VISCONTI
Dinastia di signori (1310-1447) e, dal 1395, duchi di Milano (v.), che soppiantarono i Torriani, già signori di questa città, inizialmente nel 1287 e definitivamente nel 1310.
Il dominio dei V. si estese alle od. regioni di Lombardia, Piemonte orientale, Veneto ed Emilia-Romagna occidentali, allargandosi fino a Bellinzona, Bologna, Genova e alla Toscana nei momenti di massima espansione. Parallelamente all'affermazione dei V. si ebbe il rilancio mercantile, e un ceto di cortigiani, funzionari, giuristi, militari e personale amministrativo ruotò intorno alla corte (Mainoni, 1989). Alla morte di Gian Galeazzo, nel 1402, Milano era una capitale europea, trasformata da un secolo di dominio improntato alla magnificenza e a un forte senso dell'immagine (Cassanelli, 1995), particolarmente illuminato sul piano urbanistico e delle arti. La politica urbanistica fu di tipo tirannico (Green, 1990), nello spirito del governo signorile, con interventi sulle difese esterne (poderose roccheforti) e piani edilizi di grande prestigio, quali la costruzione delle proprie dimore, il rafforzamento delle cerchie murarie, la fondazione della nuova cattedrale (Boucheron, 1998). Anche le città che via via entrarono a far parte dello Stato milanese mutarono, con la costruzione di broletti simili a quello di Milano, il rafforzamento e spesso la deviazione delle mura cittadine (v. Pavia). Analogamente magnifica era la politica artistica, per un personale gusto per la ricchezza e lo sfarzo e a fini d'immagine.
Nel sepolcro in marmo rosso di Verona, di Ottone V. (m. nel 1295), arcivescovo di Milano e fondatore della dinastia - oggi nella seconda campata sud del duomo milanese, con il ritratto del defunto giacente e i simboli degli evangelisti di maestranza campionese, di fine Duecento -, volle essere sepolto anche l'arcivescovo Giovanni V. (1339-1354), che pure aveva unito la signoria alla massima carica ecclesiastica, ridando lustro a una fortissima tradizione milanese. Si legano a Ottone anche gli affreschi nell'ala viscontea della rocca di Angera (prov. Varese), commemoranti la sua presa di potere in seguito alla battaglia di Desio del 1277, sia che si tratti di un'autocelebrazione (Lollini, 1993) sia di un omaggio retrospettivo di Matteo V., al potere dal 1287 al 1302, con interruzioni, e dal 1311 al 1322.
Per impulso di Matteo, a Milano venne costruita la loggia degli Osii (1314-1316): nelle nove statue, nelle nicchie del terzo registro, si osservano graduali passaggi, dalle forme più rudi delle prime, in direzione naturalistica (S. Ambrogio), da riferire (Previtali, 1975) a una fase più matura del capobottega Ugo da Campione e/o al verosimile intervento del figlio Giovanni; mentre Fiorio (1988) individua piuttosto un Primo e un Secondo Maestro della loggia degli Osii.
Un monumento che per il significato storico-simbolico godette ripetutamente delle cure dei V. fu il duomo di Monza (Cassanelli, 1995; Ille Magnus Edificator, 1999): Matteo, fra l'altro, nel 1319 ne riscattò il tesoro (Monza, Mus. del Duomo), sottratto dai Torriani nel 1279. Lo stesso Matteo dal 1290 finanziò lavori di ampliamento in S. Eustorgio a Milano, che fungeva da tempo da chiesa sepolcrale per i Visconti. Si deve alla moglie Bonacossa Borri, nel 1321 (Seiler, 1994), la fondazione della cappella viscontea, intitolata a s. Tommaso d'Aquino, nella stessa chiesa domenicana.
