CABRAS, Vincenzo
Nato a Tonara (Nuoro) intorno al 1732 da Pietro e da Teresa Zucca, all'età di quindici anni si trasferì a Cagliari, dove nel 1755 si laureò in utroque iure. Nel 1760 sposò Caterina Ronchi, che gli diede due figli. Rimasto vedovo, nel '69 si risposò con la figlia di un magistrato della Reale Udienza, Anna Tiragallo, dalla quale ebbe ben dodici figli. Resse uno studio legale di gran fama, che, assieme all'ufficio di assessore della Regia Vicaria e della curia arcivescovile di Cagliari, gli procurò un largo prestigio.
"Vecchio venerando per dottrina e per probità", negli anni '90, si imponeva tra i più ascoltati esponenti di uno dei tre clubs, che si aprirono a Cagliari, quello tra massonico e giacobino degli ex allievi del Canopoleno di Sassari, che faceva capo all'Angioy. Nel corso dell'agitazione promossa nel 1793 dagli Stamenti, che assunse il carattere di una rivendicazione unitaria dei tre bracci (nobiliare, ecclesiastico e reale) per l'autonomia amministrativa dell'isola e l'eliminazione dei piemontesi dagli uffici pubblici, il G. primeggiò nel guidare l'azione del braccio reale insieme con l'Angioy e con il genero Efisio Pintor.
Il 28 apr. 1794 il viceré, venuto a conoscenza di un progetto insurrezionale, pensò di prevenirlo e sventarlo con un colpo di forza, facendo arrestare il C. e Bernardo Pintor, scambiato per il fratello Efisio. Ma subito quest'ultimo promuoveva una sollevazione popolare proprio nel borgo di Stampace, che il C. rappresentava negli Stamenti in qualità di sindaco-capo. Appena liberati, comunque, il C. e B. Pintor si affrettarono a professarsi presso il viceré più "argomento" che promotori del moto, il che avvalorerebbe l'ipotesi che il C., "alieno per indole dai partiti", si trovasse "quasi per legami di propagata famiglia (l'influenza di E. Pintor) a subire il capitanato onorario del partito più arrischiato" (Manno, Storia...). D'altronde il partito dei curiali, in questa fase, si muoveva con precauzione, come mostra il Manifesto giustificativo della emozione popolare, redatto, in quei giorni, dal figlio Antonio, per dissipare l'idea di una congiura: manifesto accreditato anche dall'Angioy.
Mentre, sul contraccolpo, si espellevano i piemontesi, rientrava da Torino, in maggio, la delegazione degli Stamenti, portavoce di proposte interlocutorie della Corona, che rimettevano il potere in mano alla nobiltà (comando militare al La Planargia; intendenzagenerale al Pitzolo), aprendo in parte alla fazione moderata dei curiali (Pitzolo era buon amico del C.), cui premeva la gestione delle cariche. In agosto gli Stamenti predisponevano i loro candidati alla terza sala, o Consiglio di stato, che ottenevano nel febbraio '95: il C. ebbe 20 voti dal braccio militare (risultando nono), 4 dal reale (terzo), nessuno dall'ecclesiastico.
I moderati, tuttavia, nonostante queste concessioni, "tratti dalle considerazioni dell'incolumità propria, anziché da persuasione" (Sulis), rimasero ancora solidali con l'Angioy (benché costui, sensibile all'ideologia giacobina, guardasse con simpatia al movimento antifeudale delle campagne) contro la fazione nobiliare, che preparava un'azione di forza sotto la guida del Pitzolo e del La Planargia. Il 6 luglio 1795, anzi, il C., che ormai era il rappresentante più autorevole del gruppo moderato, concordava con E. Pintor, l'Angioy e il Sulis, nel chiedere al viceré la sospensione dalla carica dei due. Ma quando le esitazioni del viceré provocarono la sanguinosa sommossa che travolse il Pitzolo e il La Planargia, il C., "invocato più dagli altri per l'autorità del nome, che mescolato spontaneamente" (Manno, Storia..., p. 701, si adoperò per salvare alcuni curiali che aderivano al loro partito.
