GIORDANO, Vitale
Nacque a Bitonto, in terra di Bari, il 15 ott. 1633 da Francesco e Minerva Torriero. Passò l'infanzia e la giovinezza nella città pugliese, dove fu avviato alla carriera ecclesiastica. Chierico nel 1643, prese gli ordini minori nel 1648.
Carattere irrequieto, mal sopportava la disciplina che il nuovo stato gli imponeva, tanto da risolversi presto ad abbandonare l'abito e riparare a Taranto. Qui, ancora giovanissimo, si sposò ed ebbe un figlio. Il suo "menar vita dissolutissima" (Villani, p. 429) in poco tempo rese difficili i rapporti con i familiari della moglie, punteggiati da liti, durante una delle quali, nel 1652, uccise un cognato. Fuggì quindi a Venezia dove seppe della flotta che Innocenzo X stava allestendo per muovere contro gli Ottomani. Andò allora a Roma, dove si arruolò. Gli anni di vita militare del G., divisi in ferme biennali alternate tra la flotta e le truppe di terra, furono costellati da episodi (duelli, arresti, condanne, tra le quali una a morte per omicidio, poi condonata), in linea con la natura violenta del personaggio, ma anche dalla scoperta di una nuova passione, la matematica, allorquando fu incaricato di provvedere all'amministrazione della nave su cui era imbarcato.
Preso da tale interesse, nel 1659 il G. decise di passare alle truppe acquartierate in Castel Sant'Angelo, a Roma, dove la sua "conversione" alla matematica si approfondì. Acquistò un esemplare delle opere matematiche di F. Vieta, che però si rivelarono troppo complesse per le sue conoscenze. Cercò quindi di estenderle frequentando la Libreria di S. Agostino (l'attuale Biblioteca Angelica), e nel 1661 abbandonò la vita militare. Dedicatosi solo agli studi, strinse rapporti con scienziati e matematici di primo piano, quali M. Ricci e G.A. Borelli; l'occasione che lo qualificò come matematico fu una serie di lezioni che tenne nell'Accademia dei Simposiaci.
Nel 1663 F. Levera lo segnalò alla regina Cristina di Svezia, che lo accolse nella sua corte romana, stipendiandolo fino al 1666; dal 1667 fu incaricato di leggere le matematiche nella neofondata Accademia di Francia. Ormai ben noto nei circoli cittadini, fu anche, nel 1672, nominato ingegnere addetto a Castel Sant'Angelo. La tranquillità economica che derivò dal cumulo di incarichi gli permise di coltivare i suoi studi; così, quando fu sostituito nella carica presso la fortezza romana, fu pronto per dare alle stampe un'opera, l'Euclide restituito (Roma 1680), che doveva essere, nelle sue intenzioni, il primo volume di un corso di matematica.
Il trattato si colloca in un filone di revisione dei classici della matematica che, in quel giro d'anni, ebbe particolare fortuna. Del testo euclideo il G. restaurò l'assetto complessivo, fornendo un'edizione rispettosa dell'ordine e della successione delle dimostrazioni originali. Nel commento poi, cercando di attribuire un significato basato su considerazioni puramente geometriche alle definizioni di rette parallele (libro I) e di ragione composta (libro VI), ottenne dei risultati che si muovono nella direzione delle posteriori geometrie non euclidee. Del progettato corso il G., oltre a questo volume, di cui fornì anche una seconda edizione (Roma 1687), scrisse anche altre parti, che rimasero inedite. Unica eccezione sembra essere un gruppo di pagine a stampa, dal titolo Elementi conici, segnalato da P. Riccardi (Biblioteca matematica italiana, VII, serie di aggiunte, Modena 1928, p. 44).
Nei primi mesi del 1685, resasi vacante la lettura di matematica della Sapienza, fu bandito un concorso per coprirla. Tra i numerosi aspiranti vi fu il G., che vinse anche in virtù del ritiro del più quotato dei concorrenti, M. Fardella. Insediatosi nella cattedra nel novembre di quell'anno, vi rimarrà fino al 1711. Rafforzata così la fama intellettuale, venne anche il tempo dell'ascesa sociale. Ascritto dal 1687 all'Accademia fisico-matematica di G.G. Ciampini, nel 1691 fu fatto arcade con il nome di Serrano Condileo. È da una discussione nata nella prima di tali accademie che il G. trasse spunto per la pubblicazione di due operette di meccanica, il De componendis gravium momentis (Romae 1687) e il Fundamentum doctrinae motus gravium (ibid. 1688).
Collegato alle polemiche suscitate dalla pubblicazione dello Specimen libri de momentis gravium (Romae 1684), di G.F. Vanni, il De componendis prova che la combinazione dei momenti dei gravi avviene per addizione. La dimostrazione si articola su quattro teoremi, nei quali è presupposto il principio galileiano riguardante il momento dei gravi cadenti dalla stessa altezza. Nel Fundamentum, filiazione del precedente scritto, il G. risponde a critiche avanzate contro il De componendis, proponendosi di dimostrare la validità generale della proposizione galileiana e di invalidare l'accusa di aver fondato la sua costruzione su un enunciato non dimostrato. Dell'opera il G. fornì una editio altera (Romae 1689), attualmente molto rara (una copia si trova nel centro studi dell'Archivio diocesano di Bitonto), dedicata al principe Antonio Ottoboni e a papa Alessandro VIII.
Divenuto uno dei matematici italiani più noti, il G. conobbe G.W. Leibniz quando fu a Roma durante il suo viaggio in Italia del 1689-90. Dall'incontro derivò uno scambio epistolare (due lettere del Leibniz e una del G.), il cui tema principale è l'Euclide e la definizione di linea retta ivi contenuta.
