VISIGOTI
. Erano una parte della grande gente dei Goti (v.), divisi dagli Ostrogoti prima ancora che quella gente passasse, nella seconda metà del sec. II d. C., dalla Scandinavia sulle rive della Vistola.
Il nome di Visi, col quale, come con quello di Tervingi, sono ricordati dagli antichi scrittori, ha probabilmente significato di "nobili" o "degni" e solo dall'etimologia popolare è stato interpretato come di "Goti dell'oves (West-Goten), quando essi erano stanziati, nel sec. III, fra il Dnestr e il Danubio, a occidente degli Ostrogoti (v.).
Furono prima legati con questi e soggetti al loro re Ostrogotha (250 circa); poi ebbero proprî capi, che tuttavia riconobbero, intorno alla metà del sec. IV, l'autorità del re ostrogoto Ermanarico. Ma già prima che questi fosse travolto dalla procella dell'invasione unna, si erano distaccati dagli Ostrogoti. Essi ora si erano spinti in terre già romane, stanziandosi in quelle che oggi sono la Bessarabia, la Moldavia, la Valacchia, la Transilvania, ed erano entrati in relazioni con l'Impero, perché si narra che a un loro capo, Rothestes, fosse da Costantino innalzata una statua. Anzi nei contrasti tra il figlio di Rothestes, Atanarico (Athanarich), e Fritigerno (Fridigern), quest'ultimo aveva passato il Danubio, riparando per un certo tempo nella Mesia, in terra romana.
A queste divisioni non era estranea la questione religiosa, perché la parte dei Visigoti che si raccoglieva intorno a Fritigerno, aveva abbracciato il cristianesimo, diffuso fra i Visigoti già dal secolo precedente per il contatto con i Romani e predicato ora alla sua gente dal vescovo Ulfila (v.) che tradusse in lingua gotica e scrisse nel nuovo alfabeto gotico la Bibbia. E poiché l'impero d'Oriente in prevalenza era ariano e nell'arianesimo era stato educato Ulfila, la maggior parte dei convertiti fu ariana. Contro di questa e contro i pochi cattolici si sferrò la persecuzione d'Atanarico, geloso delle credenze come dei costumi germanici del popolo suo: fu tra le vittime più illustri e venerate il cattolico S. Sabba (372). Prevalse tuttavia l'arianesimo e segnò, a sua volta, di fronte ai Romani cattolici, la diversità etnica di questi barbari, come anche quella della grande maggioranza degli altri.
Su questo popolo di agricoltori, di pastori, di guerrieri, vivente ancora della vita semplice e primitiva degli antichi Germani, raccolto in gau sotto capi (reiki), che dividevano l'autorità loro con quella dell'assemblea degli uomini liberi, si abbatterono nel 375 gli Unni. Atanarico si rifugiò nei Carpazî; ma una grande moltitudine di Visigoti, si disse 200.000, con le donne e i fanciulli, passò, guidata da Fritigerno, il Danubio; e prima ebbero da Valente il permesso di abitare e l'obbligo di difendere la Tracia, poi, inaspriti dalla prepotenza dei funzionarî romani, si levarono in armi a Marcianopoli (377), vinsero e uccisero l'imperatore presso Adrianopoli (378), dilagarono fin sotto le mura della capitale dell'Impero. Teodosio riuscì a fermare l'onda terribile, accolse come alleato Atanarico - che venne a morire a Costantinopoli (381) - conchiuse un patto (382), per cui i Visigoti rimanevano come federati, ottenendo stanza nella Mesia e nella Pannonia e tributo annuo di danaro e promettendo aiuto di milizie.
