BIANCO (Bianchi, de' Bianchi), Vincenzo
Nacque a Venezia il 4 marzo 1583; suo padre, Alvise di Girolamo, era "contador" all'Ufficio dell'Uscita, la madre, Lucrezia, figlia del notaio Giovanni Figolino.
Conoscitore, oltre che del latino e del greco, anche dell'ebraico, il B. studiò a Padova diritto e teologia. Qui l'iscrizione in giovanissima età all'Accademia degli Stabili gli diede modo di mettere in luce più che la precocità dell'ingegno - senz'altro inferiore a quanto egli sempre presunse, e a quanto i contemporanei, più all'estero che in Italia in verità, inclinarono a credere - un'abilità, questa sì precocissima, di frigida adulazione a comando. Lo attesta il Panegirico, pronunciato in nome degli Stabili,all'illustrissimo signor Antonio Priuli,Capitano di Padova nella partenza di S. Signoria illustrissima alli VII di aprile 1600, che nell'edizione a stampa dello stesso anno riporta anche versi di elogio e di incitamento per il B. di Ercole Farnese e, in greco classico, del vescovo ortodosso di Citera Massimo Margournos, noto quest'ultimo per l'attività letteraria e per le velleità di superamento, in una prospettiva già consapevolmente ecumenica, delle divisioni tra Chiesa greca e latina.
Evidenti nel discorso i più vistosi e persistenti difetti del giovanissimo autore: una malcelata presunzione, una vena enfatica di scrittura che si svolge in generiche volute oratorie, in insipide antitesi, in stucchevoli iperboli. Ma il Panegirico fu stampato anche in Francia per cura di Odoardo Gozmeherzio, un giovane dotto tedesco amico del B., che lo aveva anche tradotto in francese.
Al Gozmeherzio, che gli aveva dedicato una orazione latina in morte di Rodolfo Becichemo, il B. dedicò successivamente la sua seconda fatica,Della vita del clarissimo Benedetto Giorgio, edita a Venezia nel 1602. Si tratta del testo del discorso, mai in effetti pronunciato avendogli la padovana Accademia de' Ricovrati ritirato l'incarico, preparato per le esequie del Giorgio, patrizio veneziano, bibliotecario della Repubblica, prodigo di consigli e di aiuti ai letterati: ancor più accentuate in questa orazione sono le grossolane esagerazioni cui il B. troppo indulse.
Trasferitosi da Padova a Venezia nel 1602, il B. si trovò in difficili condizioni per la morte del padre e la dispersione del modesto patrimonio familiare; appoggio e sostegno sia pure temporaneo ebbe da Antonio Calbo. Svanita la possibilità di una decorosa sistemazione presso il duca di Mantova, nemmeno Roma seppe offrirgliela; ma non vi fu inutile il breve soggiorno se non altro per essersi egli introdotto nel salotto della poetessa napoletana Margherita Sarrocchi Birago, appassionata cultrice di letteratura e di scienze, che i burrascosi rapporti col Marino renderanno nota.
Ancora a Venezia, il B. vide ulteriormente deluse le sue speranze poiché i riformatori allo Studio di Padova, timorosi d'introdurre innovazioni tali da risultare vincolanti, respinsero la sua richiesta di interpretare, senza compenso, i dialoghi platonici all'università. Non gli restava che abbandonare di nuovo la città: munito di lettere di raccomandazione dell'ambasciatore francese Philippe Canaye de Fresnes, partì nel settembre del 1605 per Parigi. Qui finalmente la sua smodata ambizione fu appagata: entrato nelle grazie di Enrico IV, fu nominato, come ebbe più tardi a scrivere, "Primario Professor suo nel publico studio". Volendo riserbare all'Italia i frutti dei suoi studi platonici, preferì illustrare l'antica teologia ebraica. Le sue lezioni ebbero successo: il che gli valse il conferimento, da parte del re, dell'Ordine equestre di S. Michele. A Parigi, presso Stefano Prevosteau, pubblicò nel 1606 la prolusione al corso, tenuta a Cambrai, ove, senza far cenno ai criteri che lo avrebbero ispirato, si dilungava sulle sue amicizie altolocate e sugli autorevolissimi appoggi di cui godeva. Nello stesso anno, e presso lo stesso tipografo, fece uscire una sua lettera a Fortunio Colonna.
