’idea (risalente a Smith) secondo cui il mercato rappresenta l’istituzione migliore di una vita economica libera, condizione necessaria ai fini del raggiungimento congiunto di un equilibrio economico generale e di un diffuso benessere sociale. Ma, rispetto a Walras, egli accentua il valore del concetto di equilibrio economico generale, formulandone con metodo quantitativo e positivo-sperimentale (e pagando altresì un prezzo allo scientismo positivistico dal quale nella maturità tentò di prendere le distanze senza riuscirvi appieno) le condizioni matematiche di efficienza necessarie, pervenendo così a una sorta di «legge di Pareto» con la quale si afferma, sulla scorta di statistiche ed elaborazioni matematiche, la costanza della distribuzione del reddito in Paesi ed epoche diverse (cfr. G. Borgatta, Vilfredo Pareto, «La Riforma sociale», s. III, 1923, 35, 9-10, pp. 385-401).
Per assicurare efficienza al sistema capitalistico in chiave liberista appare a Pareto vincolante l’elaborazione di un criterio di scelta economica «puro», poggiante sulla persuasione che l’azione economica individuale possa configurarsi come «azione logica» per antonomasia. Tale criterio non implica confronti interpersonali di utilità ed è incentrato sulla costruzione di una scelta razionale e ottimale attraverso categorie originali, sottoposte a una costante correzione e rielaborazione nel periodo tra il Cours e il Manuale (cfr. R. Faucci, L’economia politica in Italia. Dal Cinquecento ai nostri giorni, 2000, pp. 244-47), quali quelle dell’«ofelimità» e dell’«ottimo». Per «ofelimità» Pareto intende l’intensità, misurabile oggettivamente, delle preferenze di ciascun individuo, mentre per «ottimo» definisce una situazione di distribuzione di beni e servizi tale da non consentire più un’allocazione che consenta di aumentare o migliorare la posizione di un individuo con scelte razionali senza diminuire le possibilità di qualcun altro. Se, come Pareto presuppone, vengono utilizzate al meglio le risorse produttive, il risultato sarà quello dell’implementazione generale dell’efficienza del sistema e quindi si otterrà anche la «migliore» – anche se non necessariamente più equa – distribuzione dei beni tra i consumatori. Pareto si sforzò di dimostrare con ricerche plurime che tale posizione di «ottimo» era conseguibile in un quadro di concorrenza perfetta.
Le categorie paretiane di «azioni logiche» e «non-logiche», funzionali al tentativo generale di definire l’economia come una forma di «meccanica razionale», costituente l’elemento teorico di fondo dei due saggi intitolati Comment se pose le problème de l’économie pure (1898) e Sunto di alcuni capitoli di un nuovo trattato di economia pura (1900), suscitarono la reazione polemica di Benedetto Croce, il quale di contro accentuava nel suo sistema idealistico il carattere volontaristico e valutativo della scienza economica. Evidentemente tali posizioni, al di là dei fraintendimenti reciproci che pure vi furono, erano destinate a non incontrarsi, rimanendo paradossalmente i due massimi ingegni italiani del periodo troppo ancorati ai limiti dei loro ideali di libertà e convinti, l’uno, dell’ingenuità positivistica paretiana, l’altro, della metafisicità del discorso filosofico crociano. Una valutazione e riproposizione più pacata delle categorie paretiane, prendendo spunto dalla predetta controversia, fu più tardi effettuata da Filippo Burzio nei due articoli intitolati Sul concetto di «azione non-logica» in Pareto e Sul concetto di «residuo» in Pareto (cfr. in «Atti della Reale Accademia delle Scienze», 1925, pp. 575-85 e 1926, pp. 241-60).
Se le azioni economiche individuali sono definite logico-razionali poiché tendenti al massimo di «ofelimità», non così è secondo Pareto per le azioni sociopolitiche, che invece sono a suo avviso «azioni non-logiche». In una lettera a Pantaleoni del 17 maggio 1897, egli scrisse che nelle cose umane la logica assoluta ha poca parte e che il principio della sua sociologia sta appunto nel «separare le azioni logiche dalle non-logiche e nel far vedere che per il più degli uomini la seconda categoria è di gran lunga maggiore della prima» (Lettere a Maffeo Pantaleoni, a cura di G. De Rosa, 2° vol., 1984, p. 72). La storia pertanto non ha una logica o un fine razionali, è piuttosto una scena sulla quale si ripete eternamente la stessa trama in forme diverse e con diversi protagonisti.