Rimasero così più anni, divisi tra loro, quali servendo, quali combattendo i Romani. Ma nel 395 gran parte di loro acclamò capo (forse re della gente, thiudans) Alarico (Alarich) della stirpe dei Balti, e con lui dilagò per tutta la Grecia, saccheggiando, poi si ridusse nell'Illirico, dove Alarico ebbe dall'imperatore Arcadio il titolo di dux e di magister militum, cioè di rappresentante legittimo del governo imperiale. I Visigoti si volsero allora all'Occidente e invasero l'Italia (401); battuti a Pollenzo sul Tanaro (402) da Stilicone, poterono tuttavia ritornare nell'Illirico. Stilicone pensava di servirsi di loro come di alleati contro l'Impero d'Oriente e gli altri barbari nonché di appoggio alla propria autorità sull'Occidente. Quando egli fu ucciso, Alarico raccolse intorno a sé i barbari, antichi satelliti di lui, fuggiti dall'Italia, impose all'imperatore Onorio di dargli sede nel Norico e tributo; a un diniego, invase di nuovo l'Italia (408) e, dopo lunghe e vane trattative con l'imperatore e il tentativo ardito di innalzare alla porpora in Attalo un proprio strumento, saccheggiò Roma. Cercò, quindi, ma invano, di passare nella fertile Africa; morì presso Cosenza (410).
Il cognato di Alarico, Atatulfo (Athaulf, 410-15) condusse i Visigoti nella Gallia, dove si accordò con Onorio, avendo ricevuto promessa di annuale contribuzione di grano (413), poi riprese a combatterlo; e nella conquistata Narbona, sposò, con pompa romana, la sua prigioniera Galla Placidia, sorella dell'imperatore (414), quasi a sostituire i suoi Visigoti e sé stesso, almeno in quella terra lontana, al debole Onorio e alle legioni imperiali nella protezione della romanità vacillante. Conquistò ancora Bordeaux e Tolosa; poi, sospinto dai Romani, abbandonò le città galliche e passò nella Spagna, dove fu ucciso. La sua morte segnò una reazione antiromana: ma il re Wallia (415-19), costretto dalla fame, rinnovò il foedus con i Romani, con la promessa di un regolare rifornimento di viveri (416), e combatté per loro Vandali e Alani nella penisola, poi, invitato dai Romani stessi, stabilì i suoi, come federati, nell'Aquitania secunda e nelle terre vicine, fra il Rodano, la Loira e l'Oceano (418).
In questo "regno di Tolosa" i Visigoti ebbero alla fine sede stabile e acquistarono forma di stato. Ma la politica loro oscillò fra l'alleanza romana e l'espansione a danno dell'Impero; e la loro gente ariana rimaneva nettamente distinta dai cattolici romani, a essa soggetti. Teoderido o Teodorico (Theoderich, 419-51; v. teodorico) guerreggiò per i Romani contro i Vandali, ma fu causa, come si disse, della loro sconfitta; tentò di occupate Arles e Narbona, ruppe e rinnovò (439) il foedus; in ultimo si strinse ad Ezio, che aveva sposato una donna della sua gente, contro la minaccia terribile degli Unni; morì combattendo nella battaglia dei Campi Catalaunici (451) e fu celebrato dai suoi come eroe. Il primogenito suo Torrismondo (Thorismud, 451-53), voltosi contro i Romani, vide ribellarsi i fratelli Teoderico II (Theoderich) e Federico; il primo dei quali (453-66) non solo rinnovò il foedus, ma, dopo il sacco di Roma da parte dei Vandali, invitò addirittura Avito ad assumere la porpora (455); e prima non riconobbe Maggioriano, che aveva deposto Avito, poi si compose con lui (459), combatté con varia fortuna per i Romani gli Svevi, che, partiti i Vandali, correvano da padroni la Spagna, e, valendosi della discordia fra il nuovo imperatore Severo e il magister militum Egidio, occupò Narbona. Caduto presso Orléans Federico in battaglia contro Egidio (463), Teoderico fu ucciso dal fratello Eurico.
