Welfare
Ogni sistema di w. è inevitabilmente espressione di un patto sociale, mediato dalle istituzioni di governo, tra individui appartenenti a diverse generazioni e classi di reddito. La natura di tale patto, e quindi il disegno delle specifiche istituzioni del w., riflette il contesto sociale e demografico, oltre a quello economico, in cui operano gli attori coinvolti: lavoratori, imprese e istituzioni. I sistemi di w. contemporanei sono stati perlopiù disegnati e messi a punto nel periodo compreso fra gli anni Trenta e Settanta del 20° sec., quando il rapporto tra i lavoratori attivi e quelli inattivi era particolarmente alto, cosicché un onere contributivo di entità modesta sui primi consentiva di finanziare prestazioni particolarmente generose a favore dei secondi (pensionati, diversamente abili, disoccupati, donne in maternità, malati ecc.). Non è un caso che il nuovo contesto demografico, caratterizzato da una progressiva riduzione dei tassi di fertilità e da un costante aumento della speranza di vita, abbia rimesso in discussione soprattutto il patto generazionale che aveva consentito la nascita dei sistemi pensionistici pubblici. L'insostenibilità di prestazioni finanziate da un sempre più esiguo numero di lavoratori attivi a favore di una platea di pensionati sempre più vasta costituisce il contesto entro il quale i critici dell'intero welfare state provano a chiederne il suo smantellamento. Occorre inoltre ammettere che la carica ideale e di progettualità che aveva alimentato l'evolversi dei sistemi di protezione sociale nel corso della prima metà del secolo scorso ha lasciato il passo a politiche di trasferimenti disordinati, la cui genesi risiede nelle variegate coalizioni di interessi che si modellano in sincronia con i cicli politico-elettorali.
Teoria economica
Queste modalità di espansione del welfare state ha portato, a partire dagli anni Settanta, a una ripresa, in forme nuove e analiticamente raffinate, della vecchia dottrina del laisser faire. È stato in particolare M. Friedman, il fondatore della scuola di Chicago, a lanciare la controffensiva liberista. Secondo Friedman, gli interventi keynesiani a sostegno della domanda tendono a generare soltanto un aumento del livello generale dei prezzi senza essere in grado di ridurre il tasso di disoccupazione. La controffensiva liberale ha lasciato il segno nelle riflessioni teoriche sul w. contemporaneo e il pensiero keynesiano deve confrontarsi con la tesi che ogni politica redistributiva comporta un preciso costo in termini di efficienza, come se qualsiasi trasferimento di ricchezza a favore delle categorie meno premiate dai meccanismi di mercato non possa che avvenire attraverso un 'secchio bucato' (Okun 1975). Nonostante ciò, tuttavia, riveste ancora un ruolo centrale il problema dell'equità distributiva. Un contributo fondamentale in questa direzione è stato dato dall'economista indiano A. Sen, al quale l'Accademia delle scienze svedese ha conferito il premio Nobel per l'economia nel 1998 "per aver restituito una dimensione etica alla discussione di fondamentali problemi economici".
Modelli
Un primo tentativo di 'mettere ordine' nella varietà delle politiche sociali è stato compiuto da R.M. Titmuss (1974), che ha individuato tre modelli di welfare. Il modello residuale, considerando il mercato e la famiglia le fonti naturali di assistenza agli individui, offre una rete di salvataggio soltanto a coloro che, per comprovati motivi, non riescono ad attingere a quelle fonti. Il modello meritocratico, ritenendo assolutamente indispensabile che i benefici delle politiche sociali corrispondano a un preciso merito o sacrificio, prevede incentivi per il lavoro e il risparmio previdenziale. Il modello redistributivo-istituzionale, privilegiando il criterio del bisogno più che quello del merito, fornisce beni e servizi, quali gli alloggi, l'istruzione, i trasporti e le prestazioni sanitarie con logiche universalistiche estranee ai meccanismi di premio e incentivo tipici del mercato.
