Visione
sommario: 1. Introduzione. 2. Le vie parallele del sistema visivo: a) osservazioni cliniche; b) risultati delle ricerche anatomiche e fisiologiche; c) prove psicofisiche dell'organizzazione in parallelo dell'informazione visiva. 3. Recenti acquisizioni sulla visione cromatica: a) i geni dei pigmenti dei coni; b) alterazioni della visione dei colori; c) evoluzione della visione cromatica. 4. La corteccia inferotemporale: incontro tra percezione visiva e memoria visiva: a) aree corticali visive; b) oscillazioni corticali. 5. L'osservazione diretta del funzionamento del cervello umano: a) metodi di analisi; b) aree corticali implicate nel processo visivo. 6. Sviluppo della visione nell'uomo: a) dipendenza genica e influenza ambientale; b) sviluppo anatomico e funzionale. □ Bibliografia.
1. Introduzione
Una rassegna delle conoscenze riguardanti i vari aspetti del processo visivo è già stata fornita in un precedente articolo (v. visione, vol. VII); è opportuno, tuttavia, offrire un panorama aggiornato dei notevoli progressi verificatisi in anni recenti anche se, per ragioni di spazio, dovremo limitare la nostra esposizione agli argomenti che, a nostro avviso, sono di maggiore interesse.
Un settore particolarmente importante su cui si concentrano le ricerche più recenti sulla visione è quello relativo alla dimostrazione, sia a livello neurofisiologico e anatomico, sia a livello psicofisico e psicologico, del fatto che l'elaborazione dei vari attributi di un'immagine visiva viene effettuata dalla retina e dal sistema visivo posto più centralmente, in maniera definita ‛in parallelo' (parallel processing): l'informazione, cioè, viene trasmessa ed elaborata simultaneamente in zone separate del sistema nervoso. Un breve cenno ai primi risultati riportati nella letteratura, relativi alle cellule gangliari X, Y e W della retina del gatto, è stato già fornito in precedenza (v. visione, vol. VII); in questi ultimi anni, le ricerche si sono concentrate principalmente sul sistema visivo della scimmia, che, per numerosi aspetti, è molto simile a quello dell'uomo.
2. Le vie parallele del sistema visivo
a) Osservazioni cliniche
Era già noto da vecchie osservazioni di neuropatologia che diverse aree corticali possono mediare differenti aspetti della percezione visiva. Si sapeva, ad esempio, che lo studio di certe patologie visive corticali - chiamate da S. Freud agnosie - che non dipendono da malfunzionamento degli organi di senso può rivelare una specificità di funzione dell'area corticale danneggiata. Per esempio, la perdita di percezione del movimento o di certi suoi aspetti è causata da una lesione bilaterale riguardante un'area della corteccia extrastriata chiamata MT o V5: pazienti con questa patologia distinguono a fatica, o non distinguono affatto, oggetti fermi da oggetti in movimento. Un'altra patologia corticale, relativamente più frequente, è l'acromatopsia: essa porta alla perdita selettiva della capacità di distinguere i colori ed è causata dalla lesione di una particolare parte della corteccia visiva extrastriata, la V4, specializzata nell'analisi del parametro colore. Il noto scrittore e neurologo Oliver W. Sacks (v., 1995) descrive in un suo recente libro le impressioni di un paziente che aveva perso la capacità di vedere i colori in seguito a un trauma che aveva interessato quest'area cerebrale. Poiché il paziente era un pittore, il colore aveva per lui una particolare importanza: ritrovandosi in un mondo senza colori, tutto grigio, inizialmente fu prostrato fino a uno stato di depressione: ‟Non poteva sopportare il suo stesso volto nello specchio; sfuggiva le relazioni sociali e trovava impossibile avere rapporti sessuali. La carne della gente, quella di sua moglie e anche la sua propria, gli apparivano di un grigio orribile; la pelle gli sembrava di colore simile a quella del ratto. Questo quadro non cambiava anche se chiudeva gli occhi; la sua vivace immaginazione visiva era intatta, ma ora era senza colori". In questi pazienti anche le immagini evocate dalla memoria, come pure quelle create dalla fantasia, sono prive di colori. Un caso analogo di acromatopsia corticale era stato descritto già nel Seicento da Robert Boyle: una ragazza che era divenuta cieca in seguito a una malattia non bene identificata aveva riacquistato dopo breve tempo la visione delle forme, con buona acuità visiva, ma il suo mondo era divenuto incolore. L'autore racconta che ‟quando voleva raccogliere delle viole, benché si inginocchiasse là dove sapeva che esse crescevano, non riusciva a distinguere il loro colore". Complementare a questa forma di cecità ai colori ne esiste un'altra nella quale rimane la sola visione dei colori e scompare quella delle forme e del movimento; questa patologia, molto rara, è dovuta, almeno in certi casi, ad avvelenamento da ossido di carbonio.