Con Eurico (Eurich, Evarix, 466-84) prevale nettamente la tendenza antiromana; il regno dei Visigoti si afferma come stato anche formalmente indipendente e raggiunge un alto grado di prosperità, così da tenere il primo posto fra le nuove monarchie barbariche. Mentre le sue milizie chiudevano gli Svevi nei monti della Galizia e scendevano nella Spagna fino a Cartagena, il re visigoto stringeva i Gallo-Romani dell'Alvernia, obbligandoli, dopo fiera lotta, alla resa; dall'imperatore Giulio Nepote aveva il riconoscimento delle terre occupate fino alla Loira ed al Rodano: l'antico dominus, scrisse Ennodio, si contentava ormai di essere detto amico di quelli che Roma soleva dominare (475). Dopo la rivolta di Odoacre, i Visigoti occuparono la Provenza fino alle Alpi, sottomisero la provincia di Tarragona, diffondendosi come padroni su quasi tutta la Spagna, mentre la flotta vinceva i Sassoni predoni del mare.
Ai paesi occupati si applicava il sistema dell'attribuzione ai barbari di due terzi delle terre (sortes Gothicae), dando così alla nazione una base territoriale. E per i suoi Goti Eurico raccolse il primo codice di leggi, che esercitò grande efficacia sulle altre legislazioni barbariche. Alla corte di Tolosa convenivano genti di tutte le terre; fino i Parti lontani cercavano l'amicizia di Eurico.
Ma il giogo del barbaro ariano era duro ai Romani cattolici, dai quali i Visigoti si tenevano nettamente distinti, sebbene qualche romano sedesse fra i consiglieri del re. E quando i Franchi, primi fra i barbari, accolsero la religione dei vinti e apparvero a questi e all'Impero come alleati, il regno dei Visigoti, che s'era esteso troppo largamente e non aveva ancora un'interna struttura abbastanza salda, non poté reggere all'urto. Non valse ad Alarico II (Alarich, 485-507) l'essere entrato, sposando una figliuola di Teoderico lo Amalo, nella lega barbarica, di cui il re degli Ostrogoti era capo. La fine della persecuzione anticattolica, e il Breviarium, che regolava la condizione giuridica dei Romani, vennero troppo tardi, o non parvero sufficienti a raccogliere questi intorno al re minacciato. A Vouillé (507) Alarico fu vinto dai Franchi e ucciso.
Teodorico salvò il regno dalla rovina. Ma nella Gallia non rimase ai Visigoti che la Settimania, la quale costituì, intorno a Narbona, una parte distinta del regno: la Provenza fu unita all'Italia; e Teoderico, assumendo la tutela del nipote Amalarico (Amalarich, 507-31), fu in verità per più anni padrone del regno dei Visigoti, finché, declinando la fortuna di lui, non assunse nella Spagna atteggiamento quasi indipendente il suo antico armigero e luogotenente, l'ostrogoto Teudi. Da allora, ristrettosi il regno dei Visigoti alla Spagna (con in più la Settimania), la storia dei Visigoti si confonde con la storia della Spagna (v.), per due secoli, fino a quando nel 711 l'invasione araba non abbatteva il regno.
Un gruppo di Visigoti si rifugiò nelle montagne delle Asturie e, assorbito dai Romani nella nuova nazione spagnola, iniziò la secolare riconquista della penisola alla civiltà romana e al cristianesimo.
