Virus
Il termine virus (dal latino virus, "veleno") indicava originariamente la sostanza nociva (tossina) responsabile di una malattia oppure il microrganismo produttore della stessa. Attualmente viene usato esclusivamente per designare una classe di organismi, di natura non cellulare e di dimensioni submicroscopiche, incapaci di un metabolismo autonomo e perciò caratterizzati dalla vita parassitaria endocellulare obbligata. Quando un virus riesce a penetrare all'interno di una cellula con la quale è venuto in contatto, il suo genoma si replica e viene tradotto all'interno della cellula ospite obbligandola alla sintesi di proteine virali e quindi alla replicazione del virus. Il genoma virale può essere costituito da DNA o da RNA, cosicché si distinguono virus a DNA, o Desossivirus, e virus a RNA, o Ribovirus.
Nonostante le malattie provocate dai virus fossero note sin dall'antichità, il riconoscimento di questi agenti come entità biologiche è un'acquisizione relativamente recente. Il fatto che esistessero infezioni trasmesse da agenti con caratteristiche diverse da quelle dei batteri venne documentato nell'ultimo decennio del 19° secolo, quando studiando una malattia delle piante, il mosaico del tabacco, dapprima il russo D.I. Ivanovski e subito dopo l'olandese M.W. Beijerink dimostrarono che l'infezione veniva trasmessa da entità più piccole dei batteri. Essi ipotizzarono erroneamente che l'infezione fosse dovuta a una sorta di fluido, che chiamarono contagium vivum fluidum. Da quel momento vennero chiamati 'filtrabili' tutti gli agenti infettivi che non potevano essere osservati al microscopio ottico e che oltrepassavano filtri capaci di trattenere i batteri, quindi con un diametro inferiore a 0,2 mm. Una svolta radicale per la ricerca sui virus si ebbe tuttavia soltanto nel 1915 in seguito alla scoperta dei virus batterici, chiamati più tardi batteriofagi, e nel 1935 con l'introduzione dell'embrione di pollo per la coltura dei virus animali. Fu così possibile mettere in evidenza che, oltre alle dimensioni estremamente ridotte e all'incapacità di moltiplicarsi in terreni di coltura, i virus dovevano necessariamente replicarsi all'interno di cellule viventi (parassitismo endocellulare obbligato).
In un'epoca in cui la scienza era ancora profondamente legata all'osservazione morfologica, l'esistenza di microrganismi invisibili e per di più incapaci di moltiplicazione autonoma era difficile da accettare e il mondo scientifico si divise tra coloro che consideravano i virus veri microrganismi e quelli che invece li ritenevano semplice materia inerte capace di farsi riprodurre dalle cellule ospiti. Nemmeno la scoperta, nel 1937, che il virus del mosaico del tabacco conteneva, oltre che proteine, anche circa il 6% di acido ribonucleico (RNA) contribuì a comporre la controversia. Essa venne tuttavia risolta nel 1956, quando si dimostrò che l'RNA virale, separato dalle proteine e inoculato in cellule viventi, era capace da solo di moltiplicarsi all'interno di una cellula ospite; più tardi questo risultato venne riprodotto usando l'acido desossiribonucleico (DNA) di vari virus. Si arrivò pertanto alla conclusione che non solo tutte le funzioni virali erano codificate dall'acido nucleico, ma anche che il genoma virale poteva essere costituito da RNA oppure da DNA. Si è in seguito accertato che in generale il genoma virale, una volta introdotto nella cellula ospite, assume il controllo dell'apparato proteosintetico inducendolo a produrre separatamente i vari costituenti virali, che si riuniscono successivamente per formare le particelle virali di progenie. Si è potuto a questo punto concludere che i virus non solo possiedono tutte le caratteristiche vitali, cioè un codice genetico e la capacità di esprimerlo e di trasmetterlo alla discendenza, ma anche che si differenziano dagli altri microrganismi sia per le dimensioni estremamente ridotte e per le caratteristiche di parassiti endocellulari, sia soprattutto per un peculiare meccanismo di replicazione che prevede la sintesi separata dei vari costituenti virali e il successivo assemblaggio nelle particelle mature (virioni).