Si deve ad Azzone (1329-1339), che ebbe importanti rapporti con Pisa, l'apertura alla grande cultura gotica toscana, con la chiamata di Giovanni di Balduccio (v.), probabilmente verso il 1334, e di Giotto (v.) nel 1335. Azzone promosse grandi imprese urbanistiche - quelle dei centri cittadini di Como e Parma; il campanile di S. Maria Maggiore a Milano e la sistemazione dell'attigua area mercantile; l'edificazione di strade, canali e ponti; la ricostruzione delle mura urbiche - quasi completamente perdute, come il fastoso palazzo costruito sull'area dell'antico broletto comunale milanese, presso la cattedrale di S. Maria Maggiore. Ripetutamente rimaneggiato e - fatta eccezione per la cappella di palazzo, S. Gottardo in Corte, del 1336 - distrutto nel 1770, l'edificio è noto dalla descrizione di Galvano Fiamma (Opusculum de rebus gestis ab Azone, Luchino et Iohanne Vicecomitibus). Docente di filosofia morale all'Università di Pavia e in S. Eustorgio, consigliere di Giovanni, egli fu il cronista dei V., autore di una fonte preziosa su quegli anni, che contiene la citata descrizione della cappella palatina di S. Gottardo in Corte, scrigno di fulgenti tesori e manifesto dell'estetica dei signori milanesi. L'accento è posto sulla meraviglia e l'enorme valore economico di decorazioni e arredi, quali ammirevoli pitture dai colori preziosi, dossali e pulpiti eburnei, calici e croci ornati di perle.In precedenza era stata affrescata la volta della cappella V. in S. Eustorgio, con gli evangelisti, di matrice bolognese (Boskovits, 1989), dove si pose in seguito la sepoltura di Stefano (m. nel 1327), figlio di Matteo e padre di Galeazzo II e Bernabò, opera di Bonino da Campione (v.), commissionata dalla sposa Valentina Doria, che vi venne deposta nel 1356. Nella stessa chiesa qualche decennio dopo fu affrescato il ciclo con il Trionfo di s. Tommaso d'Aquino.
Scritta a Milano e dedicata ad Azzone è anche la splendida copia del 1331 del Liber Pantheon di Goffredo da Viterbo (Parigi, BN, lat. 4895), illustrata in parte da un bolognese, in parte da un grande maestro che, seppur legato a Bologna, può essere considerato il fondatore della miniatura gotica in Lombardia.Rientra nella politica viscontea di finanziamenti ai Domenicani anche il capolavoro milanese di Giovanni di Balduccio, l'arca di S. Pietro Martire, del 1339, nella cappella Portinari in S. Eustorgio, commissionata dall'Ordine anche al fine di un restauro d'immagine dell'inviso inquisitore Pietro da Verona, ucciso in un'imboscata (cosicché era stato possibile farne un 'martire'). Di stile assai nobile ed elevato, le eleganti figure femminili, personificazioni delle Virtù, sono un'affermazione programmatica per Milano della nuova arte toscana. Un tono più piano è nelle Storie della vita del santo, con l'intento di avvicinare al pubblico lo scomodo frate, già spiegato con un intervento di aiuti più esteso di quanto non sia.Una grandiosa impresa che la morte (a trentasei anni) impedì ad Azzone di vedere terminata fu il potenziamento della cinta muraria urbana. Giovanni di Balduccio progettò e iniziò a dirigere i lavori dei tabernacoli di coronamento delle porte, ornati con statue della Vergine con il Bambino, S. Ambrogio offerente il modellino della rispettiva porta e i santi protettori dei rioni. La sua mano si riconosce nel tabernacolo di porta Ticinese, realizzato per primo: in parte della Vergine e del S. Pietro Martire (Milano, Castello Sforzesco, Mus. d'Arte Antica), la cui testa smontabile documenta la divisione del lavoro a livello esecutivo. Si devono alla bottega le sculture delle porte Orientale e Comasina; mentre alla direzione dei lavori delle ultime tre, Romana, Nuova e Vercellina subentrò un altro grande scultore, il lombardo Maestro della Lunetta di Viboldone (Fiorio, 1991), forse il miglior allievo lombardo di Giovanni di Balduccio, che temperò la monumentalità campionese con la delicatezza di Giovanni, con inedita freschezza. Si deve a Giovanni e alla sua bottega anche il sepolcro, rimaneggiato, di Azzone a S. Gottardo in Corte (un disegno ne restituisce, non fedelmente, la struttura; Giulini, 1771), terminato per cura dei successori: infatti comprende, tra le belle personificazioni delle città assoggettate - cui Azzone seppe fare concessioni, ottenendone solidarietà - anche Bobbio e Asti, vinte da questi ultimi nel 1342.Giotto, di cui Azzone V. intese servirsi anche per consulenze architettoniche, giunse a Milano in missione diplomatica di pace, non inconsueta per l'artista. Nulla resta degli affreschi con l'Allegoria delle glorie mondane, comprendente Enea, Ettore, Ercole, Attila, Carlo Magno, Azzone e la personificazione della Gloria terrena in trionfo, tesi all'esaltazione delle virtù militari e politiche di Azzone attraverso la rievocazione di grandi condottieri dell'Antichità, che Giotto dipinse nel palazzo dei V. (Gilbert, 1977), forse richiesto di un'opera simile al ciclo degli Uomini illustri, scomparso, che aveva dipinto per Roberto d'Angiò (m. nel 1343) nella sala maggiore di castel Nuovo a Napoli.
