IMPERIALI (Imperiale), Vincenzo Maria
Nacque a Latiano, presso Brindisi, il 26 marzo 1738 da Giovanni Luca (Genova 1683 - Latiano 1749), secondo marchese e quarto signore di Latiano, e da Geronima Centurione dell'illustre casato genovese.
La famiglia Imperiali, patrizia genovese, resa illustre nei secoli XVI e XVII dai cardinali Lorenzo e Giuseppe Renato, aveva ottenuto diversi importanti feudi nel Regno di Napoli, dividendosi in due rami principali, quello dei principi di Francavilla, ricchissimo e splendido, e quello dei marchesi di Latiano. L'I. fu il quarto marchese di Latiano dal 1781, alla morte senza discendenza del fratello maggiore Domenico Maria (1732-81). Egli aveva perso la madre alla nascita, e perderà il padre poco più che decenne.
Svolse i primi studi a Latiano, probabilmente con lo stesso precettore del fratello, il teologo B. Verardi; in seguito, sempre insieme con il fratello, fu inviato a Roma nel rinomato collegio Nazareno per completarvi gli studi classici, formandosi una solida cultura umanistica, con un'ottima conoscenza del latino e del greco. In quel periodo fu accolto fra gli Arcadi (dal 1741 ne esisteva una colonia nel collegio, denominata degli Incolti) con il nome di Sosare Itomeio, e si affacciò alla letteratura in quell'ambito. Lasciata Roma fu per qualche tempo a Latiano (fra i feudatari di Latiano il padre era stato quello che aveva soggiornato più a lungo e volentieri nelle sue terre) e poi a Napoli, dove cominciò a cimentarsi fra i "nuovi letterati", con interventi e piccoli saggi sui grandi delle letterature volgare e latina ma ancor più su Omero e, soprattutto, sui lirici greci, con particolare interesse per Pindaro, Anacreonte e Teocrito. Verso il 1762 manifestò l'intenzione di seguire la carriera delle armi e, come cadetto, seguendo le usanze nobiliari si indirizzò all'Ordine di Malta: presentate le debite prove di nobiltà, fu accolto come cavaliere di giustizia e servì sulle galee dell'Ordine nelle prescritte "carovane" contro i Turchi e i pirati barbareschi; si formò in tal modo una certa esperienza militare e marinaresca, che gli sarà molto utile in futuro. Fu proprio a Malta che l'I., accogliendo la sfida di un balì francese che sosteneva l'impossibilità di tradurre in versi italiani l'Henriade di Voltaire senza sfigurarla, iniziò il suo primo lavoro letterario di impegno, traducendo quell'opera in "nobilissime ottave" (L'Henriade del signor di Voltaire tradotta in ottava rima da Cipriano Malivenzi, tra gli arcadi Sosare Itomeio, pubblicata a Napoli solo nel 1811); ma intanto, avendo inviato a Voltaire i due primi canti, ebbe la soddisfazione di una lettera di quello che proclamava "Vous embellissez l'Henriade en italien", lettera che inserirà nella prefazione. In quel periodo l'I. venne coltivando anche un vivo interesse per i testi biblici, pubblicando varie versioni in versi di brani del libro dei Salmi (specialmente il Miserere di Davide) e del Cantico di Salomone.
Tuttavia il lavoro che gli diede vera rinomanza nel mondo letterario è collegato ai suoi studi giovanili su certa poesia greca; esso ebbe una diffusione straordinaria, sempre sotto il suo nome arcadico, con varie edizioni veneziane (la prima del 1780, la seconda del 1786) e ben tre bodoniane (la prima Crisopoli-Parma 1792, un'altra 1801), seguite da molte altre, di cui è ancor più difficile individuare i dati, a Madrid, Parigi, Londra e Vienna, nonché da una postuma (Firenze 1819). Si tratta di La Faoniade, una serie di composizioni sull'infelice amore di Saffo per Faone, che nelle prime edizioni l'I. propose sotto la non nuova finzione dell'antico manoscritto ritrovato e tradotto in versi italiani. L'opera, formata da una serie di inni e di odi attribuiti a Saffo nei tormenti finali della sua passione amorosa, tutti chiaramente ispirati agli stilemi di Anacreonte e di Mosco, ha alcune parti abbastanza sentite, come l'Inno ad Apollo, in cui la poetessa implora l'aiuto del dio per il suo amore non corrisposto, l'Inno a Venere, in cui supplica la dea di intercedere presso Eros, l'Inno aCupido, colmo di disperazione, e il secondo Inno a Venere, mutuato dalla descrizione del "Cinto di Venere" del XV canto dell'Iliade. Seguono alcune odi assai tenere e leggiadre, come La notte, quella Ai numi infernali o quella detta Voto ad Apolline, che precede il salto fatale. Una pioggia di lodi incondizionate cadde sull'I. da parte dei letterati napoletani, capeggiati da J. Andrés, O.G. Martorelli, E. Campolongo, B. Della Torre (il vescovo di idee avanzate esiliato nel 1799) e mons. G. Capecelatro (l'arcivescovo di Taranto poi ministro di re Gioacchino). Fu particolarmente apprezzato che una vena poetica tanto delicata fosse espressa da un affermato militare di carriera.