All’interno della dicotomia basilare sopraddetta, Pareto ne introduce un’altra concernente i fattori della natura psicologica e dell’identità culturale degli uomini: quella tra «residui» e «derivazioni». I primi sono elementi istintuali, profondi, sedimentati nell’animo umano, ragguagliabili a una sorta di struttura nella quale occorre aggiungere gli interessi; le seconde rappresentano le manifestazioni di pseudorazionalità, tese a giustificare ideologicamente i «residui», le azioni e i comportamenti. Esse esprimono pertanto una sorta di sovrastruttura che occorre demistificare per giungere a una conoscenza effettuale degli uomini e della storia sociale e politica. Non è lontano dalla verità immaginare che in Pareto la coppia categoriale «residui/ derivazioni» assolva a una funzione portante per il suo sistema scientifico simile a quella svolta dalla coppia «struttura/sovrastruttura» nella scienza economico-politica marxiana.
Tra l’edizione del Manuale e la pubblicazione del Trattato di sociologia (1916) – opere che mettono in luce la visione unitaria che Pareto ebbe delle scienze sociali – il «solitario di Céligny» procedette all’elaborazione del suo complesso sistema filosofico-metodologico. Nel Trattato portò a termine un’originale concezione della vita sociale all’insegna dell’attività delle «elette» (dal francese élite), al punto che finì per definire la storia intera come una sorta di cimitero delle «elette», partendo dalla premessa teorico-politica, tipica del pensiero elitista, dell’irrazionalità delle masse.
Queste, nella seconda metà dell’Ottocento, specie dopo l’abbattimento della Comune di Parigi, posero in sede legale attraverso i partiti democratico-radicali e socialisti le loro istanze di emancipazione economico-politica e di partecipazione alla cosa pubblica. Le correnti dominanti non intendevano concedere tali diritti se non a prezzo di dure lotte. Le espressioni intellettuali e politiche conservatrici – tra le quali Pareto occupò un posto ragguardevole – guardavano con preoccupazione al parlamentarismo come allo strumento della degenerazione democraticista e trasformista dello spirito liberale. Una concezione pessimista della storia guadagnò così campo rispetto all’ottimismo progressivo tipico della tradizione liberale classica. Secondo il positivista francese Hippolyte Taine (1828-1893), dieci milioni di «ignoranze» non controbilanciavano il sapere delle aristocrazie naturali destinate al ruolo di guida. Le masse non avevano un ruolo creativo, poiché la storia era opera di grandi personalità o di minoranze attive.
Si sviluppò una scuola di sociologia e psicologia sociale secondo le quale le masse sono simili nel loro muoversi ad animali impulsivi e maniacali, spinte da istinti incontrollabili, anche se gli individui che le compongono, presi singolarmente, sono più razionali e avveduti. La «patologia» delle folle fu fatta risalire a vari fattori: l’anonimato, l’irresponsabilità, il senso di potenza che dà il numero. Gustave Le Bon (1841-1931) sostenne che le masse sono sempre condotte da capi; la direzione degli affari pubblici restava il compito della parte «scelta», ovvero «eletta» nel senso sopraddetto, del popolo.
È questo il nocciolo, anche semantico, del termine élite, passato a designare una corrente di pensiero e di scienza politica, l’elitismo, che emerse tra Ottocento e Novecento soprattutto in Italia, ma si diffuse nella prima metà del 20° sec. in tutto il mondo occidentale. Il sociologo cattolico francese Frédéric Le Play (1806-1882) fu il primo a usare sistematicamente il termine élite, che troverà in Pareto, preferibilmente nella locuzione di classe eletta (ma anche di sinonimi come classe governante), il maggiore sostenitore in sede scientifico-politica. Il nucleo teorico dell’elitismo aggiunge che le società sono guidate in perpetuo da minoranze, da un’aristocrazia morale, da una classe dominante anche in democrazia.
Sulla scorta di una concezione pessimista della storia, Pareto afferma l’esistenza costante di classi di individui occupanti le posizioni di vertice nelle diverse branche d’attività, le élite. appunto. Esse sono i soggetti principali delle battaglie politiche in tutti i sistemi storicamente osservabili, da quelli assolutisti ai liberali, dai democratici ai socialisti. L’élite è un’aristocrazia di fatto, non necessariamente una nobiltà di sangue. Tra le élite. avversarie regna una lotta senza quartiere avente per posta l’occupazione del potere e quindi del governo dello Stato. Nel Trattato di sociologia Pareto scrive che la popolazione si divide in due strati, quello inferiore, estraneo all’élite, e quello superiore, costituito dall’élite. Ogni élite vittoriosa a sua volta si suddivide nell’esercizio del potere in due componenti, quella superiore composta dal personale di governo e quella inferiore, che egli definisce «élite non di governo», costituita dai sostenitori della prima.