Resta la rovinatissima Crocifissione in S. Gottardo in Corte, per lo più accostata a Puccio Capanna, di cui si intravede ancora "la fusa dolcezza degli impasti cromatici" (Castelfranchi Vegas, 1988, p. 155), nonostante la caduta delle velature a secco, cui erano affidati i delicati effetti finali di modellato, e delle splendenti incrostazioni in lamine metalliche. A favore di Puccio si potrebbero forse sciogliere le ultime riserve, anche ricordando, da un lato, che il pittore riprodusse più volte, secondo Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 113), una croce di Giotto "dal quale Puccio Capanna, pigliando il disegno, molti per tutta Italia ne lavorò", e osservando, d'altra parte, la sovrapponibilità, comprovante l'uso dello stesso disegno, in S. Gottardo in Corte e nel Cristo della Crocifissione nella sala capitolare del Sacro Convento di S. Francesco ad Assisi (Castelfranchi Vegas, 1988, figg. 2-3; Cassanelli, 1993, figg. 21-22).Successero ad Azzone l'arcivescovo Giovanni e Luchino (1339-1349). Resti frammentari di affreschi pertinenti al palazzo arcivescovile di Giovanni, oggi di difficile lettura, sono stati studiati da Castelfranchi Vegas (1988) e da Cassanelli (1993). Alla morte di Giovanni andarono al potere i tre figli di Stefano: Matteo II, presto eliminato (m. nel 1355), Galeazzo II (m. nel 1378) e Bernabò (m. nel 1385).Galeazzo II governò la parte occidentale, dal 1359 fu a Pavia, dove fondò il castello nel 1360 (v. Bernardo da Venezia), e sposò Bianca di Savoia (m. nel 1387); Bernabò resse invece la parte orientale e sposò Beatrice Regina Della Scala (m. nel 1384). Iniziato a ristrutturare, nel 1358, il castello di porta Nuova, costruito da Luchino, Bernabò diede poi il via alla edificazione di quello di porta Romana. Galeazzo II fondò in seguito, nel 1368, al lato opposto di Milano, il primo nucleo del castello (poi Sforzesco), separato dalla città, a sottolineare il mutato concetto dello Stato e dell'esercizio del potere rispetto al periodo comunale.Fondamentale fu il ruolo di Francesco Petrarca, che soggiornò ripetutamente a Milano dal 1353 e a Pavia (Bertelli, 1989), come negoziatore della pace tra l'impero e i V.; e dall'incontro mantovano con l'imperatore Carlo IV di Lussemburgo nel 1354 riportò monete con effigi di imperatori, che poterono contribuire a ispirare a Galeazzo II il desiderio di farsi ritrarre nei panni di Cesare (Lucano, Pharsalia; Madrid, Bibl. Nac., 601, c. 1). Sono qui da ricordare sia il ruolo avuto dal poeta nel 1365-1370 nello sviluppo dell'università pavese sia la fondazione, secondo la tradizione, della biblioteca viscontea. Petrarca ebbe con sé anche molti manoscritti degli amati classici che poi, donati ai V., andarono a costituire uno dei primi raffinati fondi della biblioteca. Il collezionismo visconteo si segue bene nella vicenda della biblioteca.L'impulso di Petrarca trovò terreno fertile nell'amore per i libri di Galeazzo II, cui poteva essere ispirato dai suoi rapporti con i Savoia e con il re di Francia e dalla moglie. Bianca di Savoia fece acquistare manoscritti a Parigi, chiamò a corte illustratori francesi e fu committente di copie pavesi di libri francesi, come l'Evangelica historia (Milano, Bibl. Ambrosiana, L.58 sup.), il Trésor di Brunetto Latini (Parigi, BN, fr. 1110) e i Sermons di Maurice de Sully (Parigi, BN, fr. 137), promuovendo il clima di scambi, per es. l'introduzione di elegantissime bordure alla francese nei libri miniati lombardi, che contò tra gli esemplari più alti la decorazione marginale della Naturalis Historia di Plinio con le illustrazioni di Pietro da Pavia, del 1389, miniato per Pasquino Capelli (Milano, Bibl. Ambrosiana, E.24 inf.). La sua impresa più ambiziosa è il famoso libro d'ore (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 23215), opera del miniatore Giovanni di Benedetto da Como (v.) e bottega, cui forse fu dato da imitare un codice inglese (Sutton, 1989), avuto in dono per le nozze della figlia Violante nel 1368 con Lionel duca di Clarence, figlio di Edoardo III