Come si è detto, i virus dipendono per la replicazione dalla cellula ospite: la loro comparsa sulla Terra, pertanto, deve necessariamente essere stata successiva a quella delle cellule. Sulla loro origine esistono varie teorie, ma le due principali sono quella regressiva, secondo la quale i virus sarebbero derivati da altri microrganismi intracellulari con caratteristiche di difettività sempre più spinte, e quella evolutiva, che fa derivare i virus da frammenti di acidi nucleici cellulari, che si sono resi in qualche modo indipendenti fino ad acquisire capacità di autoreplicazione. Senza entrare nel merito di queste teorie, per ciascuna delle quali vi sono argomenti contrari e a favore, possiamo dire che entrambe rendono verosimile che i virus siano comparsi quasi contemporaneamente alle prime cellule durante l'Era Precambriana. In assenza di una paleontologia virale, tuttavia, si può dare per scontato che i virus oggi circolanti siano derivati da virus preesistenti ed è altamente probabile che moltissimi altri virus siano comparsi e subito scomparsi per non aver trovato le condizioni adatte alla loro trasmissione. I virus possono infettare tutte le forme di vita (batteri, Miceti, piante, Protozoi, Insetti, Pesci, Anfibi, Rettili, Uccelli e Mammiferi) e, come altri microrganismi, possono aver svolto un'importante funzione nella selezione naturale delle varie specie; per es., l'introduzione del virus del mixoma in Australia ha prodotto in pochi anni la selezione di una popolazione di conigli resistenti a questo virus. Ma, dato che i virus possono sopravvivere nella loro sfera ecologica solo congiuntamente all'ospite in cui si replicano, essi stessi sono selezionati dal punto di vista evolutivo più verso l'attenuazione che non verso la virulenza. È infatti evidente che un virus che uccidesse rapidamente il proprio ospite avrebbe scarse possibilità di essere trasmesso a un altro ospite e pertanto soccomberebbe esso stesso. Per tale motivo la grande maggioranza dei virus tende a dare infezioni relativamente miti, che non compromettono sensibilmente o a lungo lo stato di salute del proprio ospite. In genere questa attenuazione si esplica acquisendo una maggiore sensibilità ai meccanismi difensivi dell'ospite stesso.
Ne consegue che la stretta dipendenza del virus dall'ospite è regolata da un processo evolutivo che seleziona un tipo di associazione vantaggioso per entrambi, basato su una sorta di equilibrio tra proprietà patogene del primo e capacità difensive del secondo. Pertanto i rapporti che i virus stabiliscono con l'ospite tendono ad avvicinarsi più al commensalismo che al parassitismo. Occorre tuttavia tenere presente che questo tipo di interazione equilibrata può essere interrotto in seguito alla caduta di efficienza delle difese dell'ospite, come si verifica negli immunodepressi, e che il processo evolutivo verso l'attenuazione può richiedere tempi lunghi, per cui l'arrivo sulla scena epidemiologica di un nuovo virus, per es. proveniente dagli animali, può provocare all'inizio epidemie di notevole gravità. Sono queste, in linea di massima, le situazioni che più di frequente richiedono l'intervento medico.
Essendo parassiti endocellulari obbligati, i virus non necessitano di tutte le strutture complesse che sono essenziali per le forme organizzative di tipo cellulare, in particolare per la proteosintesi e per la produzione di energia. Pertanto i virus maturi sono costituiti, nella loro forma più semplice, da un acido nucleico, situato all'interno della particella, e da un rivestimento proteico. Una particella virale completa si chiama virione e la sua funzione è quella di introdurre il proprio acido nucleico all'interno di una cellula ospite, affinché esso possa essere espresso dall'apparato biosintetico della stessa. L'acido nucleico contiene l'informazione genetica necessaria per codificare tutte le funzioni replicative del virus, compresa la programmazione della cellula ospite per l'espletamento delle funzioni necessarie per la moltiplicazione virale. Il rivestimento proteico ha la doppia funzione di proteggere l'acido nucleico dalla degradazione degli agenti denaturanti presenti nell'ambiente extracellulare e di consentire l'adesione del virione su specifici recettori della membrana citoplasmatica della cellula ospite. Le proteine del rivestimento sono codificate dal genoma virale, la cui ridotta lunghezza impone una limitazione al numero di proteine destinate a una data funzione.