Istituzioni, leggi, costumanze, religione, cultura. - La Bibbia di Ulfila ci dà indirette ma sicure notizie sulla vita dei Visigoti prima della loro migrazione nell'Occidente; la quale vita non ci appare sostanzialmente diversa da quella degli altri Germani. Il vincolo della monarchia sembra qui più lento che presso gli Ostrogoti; lo stesso Alarico è piuttosto un condottiero che un re. Più tardi il re trasse nelle sue mani il potere legislativo e l'esecutivo, la nomina degli ufficiali dell'esercito e dei funzionarî, la facoltà di dichiarare la guerra e di conchiudere la pace, il supremo potere giudiziario, di amministrazione e di polizia, la determinazione delle imposte, prima sui Romani, più tardi anche sui Goti, il diritto di battere moneta. Ma, nonostante gli sforzi di parecchi re, la corona rimase elettiva; e i concilî di Toledo (v.) (concilio IV, 633; VIII, 653), nell'atto stesso di regolare l'elezione, la riaffermavano come unica norma di successione e la riducevano nelle mani di una categoria sempre più ristretta di alti dignitarî laici ed ecclesiastici. E provvedimenti, del resto civili e cristiani, come la dichiarazione, che è nella Lex Visigothorum, essere il re soggetto alla legge come derivante da Dio, l'obbligo impostogli di riparare ai danni arrecati ingiustamente da lui o dai predecessori, la separazione del patrimonio privato di lui dal demanio della corona (concilio VIII, 653), la difesa della libertà personale contro gli arbitrî dei funzionarî regi (concilio XIII, 683) indebolivano progressivamente, in uno stato che non era mai riuscito a raggiungere una forma ben definita, il potere del re e mettevano questo nell'alternativa di ricorrere a pericolose violenze o di vivere alla mercé di una faziosa aristocrazia.
Fu tuttavia assai considerevole l'operosità legislativa dei re visigoti. Già Teodorico I, e forse i predecessori suoi, avevano emanato leggi; Eurico, raccogliendole e integrandole, pubblicò (475 circa) un codice per i Goti e per i Romani, che avessero causa con loro, compilato probabilmente da Romani e con efficacia sensibile della legge romana; i frammenti che ce ne rimangono, regolano soprattutto le questioni derivanti dalla spartizione delle terre. Alarico II promulgò nel 506 quello che è detto ora Breviarium Alarici, o Lex Romana Visigothorum, facendo trarre dai codici romani precedenti, e in particolare dal Teodosiano, e dagli scritti dei giureconsulti una legge, che doveva da sola valere per i sudditi romani; la legge fu approvata da un concilio di vescovi, conservata in originale nel tesoro regio e diretta in copia ai giudici del regno; con l'aggiunta di una Interpretatio ufficiale, rimase fino al Codice giustinianeo la collezione più completa di leggi romane. Erano così stabilite leggi personali dei Romani e dei Goti; e Leovigildo, rivedendo e raccogliendo in un corpus la legislazione gotica, aveva mantenuto la distinzione del diritti. Ma già da Teudi si aveva l'esempio di leggi comuni ai due popoli; e, dopo la conversione dei Visigoti, i concilî avevano emanato leggi con valore universale. Reccesvindo pubblicò, sembra nel 654, il Liber iudiciorum, o, com'è detto oggi, la Lex Visigothorum in dodici libri, in cui raccolse, chiamandole Antiquas, molte delle leggi precedenti fino a Leovigildo e ne aggiunse altre, annullando le precedenti legislazioni e dando al nuovo codice valore per tutti i sudditi. Altre leggi furono pubblicate dai successori di Reccesvindo, uno dei quali, Ervige, ordinò la revisione di tutto il codice (681), che ebbe da lui forma definitiva.
La legge visigota s'ispira in molte parti alla romana, dalla quale toglie le norme di successione ereditaria, il diritto commerciale, il regime dei contratti, le regole della procedura, il sistema delle pene: rimangono tuttavia tracce delle antiche consuetudini germaniche, come nel pagamento della dote dal marito al padre della fanciulla, o al parente più stretto, nell'assegnazione del morgengab, o dono nuziale, nel diritto illimitato del marito sull'adultera e il complice; lo stesso sforzo, che è nella legge, di sostituire la responsabilità personale a quella collettiva della famiglia, dimostra la persistenza di questo antico principio barbarico.