d'Inghilterra. Si devono a Galeazzo II il codice miscellaneo con gli Strategemata di Frontino (Parigi, BN, lat. 7242), la citata Pharsalia di Madrid e il Missale in festivitate Sancti Bernardi (Parigi, BN, lat. 1142).Nel quadro degli appoggi al cenobio di S. Pietro in Ciel d'Oro a Pavia, sede dello scriptorium e attiguo al castello appena costruito, venne portata avanti anche l'arca di S. Agostino (Pavia, S. Pietro in Ciel d'Oro, altare maggiore), ancora un vecchio progetto di Giovanni di Balduccio, che ripeté amplificandola quella di S. Pietro Martire. Condotta sostanzialmente quasi a termine entro gli anni ottanta, l'opera è ancora menzionata nel testamento di Gian Galeazzo del 1397.Bernabò, che finì imprigionato e fatto assassinare dal nipote Gian Galeazzo, fu un tiranno crudele e temuto, ma ammirato. Alla moglie Beatrice Regina Della Scala affidò funzioni governative nelle città di Brescia e Reggio Emilia. La coppia Bernabò-Regina si segue nell'attività costruttiva (Vincenti, 1981; Pizzagalli, 1994) rispettivamente di roccheforti: la cittadella di Bergamo, Somaglia, Cusago e Trezzo sull'Adda; di fortificazioni delle rocche: Melegnano, Lodi, Castelnuovo Bocca d'Adda, Cassano d'Adda, Carimate (prov. Como), Pizzighettone (prov. Cremona); e di residenze castellane: Pandino (prov. Cremona) e Sant'Angelo Lodigiano (prov. Lodi). Bernabò amò identificarsi con gli eroi dei romanzi cavallereschi (diede nome Isotta, Lionella e Lancillotto a tre dei suoi figli naturali) e, oltre a una copia del Liber iudiciorum et consiliorum di Alfodhol de Merengi (Parigi, BN, lat. 7323), un trattato di astrologia riccamente decorato, possedette uno dei più splendidi romanzi cavallereschi illustrati, il Guiron le Courtois (Parigi, BN, nouv. acq. fr. 5243), degli anni settanta, che reca il suo monogramma e il biscione dei V. (Dix siècles, 1984; Sutton, 1991). Nel 1362 Pietro Azario (Chronicon de gestis principum Vicecomitum) descrisse, troneggiante nell'abside della chiesa milanese di S. Giovanni in Conca, che Bernabò fece restaurare e abbellire (Tagliabue, 1989), il suo impressionante simulacro marmoreo su uno splendido cavallo da guerra, di Bonino da Campione, in seguito montato a coronamento della tomba (Milano, Castello Sforzesco, Mus. d'Arte Antica).Studi recenti portano nuova luce su Bonino da Campione (Bellingeri, 1996; Cavazzini, 1997a; 1997c), lo scultore ufficiale di corte, sull'onda di un'intuizione di Previtali (1990) che ha puntato l'attenzione su alcune splendide piccole Madonne (Milano, S. Maria Segreta; coll. privata). I suoi caratteri più schietti - naturalezza e capacità di sintesi, grazia e dolcezza espressiva - si sono dovuti discernere nella mole di opere, di qualità non altissima, che vanno sotto il suo nome, comprese le documentate o firmate, condotte quasi in serie dalla bottega. Formatosi verosimilmente a fianco del Maestro della Lunetta di Viboldone, di cui poteva essere un più giovane compagno, Bonino fece la sua prima comparsa documentata nel 1357 a Cremona, firmando due opere importanti in duomo: l'arca, perduta, di S. Omobono e l'arca di Folchino degli Schizzi, già vicario e procuratore di Giovanni Visconti. Dieci anni ca. dopo la statua equestre di Bernabò V., Bonino da Campione si riconfermò scultore di corte a livello internazionale nell'altro complesso più ambizioso, documentato: l'arca di Cansignorio della Scala (m. nel 1375) nell'area esterna di S. Maria Antica a Verona.Fu prodotta dalla bottega una serie di tombe di nobili dell'entourage dei V., in cui si ripete la richiestissima Commendatio animae del sepolcro di Folchino degli Schizzi: il committente di turno, spesso in vesti di cavaliere, è presentato a Gesù sorretto dalla Vergine sorridente e benevola. Alcune risultano più riuscite, segno che il capobottega vi condusse un più serrato controllo sugli aiuti - quali il sarcofago di Stefano da Fagnano, del 1376 (Milano, Castello Sforzesco, Mus. d'Arte Antica) -, altre mediamente, come la tomba di Protaso Caimi, milite al tempo di Luchino e Bernabò (Milano, S. Eustorgio).