Per questo motivo, in genere, il rivestimento è costituito da unità ripetitive di una o poche proteine, che si combinano tra loro a formare una struttura continua. Questa combinazione può seguire due schemi fondamentali: una distribuzione elicoidale intorno all'acido nucleico (simmetria elicoidale) o la costituzione di una sorta di guscio icosaedrico (simmetria cubica), che si chiama capside e racchiude l'acido nucleico e le proteine a esso associate, le nucleoproteine. Le nucleoproteine insieme al genoma formano il cosiddetto nucleocapside. Oltre a questo rivestimento molti virus, indipendentemente dal tipo di simmetria, ne possiedono un secondo più esterno che è costituito da proteine virali e lipidi cellulari; tale rivestimento più esterno si chiama pericapside: in particolare si definiscono 'rivestiti' i virus dotati di pericapside e 'nudi' quelli che ne sono privi. A eccezione dei Filovirus, Poxvirus e Rhabdovirus, tutti i virus patogeni per l'uomo hanno una morfologia grossolanamente sferica. Infatti, nei virus a simmetria icosaedrica le subunità proteiche del capside, dette capsomeri, si combinano a formare solidi regolari che al microscopio elettronico appaiono come sfere. Nei virus a simmetria elicoidale le subunità proteiche, denominate protomeri, si dispongono lungo l'asse dell'acido nucleico formando strutture tubulari, che però nei virus animali vengono racchiuse nel rivestimento pericapsidico il quale conferisce loro una forma globosa.
Le dimensioni ‒ che di regola sono fisse nei vari tipi di virus nudi e, al contrario piuttosto variabili in quelli rivestiti ‒ oscillano da circa 20 a 200-250 nm. Il genoma può essere costituito da DNA o da RNA e può essere monocatenario o bicatenario, lineare oppure circolare, e costituito da un'unica molecola o da vari segmenti; in quest'ultimo caso si parla di genoma segmentato. Nei virus con RNA monocatenario, questo può essere orientato come un RNA messaggero (mRNA a polarità positiva) o in modo complementare all'mRNA (antisenso o a polarità negativa). A seconda del tipo di genoma la replicazione segue particolari meccanismi di replicazione.
In base alle loro caratteristiche fisiche, cliniche, morfologiche e biologiche i virus vengono suddivisi in famiglie (con suffisso -viridae), generi (con suffisso -virus) e specie. Ulteriori suddivisioni (sottospecie, tipi, ceppi ecc.) vengono stabilite da apposite commissioni per la nomenclatura in base a criteri che risultino via via accettati. Per es., è stato recentemente stabilito che due virus della medesima famiglia costituiscono due tipi distinti quando l'omologia del loro genoma sia inferiore al 50%. Nella pratica i virologi continuano a indicare i virus secondo la nomenclatura comune, cioè con il nome virus seguito da quello della malattia determinata nell'ospite principale (per es., virus della parotite, virus dell'influenza, virus del morbillo, virus del mosaico del tabacco ecc.) oppure con il nome che gli è stato attribuito al momento dell'isolamento (per es. virus Ebola, di Epstein-Barr, di Norwalk ecc.). L'attuale classificazione si basa sul tipo di genoma (DNA o RNA) e sulla sua configurazione (mono- o bicatenario, lineare o circolare, monofilamento o segmentato, a polarità positiva o negativa), sul tipo di simmetria (cubica o elicoidale), sulla presenza oppure sull'assenza di involucro pericapsidico e, infine, sul meccanismo di replicazione. Molti virus non sono stati ancora classificati, o la loro classificazione è provvisoria perché le conoscenze necessarie per una corretta attribuzione sono ancora frammentarie, come nel caso del virus di Norwalk e del virus dell'epatite E. Inoltre, non è stata ancora accertata la natura virale di alcuni agenti che sono abitualmente oggetto di considerazione da parte dei virologi, come, per es., gli agenti responsabili delle encefaliti spongiformi dell'uomo e di vari animali.
I virus possono moltiplicarsi soltanto all'interno di una cellula ospite. Ciò avviene quando il virus si lega sulla superficie della cellula e vi introduce il proprio genoma. Una volta esposto, esso deve essere in grado di esprimersi e di utilizzare l'apparato biosintetico della cellula per la sintesi dei costituenti virali. Questi dovranno poi combinarsi tra loro in modo da formare i virioni di progenie che, liberati dalla cellula, estenderanno l'infezione ad altre cellule dell'ospite. Per questo motivo, la cellula ospite deve essere non solo sensibile, cioè deve possedere recettori su cui il virus possa adsorbirsi, ma anche permissiva, cioè capace di compiere tutte le fasi replicative dirette dal genoma virale. La replicazione virale inizia con l'adsorbimento del virus alla cellula, fenomeno che richiede un'interazione tra specifiche strutture di superficie del virione (antirecettori) e recettori della membrana citoplasmatica della cellula. All'adsorbimento segue poi la penetrazione del virus, che può avvenire per traslocazione del virione attraverso la membrana cellulare, per endocitosi all'interno di vacuoli citoplasmatici o, per fusione dell'involucro pericapsidico del virus con la membrana citoplasmatica cellulare. Una volta che il virus, o una sua parte, sia penetrato all'interno della cellula, l'acido nucleico virale viene liberato da quanto rimane del rivestimento proteico (decapsidazione) e inizia a essere espresso.
