ZAIDITI
. Sono i seguaci della più moderata fra le sette musulmane sciite, cioè di quella che prende il nome dal suo iniziatore Zaid ibn ‛Alī Zain al-‛Ābidīn (v.) e che oggi sopravvive soltanto nello Yemen, dove tuttavia detiene il potere politico. Caduto Zaid in battaglia nel 122 eg. (gennaio 740), i suoi partigiani continuarono qua e là, a intervalli, le agitazioni e le rivolte contro l'autoritâ pubblica sunnita, e nella provincia persiana del Ṭabaristān (ora Māzanderān) lungo la riva meridionale del Mar Caspio, nel 250 eg. (864), arrivarono a fondare uno stato con una loro dinastia ‛alide, la quale riuscì a mantenersi, con alcune interruzioni, sino al 424 eg. (1033). Intorno al 520 (1126) le loro tracce si perdono nella Persia e negli altri paesi musulmani, eccettuata l'Arabia. Infatti un gruppo zaidita, stabilitosi nella prima metà del sec. III eg. (IX d. C.) ad ar-Rass nel centro della penisola, di là irradiò una forte propaganda nello Yemen settentrionale, dove nel 280 eg. (893-894) sorse la dinastia zaidita detta degl'imām rassiti, della quale è continuazione la serie di quelli che si sogliono chiamare gl'imām di Ṣan‛ā', oggi regnanti su tutto il paese (v. yemen: Storia).
Nel diritto pubblico, ossia nella dottrina dell'imāmato, gli Zaiditi abbandonarono l'estremismo delle altre sette sciite, ripudiando la teoria dell'imām infallibile, impeccabile, sovrano per esclusiva volontà divina, discendente in linea retta da al-Ḥusain, secondo una successione che ad un tratto si arresta visibilmente per dar luogo all'imām occulto che ricomparirà in un lontano e imprevedibile futuro (v. Sciiti). In questa questione della sovranità, per ciò che riguarda la loro posizione rispetto ai primi quattro califfi, gli Zaiditi sono divisi fra loro: l'ala sinistra, detta dei Giārūdī, qualifica i primi tre califfi (Abū Bakr, ‛Omar, ‛Othmān) come illegittimi, come aventi usurpato il posto che, invece, spettava ad ‛Alī per esplicita designazione di Maometto; laddove l'ala destra, detta dei Butrī, accostandosi alquanto alla dottrina sunnita, nega la designazione esplicita di Maometto a favore di ‛Alī, ritiene che questi avrebbe dovuto avere la preminenza per i suoi meriti personali, ma che non per ciò si debbano proclamare illegittimi gli altri tre e reprobi i loro elettori. Ad ogni modo tutti sono d'accordo nel ritenere che, dopo i due figli di ‛Alī (al-Ḥssan e al-Husain), l'imām o sovrano non possa essere se non uno della ahl al-bait cioè un ‛alide fāṭimide o, in altre parole, debba appartenere alla discendenza di ‛Alī e Fāṭimah (la figlia di Maometto) senza far distinzione tra le due linee di questa. Non ammettono diritti di successione, e quindi men che mai il legittimismo degli altri sciiti; e neppure ammettono, al contrario dei sunniti, una vera elezione e un carattere contrattuale dei rapporti tra l'imām (califfo) e la comunità: morto un imām, gli succede chi presenti la propria candidatura (da‛wah "appello") per primo, avendo già un largo seguito, tale da potersi presumere ch'esso gli consentirebbe d'intraprendere la guerra santa; se i candidati spontanei fossero due, uno di essi cederà il passo a quello che appaia superiore tanto per qualità morali quanto per attitudini guerriere. Si palesa qui il carattere militante, bellicoso del sistema zaidita, in contrasto con quello degli sciiti imāmiti (duodecimani, ithnā‛ashariyyah). Nella pratica yemenita si sono avuti tanto casi di autocandidature quanto atti d'investitura offerta dai dottori (‛ulamā') e dagli alti dignitarî. La ribellione all'imām è empietà.