Tra le élite. avversarie è sempre in corso una lotta senza quartiere, un’immagine che Pareto nella giovinezza associava spesso alla marxiana «lotta» di classe (pur non accettando sul piano economico il marxismo). Il concetto di «lotta» a suo avviso avrebbe dovuto generalizzarsi in quanto esplicativo del dinamismo storico-sociale. Alla base di tale lotta stava sostanzialmente la forza. Scrisse Pareto nel Trattato di sociologia (4° vol., 1988, pp. 2061 e segg.) che è con la forza che le istituzioni sociali si stabiliscono e si mantengono. Ogni élite che non sia pronta a dar battaglia, per difendere le sue posizioni, va in decadenza e non le resta che lasciare il suo posto a un’altra élite. Per mantenersi al potere le élite. possono parzialmente tentare di rinnovarsi incorporando quadri emergenti dagli strati inferiori della società. Il vero cambiamento politico avviene però per decadenza e sconfitta. Tale processo di «circolazione delle élite» ha un andamento ciclico, ed è dovuto alle cause più disparate, dalla distruzione biologica alla corruzione morale e psicologica dei gruppi dirigenti. Si ricreano così equilibri non durevoli seguiti da nuove lotte, il cui risultato finale è sempre il ricomporsi di un nuovo equilibrio con un’altra élite al potere.
Dopo un iniziale periodo di simpatia per posizioni liberalpacifiste – dimostrata tra l’altro con l’iscrizione alla Società internazionale per la pace e la conferenza ivi tenuta nel 1889 sull’unione doganale e il progresso della pace fra le nazioni – e il nascente movimento socialista, nel quale il giovane Pareto scorgeva il sorgere di una nuova élite in contrapposizione alla decadente borghesia, il maturo scienziato sociale si mise in luce come critico del socialismo nell’opera Les systèmes socialistes (1902). Pareto fustigò severamente la classe dirigente liberale postrisorgimentale al potere, poiché vedeva la borghesia corrompersi, perdere le qualità tecniche e morali d’intraprendenza e di forza necessarie al mantenimento del potere e, al contrario, pensava che si formasse in seno al movimento socialista un’élite destinata a subentrare alla vecchia, ormai snervata dall’eccessivo umanitarismo e dal democraticismo giolittiano. Da Céligny egli condusse un’incessante polemica contro gli sviluppi e le realizzazioni del liberalismo giolittiano, ma non aderì ad alcun movimento politico, anche se in forza della critica radicale di taglio liberalconservatore mossa al parlamentarismo democratico e al socialismo, specie negli anni della Prima guerra mondiale e nella crisi del dopoguerra, finì per esprimere giudizi positivi nei confronti delle riforme promesse dal primo fascismo, dal quale fu proposto nel 1923 per l’incarico di rappresentante italiano nella Commissione per la riduzione degli armamenti alla Società delle Nazioni a Ginevra e nominato senatore del Regno. Pareto accettò queste nomine anche se non poté espletare tali incarichi per la repentina scomparsa. Ciò non implica che egli accettasse le basi ideologiche del nuovo regime.
Va detto che Pareto, al di là dell’abito scientifico esibito nei giudizi e delle passeggere simpatie o collaborazioni socialiste, fu antidemocratico e antisocialista e vide nell’affermazione del fascismo una sana reazione nazionale alla degenerazione plutocratica borghese e liberale e al contrapposto virulento attacco socialcomunista (Losurdo 1999). Tuttavia, negli ultimi scritti si può constatare la persistenza nel suo pensiero di elementi – quali l’apprezzamento della libera rappresentanza parlamentare, dell’autonomia della magistratura, del decentramento amministrativo, della garanzia dei fondamentali diritti civili e politici (stampa, associazione, sciopero) – che ne svelano il mantenimento costante di un taglio liberale (Fiorot 1969). Del fascismo, perciò, Pareto non fu mai teorico o sostenitore a tutto tondo, come cercò di far credere il regime, desideroso di appropriarsi del suo prestigio intellettuale. È certo che Benito Mussolini ebbe grande interesse e rispetto per le sue teorie neomachiavelliche e ne seguì le lezioni universitarie a Losanna. Pareto, da parte sua, analizzò lucidamente l’ascesa del movimento fascista, interpretandone in un primo momento la funzione in termini di sana reazione ai cedimenti del giolittismo e di diga nei confronti dell’estremismo socialista. In un articolo apparso su «La Ronda» del luglio 1921, Due uomini di Stato (ripubblicato in Scritti sociologici, a cura di G. Busino, 1966, pp. 1061-71), si mostrava ancora incerto sulla natura e sul destino del mussolinismo, poiché, scriveva, «manca ancora di un ideale definitivo e potente, di un mito e di un programma positivo di ordinamento sociale e politico». Nello stesso periodico apparve nel gennaio del 1922 l’articolo intitolato Il fascismo, anch’esso ripubblicato tra gli Scritti sociologici (pp. 1092-1103) nel quale le caratteristiche meno transeunti di questo erano indicate nell’uso della violenza extralegale e nel motivo nazionalista. La violenza fascista era giustificata – secondo Pareto – da un lato dal sovversivismo socialista, dall’altro dal venir meno «del potere dello Stato», mostratosi troppo debole e accondiscendente nei confronti del primo nel biennio rosso.