Il collezionismo di Gian Galeazzo si segue bene nella biblioteca, poi famosa in tutta Europa (nell'inventario del 1426 sfiorò il migliaio di volumi), già al suo tempo seconda solo a quella del re di Francia Carlo V il Saggio. Il figlio della coppia bibliofila, Gian Galeazzo, volle emulare i regnanti europei, cui i V. si andarono legando con abile politica matrimoniale: solo tra le figlie di Bernabò, Verde (m. nel 1414) sposò Leopoldo III, fratello di Rodolfo IV d'Austria; Taddea (m. nel 1381), Elisabetta (m. nel 1432) e Maddalena (m. nel 1404) sposarono tre duchi di Baviera; Agnese (m. nel 1391) si unì in matrimonio con Francesco Gonzaga; Lucia (m. nel 1424) sposò Edmondo IV, duca di Kent. Gian Galeazzo - sposata nel 1360 Isabella di Valois (m. nel 1372), figlia del re di Francia, e poi la cugina Caterina (m. nel 1404) - diede in moglie la figlia Valentina (m. nel 1408) al duca Luigi d'Orléans. Doni, acquisti, come il bolognese De natura deorum di Cicerone (Parigi, BN, lat. 6340) - cui fece aggiungere il noto frontespizio araldico del Maestro del De natura deorum - e spoliazioni, come per le biblioteche di Scaligeri e Carraresi, incamerate con la conquista di Verona e di Padova nel 1387-1388, e per quella dell'umanista Pasquino Capelli, suo cancelliere 'traditore', incrementarono sostanziosamente la biblioteca. I codici commissionati direttamente dai V. sono la minoranza (Sutton, 1993), ma grande fu l'effetto trainante sulla corte.Sullo sfondo dello scenario principale si legano a membri della corte molte opere: una cappella affrescata, un sepolcro scolpito o un manoscritto riccamente illustrato divennero il segno della posizione raggiunta nella società viscontea. La cappella viscontea in S. Eustorgio sembra fare da capofila a una serie di cappelle affrescate, che fiorì in particolare nel territorio, per volontà delle famiglie più influenti: i Porro, a Lentate su Seveso e a Mocchirolo; i Birago, a Solaro; i V. di Cassano Magnago, ad Albizzate (prov. Varese). Vi si osservano, amplificate, le formule collaudate nei sepolcri: crocifissioni nella parete dell'altare e storie della vita del santo protettore e/o i maggiorenti delle famiglie in adorazione del santo o della Vergine con il Bambino. La formula è poi divulgata in versioni meno raffinate, per es. dal pittore bergamasco Pacino de Nova, nella sala capitolare dell'ex convento di S. Francesco di Bergamo, per la famiglia Cazani, intorno agli anni ottanta (Travi, 1988), se non sono da ascrivere a Pacino già gli affreschi di Mocchirolo (Galli, 1993). Se i grandi cortigiani gareggiarono tra loro nell'imitare i V., il ceto medio tentò di emulare i vari Porro. Nei molti affreschi votivi nel chiostro di S. Francesco a Bergamo, adibito nel Trecento a funzioni sepolcrali, l'immancabile Commendatio animae dei diversi defunti è ripetuta usando spesso lo stesso cartone, con varianti minime.