Esistono poi altre forme di agnosia, tutte relativamente rare. La più nota è la ‛prosopoagnosia', l'agnosia per le facce e il loro riconoscimento, dovuta a lesione bilaterale di zone della corteccia inferotemporale (aree 20 e 21): quest'anomalia della visione può essere presente in completa assenza di altri deficit visivi. Anche l'agnosia per le forme e il riconoscimento degli oggetti è associata a lesioni della corteccia inferotemporale; ricordiamo inoltre le agnosie per la visione della profondità e del movimento, quella per il riconoscimento dei disegni e quella per il nome dei colori, associata a lesioni delle aree del linguaggio nel lobo sinistro o delle loro connessioni (aree 18 e 37).
Queste osservazioni cliniche e anatomo-patologiche già indicano che certi attributi della percezione visiva sono elaborati separatamente nel cervello. Ricerche recenti hanno dato supporto fisiologico e anatomico a queste osservazioni cliniche, dimostrando che fin dalle cellule gangliari della retina vi è una specifica organizzazione delle vie visive, individuabile in particolare nella loro specializzazione per la visione del colore e della forma, o per la stereopsi e per la percezione del movimento.
b) Risultati delle ricerche anatomiche e fisiologiche
È stato dimostrato che ciascuna regione della retina dei Primati possiede cellule gangliari di tipo diverso: per semplicità esse vengono suddivise in due classi, denominate M e P in riferimento sia alle loro dimensioni anatomiche, sia al nome degli strati del corpo genicolato laterale con i quali prendono contatto, detti appunto magnocellulari e parvocellulari. In entrambe le classi, le cellule si distinguono in centro on e centro off (v. visione, vol. VII). Le cellule M, che rappresentano circa il 10% di tutte le cellule gangliari, hanno corpo cellulare relativamente più grande e ampia arborizzazione dendritica; le cellule P, di gran lunga le più numerose (80%), hanno invece un corpo cellulare più piccolo e campo dendritico più ristretto. Le cellule M hanno di regola un campo recettivo più grande delle cellule P. Il restante 10% delle cellule gangliari appartiene a una terza classe, costituita da cellule non ancora bene analizzate e catalogate.
Una caratteristica fondamentale delle cellule M della retina dei Primati è quella di non trasmettere il messaggio ‛colore', o di essere poco sensibili a esso. Questo tipo di cellule non elabora in maniera differenziata i messaggi provenienti dai tre tipi di coni (specializzati nella percezione delle lunghezze d'onda brevi, medie e lunghe dello spettro visibile), ma si limita semplicemente a sommare i segnali da essi provenienti. La maggioranza di queste cellule risponde nella stessa maniera a tutte le lunghezze d'onda della luce; alcune di esse, tuttavia, sono ‛opponenti al colore' (color opponent), mostrano cioè un campo recettivo con un centro insensibile al colore e con periferia inibitoria specifica per la lunghezza d'onda corrispondente al rosso. Le cellule M sono più sensibili delle cellule P a stimoli in bianco e nero, con alta sensibilità al contrasto, e inviano i loro assoni solo ai due strati più ventrali del corpo genicolato laterale, detti strati magnocellulari. Le cellule P, che dal punto di vista dell'interpretazione della loro funzione vengono collegate con la percezione della forma e del colore, trattano separatamente i segnali provenienti dai tre tipi di coni, e sono, quasi senza eccezione, opponenti al colore: esse ricevono cioè segnali di segno opposto - eccitatorio o inibitorio - dai diversi tipi di coni. Le cellule P inviano i loro assoni ai quattro strati più dorsali, parvocellulari, del corpo genicolato laterale.
Le vie magnocellulare e parvocellulare rimangono in gran parte separate anche a livello della corteccia. I neuroni degli strati magnocellulari del genicolato proiettano alla corteccia striata e di qui, attraverso l'area 18, alla cosiddetta area del movimento (MT). Quest'area è coinvolta particolarmente nell'analisi del movimento e della profondità e proietta successivamente a zone della corteccia parietale specializzate nell'analisi visivo-spaziale dell'informazione. Molti neuroni della via magnocellulare, come avevamo osservato per i neuroni Y della retina del gatto, rispondono con brevi latenze in maniera transitoria e sono praticamente insensibili al colore: si pensa che questo sistema sia specializzato per la visione degli oggetti in movimento e non per quelli immobili. Altre proprietà di questo sistema di neuroni ne indicherebbero un coinvolgimento nella visione della profondità, o terza dimensione, degli oggetti.