La fazione feudale rimase ancora potente a Sassari, ma anche qui i democratici, guidati da G. Mundula, che ebbe contatti con gli stamentari a Cagliari in una villa dei C., si accingevano a passare all'attacco, poggiando sul movimento contadino. In questo periodo, forse in risposta alla richiesta, partita da Sassari, di intervento della flotta inglese di stanza in Corsica, vi furono a Marsiglia abboccamenti degli autonomisti sardi con la Repubblica francese per concertare eventuali aiuti francesi. Rientrato quel pericolo, prima dello scontro aperto, si tentò la mediazione, presso la corte, dell'arcivescovo di Cagliari, Melano. Questi, prima della partenza (5 ottobre), ebbe colloqui con esponenti moderati degli stessi Stamenti, e sembra che in particolare facesse pressione sul C., perché provvedesse "con senno nell'età sua già matura, alla dignità e alla sicurezza della propria famiglia" (Sulis). I curiali moderati, comunque, che controllavano l'assemblea stamentaria (soprattutto da quando, in luglio, questa aveva delegato le decisioni ad una "deputazione" ristretta, di cui faceva parte il C.) e una base politica, che, avulsa dall'entroterra contadino, poggiava sui ceti artigianali e sul sottoproletariato suburbano, in cui la famiglia Cabras aveva vaste radici clientelari, già assolvevano al compito di smorzare le punte della politica angioiana. Il moderatismo del C., quindi, non fu una scelta dell'ultima ora: "educato col genero e col cognato alle tradizioni forensi, ben desiderava l'abbassamento dei feudatari, ma non la loro distruzione" (Sulis).
La sconfitta del partito feudale a Sassari, assediata e conquistata dal Mundula il 29 dicembre, mentre spingeva gli angioiani a chiedere l'abolizione del feudalesimo, offriva l'occasione ai moderati cagliaritani - ormai impauriti dagli obiettivi troppo avanzati dei democratici - di allontanare l'Angioy: lo stesso C., a quanto sembra, convinse il viceré Vivalda a inviarlo a Sassari come "alternos" con ampi poteri civili emilitari (febbraio 1796). Dopo la sua partenza fu agevole per i moderati, riaccostatisi al braccio militare, spostare gli Stamenti sempre più apertamente, contro il disegno antifeudale dei democratici. Ma inseguito, proprio la sconfitta dell'Angioy (giugno 1796) e il mutare della situazione internazionale, per gli effetti dell'armistizio tra la Francia e il Regno di Sardegna (aprile 1796), ridussero i margini dell'azione politica dei moderati. È pur vero che per il C. si aprì una rapida carriera. Il 18 luglio il viceré lo propose per la carica di reggente intendenza generale, "per il merito, probità, e capacità del soggetto". Il 30 agosto giungeva la conferma di questo incarico e di quello di conservatore generale del Tabellione. il 28 apr. '97 gli venivano condonati i diritti reali di mezza annata e di sigillo sulla patente, "per il tenue di lui patrimonio e numerosa famiglia".
La sua ultima battaglia politica fu, nel febbraio '99, quella, meramente cortigiana, di dissipare i timori dello Stamento reale di fronte alla venuta, in marzo, di Carlo Emanuele IV. Dal 21 marzo diveniva intendente effettivo, con stipendio di 2.500 lire annue, come ricompensa per aver "pensato col migliore impegno agli interessi della nostra R. Azienda", particolarmente in occasione "della ragguardevole estrazione di grani, del 1798".
Tagliati ormai fuori dall'esausta politica degli Stamenti, ridotti a trattare non più la "esclusività", ma la "promiscuità" degli impieghi (cioè non più il diritto dei soli sardi a partecipare ai pubblici uffici nell'isola, ma la loro partecipazione insieme con i piemontesi), il C. e il figlio Antonio, magna pars della curia e portavoce dell'arcivescovo di Cagliari, "parlano male degli impiegati sardi" (CarteLavagna). Non a torto l'Angioy ed il Petretto, nel 1799, facendo per il Direttorio una relazione sulla situazione sarda, descrivevano il C. ed i suoi amici come isolati che "soggiacciono alla maggiore diffidenza da parte del re" (Boi). Nel settembre si pensava già di liquidarlo, mandandolo in pensione. Qualche mese dopo i curiali sardi, soppiantati da funzionari piemontesi, erano "senza impiego e senza soldo" (Martini, Storia...), con la prospettiva, nel formale rispetto della concessa "promiscuità", di essere inviati a Torino (il C. in qualità di presidente della R. Camera dei conti). Collocato a riposo, su richiesta, nel 1803, ed insignito della nobiltà personale, l'anno dopo (correva il viceregno di Carlo Felice, più attento agli interessi della locale classe dirigente) veniva chiamato alla presidenza a vita della R. Società agraria ed economica.
