xenofobia
La paura dello straniero
La xenofobia, cioè la «paura dello straniero», si manifesta attraverso comportamenti di rifiuto e si presenta, con accentuazioni diverse, in tutte le società umane. Essa rafforza la coesione di una comunità e il consenso sui propri modelli politici, sociali e culturali tramite il disprezzo nei confronti di quelli ‘estranei’ incarnati dallo straniero, percepito come un nemico e una minaccia. La xenofobia, in quanto affermazione esasperata della propria superiorità culturale, sconfina spesso nel razzismo
La xenofobia è un sentimento assai diffuso, più o meno forte a seconda delle condizioni di sicurezza o di insicurezza in cui si sviluppa l’identità culturale di un gruppo. Essa prende di mira chi appartiene a un’altra società, cioè lo straniero: colui che per il suo aspetto fisico, le sue caratteristiche culturali, i modi e il linguaggio dimostra di non appartenere all’identità culturale del territorio in cui si trova. Questa diversità suscita paura in quanto è sentita come una minaccia del sentimento del ‘noi’ basato sulla condivisione dei modelli sociali, politici e culturali della comunità.
Alla xenofobia si associa spesso un atteggiamento etnocentrico, e cioè la sopravvalutazione della propria identità culturale accompagnata dal disprezzo per le identità culturali diverse. Lo straniero – in molte lingue antiche, colui che è escluso da quella comunità i cui membri soltanto si definiscono gli eccellenti, i buoni o semplicemente gli uomini – è temuto e disprezzato: nei suoi confronti si sviluppano pregiudizi, gli si riconosce a malapena una natura umana. Per questo spesso i confini tra xenofobia e razzismo sono incerti: in entrambi domina l’impulso distruttivo di allontanare, discriminare, emarginare lo straniero, di muovergli guerra o addirittura di sterminarlo.
Spesso la distanza sociale fra coloro che appartengono a culture diverse si cumula a quella che separa coloro che appartengono a strati sociali più o meno dotati di prestigio e potere, superiori o inferiori, ma interni alla stessa cultura. Ciò avviene quando lo straniero non è solo ‘diverso’ ma anche ‘inferiore’, proveniente dai paesi poveri del mondo – il caso della xenofobia verso gli immigrati arabi e africani nei paesi ricchi dell’Occidente –, oppure quando non è solo ‘diverso’ ma anche ‘superiore’ – il caso della xenofobia indiana verso i colonizzatori inglesi, dei paesi arabi verso l’Occidente dominatore, dei Sudamericani verso i gringos (cioè gli Americani del Nord).
La paura dello straniero spesso coesiste con un sentimento opposto, la xenofilia, cioè l’interesse per lo straniero. Paura e attrazione convivono e si mescolano, come dimostra la frequente e diffusa passione per tutto ciò che è esotico, che viene da lontano, che parla di altri mondi e di esperienze sconosciute. È probabile che non sia mai esistita una società che si nutre solo della propria cultura senza cercare alimento altrove.
Alcune interessanti indicazioni sulle radici psicologiche della paura e del rifiuto dello straniero (e in generale di chi non fa parte del proprio gruppo) provengono dalla psicologia, che ha studiato come si manifesta questa reazione nella prima infanzia.
Secondo Sigmund Freud, per esempio, lo spirito di gruppo e l’avversione per lo straniero avrebbero origine nell’ostilità, generata da un senso di minaccia e di abbandono, con cui il bambino accoglie i nuovi fratelli che sembrano sottrargli l’affetto e le cure dei genitori. Questo sentimento può essere superato solo attraverso l’identificazione con altri bambini non appartenenti alla famiglia, che negli anni successivi si consolida con l’appartenenza a un gruppo di pari, per esempio la classe scolastica.
Un altro fenomeno interessante studiato dagli psicologi è la cosiddetta crisi dell’ottavo mese, l’improvvisa paura e il rifiuto che il bambino manifesta nei confronti degli estranei. Se il bambino ha avuto esperienze serene nel suo rapporto con la madre, se ha maturato una tranquilla fiducia nei confronti del suo ambiente, l’arrivo di un estraneo gli metterà un po’ di paura, ma prevarranno in lui la curiosità e l’interesse. Quando invece il bambino non ha avuto modo di sviluppare una sufficiente fiducia di base, quando la fase simbiotica con la madre non è stata felice, generatrice di fiducia, la reazione sarà di angoscia, paura, spesso di panico.