Dal momento in cui il virus penetra nella cellula a quello in cui cominciano a prodursi i primi virioni di progenie, esso non è più rilevabile nella cellula come entità infettante, motivo per il quale questo periodo è stato chiamato fase di eclisse. Questa è caratterizzata da un'intensa attività metabolica per consentire l'espressione del genoma virale, la sua replicazione e la produzione delle proteine strutturali che andranno a costituire i virioni di progenie. Tali fasi vengono dirette dal virus secondo strategie replicative che sono caratteristiche di ciascun gruppo. La replicazione virale si completa con il montaggio (o assemblaggio) delle subunità proteiche virali che, racchiudendo l'acido nucleico ed eventuali altri componenti interni, formano i virioni di progenie. Per alcuni virus il montaggio dei virioni coincide con la maturazione. Altri virus debbono invece subire ulteriori modificazioni prima di maturare; tra queste vi sono l'acquisizione dell'involucro pericapsidico e la ridistribuzione delle proteine del nucleocapside.
La replicazione termina con la liberazione delle particelle virali dalla cellula ospite, che nella maggior parte dei virus nudi avviene per lisi della cellula, mentre nella maggior parte dei virus rivestiti avviene per gemmazione dalla membrana citoplasmatica. Quando la replicazione virale avviene in maniera completa con produzione di progenie, si parla di infezione produttiva. In cellule sensibili ma non permissive, tuttavia, l'infezione può portare all'espressione di alcuni geni virali soltanto - si parla allora di infezione abortiva - e la cellula ospite può pertanto sopravvivere. In questo caso se i geni virali espressi sono capaci di attivare il DNA della cellula, la cellula sopravvissuta può risultare trasformata. Infine, se la cellula è permissiva solo in certe condizioni, per es. di attivazione, la replicazione può arrestarsi con il cambio di stato della cellula e riprendere quando lo stato di origine venga ripristinato: in questi casi l'infezione può, quindi, diventare latente.
La moltiplicazione virale produce nella cellula ospite delle modificazioni che, salvo eccezioni, ne alterano lo stato fisiologico: possono derivarne cambiamenti della morfologia cellulare e alterazioni metaboliche, genetiche o regolatorie, che possono portare alla morte della cellula (infezioni citocide) o alla sua trasformazione in senso neoplastico. Nelle infezioni citocide le alterazioni morfologiche, caratteristiche per i vari gruppi di virus, vengono definite effetto citopatico, che può essere rappresentato da una degenerazione 'palloniforme' e dalla successiva lisi, dalla formazione di cellule giganti multinucleate (sincizi) oppure dalla formazione di ammassi di costituenti virali e/o di strutture cellulari alterate nel nucleo o nel citoplasma della cellula (in tal caso si parla di inclusioni). Molti virus hanno inoltre la capacità di inibire la sintesi delle macromolecole cellulari (DNA, RNA e proteine), impedendo così alla cellula di riparare i danni da usura o prodotti dal virus. Talvolta, si possono produrre rotture cromosomiche che, se l'infezione abortisce e la cellula sopravvive, ne modificano stabilmente l'assetto genetico. Nelle infezioni trasformanti, la cellula infetta, anziché andare incontro alla morte, può subire la trasformazione e assumere le caratteristiche di cellula tumorale. Perché ciò avvenga è di regola necessario che il genoma virale completo o una sua parte rimanga in forma episomica o integrato nel DNA della cellula.
La trasformazione tumorale si stabilisce in due fasi successive, nella prima delle quali la cellula acquisisce la capacità di moltiplicarsi indefinitamente (immortalizzazione). Nelle cellule immortalizzate può, quindi, verificarsi un secondo evento (promozione) che fa loro perdere la cosiddetta inibizione da contatto, un fenomeno per cui esse smettono di dividersi quando si trovano a contatto con altre cellule adiacenti. È stato accertato recentemente che i virus, attraverso meccanismi complessi, possono influire su entrambe le fasi.