Infatti l'I. era frattanto passato dalle galee di Malta al servizio della Spagna, nel quale percorse brillantemente le tappe della carriera nonostante che il suo entourage avesse cercato di persuaderlo, dopo la morte senza discendenza del fratello nel 1781 e l'assunzione da parte sua del maggiorasco, a occuparsi del patrimonio e della continuazione della famiglia. Mentre amministrò i beni quasi sempre da lontano, tramite agenti e procuratori, accettò invece di maritarsi, il 20 ott. 1783 a Napoli, con Maria Antonia Cattaneo dei principi di Sannicandro, che gli darà sette figli maschi e una femmina. La sua carriera militare fu tra le più rapide: le guerre che in quegli anni infuriarono in Europa gli fornirono le occasioni per far valere le sue qualità di condottiero, e la benevolenza di Carlo III e di Carlo IV gli fu prodiga di onori e cariche. Combatté dapprima in Italia, poi in Marocco e in Spagna, distinguendosi contro gli Inglesi nell'assedio di Gibilterra (1779-83), tanto che il re lo nominò successivamente tenente generale delle sue armate, grande di Spagna di prima classe, gentiluomo di camera con esercizio, consigliere di Stato, cavaliere del Toson d'oro e, finalmente, ambasciatore in Portogallo.
Per tenere dietro ai suoi spostamenti, altrimenti difficili da seguire, sono di aiuto le località di nascita dei figli: Francesco (n. 1790) e Giovanni (n. 1792) videro la luce a Madrid, Michele (n. 1793) in Portogallo durante l'ambasciata in quel paese, mentre gli altri cinque (Carlo, Luigi, Lorenzo, Federico e Aurelia) dopo il rientro in Italia, fra il 1798 e il 1806. Un altro avvenimento aveva però avuto grande influenza sulla vita dell'I.: il 18 febbr. 1782 si era estinto a Napoli, con la morte di Michele IV, il ramo degli Imperiali principi di Francavilla, marchesi d'Oria ecc.; attraverso complesse vicende i feudi ricaddero al Demanio regio, ma le grandi proprietà allodiali, i gioielli, le argenterie, i quadri, i mobili e i libri pervennero all'I. in quanto erede fidecommissario all'I. che, il 24 nov. 1791 (rogito di G. Corvisiero, notaio in Napoli), per investire parte dei gran capitali ereditati l'I. fece acquisto al prezzo di 323.000 ducati della terra di Mesagne con il feudo di Calesano. Inoltre ben presto il re gli concesse anche il titolo onorifico di principe di Francavilla (non la giurisdizione), con il quale fu ed è ormai universalmente conosciuto, anche per l'epoca in cui ancora non lo possedeva.
Dopo il rientro in patria l'I. risiedette per qualche tempo a Latiano: risulta infatti che il 24 apr. 1797 ospitò nel vicino castello di Mesagne Ferdinando IV, e il mese successivo la regina Maria Carolina. Sia pure da lontano, aveva sempre seguito i suoi agenti nei feudi, tramite il cognato G. Montalto duca di Frignito, suo "vicario generale", e aveva curato miglioramenti del palazzo marchionale di Latiano che già il padre aveva restaurato e abbellito; con soddisfazione delle popolazioni aveva poi ottenuto l'elevazione della chiesa parrocchiale di Latiano a collegiata insigne. Tuttavia nel 1799 si verificò nella cittadina una sanguinosa sommossa popolare per l'arroganza di un suo nuovo agente, A. Maietta, che fu trucidato insieme con gli armigeri. L'invasione francese portò all'eversione della feudalità (2 ag. 1806): dopo una lunga procedura, il 20 febbr. 1812 l'I. ottenne dalla Suprema Commissione di liquidazione del debito pubblico un indennizzo non trascurabile per i feudi di Latiano e Mesagne.