Anche nella miniatura la crescente richiesta indusse modi di divisione del lavoro specializzati, in specie a Milano. Mentre nello scriptorium pavese di S. Pietro in Ciel d'Oro, attivo per i V. bibliofili e per raffinati intellettuali come Pasquino Capelli, si portava avanti una produzione di altissimo livello, per opera principalmente di Pietro da Pavia (Sutton, 1993) e poi del suo straordinario allievo Michelino da Besozzo (Castelfranchi, 1996), a Milano la qualità, seppure molto sostenuta, non sembra eguagliare le raffinatezze pavesi. Vi dominava ancora, fino agli anni ottanta, quello che era stato l'atelier ufficiale dei V. bibliofili - la bottega di Giovanni di Benedetto da Como - o la sua continuazione, che soddisfaceva una richiesta di prodotti di qualità e dal marchio di fabbrica riconoscibile. Essa era allargata al miniatore che Quazza (1965) ha definito il suo 'miglior allievo' e cioè l'autore del libro d'ore del 1383 (Modena, Bibl. Estense, lat. 862), che ne è l'erede. Il suo stile è molto affine a quello di Giovanni di Benedetto da Como; nondimeno, rispetto al tono cronachistico e partecipe, il 'miglior allievo' riesce più serio, lievemente malinconico. Uscì dalla bottega - e che le commissioni fossero ancora assunte dall'anziano capobottega comasco è da interpretare, piuttosto che come sua partecipazione diretta, come un certo modo di impostare e di portare avanti il lavoro - una serie di lussuosi volumi miniati, quali il citato libro d'ore di Modena, il Lancelot du Lac (Parigi, BN, fr. 343) e il libro d'ore-messale (Parigi, BN, lat. 757), verosimilmente commissionati da Beatrice Regina Della Scala, Bernabò V. ed entourage, in cui al 'miglior allievo' si associò Anovelo da Imbonate (Boskovits, 1989; Recanati, 1993; Tassetto, 1999), dal temperamento più grave e amaro. Essi assunsero in seguito verosimilmente anche la commissione del Tacuinum sanitatis (Parigi, BN, nouv. acq. fr. 1673) di Verde, figlia di Bernabò.Un capolavoro assoluto è l'offiziolo V. di Modrone, commissionato da Gian Galeazzo (I parte; Firenze, Bibl. Naz., B.R. 397; Lazzi, Rolih Scarlino, 1994), di Giovannino de Grassi, che trasfigura l'aneddoto di Giovanni di Benedetto da Como e la gravità dei suoi allievi in elegante poesia. Nel Matrimonio di Anna e Giacchino (c. 1r) i personaggi, colti dal vero, partecipano alla cerimonia in modo tanto delicato quanto fatuo. Nel Gioacchino tra i pastori (c. 2v) il miniatore può aver tratto ispirazione dal frontespizio dipinto da Simone Martini nel Virgilio di Petrarca (Milano, Bibl. Ambrosiana, S.P.10.27, già A.49 inf.), potendone prendere visione diretta nella biblioteca viscontea. Giovannino de Grassi potrebbe aver partecipato in precedenza all'illustrazione del Codex Astensis (Cronaca Malabaila; Asti, Arch. Storico; Romano, Quazza, Castronovo, 1997), commissionato da Gian Galeazzo (cui il Comune di Asti fece dedizione nel 1379), ove si mostrano la stessa tecnica pittorica e la stessa delicatezza delle forme, ma più piene, come si addice a Giovannino giovane, sensibile all'arte boema, prima dell'aggiornamento sul più estenuato Gotico francese.Episodi emergenti dell'ambizioso programma ducale - il titolo venne concesso da Venceslao IV di Boemia nel 1395 - sono la fondazione di S. Maria del Carmine a Milano, della certosa di Pavia nel 1396, per farne grandioso mausoleo della dinastia, e della cappella ducale di S. Cristoforo sul Naviglio (1400), oltre naturalmente alla nuova cattedrale milanese, fondata dal 1386 (Rossi, 1999). Magnifici e straordinari sono anche i doni: il monumentale trittico eburneo (cm 250) della certosa di Pavia, del 1400-1409, commissionato a Baldassarre degli Embriachi, della famiglia degli esperti intagliatori d'avorio, apprezzati anche da un collezionista raffinato come Jean de Valois duca di Berry (polittico di Poissy; Parigi, Louvre); il calice di Monza (Mus. del Duomo), dal gusto decorativo sovrabbondante (1397-1402; Longoni, 1994); il maestoso paliotto marmoreo della Passione, sull'altar maggiore di S. Eustorgio, del 1396 (Cavazzini, 1997a), un'opera singolarmente simile al citato libro d'ore-messale di Parigi, per delicata varietà nella generale uniformità, oltre che per evidenti richiami stilistici e iconografici. Come e più che in quest'ultimo manoscritto, nello Smith-Lesouëff 22 (Parigi, BN) e in un altro libro d'ore conservato a Parma (Bibl. Palatina, 56) - dove le scene della Passione hanno un vago sapore di battaglia - rilucono armi e armature, nel Tradimento di Giuda e nel Gesù davanti a Caifa, accanto al Crocifisso. La tenzone accompagna il racconto sacro, trasformato in moderno romanzo cavalleresco, secondo i gusti del duca e dei suoi sudditi.
Bibl.:
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