In dogmatica, al pari degli sciiti imāmiti, accolsero le dottrine dei mu‛taziliti (v.); quindi negazione di attributi divini distinti dall'essenza di Dio; negazione che il Corano sia increato; negazione della visione beatifica nella vita futura; affermazione del libero arbitrio; possibilità di stabilire il bene e il male morali per mezzo del ragionamento, senza bisogno della rivelazione per questo; concetto di limitazione dell'onnipotenza di Dio, scaturente dalla sua stessa giustizia concepita in modo analogo alla giustizia razionale umana; eternità delle pene infernali anche per i reprobi musulmani (ciò in contrasto con i sunniti e con gli sciiti imāmiti). Invece, contro gli altri sciiti, non ammettono il badā', ossia che Dio possa mutare i proprî decreti anche prima che abbiano avuto esecuzione. Nel campo della teoria generale delle "radici" del diritto essi restringono l'ig???mā‛ (v. islamismo, XIX, p. 607) all'accordo d'opinione fra i dottori discendenti da Maometto (quindi da ‛Alī), ossia appartenenti alla ahl al-bait; nel loro insieme, non singolarmente, costoro sono infallibili. Il ṣūfismo (v.) e le confraternite sūfiche non sono ammessi. Il sistema giuridico si sviluppò, come quello dogmatico, dopo la morte di Zaid; esso fu elaborato in due scuole principali, delle quali, già da molti secoli, prevalse quella fondata da al-Qāsim ibn Ibrāhīm ar-Rasī (morto nel 246 eg., 860-861) e compiuta dall'imām yemenita al-Hādīlà 'l-Ḥaqq Yahyà ibn al-Ḥusain suo nipote (morto nel 298 eg., 911), cosicché il sistema giuridico (madhab) zaidita porta l'epiteto di hadawī (o hādawī) oppure yaḥyawī. Esso ha molta affinità con il ḥanafita; nel diritto di famiglia, in accordo con i sistemi sunniti e in contrasto con il gia‛farī degli sciiti imāmiti, non ammette la mut‛ah o matrimonio temporaneo.
Come si è detto, gli zaiditi da secoli sono limitati alla parte centrale dello Yemen (da Yarīm al sud fino ai limiti meridionali del territorio del Naǵrān a nord), pur avendo oggi la sovranità su tutto il paese; l'Annuaire du monde musulman di L. Massignon per il 1929 calcolava che essi rappresentassero i 4/6 del totale della popolazione musulmana valutata a 1.400.000 persone. Una cartina della zona zaidita dello Yemen si può vedere a p. 68 di Rathjens-Wissmannsthe Südarabien-Reise, III (Landeskundliche Ergebnisse di C. Rathjens e H. v. Wissmann, Amburgo 1934).
Bibl.: R. Strothmann, s. v. Zaidīya, in Encycl. de l'Islam, ed. franc., IV (1934), pp. 1264-66 (sommario della storia politica); M. M. Moreno, La dottrina zeidita nello Yemen, in Riv. delle colonie italiane, II (1928), pp. 687-99 e III (1929), pp. 281-89, 392-403, 792-96 (unico scritto d'insieme sull'argomento); C. van Arendonk, De opkomst van het Zaidietische imamaat in Yemen, Leida 1919; H. Strothmann, Kultus der Zaiditen, Strasburgo 1912; id., Das Staatsrecht der Zaiditen, ivi 1912; M. Guidi, Gli scrittori zayditi e l'esegesi coranica mutazilita, Roma 1925. - Due scritti del citato al-Qāsim ibn Ibrāhīm furono editi in arabo e tradotti in italiano: la confutazione dei cristiani da I. Di Matteo (in Riv. studi orientali, IX, 1922, pp. 301-64) e la confutazione d'Ibn al-Muqaffa‛ da M. Guidi, Roma 1927.