Le cellule P della retina proiettano agli strati parvocellulari del genicolato e di qui alla corteccia striata, quindi alla corteccia 18 o V2, alla cosiddetta area del colore (V4) e finalmente alla corteccia inferotemporale. Il sistema parvocellulare è suddiviso schematicamente in due sottosistemi, uno più specializzato nella visione delle forme e uno in quella dei colori: questi due sottosistemi prendono nome dalle loro stazioni corticali nell'area 17 e sono detti, rispettivamente, interblob e blob. Il sistema magnocellulare e i due parvocellulari (blob e interblob), anche se in gran parte separati, si incontrano a vari livelli: ad esempio, sia i neuroni dell'area V4 che quelli della MT proiettano alla corteccia parietale e anche alla corteccia inferotemporale. Varie linee di ricerca più recenti tendono a indicare un'ampia sovrapposizione fra i tre diversi sistemi, cosiddetti paralleli, che formano il sistema visivo.
Una importante suddivisione tra le funzioni dei sistemi parvocellulare e magnocellulare è quella suggerita da Mishkin, il quale, studiando le conseguenze di lesioni prodotte sperimentalmente nella scimmia, è giunto alla conclusione che l'informazione essenziale rispetto a un oggetto - ‛dove' e ‛cosa' sia - è portata da due sistemi diversi (v. Mishkin e altri, 1983). Le due vie del sistema parvocellulare, blob e interblob, portano informazioni su colore e forma - e quindi sul ‛cosa' dell'oggetto - e terminano nella corteccia inferotemporale, un'area molto importante per la visione delle forme; l'informazione riguardante la localizzazione dell'oggetto nello spazio - cioè il ‛dove' - è elaborata probabilmente dal sistema magnocellulare che termina nella corteccia parietale posteriore, un'area importante per l'elaborazione dell'organizzazione spaziale degli oggetti.
c) Prove psicofisiche dell'organizzazione in parallelo dell'informazione visiva
Le caratteristiche delle vie visive magno- e parvocellulari sono tali da permettere la loro individuazione anche a livello psicofisico. A tale scopo, sono stati considerati dei parametri temporali (rapidità di risposta) del sistema magnocellulare, che è specializzato nella visione di oggetti in movimento, e la specificità della risposta al colore del sistema parvocellulare.
Ramachandran e Gregory (v., 1978) hanno cercato di escludere la componente di informazione derivante dal sistema magnocellulare usando stimoli visivi cosiddetti ‛isoluminanti' - le cui componenti, cioè, differiscono per il colore, ma non per la luminanza - con lo scopo di studiare quale sistema fosse responsabile della visione del movimento. Essi hanno dimostrato che tali stimoli annullano la percezione del movimento e hanno concluso che movimento e colore sono elaborati separatamente nelle vie visive e che l'analisi degli oggetti in movimento è dovuta al sistema magnocellulare. Quest'ultimo, che è largamente insensibile al colore, risulta poco coinvolto nell'elaborazione psicofisica di questi stimoli: per un sistema insensibile al colore, infatti, un bordo tra due colori isoluminanti praticamente non esiste; un tale segnale è invece adeguato per la stimolazione del sistema parvocellulare. Altri autori hanno dimostrato che con stimoli isoluminanti anche la visione della profondità, della prospettiva, delle dimensioni relative degli oggetti e degli effetti figura-sfondo è largamente o totalmente impedita, e ne hanno dedotto che l'elaborazione di tali stimoli è probabilmente dovuta al sistema magnocellulare.
Un test usato quotidianamente in clinica neurologica è il cosiddetto test di Stroop, che evidenzia immediatamente una competizione tra forma (nel caso di una parola scritta, il suo significato) e colore: il soggetto, o il paziente, deve identificare nel minor tempo possibile il colore col quale è scritta una parola che gli viene presentata su uno schermo. Poiché però la parola ‛rosso', per esempio, può essere scritta in rosso ma anche in verde, tale dissociazione tra significato della parola e colore induce errori nelle risposte e fa allungare il tempo di reazione del soggetto: è proprio questo il parametro che viene misurato. Il test di Stroop implica attenzione da parte del soggetto ed è usato anche per misurare il grado di demenza senile: in tale condizione, infatti, i tempi di reazione sembrano allungarsi enormemente.
Vi è ormai generale accordo sul fatto che le vie di analisi ed elaborazione di certe proprietà degli stimoli visivi funzionino in parallelo, mentre rimane ancora da stabilire se la separazione delle funzioni sia totale e quali proprietà della visione siano da attribuire all'uno o all'altro sistema. È ampiamente accettato che per la percezione del movimento sia sufficiente il sistema magnocellulare, mentre per la percezione della terza dimensione sarebbero necessari sia il sistema parvocellulare che quello magnocellulare.