Date tali premesse, che lasciano intravvedere la fiducia di Pareto in una possibile capacità del fascismo di rifare l’Italia su basi statali borghesi più forti, egli rese pubblica l’accettazione degli incarichi proposti dal regime accompagnandola con queste sobrie parole: «Ognuno dà alla Patria ciò che può; e se pur troppo posso poco, vorrei almeno che quel poco giovasse, sia pure in modo infinitesimo, alla ricostruzione» (cfr. il trafiletto del «Corriere italiano», 6 gennaio 1923, intitolato Vilfredo Pareto accetta l’alto incarico offertogli da Mussolini, consultato in Torino, Fondazione Einaudi, Archivio Roberto Michels, fasc. Vilfredo Pareto). In sostanza, Pareto, come altri liberalconservatori, attendeva ancora il fascismo alla prova delle realizzazioni positive prima di esprimere un giudizio definitivo. Ma nell’articolo Pochi ‘punti’ di un futuro ordinamento costituzionale, pubblicato subito dopo la morte, indicava ai nuovi governanti gli obiettivi di una ricostruzione politica, emblematizzati in una «trasformazione della democrazia» rispettosa dell’ordinamento liberale, da attuarsi sì tramite l’accrescimento dell’efficienza liberista del governo in un quadro di modernizzazione del sistema economico e civile, e di certezza del potere; ma anche con il mantenimento della rappresentanza elettiva parlamentare e dell’autonomia della magistratura; con il decentramento amministrativo; con la garanzia dei fondamentali diritti civili e politici. Finalità che fanno fondatamente ipotizzare la permanente distanza paretiana da una piena accettazione del regime fascista nelle forme in cui questo si sarebbe stabilizzato tra 1924 e 1925 dopo l’assassinio Matteotti e tramite le leggi eccezionali.
D’altra parte, l’aggregazione organica all’ideologia nazionalfascista di un pensatore scettico e disincantato come Pareto risulta improbabile anche allorché si pensi alle sue idee relativizzanti in materia di patriottismo e nazionalismo (cfr. Malandrino, in Economia, sociologia e politica nell’opera di Vilfredo Pareto, 2000). Il patriottismo a suo avviso era infatti un sentimento individuale e sociale, anzi un «cumulo di sentimenti» e di stati psichici poggianti su «residui», non precisamente definibili sotto il profilo scientifico-sperimentale. Componenti sostanziali del concetto di patria come le idee di comunità di razza, di lingua, di cultura, di religione, di destino, di Stato erano solo «derivazioni» da supposizioni e credenze. In tal modo queste comunanze si qualificavano progressivamente e storicamente in senso geografico-politico attraverso la creazione delle nazioni e degli Stati nazionali. Anche la nazione era un dato storico complesso non precisabile esaurientemente sotto il profilo scientifico-sperimentale. Il patriottismo era pertanto, per Pareto, un aggregato di sentimenti capace di durare per la legge di persistenza degli aggregati, quali la patria intesa e creduta come unità di valori legati all’esperienza del luogo natio, delle relazioni parentali e comunitarie di base, e di acquistare una forza notevole, che si rivelava utile e necessaria per la difesa degli interessi nazionali nella competizione infinita delle nazioni tra loro. La forza del patriottismo nazionalista poteva esser tale da esigere dagli uomini il sacrificio della vita. Per questo motivo il sentimento del patriottismo era da Pareto considerato non solo un’arma potentissima per le nazioni in lotta, ma anche, giunto a un certo grado di eccitazione, un autonomo fattore di guerra. E proprio per questa ragione era necessario non farsene sommergere, ma tenerlo sotto il controllo di forti istituzioni liberali. Non si comprenderebbe come un tale modo di concepire il nazionalismo si sarebbe potuto accordare con l’ideologia nazionalfascista.