Il ventennio che seguì fu per il G. ricco di stimoli intellettuali, ma travagliato da malanni fisici, il più grave dei quali, una malattia polmonare, nel 1694 lo costrinse a letto per mesi; ne guarì grazie alle cure dell'ex allievo G.M. Lancisi. In questi anni gli furono affidati incarichi e perizie: nel 1700, quando Clemente XI avviò un riesame del calendario gregoriano; nel 1705, quando fu deciso di innalzare la colonna di Antonino Pio rinvenuta a Montecitorio; ma già nel 1691, quando le religiose di S. Anna cercarono di impedire l'edificazione di un fabbricato dinanzi al loro convento, gli era stata chiesta una perizia, pubblicata da L. Gerardi, Ragioni della peritia fatta dal signor Vitale Giordano, Roma 1694. Nonostante questi impegni, il G. stese varie opere matematiche e di meccanica, la maggior parte delle quali però restò inedita. Quelle che pubblicò sono una ripresa della tematica affrontata nel Fundamentum, e rappresentano uno sconcertante ripensamento delle posizioni lì espresse.
La prima, l'epistola Clarissimo viro Hyacinto Christophoro (Romae 1705), fu motivata dalla pubblicazione del De motu corporum nonnulla (Neapoli 1704) di L.A. Porzio. Il libretto del Porzio, che in sostanza negava la possibilità di formulare una legge generale del moto, fu per il G. occasione di riflessione su quanto aveva sostenuto a proposito del momento dei gravi, che lo portò alla convinzione che la citata proposizione galileiana è valida solo come caso particolare (sfera che discende su piano inclinato di 45 gradi). Tale posizione è vicina a quella del Porzio (cui il G. rimproverò l'insufficienza delle dimostrazioni) e così parve a G. Grandi. Si sviluppò una polemica, nutrita da un paio di scritti del Grandi, da uno di G. Tambucci, un allievo del G., e quindi, nel settembre del 1711, da un opuscolo del G. stesso, Galilei lemma circa gravium momenta (s.l. né d.), il quale si avvicinò ulteriormente alla posizione del Porzio, riconoscendo la fondatezza delle sue obiezioni alla proposizione galileiana.
Meno di due mesi dopo, il 3 nov. 1711, il G. morì a Roma.
Opere: inediti del G. sono a Roma, Bibl. Corsiniana, Mss., 31.B.21-27 (alcuni volumi facenti parte del progettato corso di matematica, completamento del trattato sulle coniche, un'edizione praticamente completa delle opere di Archimede, un'edizione italiana dei Dati di Euclide, un'esposizione di problemi tratti dal III libro delle Exercitationes mathematicae di F. Schooten, Lugduni Batavorum 1657); Ibid., Biblioteca Casanatense, Mss., 647, 2072, 2073, 2669, 5479 (due trattati di ingegneria militare e un Della filosofia naturale moderna… divisa in due tomi con le sue figure); Ibid., Biblioteca Alessandrina, Mss., 394 (Geometria pratica), 395 (Scienza del moto); Brescia, Bibl. del Politecnico, Collezione Viganò, Mss., 21, 22 (un trattatello euclideo e uno scritto riguardante una polemica con G.F. de Gottignies).
Fonti e Bibl.: Le principali fonti di notizie sono: Bitonto, Arch. diocesano, Processetti sacre ordinazioni, anno 1648; Arch. di Stato di Roma, Fondo Cartari-Febei, b. 66 (uno schizzo autobiografico, cc. 175r-179v; un elenco di opere scritte prima del 1685, cc. 341r-342v; una lista di scolari e altro). A Roma, presso la Bibl. univ. Alessandrina, tra le carte e memorie di C. Cartari, vi sono notizie che riguardano l'attività accademica del Giordano. Il carteggio con Leibniz è in G.W. Leibniz, Mathematische Schriften, a cura di C.I. Gerhardt, I, Berlin 1849, pp. 191-200. Una biografia, scritta da C. Bigolotti, compare nelle Vite degli Arcadi illustri, III, Roma 1714, pp. 147-198; le notizie ivi contenute sono riprese dalle successive biografie, tra le quali C. Villani, Scrittori ed artisti pugliesi, Trani 1904, pp. 429 s. R. Caverni, Storia del metodo sperimentale in Italia, IV, Firenze 1859, pp. 249 s.; F. Amodeo, Vita matematica napoletana, Napoli 1905, pp. 45 s.; R. Bonola, Un teorema di G. V., in Boll. di bibliografia e storia delle scienze matematiche, VIII (1905), pp. 33-36; G. Vailati, Sulla teoria delle proporzioni, in Questioni riguardanti le matematiche elementari, a cura di F. Enriques, I, Bologna 1924, pp. 164-167; F. Enriques, Gli elementi di Euclide e la critica antica e moderna, II, Roma-Bologna 1925, pp. 8 s.; M. Torrini, Dopo Galileo, Firenze 1979, pp. 49, 105-127, 218-236; V. Ferrone, Scienza natura e religione, Napoli 1982, pp. 21, 125 s., 332 s.; J.M. Gardair, Le "Giornale de' letterati" de Rome, Firenze 1984, pp. 133, 157; A. Robinet, G.W. Leibniz iter Italicum, Firenze 1988, pp. 70 s., 228 s.; M.T. Borgato, Unpublished manuscripts of V. G., in V Internationaler Leibniz-Kongress Vorträge, Hannover 1988, pp. 99-106; Id., Una presentazione di opere inedite di V. G., in Giornate di storia della matematica, a cura di M. Galuzzi, Commenda di Rende 1991, pp. 3-56.