Viterbo
Città della Tuscia meridionale, la cui esistenza è provata fin dalla fine del sec. VII (" Castrum Viterbii ", anonimo geografo ravennate), ma le cui origini si possono far risalire ben più indietro, tenuto conto che al suo luogo sorgeva un probabile " Vicus Elbii " romano e ancora precedentemente uno stanziamento etrusco di nome " Surrena ".
La città, posta sulla via che dal nord conduceva a Roma, cominciò ad acquistare importanza nel sec. XI per l'inurbamento della popolazione campagnola, tanto che alla fine di tale secolo si fa risalire il suo primo ordinamento comunale. V. continuò a progredire attraverso le guerre con i comuni vicini (1172 distruzione di Ferento); nel 1177 ottenne vari privilegi da Federico Barbarossa e nel 1192 la sede vescovile, divenendo quindi la principale città della Tuscia romana. Nel secolo successivo, le lotte fra le fazioni dei Gatti, guelfi, e Tignosi, ghibellini, portarono al predominio, contrastato, di Federico II sulla città (1240-1250), ma alla morte dell'imperatore V. tornò stabilmente alla Parte guelfa e nel 1251 ne vennero codificati gli statuti cittadini. Nel 1257 si rifugò a V., seguendo l'esempio sporadico dei suoi predecessori, Alessandro IV in lotta con Manfredi, e da allora la sede papale vi risiedette fino al 1281, svolgendovi tutte le sue attività. Questo fu il periodo di maggior sviluppo e floridezza della città, che con il ritorno della sede a Roma cominciò a decadere. Nel sec. XIV, dopo un periodo di signoria dei prefetti di Vico, V. fu ricondotta all'obbedienza della Chiesa dal cardinale Albornoz (1357).
Mancano prove sulla presenza di D. in Viterbo. La descrizione del Flegetonte, che sembra ispirata alla realtà del Bulicame, ha indotto alcuni interpreti a postulare necessariamente una visione diretta della celebre fonte. I medesimi affermano che il poeta vi avrebbe sostato nel 1300, mentre era diretto a Roma per il giubileo; tuttavia nessun cronista antico dà notizia della dimora viterbese di Dante.
Accenni impliciti della città si hanno nella Commedia. In If XII 119-120 è ricordato uno dei più sanguinosi episodi della storia cittadina: l'uccisione di Enrico di Cornovaglia, figlio di Riccardo re dei Romani e cugino di Edoardo I d'Inghilterra, a opera di Guido di Montfort. Il delitto avvenne nella chiesa di San Silvestro, ora detta del Gesù, come conferma un' iscrizione latina ritrovata nella detta chiesa, al di sotto dell'affresco raffigurante la tragica scena.
Di V. si parla anche in If XIV 79-80. D. assomiglia il Flegetonte, che scorre nel girone dei violenti contro il prossimo, al Bulicame, una sorgente termale di acqua solfato-bicarbonato-sodica, posta a circa tre chilometri a no della città.
Nell'episodio di Cunizza da Romano, in Pd IX 53, si parla di una prigione della Malta diversamente identificata dai commentatori; una delle interpretazioni probabili è il carcere di V., detto la Malta per il pavimento fangoso, costruito nel 1225 e usato dai pontefici come ergastolo per ecclesiastici. Era sito non lungi dal torrente Urcionio e andò distrutto con l'ampliamento della città.
Non si può parlare di una fortuna di D. in V.: modesti lavori monografici su D. e V. si hanno solo nel nostro e nello scorso secolo, mentre per quelli precedenti manca una pur minima letteratura.
Bibl. - F. Bussi, Istoria della città di V., Roma 1742; R. Murari, Note dantesche, Reggio Emilia 1805; F. Cristofori, D. e V., tre commentari storici: sul conclave del 1270, Guido di Monforte ed Enrico di Cornovaglia, il Bulicame e la prigione di Malta, Siena 1888; C. Pinzi, Storia della città di V., III, Roma 1899; F. Antonelli, La Malta dantesca e l'isola Bisentina, Torino 1920; A. Scriattoli, V. nei suoi monumenti, Roma 1920; Luoghi e monumenti danteschi a V. disegnati da Umberto Richiello e descritti da Gino Rosi nel VI centenario, Viterbo 1921; A. Gottardi, V. nel Duecento, ibid., s.a.; G. Mazzoni, Malae cruces dantesche, in " Studi Filol. Ital. " IV (1936) 5; M. Apollonio, D. e l'Umbria, in L'Umbria nella storia nella letteratura nell'arte, Bologna 1954, 219-221; N. Kamp, Istituzioni comunali in V., I, Viterbo 1963; S. Vismara, D. e V., ibid. 1965.
Lingua. - Assieme a Perugia, Orvieto e Civita Castellana è nominata in VE I XIII 2 fra le città della Tuscia (cfr. X 7) dei cui dialetti non vale la pena di occuparsi per la parentela che hanno con brutte parlate, già condannate da D. nel cap. XI, come quelle dei Romani e degli Spoletini: propter affinitatem quam habent cum Romanis et Spoletanis.