In generale si può affermare che i virus sono in una continua evoluzione genetica che tende a un sempre migliore adattamento al proprio ospite, processo che inizia in maniera casuale durante la replicazione. Se il cambiamento genetico non altera la capacità riproduttiva del virus, esso si potrà trasmettere alla progenie virale ed eventualmente stabilizzarsi nella popolazione. I cambiamenti genetici che ledono in maniera significativa la capacità replicativa del virus risultano eliminati dalla popolazione virale. Anche le alterazioni che causano lievi danni alla capacità replicativa virale tendono a essere eliminate perché il virus originario si replica con maggiore velocità o efficienza. Tuttavia, se sussiste una condizione esterna (per es. la presenza di un farmaco antivirale) che conferisce al variante (per es. un ceppo resistente al farmaco) un vantaggio rispetto alla popolazione originaria, la popolazione mutata si affermerà rapidamente sostituendosi a quella preesistente. Tra i meccanismi responsabili di alterazioni ereditarie delle caratteristiche virali il più frequente è rappresentato dalle mutazioni puntiformi, le quali sono dovute generalmente a errori nell'incorporazione di un nucleotide nel corso della replicazione del genoma e la cui frequenza dipende, quindi, dall'accuratezza degli enzimi impegnati nella replicazione del virus. I virus che utilizzano una DNA polimerasi presentano una frequenza di mutazione relativamente bassa, perché questi enzimi possiedono la capacità di correggere eventuali errori commessi durante la copiatura dello stampo.
I virus che utilizzano come enzima replicativo una RNA polimerasi sono invece privi di attività di correzione e pertanto sono più esposti a errori di copiatura. Nelle popolazioni virali già adattate all'ospite, di regola, si è già selezionata quella più idonea, per cui raramente le mutazioni che intervengono risultano vantaggiose, ma sono nella maggioranza dei casi indifferenti, letali o parzialmente deleterie. Una mutazione indifferente o parzialmente deleteria può conferire al virus che la possiede un vantaggio selettivo in alcune situazioni in cui il ceppo selvaggio è svantaggiato, come per es. in presenza di un farmaco attivo solo se il gene in questione è nella sua conformazione originaria, o nel caso in cui l'ospite sviluppa una risposta immunitaria verso il determinante antigenico originario. In questo caso, le varianti virali si affermeranno tanto più rapidamente quanto più grande sarà il vantaggio selettivo conferito dalla mutazione. Il fenomeno relativo all'accumulo progressivo di mutazioni, con conseguente variazione antigenica, è indicato come deriva antigenica. Quando due virus con differenze genetiche coinfettano la stessa cellula, possono andare incontro a ricombinazione, cioè allo scambio di tratti omologhi di materiale genetico, da cui consegue un cambiamento radicale delle caratteristiche genetiche della popolazione virale. Per i virus a DNA questo fenomeno si verifica per interruzione e risaldatura di segmenti neosintetizzati, mentre per i virus a RNA la ricombinazione avviene durante la replicazione, per salto dell'enzima replicativo da un filamento/stampo a un altro. Il riassortimento genomico è un tipo estremo di ricombinazione che si può verificare per i virus che possiedono un genoma organizzato in segmenti distinti (Orthomyxoviridae, Reoviridae ecc.).
La cellula infettata contemporaneamente da due virus diversi con genoma segmentato contiene segmenti di entrambi i virus parentali, che, durante il montaggio e la maturazione, possono essere casualmente distribuiti nei virioni di progenie. Ne risulteranno, quindi, virioni dalle caratteristiche intermedie tra i due virus parentali e, se queste conferiscono un vantaggio selettivo, i virus ricombinanti verranno favoriti dalla selezione. Il fenomeno, analogo alla segregazione indipendente dei cromosomi negli eucarioti, viene anche definito mescolamento genotipico. I virus ricombinanti possono differire sensibilmente dai virus parentali, dal punto di vista sia antigenico sia biologico. Così, mentre da una parte un cambiamento antigenico profondo (chiamato shift antigenico) può trovare l'ospite abituale privo di difese immunitarie specifiche, dall'altra i virus ricombinanti possono invadere nuove nicchie replicative in ospiti differenti. Alcuni virus possono utilizzare funzioni di altri virus della stessa specie oppure di specie affini quando presenti contemporaneamente nella stessa cellula ospite. Questo fenomeno, detto complementazione, può riattivare infezioni sostenute da virus difettivi, ma non è stabile, in quanto la progenie a sua volta mancherà della funzione genetica mutuata dal virus complementante, comunemente chiamato helper. Alcuni virus stabiliscono un rapporto di parassitismo stabile (virus satelliti) con altri virus non necessariamente affini, derivando da questi alcune funzioni delle quali sono privi, come la glicoproteina dell'involucro nel caso del virus dell'epatite Delta (HDV, Hepatitis D virus), che viene fornita dal virus dell'epatite B (HBV, Hepatitis B virus).