3. Recenti acquisizioni sulla visione cromatica
a) I geni dei pigmenti dei coni
Nel 1986 J. Nathans ha isolato i geni dei tre pigmenti dei coni dell'uomo, pigmenti che sono alla base della visione dei colori (v. i contributi di Nathans e altri, 1986). Precedentemente, egli aveva isolato anche il gene della rodopsina (il pigmento dei bastoncelli) che si trova sul cromosoma 3. La struttura di tutti e quattro i pigmenti è molto simile: essi sono costituiti da una lunga catena di circa 350 amminoacidi, circa il 40% dei quali è identico nella rodopsina e nei pigmenti dei coni. Somiglianze ancora maggiori si osservano tra i pigmenti dei coni: per esempio, i pigmenti verde e rosso hanno sequenze di amminoacidi identiche al 96%. Il gene per il pigmento blu è posto sul cromosoma 7; la localizzazione dei geni per il rosso e il verde sul cromosoma X (legato al sesso) ha permesso di spiegare certi fenomeni di alterazione della visione dei colori, come il daltonismo, che - come è noto da tempo - sono più frequenti negli uomini che nelle donne. La disposizione testa-coda dei geni per il rosso e per il verde sul cromosoma X fa sì che la loro ricombinazione possa originare un ibrido, oppure la perdita o la duplicazione di un gene (v. anche genetica, vol. X). Poiché le femmine hanno due cromosomi X, la probabilità che uno dei due sia normale è alta; i maschi, invece, che hanno un solo cromosoma X, hanno maggiori probabilità di essere colpiti dal daltonismo. Quando il gene per il verde è assente, manca anche il pigmento verde e l'individuo diventa praticamente cieco per questo colore. La mancanza del pigmento rosso è dovuta alla formazione di un gene ibrido, verde-rosso, che produce un pigmento che si comporta come quello verde. Gli individui che mancano del pigmento per il rosso o di quello per il verde, avendo un solo pigmento per discriminare i colori, non riconoscono quelli nell'ambito delle lunghezze d'onda maggiori: per esempio, una luce monocromatica di 580 nm può essere confusa sia con un verde, 540 nm, sia con un rosso, 620 nm.
b) Alterazioni della visione dei colori
Si distinguono diversi tipi di alterazioni della visione dei colori: la più comune è rappresentata dalla cecità per il verde (2% dei maschi) e per il rosso (1% dei maschi). Come abbiamo detto, queste alterazioni sono dovute a una mutazione recessiva localizzata sul cromosoma X. Esiste anche un'alterazione dei coni per il blu, che è però molto più rara e non legata al sesso, in quanto il gene per il pigmento blu è posto sul cromosoma 7. Le persone affette dalla cecità per il rosso, il verde e il blu prendono il nome, rispettivamente, di protanopi, deuteranopi e tritanopi, termini di derivazione greca che indicano la mancanza del primo, del secondo o del terzo pigmento, partendo dal rosso che è quello con lunghezza d'onda maggiore.
Recentemente la stampa scientifica ha dato risonanza al caso di John Dalton, lo scienziato inglese che per primo descrisse nel secolo scorso il difetto della visione dal quale era affetto e che prende il suo nome: nel DNA estratto dai suoi occhi, per sua volontà conservati dopo la sua morte, è risultato mancante il gene per il pigmento dei coni sensibili alle lunghezze d'onda intermedie dello spettro (corrispondenti al verde); questo risultato è in accordo con la descrizione fornita dallo stesso Dalton di questo tipo di anomalia della visione.
c) Evoluzione della visione cromatica
Recenti studi di genetica molecolare hanno dimostrato che in una fase molto precoce dell'evoluzione delle specie animali si è formato un sistema primordiale di visione cromatica costituito da due soli tipi di fotorecettori, sensibili, rispettivamente, alle lunghezze d'onda corte e a quelle medio-lunghe. Questo sistema permetteva di distinguere due regioni dello spettro, quella del blu e quella del giallo-rosso: in queste regioni, i colori vengono distinti in freddi e caldi. Gli animali che hanno solo questo sistema di fotorecettori sono detti dicromati; solo successivamente, nel corso dell'evoluzione, sono apparsi ulteriori tipi di fotorecettori, che nel caso delle scimmie e dell'uomo consistono nella terna dei coni che abbiamo descritto. Si ritiene che questo sia avvenuto per scissione dell'unico pigmento ‛giallo' in due componenti, ‛rosso' e ‛verde'. Le scimmie del Vecchio Mondo sono gli unici animali con cui l'uomo condivide la caratteristica della visione tricromatica. Il sistema evolutivamente più recente, rosso-verde, permette di distinguere tra loro le tinte della gamma verde, giallo, arancione e rosso, che non era possibile con il solo sistema blu-giallo, più primitivo. È stato ipotizzato che la visione tricromatica nei Primati si sia evoluta parallelamente a quella dei frutti di colore giallo-arancione-rosso, come i manghi, le banane, ecc., che costituiscono tuttora la dieta prevalente delle scimmie.
