VITELLI, Vitellozzo
– Primogenito di Alessandro e di Angela de’ Rossi di San Secondo, nacque a Firenze ai primi di aprile del 1531.
Come altri esponenti della stirpe, il padre, celebre condottiero e membro delle Bande Nere, prese parte attiva alle guerre per l’Italia del primo Cinquecento combattendo per conto di Clemente VII, del duca Alessandro de’ Medici e più tardi di Cosimo I, mentre la madre, figlia di un capitano di ventura di primo piano, era imparentata per via materna con i Medici ed era già andata in sposa a un altro Vitelli, quel Vitello, cugino di Alessandro, morto nel 1528 durante l’assedio di Napoli. A riprova degli stretti legami con i vertici dello Stato fiorentino, Vitellozzo fu tenuto a battesimo dai cardinali Giovanni Salviati e Niccolò Ridolfi alla presenza del duca Alessandro.
Ricevette a Firenze una solida educazione umanistica sotto le cure di un certo Giovanni o Giacomo Della Pergola; dopo un breve soggiorno a Bologna, si trasferì a sedici anni a Padova, presso il cui Studio si addottorò brillantemente in utroque iure. Nonostante fosse primogenito, fu indirizzato verso la carriera ecclesiastica, certamente nella speranza di riconsolidare la posizione della famiglia presso la corte papale, slegarne le sorti dal servizio militare prestato dall’ormai anziano padre e ottenere il vescovato di Città di Castello, come era riuscito a fare, per soli quattro anni, Giulio di Niccolò al principio del secolo. Papa Giulio III, per il quale Alessandro Vitelli aveva combattuto la guerra di Parma nel 1551 tradendo l’antica fedeltà ai Farnese, spianò la strada al giovane, nominandolo cavaliere di San Pietro e San Paolo, collettore, cameriere segreto e, nel settembre del 1552, chierico della Camera apostolica. Il 4 aprile 1554, ottenuta la dispensa per mancati limiti d’età (aveva 24 anni appena compiuti in luogo dei 27 previsti dal diritto canonico), succedette ufficialmente al vescovo titolare di Città di Castello, il domenicano Alessandro Stefano Filodori, ormai esautorato nell’esercizio delle proprie funzioni dalle manovre dei Vitelli. Gli fu inoltre affidato temporaneamente il governo di Civitavecchia. Poche settimane più tardi, si spense il padre e la guida della famiglia passò a Vitellozzo, che cedette prontamente al fratello Giacomo i diritti su Amatrice. Si intensificarono allora le malversazioni di ogni sorta perpetrate dalla madre in Città di Castello, così come dal fratellastro di Vitelli, Camillo, nel feudo di Montone.
Dopo l’elezione di Paolo IV, Vitelli seppe scaltramente avvicinarsi ai nipoti del pontefice, prima a Giovanni Carafa, futuro duca di Paliano, poi al cardinale nipote Carlo, di cui divenne principale sodale in imprese tutt’altro che illibate. Fu incluso, accanto a uomini di provata ortodossia come Michele Ghislieri, Clemente D’Olera e Virgilio Rosari, nella terza promozione cardinalizia del 15 marzo 1557, scegliendo il titolo diaconale dei Ss. Bacco e Sergio in memoria dell’avo (o presunto tale) asceso ai medesimi onori sotto Alessandro III nel 1164. I suoi costumi assai liberi – si pensi alle feste smodate a Città di Castello, in compagnia di Carlo Carafa e un gran numero di prostitute – non gli impedirono di conquistare in brevissimo tempo la piena fiducia del pontefice. Nonostante la giovane età, fu portavoce del papa insieme con il cardinale nipote e Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora durante le trattative per la pace di Cave, che nel settembre del 1557 pose fine alla sciagurata guerra contro la Spagna di Filippo II cui avevano preso parte anche i fratelli di Vitelli, Vincenzo e Giulio (quest’ultimo più tardi eletto chierico di Camera). Con la disinvoltura che lo contraddistinse, passava frattanto informazioni riservatissime a Venezia, contrastava Cosimo I e il suo ambasciatore, intralciava il processo penale aperto contro i congiunti per vari omicidi, soprusi e usure e favoriva la successione del figlio naturale di Camillo Vitelli, Ferrante, come signore di Montone. Non esitò poi a contrarre un debito rilevante per essere il primo a soddisfare le richieste di donativi cardinalizi da parte di Paolo IV e, ormai in rotta con Giovanni e Carlo Carafa, giocò d’astuzia lasciando trapelare informazioni compromettenti nel corso delle indagini che convinsero l’anziano pontefice a cacciare gli indisciplinati nipoti da Roma al principio del 1559, con l’esclusione di Alfonso, cui Vitelli era legato dai tempi della comune creazione cardinalizia.