G. Esping-Andersen (1993) ha proposto, invece, una diversa tripartizione utilizzando due criteri distintivi: gli specifici rischi sociali dai quali lo Stato decide di proteggere i cittadini e il grado di delega del compito di copertura da tali rischi alle altre istituzioni concorrenti dello Stato: l mercato e la famiglia. Il regime 'liberale' delega al mercato il compito di fornire i servizi di assistenza e previdenza e all'individuo l'onere di doversi procurare i mezzi per accedervi; pertanto privilegia l'assistenza selettiva piuttosto che quella universalistica e identifica un nucleo particolarmente ristretto di rischi sociali. Ne rappresenta un esempio il sistema di w. degli Stati Uniti che non garantisce il diritto alla salute, non concede indennità di malattia, maternità e congedo parentale, né assegni familiari. Il regime 'socialdemocratico' protegge i cittadini da un nucleo particolarmente ampio di rischi sociali, assegna al mercato e alla famiglia un ruolo marginale nell'erogazione di servizi sociali ed è fondamentalmente universalistico: esso riconosce il diritto alle prestazioni a tutti i cittadini, indipendentemente dalla circostanza di aver versato i contribuiti sociali oppure di aver posto in essere comportamenti meritevoli. Fanno parte del regime socialdemocratico i programmi posti in essere in Danimarca, Norvegia e Svezia, la cui peculiarità risiede nel processo di defamilizzazione e di impulso alla partecipazione femminile al mercato del lavoro che esso genera. Il regime 'conservatore' offre un grado di protezione differenziato ai cittadini secondo il loro status lavorativo e pone la famiglia al centro dell'offerta di prestazioni sociali. La sua origine è il w. bismarckiano (avviato in Prussia tra il 1883 e il 1889 con l'istituzione di assicurazioni obbligatorie finanziate con il concorso di lavoratori e imprenditori) e il suo terreno di diffusione la quasi totalità dei Paesi europei e il Giappone. Esempi del suo carattere corporativo sono i privilegi che vengono accordati ai dipendenti pubblici e l'elevata frammentazione degli enti previdenziali. Emblematiche della sua caratteristica familista sono la protezione organizzata intorno al maschio, unico percettore di reddito all'interno dell'unità familiare, e le forme di assistenza residuali rivolta ai nuclei familiari atipici.
Prospettive di riforma
Una nuova carica di progettualità nel campo del w. è emersa con lo schema pensionistico introdotto in Italia nel 1996 e in Svezia nel 1998. La caratteristica essenziale del nuovo disegno - che, in Italia, riguarda pienamente soltanto i lavoratori assunti dal 1996 in poi - è l'attribuzione all'assicurazione obbligatoria per la vecchiaia di un chiaro connotato di corrispettività tra contributi e prestazioni, oltre che di una stringente sostenibilità finanziaria. La corrispettività tra contributi e prestazioni viene garantita dal fatto che i contributi annualmente versati da ciascun lavoratore, seppur utilizzati per poter corrispondere le pensioni alle generazioni a riposo, vengono contabilizzati in una sorta di conto corrente virtuale, il cui saldo all'età di pensionamento viene trasformato in rendita pensionistica attraverso l'uso di appositi 'coefficienti di trasformazione' che riflettono la speranza di vita del pensionando (e quindi la durata prevista della rendita). La sostenibilità finanziaria è invece garantita a condizione che: 1) il tasso di interesse annualmente riconosciuto sui saldi dei conti correnti virtuali sia uguale al tasso di crescita della massa salariale (e quindi dei contributi che alimentano la cassa dell'ente previdenziale); 2) i coefficienti di trasformazione siano continuamente aggiornati per tener conto dell'evoluzione della speranza di vita. La circostanza che su tutti i conti correnti individuali sia annualmente accreditato il medesimo tasso d'interesse consente al nuovo schema di eliminare le iniquità insite nel modello bismarckiano, adottato in Italia prima della riforma nonché dalla maggior parte dei sistemi pensionistici pubblici, che tende a premiare i lavoratori ad alto reddito e i pensionamenti precoci (Gronchi, Nisticò 2006). Il nuovo metodo di calcolo delle prestazioni ha inoltre il duplice vantaggio di lasciare piena libertà agli individui riguardo alla scelta dell'età di pensionamento e di consentire ai lavoratori di percepire i contributi previdenziali non più come una tassa, bensì come una forma di risparmio, obbligatorio ma remunerato. Proprio la circostanza di aver restituito trasparenza e sostenibilità alla spesa pensionistica - la quota più consistente della spesa sociale - dovrebbe allentare la pressione politica sui costi della spesa sociale, spianando la strada a una riforma condivisa anche degli altri istituti del welfare.
bibliografia
R.M. Titmuss, Social policy, London 1974.
A. Okun, Equality and efficiency, the big tradeoff, Washington 1975.
N. Barr, The economics of the welfare state, Oxford-New York 1987, 20044. Changing classes: stratification and mobility in post-industrial societies, ed. G. Esping-Andersen, London 1993 (trad. it. I fondamenti sociali delle economie postindustriali, Bologna 2000).
F. Girotti, Welfare state, Roma 1998.
S. Gronchi, S. Nisticò, Implementing the NDC theoretical model: a comparison of Italy and Sweden, in Pension reform: issues and prospects for non-financial defined contribution (NDC) schemes, ed. R. Holzmann, E. Palmer, Washington (D.C.) 2006.