D'ANGIOJA, Vincenzo
Attivo a Messina tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento come orafo argentiere, della sua vita si conoscono pochissimi elementi: dai registri della parrocchia di S. Giuliano, a Messina, risulta sposato con una tale Porcia o Porzia, e con "ricca figliolanza" (le ultime quattro figlie furono battezzate rispettivamente negli anni 1590, 1595, 1596 e 1600).
Nel 1587 il D. viene citato come "nobilis magister" in un atto in cui si impegnava ad eseguire una lampada d'argento in tutto simile ad un'altra della chiesa di S. Nicolò di Messina; più tardi, nel 1601, stipulava un contratto per l'esecuzione di un incensiere e di una navetta per la chiesa madre di S. Angelo di Brolo (Messina), con l'obbligo di rifarli qualora non avessero soddisfatto le esigenze dei committenti (La Corte Cailler).
Ma il nome del D. rimane legato soprattutto all'opera che doveva costituire senza dubbio il suo capolavoro, una grandiosa statua argentea raffigurante Messina che porta un'arca d'oro contenente le reliquie di s. Placido e dei suoi compagni, martiri messinesi. Era stata destinata dal Senato della città al re di Spagna Filippo II, ma per la morte di questo venne invece offerta, nel 1603, al suo successore Filippo III.
Il reliquiario consisteva in "una statua di tutto tondo d'argento, designante l'istessa città, sopra una base, e piedistallo pur d'argento, con lavori spiccati di cesello, e nei piani figurette dimostranti il martirio de' Santi Placido, fratelli e compagni...; e sopra il piedistallo tenente un vaso ottangolare con cupoletta, piede e statuette d'oro massiccio, tempestato con ricche gioie e perle, di peso di ventisei libbre. L'ornamento della statua, una corona d'oro con rubini, diamanti e perle, tra le quali due a perette negli orecchini erano di notabile valuta... e fra gli altri nel pendente della collana era quel famoso diamante che fu d'Alfonso secondo, re di Napoli; la cintura pure d'oro, con pari lavoro e gioie; nelle quali tutte cose erano cento rubini, trenta diamanti e molte perle..." (Buonfiglio Costanzo, 1739, p. 350).
È interessante notare che lo stesso D., "fabro della statua", si recò in Spagna, dove impiegò più di un mese per "polirla e rassettarla" (ibid.) e per assistere alla solenne consegna dell'opera al re, nella basilica di S. Benedetto a Valladolid.
I documenti e le fonti contemporanee forniscono lunghe e minuziose descrizioni di quest'opera, finemente cesellata e ornata di smalti e di gemme, oggi perduta ma ancora esistente nel Settecento (Schiavo, 1756). Se ne conserva comunque il ricordo in un'incisione del 1605, pubblicata dal Di Marzo (1881 tav. XXXIV) e tratta dalla relazione di padre Iacopo Tramontana, priore del monastero benedettino di Monreale, delegato del Senato messinese in Spagna.
Al D. sono stati pure riferiti, esclusivamente sulla base di una notazione del Gemelli (1699), "sei candelabri, quattro vasi di fiori ed una superba croce d'argento" che il Senato di Messina avrebbe mandato in dono a uno dei santuari di Gerusalemme, opere oggi andate disperse o difficilmente reperibili.
Nonostante la mancanza totale di opere del D., le numerose testimonianze scritte - che ne parlano per lo più in termini elogiativi - e il prezioso supporto visivo dell'incisione coeva raffigurante il reliquiariodi s. Placido consentono di inserire la sua personalità artistica, insieme a G. Artale Patti e a N. M. Donia, fra le più interessanti, nel campo, delle arti decorative, della Messina fra Cinque e Seicento. Lo stile del D., che appare ancora attardato su forme rinascimentali ma con una ricchezza di materiali e di motivi ornamentali che è già di gusto protobarocco, segna dunque il delicato passaggio, a cavallo fra i due secoli, verso forme più esuberanti e fastose, aprendo così la via alle splendide realizzazioni delle botteghe messinesi dei D'Angelo, dei Donia e degli Juvara.
Fonti e Bibl.: I. Tramontana, Brevis et dilucida enarratio ad Senatum... Messanae de advectione et doblatione sacri reliquiarii sanctorum Placidi et sociorum martyrum Philippo III…, Vallisoleti 1605, pp. 12, 3 s.; C. Gemelli, Giro del mondo, Napoli 1699, parte I, cap. VII, p. 166; B. Chiarello, Mem. sacre della città di Messina, Messina 1705, p. 173; G. Buonfiglio Costanzo, Dell'historia siciliana, Messina 1739, II, 3, pp. 350 ss.; D. Schiavo, Mem. per servire alla storia letter. di Sicilia, Palermo 1756, I, 2, pp. 17 s.; G. Grosso Cacopardo, Notizie stor. su V. D. da Messina, in Il Maurolico, I (1834), 21, pp. 162 s.; C. D. Gallo-G. Oliva, Annali della città di Messina, Messina 1881, III, 2, pp. 143-46; G. Di Marzo, I Gagini e la scultura in Sicilia nei sec. XV e XVI, Palermo 1883, I, pp. 637 ss.; II, doc. n. CCLXII; G. Filangieri, Docum. per la storia le arti e le industrie delle prov. napol., Napoli 1891, V, p. 21; G. Arena primo, V. D. e il reliquiario offerto dai Messinesi a Filippo III di Spagna, in Arte e storia, XVIII, (1899), pp. 11 s.;Palermo, Bibl. comunale, V. Castelli, Diz. encicl. siculo [ms. seconda metà sec. XIX], QqH 188, 1, c. 203; Messina, Arch. stor. d. Comune, G. La Corte Cailler, Miscell. di doc. inediti [ms. sec. XX]; M. Accascina, Oreficeria di Sicilia, Palermo 1974, pp. 231 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, I, p. 517 (s. v. Angioja, Vincenzo d').