Scampato alla furia del popolo romano alla morte di papa Carafa, Vitelli entrò in conclave con il titolo di S. Maria in Portico per cui aveva recentemente optato. Si distinse come il più strenuo oppositore all’assoluzione di Giovanni Morone, perseguito e incarcerato come eretico da Paolo IV, e alla sua partecipazione alle votazioni, venendo per questo redarguito persino da uno dei cardinali inquisitori, Rodolfo Pio da Carpi, alleato di Vitelli al suo esordio a corte. Riuscì in ogni caso a mettersi al centro delle contrattazioni per l’elezione del papa, convincendo i nipoti e le creature di Paolo IV a spostare i propri voti sul candidato imperiale, Giovanni Angelo Medici. Comprendendo l’importanza assunta dai dossier inquisitoriali per screditare un candidato alla tiara, conservò una copia degli atti del processo Morone, contravvenendo agli ordini del nuovo pontefice.
Uscì indenne dalla rovinosa caduta dei nipoti di Paolo IV nel 1561; si oppose in concistoro al processo voluto a ogni costo da Pio IV, salvo poi fornire ai giudici una deposizione chiave, in cui ammise che Carlo Carafa lo aveva obbligato a tenere lo zio all’oscuro delle contropartite ottenute impropriamente a margine del trattato di Cave. Nel frattempo, anche per sfilarsi dalle crescenti accuse contro l’agire dei propri familiari, aveva ceduto nel febbraio del 1560 il vescovato tifernate, ricevendo in cambio l’amministrazione della diocesi di Imola fino all’ottobre dell’anno successivo. In entrambi i casi, fece eleggere in suo luogo due uomini di fiducia e si riservò una parte cospicua delle rendite. Vitelli si mostrò contrario alla politica di apertura di papa Medici verso il mondo cattolico tedesco, votando in concistoro con la fazione più intransigente contro la concessione del calice ai laici, ma subordinando sempre la difesa delle proprie convinzioni religiose di stampo rigorista all’opportunismo del momento, evitando cautamente di urtare il pontefice.
Pio IV si avvalse infatti largamente della sua preparazione in campo giuridico e letterario. Accanto a Morone, al moderato Marcantonio Da Mula e al teatino Bernardino Scotti, Vitelli fu uno dei quattro porporati demandati alla supervisione della stamperia papale fondata nel 1561 e diretta tra mille difficoltà da Paolo Manuzio; stilò un piano di riforma per la Camera apostolica e la Penitenzieria insieme con il cardinale Carlo Cicala; entrò a far parte del S. Uffizio a seguito dell’ampliamento volto a limitare lo strapotere acquisito da questo dicastero; diresse i lavori per l’esondazione del Tevere; partecipò alle numerose commissioni legate all’assise tridentina e fu scelto come membro della neonata Congregatio Concilii e della congregazione incaricata dell’erezione del seminario romano, mentre si occupò di riformare la musica sacra accanto a Carlo Borromeo, schernendo tuttavia i propositi di quest’ultimo relativi a un maggiore coinvolgimento dei cardinali nella celebrazione della messa. Nel novembre del 1564, riuscì in una manovra spregiudicata, persuadendo il papa a cedergli il camerlengato per una somma di 70.000 scudi a poche ore dalle esequie del cardinale Santa Fiora, che aveva detenuto l’incarico per ventisette anni. Respinte le proteste non del tutto disinteressate dei nipoti (i cardinali Borromeo e Giovanni Serbelloni), Pio IV, impegnato in un ampio riassetto fiscale, acconsentì al disegno. Vitelli, fortemente indebitato, ma convinto di potersi presto rifare attraverso i proventi dell’alto ufficio appena ottenuto, si vide inoltre assegnare la legazione di Campagna e Marittima e la prefettura della Segnatura di Grazia. Estese nel frattempo i territori familiari, facendosi confermare il dominio su Citerna e strappando il possesso di altri piccoli feudi nel Ternano e nel Frusinate.
In quanto camerlengo, presiedette la sede vacante alla morte di Pio IV, venendo più tardi citato in giudizio per le spese approvate. Secondo l’ambasciatore spagnolo, Vitelli, definito dotto ma inquieto («bullidor»), sarebbe stato il candidato dei cardinali carafiani e della Francia attraverso Ippolito d’Este. In conclave, guidò in effetti i porporati legati ai Carafa, ma si adoperò per l’elezione di uno di essi, il sommo inquisitore Ghislieri (Pio V). Nonostante le comuni appartenenze politiche, i rapporti con l’austero pontefice furono altalenanti, complice anche la scarsissima propensione di Vitelli a piegarsi alla morale controriformistica imposta anche a corte. Oltre a infrangere le direttive contro il gioco d’azzardo, continuava imperterrito a indire licenziosi e stravaganti banchetti, uno dei quali rimase celebre per il servizio gestito da trentaquattro nani deformi. Se Vitelli fu in un primo tempo coinvolto nel governo dello Stato accanto a tre autorevoli colleghi Farnese, Rebiba, Reumano e si impegnò perché le rinnovate disposizioni contro gli ebrei venissero applicate anche in Umbria, non fu confermato tra i cardinali inquisitori e fu presto messo in ombra. Il favore del papa gli venne definitivamente meno quando, nel 1567, furono rivelati gli accordi segreti presi da Vitelli con il cardinale Ippolito d’Este in previsione di un conclave che non fu imminente quanto immaginato.