Quando le due società, la romana e la gotica, vivevano ancora sotto leggi diverse, avevano competenza giudiziaria per i Romani gli antichi loro iudices, per i Goti i loro capi militari, nei casi misti era competente il tribunale del convenuto. Unificato il diritto, fu tolta ai capi minori dell'esercito la giurisdizione civile; e la giustizia fu amministrata nei primi gradi da magistrati civili, iudices e defensores, ma nei gradi superiori ebbero sempre competenza i comites e i duces. Il re era giudice supremo e per mezzo dei suoi saiones poteva anche interrompere la procedura normale e avocare a sé la cognizione della causa, o nominare adsertores pacis con incarico di dirimere la lite senza regolare giudizio.
Il popolo era, come presso tutte le genti germaniche, organizzatn militarmente, con decani, centenarî, millenarî o thiufadi, sopra i quali erano i comites, rettori delle città, e i duces, rettori delle provincie. Si distingueva in esso una nobiltà, fosse l'antica nobiltà di sangue, o la nuova sorta dagli uffici pubblici e dai comandi dell'esercito, o raccolta intorno alla corte del re (gardinghi, palatini). E questi nobili si vanno arricchendo con i doni di terre fatti dal re e con le usurpazioni delle terre dei liberi; e crescono in potenza per lo stringersi intorno a loro di una clientela e per la scorta di buccellarii o saiones, mercenarî armati. Così il latifondo si estende a danno della piccola proprietà, e già s'inizia la cessione di terre a clienti o soggetti, che assumono obblighi reali e personali verso il patrono. I servi della persona e della gleba, la condizione dei quali va migliorando per l'azione della Chiesa, si vanno confondendo con la massa degli antichi liberi, che scadono a servitù; e la rappresentanza di questa folla di non liberi e di protetti è attribuita al patrono. Appaiono già tutti gli elementi di un sistema feudale, la cui evoluzione è interrotta dalla conquista degli Arabi.
I Visigoti conservarono sino alla fine del loro regno alcune delle loro caratteristiche personali, l'alta e magra figura, i lunghi capelli intonsi, ch'erano segno di libertà, sicché il decalvamento era fra le pene più gravi e un decalvato era escluso dal trono. E continuarono a parlare la loro lingua germanica e ad usare una propria scrittura, che sopravvisse anche al regno e fu abolita soltanto dal concilio di León del 1091. Ma le leggi e le deliberazioni dei concilî attestano un notevole sviluppo di vita civile. Sono curate l'agricoltura, la pastorizia, la silvicoltura; si pratica l'irrigazione artificiale, si sfruttano le miniere, si fanno acquedotti, dei quali famosi quelli di Mérida e di Tarragona. V'è un commercio attivo con i paesi stranieri, in particolare col porto di Marsiglia, e affluiscono nelle città del regno mercanti di fuori, greci specialmente, che vi hanno loro magistrati competenti per le loro cause. Le poste sono, come presso i Romani, destinate esclusivamente al servizio regio; ma è assicurata a tutti la libertà delle "strade del re". E la legge provvede alla salute pubblica, regolando l'esercizio della medicina, e cura l'incremento della popolazione; ma la severità stessa delle disposizioni demografiche e le gravi pene contro i sodomiti sono indizio di decadenza morale del popolo.