Per molto tempo si è creduto che questo tipo di visione cromatica fosse la più ricca tra quelle esistenti nel regno animale; oggi sappiamo, invece, che esistono animali con quattro tipi di fotorecettori, come certi pesci e certi uccelli, la cui visione cromatica è verosimilmente assai più particolareggiata e variegata della nostra. Per contro, è interessante ricordare che gli animali che ci sono più familiari, come il cane e il gatto, hanno una visione dicromatica, quindi più povera della nostra e paragonabile a quella dei daltonici.
4. La corteccia inferotemporale: incontro tra percezione visiva e memoria visiva
a) Aree corticali visive
Il sistema parvocellulare interblob, implicato probabilmente nella visione delle forme, proietta dalla corteccia V1 alla V2, quindi alla V4 e infine alla corteccia inferotemporale (IT); questa occupa un'ampia area della corteccia dei Primati, all'incirca tra il 17 e il 18% della neocorteccia. Abbiamo già accennato al fatto che pazienti con lesioni bilaterali di zone di questa corteccia presentano la sindrome della prosopoagnosia, consistente nell'incapacità, parziale o totale, di riconoscere le facce. Lesioni di altre zone di questa corteccia, in particolare della sua parte anteriore, producono alterazioni nella visione delle forme senza danneggiare altre funzioni, come l'acuità visiva o la percezione del movimento e del colore.
Le aree corticali visive sono molto numerose: se ne individuano una trentina oltre a quelle nella corteccia striata. Percezione visiva e memoria visiva sono usualmente collegate a questa complessa rete di elaborazione corticale, e in particolare al complesso di connessioni che legano corteccia striata e prestriata alla corteccia temporale, al lobo limbico e all'ippocampo. Abbiamo già accennato ad alcune proprietà caratteristiche della corteccia temporale; occorre però soffermarci su altre sue proprietà che recentemente sono state descritte e che indicano come la IT sia coinvolta nella percezione visiva e nella memoria visiva a lungo termine.
Test neuropsicologici effettuati su pazienti con lesioni della corteccia inferotemporale, in particolare della sua parte anteriore, hanno evidenziato la presenza di deficit nella percezione visiva e nel riconoscimento visivo degli oggetti. Questi deficit della memoria visiva non sono correlati a lesioni dell'ippocampo; l'ipotesi più accreditata, in base ai risultati sperimentali, è che nell'ippocampo sia codificata la memoria a breve termine e nella parte anteriore della IT la memoria a lungo termine.
Esperimenti di elettrofisiologia hanno permesso di dimostrare che nella parte posteriore della corteccia IT le cellule sono attivate da stimoli relativamente semplici, come strisce e cerchi, mentre i neuroni della parte anteriore, nella quale i campi recettivi sono molto ampi, fino a includere talvolta tutto il campo visivo, sono attivati da stimoli visivi più complessi. Una quota di questi neuroni, che si aggira intorno al 10%, risponde con aumento della scarica solo a forme molto complesse come mani o volti; la maggior parte dei neuroni specializzati nella percezione del volto risponde a una visione frontale e un numero minore a quella di profilo.
Le cellule che rispondono ai volti sono localizzate intorno al solco temporale superiore. Una proprietà comune alle risposte di tutti i neuroni IT è che queste non variano con le dimensioni dell'oggetto, col suo orientamento e con la posizione nel campo visivo: ciò significa che questi neuroni sono coinvolti nella percezione visiva dell'oggetto nel suo complesso e non, o non solo, nell'analisi dei suoi vari attributi. La risposta del neurone rimane la stessa se si sposta lo stimolo in parti diverse del campo recettivo, se lo si ruota, se lo si rende più piccolo o più grande e perfino se se ne modifica il colore. Alcuni hanno avanzato l'ipotesi che la parte anteriore della corteccia IT sia coinvolta nella percezione del ‛prototipo' dell'oggetto.
Esperimenti molto ingegnosi, condotti in questi ultimi anni particolarmente in Giappone da Miyashita e collaboratori (v. Miyashita, 1988; v. Miyashita e Chang, 1988), indicano che i neuroni della parte anteriore della corteccia IT sono coinvolti nella memoria visiva, come risulta dal fatto che rispondono nello stesso modo alle caratteristiche degli oggetti apprese e memorizzate in precedenza. Infatti, è possibile insegnare alla scimmia ad associare un certo stimolo con un altro, diverso per forma dal primo e presentato successivamente; tale associazione viene memorizzata dai neuroni IT che, anche molto tempo dopo l'apprendimento, rispondono sia al primo che al secondo stimolo, pur se le loro caratteristiche visive sono assai diverse.