La patogenesi è il processo attraverso il quale un'infezione virale provoca una malattia. In genere, essa è legata da un lato all'attività patogena del virus, dall'altro alla permissività, o meno, dell'ospite e dei suoi organi. La patogenesi comprende cinque eventi principali: l'ingresso del virus nell'ospite; la replicazione nella sede di primo impianto, che può coincidere o meno con il sito di ingresso; la diffusione dalla sede di impianto; la disseminazione agli organi bersaglio; l'eliminazione del virus dall'organismo. I virus possono penetrare nell'organismo per via respiratoria, o gastrointestinale, o genitale, oppure attraverso lesioni della cute provocate da insetti, animali, strumenti medico-chirurgici o traumi. Quando il virus trova cellule sensibili nel sito di ingresso inizia a moltiplicarsi, diffondendosi localmente nelle cellule vicine, altrimenti esso può migrare, trasportato dai fluidi organici, fino a trovare cellule nelle quali replicarsi. Questo secondo meccanismo è ovviamente assai meno efficiente. I virioni prodotti nella sede di impianto possono continuare a diffondersi nella sede stessa, estendendo l'infezione nell'ambito del medesimo organo o apparato, oppure migrare a distanza.
La via più comune di diffusione sistemica è quella ematica, che il virus raggiunge nella maggior parte dei casi attraverso i vasi linfatici (viremia). La diffusione per via ematica può anche avvenire tramite meccanismi naturali (insetti ematofagi) o artificiali (trasfusioni). Alcuni virus possono invece diffondersi per via nervosa, utilizzando i nervi periferici per raggiungere il sistema nervoso centrale, che per essi rappresenta l'organo bersaglio. I virus che si diffondono per via viremica possono raggiungere vari organi, dei quali vengono però definiti arbitrariamente organi bersaglio soltanto quelli in cui la moltiplicazione virale conferisce all'infezione la sintomatologia clinica considerata caratteristica. Particolare bersaglio di infezioni virali è il feto, che risulta vulnerabile, soprattutto nei primi tre mesi di gestazione, ad alcune forme, come per es. quelle da virus della rosolia o da Cytomegalovirus contratte dalla madre. Le conseguenze possono essere difetti di sviluppo che, se compatibili con la sopravvivenza del feto, possono manifestarsi dopo la nascita come malformazioni di varia gravità. Di grande importanza, non soltanto per la diffusione dell'infezione, ma anche per impostare le strategie di prevenzione, sono le vie di eliminazione virale. Nella maggior parte dei casi l'eliminazione avviene attraverso la via respiratoria, il canale digerente, o l'apparato urogenitale. Nelle infezioni acute l'eliminazione del virus può, a seconda dei casi, avvenire solo durante la fase prodromica (per es. nel morbillo), proseguire per un certo tempo anche dopo la guarigione clinica (nelle infezioni da Enterovirus) oppure coincidere con la fase clinica (per es. varie infezioni respiratorie).
La maggior parte delle infezioni virali si estingue con la guarigione e la scomparsa del virus dall'organismo. In altri casi, invece, l'infezione diventa persistente. Le infezioni persistenti si distinguono in: latenti, quando il virus non è rilevabile negli intervalli tra successive recidive, come nelle infezioni da Herpesvirus; croniche, quando, dopo l'infezione acuta, la replicazione virale continua indefinitamente in genere a basso livello, per es. nell'infezione da HIV (Human immunodeficiency virus); lente, caratterizzate da un lunghissimo periodo di incubazione in cui l'agente non è rilevabile con i comuni metodi di indagine, quali le infezioni lente del sistema nervoso centrale.
Le malattie da virus possono essere classificate sulla base degli organi bersaglio interessati dall'infezione.
a) Infezioni dell'apparato cardiorespiratorio. Le infezioni virali dei vasi e del cuore non sono state ancora clinicamente inquadrate con la stessa chiarezza di quelle che interessano altri apparati. Il motivo è certamente da attribuirsi al fatto che l'apparato cardiocircolatorio può essere occasionalmente interessato da vari virus senza però rappresentare, per nessuno di essi, il principale organo bersaglio. Le infezioni respiratorie, di gran lunga le più frequenti affezioni dell'uomo, sono per la maggior parte sostenute, o quanto meno iniziate, da virus. Senza contare i virus che utilizzano le prime vie aeree come porta di ingresso e sede di impianto per poi diffondersi al resto dell'organismo, vi sono almeno duecento tipi di virus differenti che possono stabilire infezioni respiratorie, i più importanti dei quali, per la gravità delle malattie che possono dare nell'uomo, sono i virus influenzali e il virus respiratorio sinciziale, con mortalità relativamente elevata, rispettivamente, negli anziani e nei bambini.