La morte, che lo raggiunse il 19 novembre 1568 tanto inaspettatamente da destare sospetti di avvelenamento, non gli permise di recuperare la posizione di preminenza goduta in passato, sebbene avesse di recente ottenuto la protettoria del regno di Francia e l’amministrazione della ricca diocesi di Carcassonne. Fu seppellito nella chiesa di S. Maria in Via Lata, di cui era da quattro anni titolare, davanti all’altare dedicato ai Ss. Ciriaco e Caterina.
Rimangono due suoi ritratti tardi, nei palazzi Vitelli alla Cannoniera e quello a Sant’Egidio in Città di Castello, mentre si è smarrito il busto marmoreo che era posto nella loggia della residenza familiare a San Giacomo.
Raffinato bibliofilo, Vitelli si distinse come patrono di musicisti, giuristi e letterati, tra cui Pierluigi da Palestrina, Orlando di Lasso e Luigi Dentice, Lelio Giordano e Marcantonio Bardi, Francesco Sansovino, Pompilio Amaseo, Ippolito Salviani, Giovan Battista Gabia e Virginia Martini Salvi. A Roma, nel suo palazzo al Quirinale (poi villa Aldobrandini), raccolse e annotò un’ingente quantità di documenti, concernenti soprattutto la storia dell’istituzione papale e cardinalizia. Riuscì tuttavia a portare a compimento solo un’edizione a stampa che raccoglieva due opere del cardinal Juan de Torquemada in difesa della supremazia papale, uscite nel 1561 dai torchi veneziani di Michele Tramezzino, con dedica a Pio IV e a Borromeo.
Si interessò al patrimonio archivistico della Sede apostolica, proponendo tra l’altro di spostare l’archivio avignonese a Roma nel 1558. Forte della propria reputazione di erudito, subentrò nel 1564 nella gestione della Biblioteca Vaticana, rimasta senza guida in seguito all’esilio di Alfonso Carafa. Sebbene Vitelli si fosse speso non poco in questo incarico, si vide preferire, alla morte di Carafa nell’agosto del 1565, l’odiato rivale Marcantonio Da Mula come nuovo cardinale bibliotecario. Cinque anni più tardi, la ricca biblioteca di Vitelli fu oggetto di confisca da parte della Camera apostolica, sia per il possesso di carte sensibili legate ai pontificati di Paolo III e Paolo IV sia in ragione degli enormi debiti lasciati dal defunto cardinale.
Fonti e Bibl.: Il nucleo più consistente di documenti, tra cui il testamento, è costituito dalle Carte Rondinelli-Vitelli in Archivio di Stato di Firenze, specialmente numerosi inserti delle filze 7-9 e i due autografi nella filza 118, ins. 20; Mediceo del Principato, Relazioni con Stati italiani ed esteri, Roma, f. 3278, cc. 112r-113r, 314r; f. 3284, ins. 9, cc. 77r-78r per le osservazioni degli ambasciatori fiorentini. La corrispondenza di Vitelli con i Carafa è nella Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat., 5706 e 5711; le poche missive scambiate con Borromeo a Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., F.75 inf., F.105 inf. e F.106 inf.; una a Sirleto in Biblioteca apostolica Vaticana, Reg. lat. 387, c. 74r e un’altra d’occasione a Caterina de’ Medici all’indomani dell’elezione di Pio IV in Parigi, Bibliothéque nationale, Fr. 3897, c. 265r. Si vedano inoltre: Juan de Torquemada, Summa de Ecclesia [...] una cum eiusdem apparatu [...] super decreto Papae Eugenii IIII, Venetiis 1561; Lettere del cardinale Gio. de’ Medici, Roma 1752, pp. 136 s, 170 s., 297 s., 348, 380, 410 s., 452 s., 488 s.; I. von Döllinger, Beiträge zur politischen, kirchlichen und Cultur-Geschichte der sechs letzten Jahrhunderte, I, Regensburg 1862, pp. 547, 583 s., 598; P.O. Kristeller, Iter Italicum, II, Leiden 1977, pp. 184b, 333b, V, London-Leiden 1990, p. 503b; D. Santarelli, La corrispondenza di Bernardo Navagero, ambasciatore veneziano a Roma (1555-1558), Roma 2011, pp. 181, 212, 229 s.; C. La Mancusa, Eroi di casa Vitelli. Trascrizione di un documento di Niccolò Serpetro, Cosenza 2013, passim.
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