I neuroni della corteccia inferotemporale non sono organizzati in colonne come, ad esempio, quelli della corteccia striata, che presentano una specificità all'orientamento dello stimolo visivo. Nella corteccia IT i neuroni che rispondono a stimoli visivi complessi tendono a essere vicini a neuroni che rispondono a stimoli con caratteristiche simili: questi raggruppamenti di neuroni che rispondono a stimoli complessi simili vengono chiamati moduli o clusters.
Sintetizzando, in questa vasta serie di ricerche sembrano essere particolarmente importanti tre punti: 1) l'esistenza nella corteccia IT di moduli di neuroni che rispondono a stimoli complessi simili (moduli diversi per oggetti con diverse caratteristiche visive); 2) la capacità di apprendimento mostrata da questi neuroni per stimoli precedentemente associati tra loro e di mantenere tale apprendimento nel tempo; 3) il consolidamento della memoria visiva in questi neuroni, dovuto probabilmente a influenze provenienti dal lobo limbico.
b) Oscillazioni corticali
È molto importante chiedersi come le attività delle varie colonne di orientamento o dei vari moduli della corteccia temporale vengano unificate nel cervello permettendo la percezione dell'oggetto o dei diversi oggetti di una scena visiva nell'interezza dei suoi vari attributi: questa complessa questione è nota col nome di problema del binding. Registrazioni multielettrodiche da parti anche distanti di varie aree della corteccia visiva hanno recentemente permesso di osservare che, alla presentazione di uno stimolo, i neuroni di diverse zone della corteccia in ambedue gli emisferi presentano oscillazioni elettriche sincronizzate con una frequenza di 40-60 Hz. È stato dimostrato che neuroni spazialmente separati possono sincronizzare le loro scariche in un millisecondo dalla presentazione dello stimolo visivo. La sincronizzazione delle scariche neuronali dipende dalla localizzazione dei neuroni nella corteccia e dalle caratteristiche dello stimolo visivo: per esempio, neuroni nell'area striata che rispondono allo stesso orientamento dello stimolo, ma situati a diversi millimetri di distanza nella corteccia, sincronizzano quasi istantaneamente le loro scariche. La sincronizzazione delle scariche viene interpretata come un codice temporale che consente di riunire tra loro in una Gestalt le caratteristiche salienti di uno stimolo visivo.
5. L'osservazione diretta del funzionamento del cervello umano
a) Metodi di analisi
La maggior parte delle ricerche sul cervello in passato è stata condotta soltanto o sugli animali, ove questi offrissero un approccio diretto allo studio delle funzioni delle varie parti del cervello e dei suoi neuroni, o su uomini con lesioni patologiche o traumatiche del sistema nervoso, nei quali lo studio delle deficienze motorie o mentali fornisce una buona indicazione della funzione della zona cerebrale lesa. Negli ultimi anni si sono fatte strada nuove metodologie di ricerca che hanno rivoluzionato lo studio del cervello umano: si tratta di tecniche che rendono possibile una visione diretta, in maniera fisiologica e non invasiva, delle zone del cervello che si vogliono analizzare, e che si basano praticamente sulla misura del flusso sanguigno (o della sua ossigenazione) o della struttura del cervello, e in particolare della quantità di acqua presente in parti diverse del tessuto nervoso.
Sembra interessante ricordare queste importanti metodologie di visualizzazione del cervello e i principî su cui si basano. Le tecniche più usate sono la tomografia a emissione di positroni (PET), la risonanza magnetica nucleare (RMN) e in particolare la risonanza magnetica funzionale (v. tomografia, vol. VIII): esse hanno permesso di identificare non solo le aree corticali sensoriali o motorie, ma anche quelle coinvolte nell'attenzione e nel pensiero. Nella PET viene iniettata una sostanza radioattiva innocua, ad esempio un isotopo dell'ossigeno, che emette positroni; ciascun positrone, dopo un breve percorso, viene annientato da un elettrone del tessuto circostante, con conseguente emissione di due raggi gamma che viaggiano in direzioni opposte. I raggi gamma e le loro possibili sorgenti nel sistema nervoso vengono opportunamente misurati. Si deve ricordare che sia la circolazione cerebrale, sia il consumo di ossigeno aumentano con l'aumentare dell'attività elettrica dei neuroni della zona analizzata. Il vantaggio di questa tecnica è che fornisce informazioni sulla funzione di una determinata parte del cervello, misurandone indirettamente il metabolismo; gli svantaggi consistono invece nella limitata risoluzione temporale e spaziale. Una tecnica a maggiore risoluzione, sia temporale sia spaziale, è quella che utilizza la risonanza magnetica nucleare per misurare la densità di protoni (i nuclei degli atomi dell'idrogeno): è quindi particolarmente sensibile al contenuto di acqua di una sostanza e riesce a dare un quadro assai preciso dell'anatomia di una determinata parte del sistema nervoso, ma naturalmente non fornisce informazioni sulla sua funzione. Si è rivelata molto utile per mettere in evidenza alterazioni strutturali del cervello, che nella maggior parte dei casi è stato possibile collegare a determinate cause patologiche. L'associazione della tomografia a emissioni di positroni con la risonanza magnetica, oggi effettuata solo in pochissimi laboratori, si è rivelata particolarmente utile, in quanto fornisce un quadro sia anatomico che funzionale. Una tecnica ancora più recente è quella della risonanza magnetica funzionale, con cui si cerca di definire la struttura di determinate molecole in diverse condizioni funzionali: di solito si misura la risonanza magnetica dell'emoglobina in funzione del suo stato di ossigenazione. La risonanza magnetica funzionale ha, come la PET, l'obiettivo di ottenere delle misure di funzione, con il vantaggio di raggiungere un maggiore potere risolutivo. Con queste tecniche è stato facile individuare molte zone corticali con diversa funzione, tra le quali anche l'area della corteccia interessata all'elaborazione dei colori (V4), una zona al di fuori della corteccia striata e posta nel giro linguale e fusiforme. Questa stessa area è stata trovata danneggiata nei casi di acromatopsia.