Lasciata Parigi - impossibile precisare quando - viaggiò parecchio sino al ritorno a Venezia, avvenuto in epoca anteriore al 1615: "Alias principum aulas invisi, celebrioraque Europae Gymnasia adivi" scrisse nel 1619 al Keplero, con cui fu in contatto epistolare tra il 1614 e il 1620, a ciò mosso dai suoi interessi più astrologici che astronomici.
In una lettera da Venezia del 14dic. 1614 il B. si presentava all'astronomo tedesco come un suo convinto fautore. La captatio benevolentiae celava in realtà lo scopo di allacciare un rapporto con uno dei più noti scienziati dell'epoca e di ottenere l'oroscopo della propria nascita. A questi, che erano i reali motivi della lettera, seguiva la richiesta di una precisazione sull'anticipo riscontrato nell'eclisse solare del settembre 1614. Il Keplero, che certamente avvertì il tono ed il limite degli interessi del B., tardò nel rispondere e solo il 13 apr. 1616, con una lettera da Linz, gli faceva pervenire un minuzioso computo del suo oroscopo, non mancando però di far rilevare la propria esitazione nei confronti di un corrispondente ignoto e la sorpresa che ad una richiesta così modesta potesse occorrere tanto spreco di lodi. Si compiaceva tuttavia dell'interesse del suo corrispondente per l'astrologia. La lettera, data la precarietà dei collegamenti postali, non pervenne al B., che rinnovò a più riprese la richiesta. Finalmente il Keplero rispondeva il 30 nov. 1618riassumendo l'oroscopo del B. e invitandolo a considerare l'astrologia non come una scienza meramente determinatrice del male e del bene, ma come complessa combinazione di ragioni geometriche ed armoniche. Il Keplero però, che fino a quel momento aveva acconsentito distrattamente agli approcci del B., approfitta ora delle continue offerte di amicizia per garantirsi l'entrata delle proprie opere in Italia. Perciò gli spedisce il primo foglio del quinto libro dello Harmonices mundi, allora in corso di stampa, contenente una Admonitio ad bibliopolas exteros praesertim Italos, nella quale assumeva una posizione di estrema cautela nei confronti delle dottrine copernicane, allora già avversate dalla Chiesa di Roma, e riaffermava la propria fede di cristiano e di cattolico. Al B. non rimaneva che farlo circolare tra gli intellettuali e i librai italiani per saggiare il terreno. Non a caso da questo momento, lungo tutto il 1619, lo scambio di lettere si infittisce. Il 20 genn. 1619il B. comunica al Keplero d'aver mostrato l'Admonitio non solo a librai, ma anche ad uomini dotti e letterati di Venezia, e che costoro avevano corrisposto con una "incredibilem totius operis curiositatem". Più cauto è il consiglio sulla questione copernicana: "fervescente adhuc censura, ne libri mutilarentur Romae, praetermitterem hanc questionem"; né vale inoltrarsi, come vorrebbe il Keplero, in complesse questioni di angeologia "ne perdifficili unius controversiae articulo totum opus a censoribus argueretur". I consigli del B. sembrano soddisfare il tedesco, il quale risponde il 17febbr. 1619con una lunga lettera in cui dà conferma degli avvertimenti ricevuti e rinnova la richiesta di essere informato "particularissime" di tutti i possibili motivi di opposizione da parte dei censori. La notizia della pubblicazione della censura ecclesiastica contro il moto terrestre lo ha colto di sorpresa, ed espone al B. tutti i suoi dubbi sulla sorte delle proprie opere in Italia. L'esitazione è tale da fargli prospettare l'espediente di pubblicare quanto rimane dello Harmonices mundi o passando sotto silenzio la censura o fingendone ignaro l'autore; comunque: "facile tibi erit, audita unius bibliopolae sententia, scribere quot exemplaria Venetias mittenda sunt". Il B. diviene così un prezioso appoggio in Italia per Keplero, che prega di rassicurarlo, ed in fretta, su tutte le più minute questioni che possano insospettire i teologi. Il B. risponde il 14 marzo lusingato dalla lettera, che afferma d'aver letto con incredibile avidità. Sulla questione copernicana i consigli rimangono fermi: nessuna giustificazione con i lettori, meglio fingere di nulla e coprire di silenzio cose che hanno messo tanto a rumore gli ambienti romani.