b) Infezioni del sistema nervoso. Le infezioni virali del sistema nervoso sono rappresentate in linea di massima da rare, ma spesso gravissime, complicanze di infezioni sistemiche. La rarità è dovuta verosimilmente al fatto che il sistema nervoso centrale è efficacemente protetto dalla barriera ematoencefalica, mentre la gravità è da attribuire, almeno in parte, al fatto che il sistema nervoso centrale non possiede un sistema immunitario intrinseco e che il traffico di quello sistemico è ostacolato dalla barriera ematoencefalica. Le manifestazioni cliniche a carico del sistema nervoso centrale possono generalmente presentarsi sotto forma di meningiti, encefaliti, paralisi e affezioni neurologiche progressive a lungo decorso. I principali virus coinvolti in questo contesto sono i virus erpetici, il virus del morbillo, l'HIV e alcuni tra i Picornavirus, i Togavirus e i Flavivirus.
c) Infezioni della cute e delle mucose. La cute e le mucose costituiscono generalmente una valida barriera alla penetrazione dei virus, essendo ricoperte la prima di uno strato impermeabile di cellule morte e le seconde di uno strato di muco continuamente sospinto verso l'esterno dal movimento ciliare. Tuttavia interruzioni della continuità possono aprire la via alla penetrazione dei virus e far sì che la stessa cute e le mucose possano divenire bersaglio e sede di infezioni virali localizzate (per es. sostenute da Herpesvirus e Papillomavirus). Talvolta la cute e le mucose possono essere sede della localizzazione di infezioni provenienti da altri distretti dell'organismo, come nel morbillo, rosolia, varicella-zoster, Herpes simplex, Herpesvirus 6, Enterovirus, Arbovirus, Parvovirus B19 e alcuni Poxvirus.
d) Infezioni dell'apparato digerente. Molti virus possono trovarsi nei diversi siti dell'apparato digerente, in vari casi utilizzandolo come mezzo di diffusione nell'ambiente, senza però produrre alcuna alterazione patologica clinicamente evidente: per es., tutti gli Enterovirus sono eliminati con le feci senza causare di solito manifestazioni di tipo enterico. Rilevare la presenza di un virus in questo distretto non autorizza quindi necessariamente ad attribuirgli la responsabilità eziologica dell'episodio in atto. Tra i virus responsabili delle infezioni del cavo orale si ricordano Herpes simplex di tipo I, alcuni Enterovirus e il virus di Epstein-Barr. Tra i virus che mostrano tropismo per l'apparato intestinale, causando talvolta gravi enteriti, possono essere citati i Rotavirus, il virus Norwalk e gli Adenovirus enterici. I Papovavirus possono invece interessare il tratto distale dell'intestino. Il coinvolgimento del fegato può occasionalmente avvenire nel corso di infezioni da vari virus, detti appunto virus epatitici minori per differenziarli dai virus epatitici propriamente detti, che hanno invece il fegato come principale organo bersaglio (v. fegato). Tra i virus minori (parotite, morbillo, Coxsackie, Epstein-Barr, Herpesvirus, Adenovirus, Cytomegalovirus), la localizzazione epatica è di regola un epifenomeno nel quadro clinico della malattia di base. I virus epatitici veri e propri, con prevalente o esclusivo interessamento epatico, sono i virus dell'epatite A, B, C, D ed E. Essi appartengono a famiglie diverse e hanno caratteristiche genetiche e biologiche differenti; possono tuttavia essere suddivisi in: virus che danno esclusivamente epatiti acute (virus A ed E a trasmissione orofecale) e virus che tendono a produrre forme croniche di infezione (virus B, C e D a trasmissione parenterale). Sono stati recentemente identificati il virus epatotropo, definito virus G, la cui attività patogena è ancora incerta e il TTV (Transfusion trasmitted virus; v. epatite).
e) Infezioni a carico del sistema linfoide ed ematopoietico. I virus entrano nel sistema circolatorio tramite drenaggio linfatico di tessuti infetti. Altri virus possono essere introdotti direttamente in circolo, tramite inoculazione da Artropodi, o da traumi causati da animali od oggetti infetti, o per introduzione di sangue, emoderivati o tessuti umani infetti. Le patologie associate alla replicazione dei virus al livello del sistema linfoide ed ematopoietico sono le sindromi linfoproliferative (principalmente causate da virus di Epstein-Barr, Cytomegalovirus e Herpesvirus 6 e 7), aplasie e leucopenie (principalmente da Parvovirus B19 e HIV), linfomi e leucemie (principalmente dai virus HTLV-I e II, Human T-cell leukemia virus).
f) Infezioni fetali e perinatali. I virus più comunemente trasmessi durante la gestazione sono il virus della rosolia, il Cytomegalovirus, l'HIV e, in misura molto minore, il virus varicella-zoster, i virus dell'epatite B e C e l'Herpes simplex, che possono essere invece trasmessi per infezione perinatale. Nella maggior parte di questi casi il virus, proveniente dal torrente circolatorio, attraversa la placenta e si impianta nei tessuti fetali in rapida crescita, determinando un danno che è tanto più grave quanto più precoce è lo stadio di sviluppo fetale. Tuttavia non tutte le infezioni fetali hanno effetti devastanti e in alcuni casi l'unica testimonianza dell'avvenuta trasmissione fetale è la persistente eliminazione di virus da parte del neonato per un lungo periodo dopo la nascita.