b) Aree corticali implicate nel processo visivo
L'area corticale che aumenta la sua attività per stimoli visivi in movimento è posta lontano dalla V4 che, come dicevamo, è l'area preposta all'elaborazione dei colori; rispetto a quest'ultima, essa è collocata più lateralmente e superiormente, alla giunzione tra corteccia occipitale e parietale. La visione delle forme non in movimento sembra essere proprietà, come abbiamo visto nella scimmia, della corteccia inferotemporale. L'area corticale V1 risulta sempre metabolicamente attivata quale che sia il tipo di stimolo visivo; ciò è ovvio, se si ricorda che è dalla V1 che si dipartono tutte le vie verso le aree corticali più specializzate.
Recentemente è stato anche dimostrato che l'immaginare uno stimolo visivo a occhi chiusi attiva metabolicamente le stesse aree striate ed extrastriate attivate dal medesimo stimolo percepito dal soggetto a occhi aperti. Questi risultati sull'elaborazione corticale dell'immaginazione visiva sono di particolare interesse, perché indicano che gli stimoli vengono elaborati dalle stesse aree corticali anche nel caso che non provengano direttamente dal mondo esterno, ma dal magazzino della memoria; questo è risultato vero anche per l'area striata primaria, deputata a una prima analisi delle caratteristiche dello stimolo visivo.
6. Sviluppo della visione nell'uomo
a) Dipendenza genica e influenza ambientale
Il sistema visivo dell'uomo alla nascita è molto immaturo, dal punto di vista sia anatomico che funzionale, e richiede alcuni anni per raggiungere un plateau definitivo di funzionamento. Occorre dire, però, che le diverse funzioni della visione possono avere tempi di maturazione e sviluppo anche molto diversi. Un annoso e irrisolto problema relativo allo sviluppo del sistema nervoso è quello di capire fino a che punto tale sviluppo sia determinato dai geni e in quale misura sia invece dovuto all'influenza dell'ambiente. Con poche eccezioni, concernenti riflessi relativamente semplici (ricordiamo, ad esempio, il riflesso pupillare) che dipendono totalmente da fattori genetici, la maggior parte delle funzioni del sistema visivo per una parte ragguardevole dipende dalle condizioni ambientali in cui l'animale o l'uomo vive, in particolare nel primo periodo della sua vita postnatale. Gli studiosi sono abbastanza concordi nel ritenere che nella maggior parte dei casi, sia a livello delle risposte del singolo neurone, sia per funzioni di tipo percettivo, l'impronta genetica sia fondamentale, e che l'ambiente costituisca invece una conditio sine qua non per il perfezionamento della funzione: senza l'esperienza, connessioni nervose e funzioni visive che ne dipendono rimangono grossolane. Un essere umano che, ad esempio, non abbia nessuna esperienza visiva nei primi anni della sua vita, sviluppa la visione della luce e del buio, ma solo una percezione molto approssimativa delle forme. Nell'uomo, casi di deprivazione della visione si possono verificare, ad esempio, in conseguenza di cataratta congenita bilaterale (opacizzazione bilaterale del cristallino): se la cataratta non viene rimossa chirurgicamente in età precoce, e comunque molto prima dell'età scolare, si ha un parziale e irreversibile arresto dello sviluppo della visione.