Il C. morì a Cagliari il 21 dic. 1809.
Fonti e Bibl.: Alghero, Bibl. comunale, ms. 48, fasc. 9; ms. 49, fasc. 63; Archivio di Stato di Cagliari, Segr. di Stato, s. 1, cart. 313; s. 2, voll. 1680-1683; Ibid., R. Provisioni, voll. 23, n. 8; 25, n. 5; S. Caboni, Ritratti poetico-storici d'illustri sardi moderni, Cagliari 1833, pp. 65 s.; P. Martini, Biografia sarda, Cagliari 1837, I, pp. 200, 208 s.; P. Tola, Diz. biogr. degli uomini illustri di Sardegna, Torino 1837-38, I, p. 153; III, p. 91; G. Manno, Storia moderna della Sardegna dall'anno 1773 al 1799, II, Torino 1842, pp. 70, 149, 154 5.; P. Martini, Storia di Sardegna dall'anno 1799 al 1816, Cagliari 1852, pp. 13, 17, 53, 60, 140; F. Sulis, Dei moti polit. ... di Sardegna dal 1793 al 1821, Torino 1857, pp. 7, 30, 78, 8691, 94-96, 98 s., 102, 112, 125, 127, 129, 131-134, 136, 152, 168; G. Manno, Note sarde e ricordi, Torino 1868, pp. 162 s.; N. Bianchi, Storia della monarchia piemontese dal 1773 al 1861, Roma-Torino-Firenze 1878, II, p. 507; I.Esperson, Pensieri sulla Sardegna dal 1789 al 1848, Milano 1878, pp. 13, 22 s., 26 s.; G. Musio, V. Sulis e i suoi giudici-C. Musio, Cagliari 1879, pp. 57, 70; C. Tivaroni, L'Italia durante il dominio francese, I, L'Italia settentrionale, Torino-Napoli 1884, pp. 77 s., 80; P. Meloni-Satta, Ricordi storici. Effemeride sarda, Cagliari-Sassari 1895, I, p. 130; II, pp. 87, 105; S. Pola, I moti delle campagne di Sardegna dal 1793 al 1802, Sassari 1923, I, pp. XII, XIX, 109, 134 s., 142, 169, 186, 214, 218; II, pp. II s.; A. Boi, G. M. Angioy alla luce di nuovi docum., Sassari 1925, pp. 16 8-, 319 86, 90, 94, 100, 106, 110; F. Loddo Caneva, Invent. della R. Segret. di Stato e di Guerra del Regno di Sardegna, Roma 1934, pp. 270, 308; R. Bonu, Scrittori sardi dal 1746 al 1950, I, Il Settecento, Oristano 1952, pp. 45 s., 206; D. Scano, Don G. M. Angioy e i suoi tempi, in Scritti inediti, Sassari 1962, pp. 246, 255, 265, 270 s., 274, 291-293, 297, 303, 317, 321, 329, 356, 387; A. Cabras, La famiglia Cabras, Cagliari 1963, pp. 27-37; V.Sulis, Autobiografia, Cagliari 1964, pp. 51, 101 s.; F. Cherchi-Paba, Don M. Obino e i moti antifeudali lussurgesi (1796-1803), Cagliari 1969, pp. 20, 22; C. Sole, Le "carte Lavagna" e l'esilio di casa Savoia in Sardegna, Milano 1970, pp. 106 s., III s., 119, 127, 132, 149, 166; V. Lai, La rivoluz. sarda e il "Giornale di Sardegna", Cagliari 1971, ad Indicem.