La bibliografia più completa delle opere di e su Pareto fino al 2005 è quella curata da F. Mornati, Bibliografia cronologica di Vilfredo Pareto, http://www.carloalberto.org/assets/ pareto/biblio-pareto.pdf (22 maggio 2013).
Per quanto riguarda le carte archivistiche di Pareto si rinvia alle indicazioni di Pier Carlo Della Ferrera, curatore del Fondo Vilfredo Pareto della Banca popolare di Sondrio, in partic. La raccolta dei documenti di Vilfredo Pareto. Criteri di catalogazione e descrizione, «Notiziario della Banca popolare di Sondrio», dicembre 1997, 75, pp. 138-42.
Per l’edizione delle opere di Pareto, il maggior studioso di riferimento nel tempo è Giovanni Busino, cfr.: Œuvres complètes de Vilfredo Pareto, 32 voll., Genève 1964-2005, di cui in partic. il 1° vol., Cours d’économie politique (2 tt., 1896-1897; trad. it. Torino 1949), éd. G.H. Bousquet, G. Busino, 2 tt., 1964; il 5° vol., Les systèmes socialistes (1902; trad. it. in 6 voll., Milano 1917-1920), éd. G. Busino, 2 tt., 1965; il 7° vol., Manuel d’économie politique (che è la traduzione della prima ed. italiana del Manuale di economia politica, Milano 1906, ma cfr. ora la rist. anast., con introduzione di S. Lombardini, Pordenone 1994), éd. R. Dehem, 1966; 15° vol., Le mythe vertuïste et la littérature immorale (1911; trad. it. Roma 1914), éd. C. Beutler-Real, 1971; il 28° vol., Lettere a Maffeo Pantaleoni. 1890-1923, a cura di G. De Rosa, 3 voll., 1984.
Si vedano inoltre:
Scritti sociologici, a cura di G. Busino, Torino 1966.
Per conoscere Pareto, antologia a cura di F. Ferrarotti, Milano 1973.
Scritti politici, a cura di G. Busino, 2 tt., Torino 1974.
Trattato di sociologia generale (1916), ed. critica a cura di G. Busino, 4 voll., Torino 1988.
Trasformazione della democrazia (1921), a cura di E. Susca, Roma 1999.
R. Michels, Vilfredo Pareto, in Id., Bedeutende Männer, Leipzig 1927, pp. 119-39.
G.-H. Bousquet, Vilfredo Pareto (1848-1923). Sa vie et son œuvre, Paris 1928.
N. Bobbio, Saggi sulla scienza politica in Italia, Bari 1969.
D. Fiorot, Il realismo politico di Vilfredo Pareto, Milano 1969.
N. Bobbio, Pareto e il sistema sociale, Firenze 1973.
F. Aqueci, Discorso, ragionamento, azione in Pareto, Casale Monferrato 1990.
G. Busino, Pareto oggi, Bologna 1991.
P. Bonetti, Il pensiero politico di Pareto, Roma-Bari 1994.
A. Melazzini, Vilfredo Pareto ‘tenacino’: ‘signore incaricato’ nella Società del ferro in Valdarno, tesi di laurea presso la facoltà di Economia, Università L. Bocconi, Milano, a.a. 1998-1999, www.popso.it/fondopareto/novita_ frames/novita_arch.html (22 maggio 2013).
L. Bruni, Vilfredo Pareto. Alle radici della scienza economica del Novecento, Firenze 1999.
D. Losurdo, Tra liberalismo e fascismo. Pareto e la critica della democrazia, introduzione a V. Pareto, Trasformazione della democrazia (1921), a cura di E. Susca, Roma 1999, pp. 7-30.
C. Malandrino, Vilfredo Pareto visto con gli occhi di una bambina, introduzione a M. Michels Einaudi, Nella casa di Pareto, «Annali della Fondazione Luigi Einaudi», 2000, 33, pp. 445-66.
Economia, sociologia e politica nell’opera di Vilfredo Pareto, a cura di C. Malandrino, R. Marchionatti, Firenze 2000 (in partic. C. Malandrino, Pareto e Michels: riflessioni sul sentimento del patriottismo, pp. 363-82).
Vilfredo Pareto (1848-1923). L’uomo e lo scienziato, a cura di G. Manca, Sondrio-Milano 2002 (in partic. G. Busino, Introduzione alla lettura dell’opera di Vilfredo Pareto, pp. 19-68).
Vilfredo Pareto. Considerations on the fundamental principles of pure political economy, ed. R. Marchionatti, F. Mornati, London-New York 2007.
D. Padua, Agire creativo e senso della razionalità in Pareto, Milano 2009.