b) Sviluppo anatomico e funzionale
Ci limiteremo qui a ricordare a quali età cominciano a operare le funzioni connesse con le principali caratteristiche visive. La struttura anatomica delle vie visive subisce nella prima età profonde modificazioni che riguardano non solo l'occhio nel suo insieme, le cui dimensioni aumentano notevolmente, ma anche la retina, in particolare nella regione maculare che è la zona di massima risoluzione spaziale visiva. Sono necessari alcuni anni perché i coni raggiungano le loro dimensioni definitive e le cellule gangliari si spostino in posizione più eccentrica, lasciando libera la zona foveale. La mielinizzazione del nervo ottico, processo importante per la conduzione degli impulsi nervosi, avviene nei primi sette mesi di vita, ma occorrono 2-3 anni perché sia completata. Il corpo genicolato laterale è già sviluppato nei suoi sei strati alla nascita, anche se i neuroni sono di dimensioni più piccole rispetto a quelli dello stato adulto: i neuroni parvocellulari raggiungono la maturazione verso il settimo mese di vita e i magnocellulari verso la fine del primo anno.
Le conoscenze sullo sviluppo della corteccia non sono ancora dettagliate. La densità sinaptica aumenta notevolmente dal secondo all'ottavo mese di vita, dopo di che diminuisce alquanto, per stabilizzarsi verso l'undicesimo anno di età. Le modificazioni più evidenti della corteccia sono quelle che riguardano le colonne di dominanza oculare. Dagli studi sui Primati si sa che le fibre provenienti dai due occhi sono largamente sovrapposte alla nascita e che si segregano solo successivamente. Nell'uomo sembra che le colonne di dominanza oculare si formino nei primi sei mesi di vita, ma che ancora al quarto mese siano poco definite.
Sviluppo della visione spaziale. - Le caratteristiche e l'importanza della curva di sensibilità al contrasto, che può essere valutata con metodi sia elettrofisiologici sia psicofisici, sono già state descritte in precedenza (v. visione, vol. VII); nell'infante tale curva rivela una decisa immaturità a tutte le frequenze spaziali. Sia la sensibilità al contrasto, sia l'acuità visiva aumentano molto velocemente nei primi 7-8 mesi di vita: tra i due e i tre mesi, ad esempio, l'acuità visiva del bambino è intorno a 5 cicli/grado e raggiunge verso i 6-7 mesi i 20 cicli/grado. La sensibilità al contrasto a tutte le frequenze spaziali e l'acuità visiva continuano poi ad aumentare molto lentamente (particolarmente quest'ultima), per raggiungere valori simili a quelli dell'adulto verso il quinto-sesto anno di vita.
Funzione binoculare e acuità stereoscopica. - La stereopsi, percezione della terza dimensione, sembra emergere quasi improvvisamente tra il terzo e il quarto mese di vita per raggiungere i 60" di arco intorno ai 6 mesi. I valori dell'adulto, di alcuni secondi di arco, sono raggiunti solo dopo alcuni anni.
L'acuità Vernier - una forma di iperacuità consistente nell'abilità di percepire la mancanza di allineamento tra due linee che si incontrano lungo la stessa direzione - è bassa alla nascita, ma aumenta più rapidamente dell'acuità visiva e al quarto mese è maggiore di essa. È interessante ricordare che lo sviluppo di questa caratteristica della visione è legato al sesso, ed è più rapido nelle femmine che nei maschi.
Astigmatismo fisiologico. - Ricordiamo che l'astigmatismo fisiologico è la proprietà per la quale l'uomo è più sensibile (minori soglie di contrasto) a stimoli visivi orizzontali o verticali piuttosto che obliqui. L'esistenza dell'astigmatismo fisiologico è stata verificata nei bambini a partire dai tre mesi. Poiché i neuroni della retina e del genicolato non sono sensibili all'orientamento dello stimolo, se ne deduce che la comparsa di questo effetto di astigmatismo è un segno della maturazione corticale.
Percezione del movimento. - Già a tre mesi i bambini mostrano una preferenza per un oggetto che si muove, rispetto a uno fermo. La velocità minima che possono percepire a questa età è dell'ordine di 3-5 gradi/s.
Visione dei colori. - Al terzo mese di vita è già presente la visione tricromatica. I coni nelle tre lunghezze d'onda, lunghe, medie e corte, hanno a questa età proprietà di assorbimento probabilmente molto simili a quelle dell'adulto. In base a esperimenti di comportamento, basati sulle reazioni a uno stimolo ripetitivo (che genera abitudine), è stato osservato che bambini di quattro mesi distinguono i colori, come gli adulti, in quattro ambiti di lunghezze d'onda corrispondenti al blu, al verde, al giallo e al rosso. Altre caratteristiche della visione dei colori possono però avere sviluppo più tardivo: ad esempio, a quattro mesi la discriminazione tra i colori richiede forti contrasti cromatici e stimoli di grandi dimensioni, indicando che le caratteristiche spaziali della visione dei colori a questa età non sono ancora completamente sviluppate.
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