essere. Finestra di approfondimento
Il verbo e., tra le parole più frequenti dell’italiano, ha un doppio valore: lessicale (cioè con sign. pieno e quindi con sinon.) e grammaticale (vale a dire impiegato come ausiliare, come copula e in perifrasi verbali).
Essere come «esistere» e come «stare» - Uno dei sign. di e. con valore puramente lessicale è quello di «essere (davvero) presente», che ha come sinon. il più com. esistere e il meno com. sussistere. Con questo sign. e. è alquanto raro, usato per lo più in accezione filosofica e in contrapp. a divenire, anche come sost.: l’e. e il divenire. Decisamente più com., come sinon. di esistere e di trovarsi, il verbo pronominale esserci, soprattutto alla 3a pers.: a Napoli ci sono ottimi ristoranti. Comunissimo, col sign. di «trovarsi», l’uso del sinon. stare, per lo più nel registro fam.; quest’uso è spesso criticato dalle grammatiche tradizionali (giacché, a rigore, stare implicherebbe un «essere fermo, restare, rimanere, essere in piedi» e sim.), spec. quando assume (nelle varietà centro-merid.) il sign. di «essere in una determinata condizione»: sto nervoso; sto messo male; sto senza soldi, ecc.; comuni (da Roma in giù), a quasi tutti i livelli stilistici, sono frasi come: sto a Roma da due anni; domani non telefonarmi perché sto al mare; sto seduto in macchina da mezz’ora; ci sta un signore che vuole parlarti (l’ultimo es., con starci in luogo di esserci, è considerato il più informale). E. può significare anche «avere origine», e può avere come sinon. venire, il meno com. provenire, e anche nascere: una domanda come «di dove sei? » equivale in effetti a «dove sei nato?».
Esserci - Per quanto riguarda il v. intr. pron. esserci, oltre agli usi già commentati, è sempre più com. l’impiego alla 3a pers. seguita dall’inf. introdotto dalla prep. da. I sign. di questo costrutto sono almeno due, uno indicante necessità (non c’è niente da ridere «non bisogna ridere»; sinon.: bisognare, doversi, essere necessario, occorrere) e l’altro possibilità (non c’è niente da fare «non si può fare niente»; sinon.: essere possibile, potere). Esserci ha anche un altro sign. (quello di «esistere»), molto comune (c’era una volta un re che viveva su una montagna; c’è molto rumore in questa strada). Spesso, soprattutto nel parlato, c’è è usato per mettere in rilievo un elemento, subito ripreso da che: c’è una cosa che voglio farti vedere (tipo di frase preferito talora alla costruzione non marcata, che relegherebbe cosa all’ultimo posto: voglio farti vedere una cosa). Forma più lett. di esserci è esservi: né luce v’è né buio (G. Pascoli).
Copula - A metà strada tra il sign. lessicale e quello grammaticale è l’uso di e. come copula, ovvero come elemento che congiunge un sost. a un agg. o a un altro sost., dando luogo al costrutto chiamato predicato nominale: il cielo è sereno; Mario è il fratello di Luigi; Anna e Mario sono marito e moglie; io sono Alessio; Gianni è ingegnere. Quest’uso è privo di sinon. veri e propri, anche se le ultime due frasi possono avere un equivalente, rispettivam., in mi chiamo Alessio e in Gianni fa l’ingegnere. Mentre nel caso dei mestieri l’identità tra e. e fare è pressoché assoluta, chiamarsi ed e. sono sinon. soltanto nelle presentazioni: se Alessio è ben noto alla madre di Marco, non potrebbe mai, per es. al telefono, dire a quest’ultima: mi chiamo Alessio, vorrei parlare con Marco, frase che invece sarebbe appropriata a un primo incontro o a una prima telefonata. E. e fare sono sinon. anche in espressioni che riguardano le condizioni climatiche: oggi fa/è caldo.
Altri verbi, oltre a e., possono fungere da copula e dar luogo quindi a un predicato nominale, e vengono per questo detti verbi copulativi, ciascuno dei quali aggiunge una sfumatura partic.: apparire, costituire, parere, rappresentare, sembrare, ecc.: appare ormai evidente chi di noi ha torto; questo può costituire un problema; la laurea rappresenta un traguardo importante; Luigi sembra una persona in gamba.
Passivo - Come aus. del passivo e. ha come sinon. venire, soprattutto in verbi che indicano più che stati, azioni: una frase come il libro venne letto da tutti è normale, mentre il giapponese viene capito da poche persone, pur formalmente corretta, suona leggermente innaturale.
Ausiliare - Come aus. dei verbi composti attivi, e. si alterna con avere: richiedono avere tutti i verbi tr., e. tutti i verbi intr. pron. (esserci, lavarsi, ricordarsi, svegliarsi, ecc.), alcuni e. altri avere gli intr. non pronominali. Soltanto in rari casi i due aus. sono sinon., come avviene per alcuni verbi “meteorologici”: è/ha nevicato (anche se i puristi condannano l’uso di avere); e in certi verbi servili, che ammettono talora l’aus. del verbo all’infinito che li segue: ho (o sono) dovuto (o voluto) correre in ospedale. In altri casi, al cambiamento di ausiliare corrisponde un mutamento semantico e sintattico: la nave è affondata; i pirati hanno affondato la nave.
Per gli altri rapporti tra e. e avere (verbi fraseologici, dativo di possesso) v. la finestra avere.