Sorrideva al B. rivestirsi del ruolo di consigliere e protettore del Keplero, e non esitava a definirsi suo "explorator, relator, protector semper, verus amicus et servus". Egli manteneva contatti con i librai italiani per proporre l'acquisto dei volumi di Keplero. A questo calore di iniziative del B. non corrispose però lo scienziato tedesco, che in una breve lettera del 14 apr. 1619 lasciava cadere il grosso problema della questione copernicana e della censura ecclesiastica. Inviava il rimanente del V libro dello Harmonices e lo informava della stampa del I e del II. Il rapporto tra i due era ormai alla fine.
In patria il B. viveva, così si atteggia nella citata lettera al Keplero, "ab omni rerum humanarum ambitione alienus", e si diceva "intentus solum meis studiis, pro quibus cetera semper aspernatus sum". Vari in effetti i suoi interessi: matematica, lingue orientali, storia (scrisse in latino, ma non pubblicò, degli Annali ecclesiastici) e, con i limiti accennati, astronomia. Tralasciando un modesto elogio di Vincenzo Scamozzi, dettato dal B. in latino a guisa di epigrafe, che compare, assieme a quelli di altri nel volume II dell'Idea dell'architettura universale (Venezia 1615), il frutto tangibile di questa raccolta vita di studio si riduce al Parere... intorno alli caratteri che sono sopra il manico del coltello di S. Pietro,posto ultimamente nella chiesa ducale di S. Marco in Venetia, opuscoloedito a Venezia nel 1620 e dedicato al patriarca Giovanni Tiepolo, su suggerimento del quale fu composto.
Né le ambizioni mondane, le più futili ed inutili, erano estranee al B., come aveva voluto far credere al Keplero. Non pago di ostentare il titolo di referendario apostolico e protonotario di Sua Santità, ossessiva divenne in lui la pretesa, da cui nemmeno adolescente fu immune, a remote eccezionali ascendenze, risalenti alla stirpe imperiale comneno-paleologa. Né alcuna esitazione ebbe, nel 1618, a far stampare una serie di documenti falsi - lo si dimostrò nel 1627 - per attestare la sua presunta nobiltà.
Con tutta probabilità è proprio il B. quel "signor Vincenzio Bianchi d'anni 46 in circa" - l'indicazione sommaria non si discosta eccessivamente dai cinquantatrè che aveva in realtà - morto "da catarro" l'8 genn. 1637, di cui dà notizia il Necrologio dei Provveditori alla Sanità. In tal caso, della sua abitazione "in contrà di S. Marina" resta l'inventario fatto il 25 genn. 1637 ad istanza delle sorelle, tutte monache, Cecilia, Modesta, Caterina, Maddalena, dei fratelli Giulio ed Alessandro e della domestica.
Fonti e Bibl.: Per la corrispondenza col Keplero, cfr. I. Keplero,Gesammelte Werke, XVII, München 1955, pp. 152 s., 160 s., 271 s., 288-91, 316-28, 339-42, 351-55, 412-14, 435; Archivio di Stato di Venezia,Giudici di Petizion. Inventarii 355/n. 42; Ibid.,Provveditori alla Sanità (Necrologi), 867, 8 genn. 1636 (m. v.); Venezia, Museo Civico Correr,Cod. Cicogna 3525, G. P. Gasperi, Catal. della Bibl. Veneta, I, p. 49; M. Foscarini,Della letter. venez., Padova 1752, pp. 344 s., 350; G. Fontanini,Biblioteca dell'eloquenza ital., con le annot. di A. Zeno, I, Venezia 1753, p. 493; G. M. Mazzuchelli,Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, pp. 1164-1165; A. Zeno,Lettere, IV, Venezia 1785, pp. 96-97; G. Vedova,Biografia degli scrittori padovani, I, Padova 1832, p. 112; E. A. Cicogna,Delle Inscrizioni Veneziane...,V, Venezia 1842, pp. 61, 137, 215-221, 660 s.; Id., Saggio di bibl. veneziana, Venezia1847, pp. 337, 386, 479, 524.