VISTO
Col nome di "visto" s'intende normalmente nella terminologia del diritto italiano un atto col quale un'autorità amministrativa esercita una funzione di controllo in ordine a un altro atto dell'amministrazione. Il che può verificarsi sia nei rapporti tra organi dello stato, quando a un organo di controllo spetti il riesame dei provvedimenti di un organo dell'amministrazione attiva (es., visto della Corte dei conti ai decreti reali o ministeriali), sia quando lo stato esercita il suo controllo sull'attività degli enti pubblici minori (es., comune, provincia).
È caratteristica essenziale del visto quella di costituire un controllo preventivo (v. Vigilanza e tutela amministrativa). Fino all'introduzione dell'istituto del podestà (1926) poteva dirsi la regola quella secondo cui la revisione dell'atto in sede di visto importasse un riesame dell'atto stesso sotto il punto di vista della legittimità o, cioè, della sua conformità alle norme di diritto; ma nel diritto ora vigente (v. testo unico della legge com. e prov. 3 marzo 1934, n. 383, art. 97) si è attribuita al prefetto la facoltà di sindacare tutte le deliberazioni comunali anche in merito e cioè sotto il profilo della loro opportunità e rispondenza agl'interessi dell'ente, sicché anche questa forma tipica, che continua a chiamarsi di visto, corrisponde a un più ampio potere di revisione. È tuttavia da ritenere che, ove nulla sia detto in contrario dalla legge, l'espressione "visto" significhi sempre un controllo di sola legittimità.
Per qualche tempo è prevalsa in dottrina l'opinione che il visto costituisse, insieme col provvedimento che vi è sottoposto, un atto unico, con carattere di atto complesso; può dirsi ora prevalente e anche comunemente accolta dalla giurisprudenza l'opinione opposta, secondo cui si ritiene che il visto non si fonda in un tutto unico con l'atto controllato. Di fatti, esso è l'esercizio di un potere radicalmente diverso (la potestà di controllo) da quello in base al quale viene posto in essere il provvedimento controllato; e ha effetti suoi proprî.
Gli effetti del visto, invero, consistono in ciò: che, sino a quando il visto non sia intervenuto, l'atto che vi è sottoposto, ancorché sia perfetto in tutti i suoi elementi e ancorché risponda sotto ogni altro riguardo, formale e sostanziale, alle esigenze del diritto, è però mancante di quella che tecnicamente si chiama "efficacia" (la legge - v. testo unico cit., art. cit. - parla a questo proposito anche di "esecutività"): vale a dire che non può produrre i suoi effetti. Per contro l'apposizione del visto non sana eventuali ragioni di imperfezione o di invalidità dell'atto. É da ritenere tuttavia - ma il principio non è pacifico - che l'atto anche síornito di visto possa essere impugnato: l'opinione contraria si fonda sul rilievo che, essendo l'atto inefficace, esso non può nemmeno attualmente ledere un diritto o un interesse, mentre l'attualità della lesione è, per comune insegnamento, presupposto necessario di ogni impugnativa.
È poi principio pacifico - ancorché non abbia appoggio in alcun testo - che l'apposizione del visto abbia effetto retroattivo; cioè che l'efficacia dell'atto vistato, che ne consegue, debba farsi risalire al momento in cui l'atto stesso conseguì la sua perfezione.
Come tutti i provvedimenti di controllo preventivo, il visto, una volta apposto, dovrebbe ritenersi irrevocabile; sennonché l'opinione contraria trova buon fondamento nel rilievo che ogni atto illegittimo dell'amministrazione può essere revocato dall'organo che lo emise e che un nuovo e diverso giudizio sulla legittimità dell'atto vistato può sempre, di conseguenza, giustificare che si revochi il visto precedentemente apposto. Ma questi principî non trovano frequente applicazione nella pratica.
Una forma specialissima di visto è quella che corrisponde al controllo del guardasigilli sulle leggi e sui decreti reali. Questo controllo si esercita nel campo costituzionale e ha varia estensione (v. testo unico sulla promulgazione e pubblicazione delle leggi e dei regi decreti, 24 settembre 1931, n. 1256, art. 6; regol. relativo, 2 settembre 1932, n. 1293, art. 1 a 5). In ordine alle leggi, questo controllo è meramente formale (p. es., verifica dell'indicazione della data e dell'argomento dell'atto); in ordine ai decreti reali può estendersi alla sostanziale legittimità (il testo unico cit., art. 6 dice anzi: il "tenore" del decreto); ma, nel caso che questa revisione dia luogo a rilievi, contrariamente a quanto di regola accade in tutti gli istituti di controllo (che consentono all'autorità che li compie un provvedimento idoneo a riparare alle deficienze dell'atto o, meglio, agli effetti dannosi che ne possano derivare), il guardasigilli sospende l'ordine, che a lui spetta di dare, circa l'inserzione dell'atto nella Gazzetta Ufficiale e nella Raccolta Ufficiale, e, di ciò che ha rilevato, fa relazione al capo del governo, che decide, sentito il consiglio dei ministri. Può tuttavia il guardasigilli, di sua autorità, ordinare la correzione degli errori materiali che siano incorsi nel pubblicare nelle due predette raccolte le leggi e i decreti reali.
Bibl.: L'argomento è esposto, in modo più o meno ampio, nei varî trattati di diritto amministrativo e con maggiore larghezza nei commenti alla legge comunale e provinciale, tra cui v. particolarmente M. La Torre, Commento al nuovo testo unico comun. e prov., Napoli 1934, ad art. 97. Trattazioni specifiche specialmente in: E. Presutti, Il controllo preventivo della Corte dei conti, Torino 1903; U. Forti, I controlli dell'ammin. comun., in Trattato completo di dir. amm., diretto da V. Orlando, II, parte 2ª, n. 63 segg. (e bibliogr. ivi); C. M. Iaccarino, I controlli sull'amministrazione del podestà, in Foro ammin., IV (1929), p. 63 segg.; D. Donati, Atto complesso, autorizzazione, approvazione, in Archivio giuridico, 1930; G. Ortolani, I controlli su le ammin. locali, I, Roma 1936, p. 316.