Morì a Napoli, dove ormai risiedeva, il 5 marzo 1816, due anni dopo la moglie.
Le iscrizioni funerarie, dettate da F. Mastroti, ne vantarono integritas, candor, ingenium. A Latiano gli successe il secondogenito Giovanni (il primogenito Francesco fu principe di Francavilla), nominato tutore dei fratelli minori: fu compilato in proposito un minuzioso inventario dei beni paterni, per gli atti del notaio S. Stasi, in data 3 luglio 1816. Risultarono proprietà ancora molto estese in Terra d'Otranto (a Latiano, Mesagne, Manduria, Uggiano Montefusco, Taranto e Nardò). Il palazzo di Latiano passò in seguito al Comune.
Fonti e Bibl.: Latiano, Arch. della Parrocchia di S. Maria della Neve, Libro dei battezzati 1733-57, p. 369 (29 marzo 1738); Libro dei morti 1683-1758, cc. 157r (22 apr. 1738: morte della madre dell'I.), 190v (5 ag. 1749: morte del padre); Arch. di Stato di Napoli, Regia Camera della Sommaria, Cedulari, vol. 22, II, cc. 370r-372r (acquisizione di Latiano da parte degli Imperiali); Processetti di liquidazione dei diritti feudali aboliti, 4368-4382 (per Latiano specialmente 4379), Diritti feudali aboliti, n. 393, Commissione della liquidazione del debito pubblico, 20 genn. 1812; Arch. di Stato di Lecce, Diz. degli uomini chiari di Terra d'Otranto (con una biografia dell'I. di E. Ribezzi); Arch. di Stato di Brindisi, Archivi notarili, Latiano, Notaio F.M. Tagliavanti, prot. 186, 16 giugno 1751; Notaio S. Stasi, prot. 23, 3 luglio 1816, cc. 699r-739r (inventari dei beni dell'I.); Inventari dei palazzi del Principato di Francavilla, a cura di M. Paone, Bari 1987; Beni culturali di Latiano, a cura della Biblioteca comunale di Latiano, III, Le chiese e il patrimonio sacro, Latiano 1993, pp. 691-709; Giornale de' letterati (Pisa), LXIX (1789), p. 315; Niccola Morelli di Gregorio [sic], Imperiali Vincenzo Maria, in Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, XII, Napoli 1827, pp. n.n. [ma pp. 73-90]; F.S. Salfi, Manuale di storia della letteratura italiana, II, Milano 1834, p. 127; C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 134 (s.v. Francavilla); B. Candida Gonzaga, Memorie delle famiglie nobili delle provincie meridionali d'Italia, IV, Napoli 1875, pp. 102-108; B. Croce, Il palazzo Cellamare e il principe di Francavilla, Napoli 1891, pp. XV-XXVI (sul ramo estinto di Francavilla); F. Bonazzi, Famiglie nobili e titolate del Napolitano, Napoli 1902, p. 133; A. Foscarini, Armerista e notiziario delle famiglie nobili, notabili e feudatarie in Terra d'Otranto, Lecce 1903, p. 115; C. Villani, Scrittori e artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Trani 1904, pp. 479 s.; A. Scorza, Le famiglie nobili genovesi, Genova 1924, p. 130; G. Natali, Il Settecento, Milano 1931, II, pp. 70, 106; R. Colapietra, Genovesi in Puglia nel Cinque e Seicento, in Arch. stor. pugliese, XXXV (1982), pp. 33 s.; Il castello e la quadreria Imperiali, in Beni culturali di Latiano, cit., II, Il castello e la quadreria Imperiali, Latiano 1993, passim; M. Vinci, V. I. e il castello di Latiano, in Lu Lampiune (Lecce), 3 dic. 1992, pp. 209-225; G.D. Oltrona Visconti - G. di Gropello, Imperialis familia, Piacenza 1999, pp. 61 s. e tav. 13; S. Settembrini, Sindaci, notai e famiglie feudatarie di Latiano, Latiano 2002, pp. 216-235.