La lotta contro le infezioni virali può essere condotta con molteplici strategie, per es. impedendo le nuove infezioni mediante operazioni di bonifica che eliminino il virus dall'ambiente, rendendo la popolazione resistente all'infezione e alla malattia tramite immunoprofilassi passiva (somministrazione di immunoglobuline) o attiva (vaccinazione), oppure ostacolando la replicazione del virus nei soggetti infetti attraverso la somministrazione di farmaci antivirali. La bonifica si applica con successo quando il virus venga trasmesso all'uomo per contaminazione fecale dell'ambiente o tramite un vettore animato (in genere insetti ematofagi). Nel primo caso occorre predisporre adeguati sistemi di depurazione dei liquami prima che questi siano immessi nell'ambiente. Nel secondo si dovrà eliminare il vettore alterando la sua sfera ecologica o/e con periodiche campagne di disinfestazione. La bonifica non è invece applicabile nelle infezioni virali a trasmissione interumana diretta. L'immunizzazione passiva con la somministrazione di immunoglobuline è possibile, in linea di massima, quando le immunoglobuline contengano alti titoli dell'anticorpo neutralizzante voluto, se la malattia si sviluppa obbligatoriamente attraverso il passaggio del virus nel torrente circolatorio (viremia) oppure quando la somministrazione venga effettuata prima della fase viremica. Quando sussistono tutte queste condizioni, l'immunoprofilassi passiva è efficace entro un periodo massimo di 3-4 settimane.
L'immunoprofilassi attiva si realizza invece mediante vaccinazione (v. vaccino). I vaccini possono essere inattivati - comprendendo tra questi anche quelli a subunità - o viventi attenuati. Condizione essenziale per il successo dei vaccini inattivati è la loro capacità di indurre uno stato immunitario efficace, di volta in volta condizionato dalla presenza di anticorpi circolanti o secretori, oppure di linfociti citotossici. Il vantaggio è rappresentato da una maggiore sicurezza rispetto ai vaccini viventi, mentre lo svantaggio è generalmente dovuto a una minore durata della protezione immunitaria e quindi alla necessità di somministrazioni di richiamo.
I vaccini viventi attenuati stabiliscono un'infezione simile a quella naturale, ancorché pauci- o asintomatica, e inducono una risposta immunitaria completa e generalmente di lunga durata o permanente. Lo svantaggio è rappresentato dalla possibilità, seppure remota, che il virus vaccinale perda l'attenuazione e stabilisca una malattia analoga a quella naturale. Incidenti di questo tipo si verificano in media in un paziente ogni 1-2 milioni di vaccinati. La terapia di varie infezioni virali è oggi possibile grazie all'introduzione di numerosi farmaci capaci di inibire selettivamente la replicazione virale senza interferire con le funzioni dell'ospite. Poiché i virus utilizzano per replicarsi i meccanismi biosintetici ed energetici della cellula, è molto difficile sviluppare farmaci dotati di un sufficiente grado di selettività.
Le recenti acquisizioni sulle caratteristiche molecolari di molti virus stanno però consentendo di ottenere farmaci capaci di 'mirare' a strutture e funzioni virali senza interferire con i meccanismi cellulari. La ristrettezza del bersaglio sensibile al farmaco, tuttavia, rende facile al virus modificarlo per mutazione e al farmaco di selezionare i mutanti resistenti. Il problema può essere ridotto, se non eliminato, con l'impiego simultaneo di più farmaci, specialmente se dotati di differente meccanismo d'azione. La terapia delle infezioni virali può essere effettuata anche con inibitori biologici, in particolare con interferoni. Le caratteristiche farmacologiche di questo inibitore biologico ne hanno finora limitato l'impiego ad alcune infezioni a decorso cronico; esso è diventato il farmaco di scelta per l'epatite cronica attiva da virus B e C.
F. Dianzani et al., Manuale di virologia medica, Milano, McGraw-Hill Libri Italia, 1997.
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