violenza
Abuso della forza
La violenza nelle sue varie forme – fisica e psicologica, diretta contro le persone, ma anche contro la natura o le cose – accompagna tutta la storia dell’umanità. Il tentativo di creare un ordine sociale in cui il ricorso alla violenza sia arginato o ridotto caratterizza lo sviluppo delle moderne società democratiche. Tuttavia la violenza continua a minacciare la convivenza degli esseri umani
Per violenza si intende qualunque intervento su persone, animali o cose che produce effetti dannosi o negativi. Per esempio, l’inquinamento o il diboscamento indiscriminato sono una forma di violenza contro l’ambiente o contro la natura, il vandalismo è una forma di violenza contro i beni materiali. Parliamo di violenza non solo quando vengono provocate lesioni fisiche, o quando si limita con la forza la libertà individuale, ma anche quando con strumenti anche di tipo psicologico, vengono inflitti danni e sofferenze di qualunque genere, sia fisico che morale.
Non tutti gli atti che provocano lesioni fisiche o sofferenze morali, però, rientrano nella categoria della violenza, se sono compiuti con il consenso di chi ne è il destinatario e non sono dettati da intenzioni moralmente riprovevoli o condannabili: per esempio, non parliamo di violenza nel caso di un’operazione chirurgica. Lo stesso vale per gran parte dei comportamenti aggressivi: pensiamo a moltissime situazioni competitive, come la concorrenza commerciale – talvolta spietata –, i giochi, buona parte degli sport. In questi casi, infatti, oltre a non esserci nessuna coercizione né fisica né psicologica, l’aggressività che entra in gioco fa parte delle ‘regole concordate’.
Le società preindustriali e premoderne erano caratterizzate da un livello elevato e diffuso di violenza. I conflitti erano abitualmente regolati attraverso l’intimidazione, lo scontro fisico, l’omicidio, e anche nei rapporti all’interno della famiglia dominavano prevaricazione e punizioni fisiche, soprattutto nei confronti dei minori e delle donne. Oggi, nelle società democratiche, non accettiamo più forme di violenza che fino a non molti anni fa erano considerate normali o tollerabili, come la rissa e il duello, molte forme di vendetta, l’uso di punizioni corporali da parte degli insegnanti. È insomma diminuita la tolleranza sociale per simili forme di offesa alla persona, che sono diventate, per questo, molto più ‘visibili’ e dunque giungono più facilmente all’attenzione delle forze di polizia, della magistratura e dei mezzi di comunicazione di massa. Se la storia dell’umanità, come affermava Georg W. F. Hegel, è stata dall’inizio un «gigantesco mattatoio», è stata però anche la storia degli sforzi compiuti dagli uomini per convivere pacificamente e cooperare tenendo sotto controllo la violenza. La costruzione di un ordine sociale democratico è indissolubilmente legata allo sviluppo di rapporti umani basati sulla rinuncia alla violenza.
Nelle società moderne lo Stato assume il monopolio della violenza, sottraendola ai privati cittadini: gli organi esecutivi, le forze dell’ordine come la polizia, l’apparato amministrativo e le carceri sono legittimati a usare la violenza, per quanto solo a determinate condizioni e per scopi stabiliti dalla legge e nella misura strettamente necessaria. Così, la violenza legittima in un carcere è la reclusione stessa mentre non è ammessa nessuna forma di violenza fisica sui carcerati.
Il tentativo sistematico di riduzione e di controllo della violenza nelle moderne società democratiche non è peraltro riuscito a farla scomparire dall’orizzonte della convivenza umana, tanto che si è quasi indotti a considerarla un ‘male endemico’. Nella cosiddetta società mediatica alla violenza praticata e subita direttamente si aggiunge quella indiretta, veicolata dai media. Le immagini cruente delle guerre, degli atti di terrorismo, di imprese criminali ci vengono riproposte in forma amplificata, spettacolarizzata e talvolta ‘compiaciuta’ dai giornali, dalla televisione, da Internet. A ciò si aggiunge la violenza ‘virtuale’ dei film, dei programmi televisivi, dei videogiochi, che in molti casi costituiscono il ‘nutrimento’ quotidiano soprattutto dei soggetti più giovani, spesso senza alcun controllo da parte delle famiglie. Oltre che favorire l’inclinazione ad atti di violenza, uno degli effetti di questo tipo di spettacolo potrebbe essere una progressiva perdita di sensibilità rispetto alla paura della violenza fisica e quindi una perdita della ripugnanza per il sangue e gli atti sadici.