Particolare importanza ebbe in tutta la vita del regno dei Visigoti la religione. Le stesse persecuzioni, a cui furono soggetti i cattolici prima, più tardi ariani ed ebrei, dimostrano quanto fosse stimata necessaria l'unità della fede. E i vescovi cattolici, che, prima della conversione di Reccaredo, erano stati interpreti dei sentimenti della popolazione romana e suoi difensori, ebbero dopo da allora nel regno autorità sempre crescente, come tutor. della giustizia e dei deboli. I concilî raccolti a Toledo, dal III del 589 al XVIII del 701, assunsero le funzioni di vere diete, alle quali partecipavano con i vescovi alcuni palatini, ma in numero molto minore. Essi emanavano leggi, che il re confermava, o confermavano leggi emanate dal re; regolavano la successione elettiva al trono (IV, 633 e VI, 638); si attribuivano il giudizio di appello contro le sentenze dei magistrati laici in caso di violazione di diritto e quello di denunziare al re i giudici che opprimessero i poveri (IV, 633); limitavano la facoltà del re di far grazia a condannati politici (VII, 648); affermavano la propria competenza su accuse di alto tradimento (XIII, 683). Ed essi esercitarono per vero a più riprese un'efficace difesa della monarchia contro le agitazioni partigiane e dei sudditi, contro gli abusi del potere regio, ed emanarono provvedimenti vantaggiosi, soprattutto alla classe dei pauperes, che trovò in loro difesa contro i potenti. Ma altre volte fecero proprî gl'interessi dell'aristocrazia; e, mentre sovrapponevano l'autorità propria a quella del re, lasciarono a lui facoltà di convocare il concilio, di nominarne i membri laici, di approvarne le deliberazioni, di proporre riforme nella Chiesa, di minacciare o applicare pene spirituali, creando, per l'incertezza delle rispettive attribuzioni, occasione di frequenti contrasti e confondendo pericolosamente religione e politica. Così l'azione loro riuscì sotto certi aspetti dannosa alla compagine statale.
Della cultura dei Visigoti abbiamo scarse testimonianze. Sull'inizio della loro vita nazionale essi avevano avuto un assai notevole monumento letterario nella traduzione della Bibbia di Ulfila. Ma questi era imbevuto di cultura bizantina; ed era probabilmente versione dal greco la Skeireins "interpretazione" del quarto Vangelo (v. goti, XVII, p. 574). Del resto, quanto ai Visigoti primitivi, ci si discorre solo di . saghe celebranti numi ed eroi: i letterati erano tutti romani. Più tardi si ebbero re amanti della cultura, come Sisebut, che scrisse anche una biografia di S. Desiderio, e Chindasvindo, che mandò a Roma un prete ad acquistare le opere di S. Gregorio Magno e commise a Eugenio metropolitano di Toledo di rivedere le poesie di Draconzio; e sono ricordati una biblioteca e un archivio del re; ma ancora nell'età di Reccaredo i palatini non sapevano scrivere il loro nome, e non v'è prova che siano stati fatti sensibili progressi più tardi. La cultura era, al solito, rifugiata nei vescovati, presso i quali erano scuole, o nei conventi, specie in quello celebre di Agalia presso Toledo. E uomini di chiesa, romani per nascita o per elezione e per ufficio, furono i più insigni rappresentanti delle lettere, Idazio, Giovanni di Biclaro, Isidoro di Siviglia, Eugenio e Giuliano di Toledo.
I Visigoti ebbero, come i loro fratelli Ostrogoti, particolare gusto per l'arte plastica; il museo di Cluny a Parigi conserva un tesoro scoperto nel 1858 a Guarrazar presso Toledo, del quale l'oggetto più prezioso è una corona votiva offerta da Reccesvindo; ma lo stile romano-bizantino fa pensare ad artefici greci. E dei molti monumenti che la storia o la leggenda attribuiscono ai re visigoti, non è rimasto presso che nulla.
I Visigoti sono scomparsi dalla storia, senza lasciare, fuorché nel campo legislativo, traccia apprezzabile della loro individualità etnica.
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Fonti narrative: Orosio, Historiae, Lipsia 1889; Idazio, in Mon. Germ. Hist., Auct. antiq., XI, 1 (1893); Sidonio Apollinare, ibid., VIII (1887); Giordane, Getica, ibid., V (1882); Giovanni di Biclaro, ibid., XI, I (1893); Isidoro di Siviglia, ibid., XI, 11 (1894); Laterculus regum Visigothorum, ibid., XIII (1897); Anonimo di Cordova, Chronique rimée des derniers rois de Tolède, ed. J. Tailhan, Parigi 1885; Giuliano da Toledo, Historia de Wambae expeditione, in Patrol. Lat., XCVI (1862), p 759 segg.
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